Il volume fa parte di una serie iniziata con Byzantine Butrint: Excavations and Surveys 1994-1999, uscito nel 2005, che proseguirà con un’opera dedicata a The Triconch Palace at Butrint e a The Roman and Late Antique Villa at Diaporit. In tal modo si aggiorna una tematica che nella moderna letteratura è stata aperta giusto settant’anni fa dal volume di Luigi Maria Ugolini su Butrinto, il mito di Enea, gli scavi, apparso a Roma nel 1937, l’anno prima che si festeggiasse in Italia la ricorrenza del bimillenario augusteo. Dello stesso autore uscì postumo nel 1942, nell’anno giá stabilito per l’esposizione universale di Roma (di cui rimane il quartiere dell’Eur, con i suoi monumenti fascisti, tra cui il “colosseo quadrato”, e i musei ivi trasferiti), un volume sull’acropoli di Butrinto, ove oggi si trova l’edificio italiano che ora accoglie il museo e infine nel 2003 Iris Pojani — di cui un contributo compare anche in quest’opera — pubblicò le sculture del teatro in un’opera miscellanea dedicata appunto al teatro di Butrinto.
Come in Libia, anche qui alla missione archeologica italiana ha fatto seguito quella inglese. Essa con l’aiuto della Butrint Foundation ha fatto dal 1994 di Butrinto uno dei centri principali della ricerca archeologica in Albania, in stretto collegamento con i ricercatori albanesi, fondamentale non solo per lo studio dell’urbanistica, dell’architettura (dal periodo greco a quello paleocristiano e oltre), della decorazione pavimentale e scultorea, ma anche per la conoscenza della cultura materiale che molto si è giovata proprio delle analisi condotte a Butrinto, in special modo nel così detto palazzo a triconco.
La città è così divenuta punto di riferimento archeologico per altre realtà albanesi (ad esempio per i recenti scavi del macellum-forum di Durrës) e mediterranee nonché modello di sviluppo turistico, in questo caso certo favorito dalla vicinanza della Grecia e dell’isola di Corfù in particolare. La messa a punto che si propone il volume nasce anche dalla collaborazione con studiosi di altre scuole (francese con Elizabeth Deniaux, italiana con Sandro De Maria) sicché emerge un quadro articolato che tiene conto delle ultime scoperte, spesso molto importanti.
Nell’introduzione (1-16) Richard Hodges e Inge Lyse Hansen illustrano il progetto e ripercorrono le tappe della scoperta di Butrinto, che sostanzialmente risale agli anni venti del Novecento e deriva da un sogno romantico dell’Ugolini, il quale dopo aver visitato Micene nel 1925 volle imitare Schliemann, ponendo le basi di quella “Trojan connection” su cui si sofferma poi Inge Lyse Hansen.
Milena Malfi in un’ampia e interessantissima trattazione — The sanctuary of Asclepius — rilegge una delle parti più note di Butrinto, ovvero il complesso formato da pritaneo, tempio di Asclepio, teatro e così detta agorà (17-32). L’accurato studio dell’autrice collega strettamente le vicende del tempio, — da lei piuttosto identificato con un TESAURÓS (in cui vi erano ben due depositi di monete donate dai fedeli)—alla storia del teatro, costruito proprio con quei fondi e con i proventi delle manomissioni di schiavi di cui rimangono i testi tuttora visibili sulla parete meridionale, presso lo stesso TESAURÓS. Significativa a questo proposito la presenza dei nomi identici di sacerdoti sia nell’arredo del santuario sia nelle iscrizioni di manomissione.
In epoca romana tale costume si sarebbe esaurito e con questo anche l’importanza del santuario, ridotto ormai a semplice deposito di materiale votivo. L’estensione dell’analisi all’area a oriente del teatro permette all’A. di riconoscere qui tutti gli elementi costitutivi di un Asclepieion, ben rappresentati in quello di Atene, alle pendici dell’acropoli, presso il teatro di Dioniso. Secondo la sua ipotesi, inoltre, il precedente culto di Asclepio e gli edifici ad esso pertinenti nel corso del III sec. a. C., forse nel momento in cui Butrinto divenne centro del KOINÓN dei Praesebii, sarebbero passati allo stato, il quale avrebbe provveduto alla costruzione del teatro. L’A. esprime poi alcune suggestive ipotesi sullo sviluppo successivo dell’area, in coincidenza con la trasformazione degli Asclepieia in Grecia, specialmente nel secondo quarto del II sec. d. C.
Elisabeth Deniaux, nel suo contributo La structure politique de la colonie romaine de Buthrotum (33-39) offre un’immagine molto vivace dell’ordinamento coloniale della città, con riferimento alla legislazione coloniaria e in special modo alla figura e alla funzione dei praefecti. Il punto di partenza è il disegno cesariano di fondare una colonia di veterani a Butrinto, oppositum Corcyrae (B.C., 3.16). Ciò sarebbe avvenuto per punire gli abitanti della città che non avrebbero pagato una tassa. La storia numismatica di Buthrotum ci informa sulla costituzione di una colonia cesariana seguita da una rifondazione augustea.
John R. Patterson studia in un’appendice (40-43) una dedica a Minerva Augusta di età incerta ” Augustan or early first century AD” posta da un Manius Otacilius Mystes è occasione per un veloce esame di alcuni esponenti della gens Otacilia noti dalle fonti storiche ed epigrafiche, anche nella stessa Butrinto.
La tematica già ugoliniana del legame tra Butrinto e Roma ( The Trojan connection: Butrint and Rome) è trattata da Inge Lyse Hansen (44-61). Nello studio, molto bello e articolato, si procede attraverso un arco temporale molto ampio toccando la tradizione scritta (per lo più letteraria), le monete (di cui si esaminano le figurazioni del toro e del delfino) e infine la scultura, con speciale riferimento ai ritratti della famiglia imperiale e di Agrippa. Successivamente Iris Poiani illustra The Monumental Togate from Butrint che fa bella mostra di sé al centro del cortile del museo di Butrinto (62-77). Esso documenta il periodo tardorepubblicano, ma anche, per la chiara traccia di un intervento posteriore per trasformarlo in un busto, la riorganizzazione tardoromana dello spazio urbano. Lo studio è occasione per riconsiderare l’intera scultura documentata a Butrinto, alcuni esempi della quale andarono perduti durante la seconda guerra mondiale. In particolare la toga a mo’ di pallium del personaggio, che indossa calcei patricii, è identica a quella indossata dai senatori raffigurati nel monumento per la vittoria di Azio di Nicopoli, sebbene il suo uso continui nel tempo, come dimostra l’ Ara Pacis. Sulla base di questo confronto l’A. giunge a identificare la statua con una raffigurazione di Augusto: essa avrebbe così costituito dopo Azio un suggestivo legame della città con Nicopoli.
Un’ampia analisi della circolazione monetaria, con attenzione anche ai nuovi e interessanti rinvenimenti di Vrina, basata su un campione di oltre 1100 monete (da cui sono escluse quelle degli ultimi scavi) è offerta da Sam Moorhead, Shpresa Gjongecaj e Richard Abdy, Coins from the Excavations at Butrint, Diaporit and Vrina (78-94), in cui compaiono anche nuovi tipi e varianti.
Una delle novità più significative per la storia della città è data dagli scavi dell’area extraurbana, da Diaporit e dalla piana di Vrina. Per quest’ultima David J. Bescoby offre un quadro complessivo della Geoarcheological Investigation at Roman Butrint (95-118), arricchito da una ventina di immagini. L’autore si sofferma sull’analisi delle anomalie e giunge a ipotizzare l’estensione, la planimetria e in qualche caso lo sviluppo e l’aspetto di alcuni edifici, in special modo degli edifici 2 e 3. Fa seguito un ampio saggio di Andrew Crowson e Oliver J. Gilkes, con contributi di Edward Bispham, Dhimitër Çondi e Inge Lyse Hansen (119-164), che da solo costituisce quasi un quinto dell’intero volume. Gli scavi in quest’area rappresentano un importantissimo contributo innovativo per la storia della città e sono qui bene illustrati.
Ugolini trovò la piana fittamente alberata e in parte paludosa, con presenza di resti antichi, sui quali peraltro non si soffermò. Una radicale trasformazione del sito si ebbe nei tardi anni Sessanta e nei primi anni Settanta del Novecento, a opera degli ingegneri cinesi, i quali deviarono il corso di alcuni fiumi, livellarono la zona per creare aree di sfruttamento agricolo per fattorie collettive. Per ovvie ragioni di opportunità l’A. non si sofferma su questo fatto, che rappresenta ai nostri occhi la terza colonizzazione dell’area, dopo quella di Cesare e quella di Augusto. Scavi furono effettuati dal 2002 al 2004 e sono tuttora in corso.
È ora chiaro che la romana Butrinto, almeno per qualche tempo “was a city of two parts” (121). Qui gli edifici sono allineati secondo una griglia e la zona residenziale è posta a non troppa distanza da un’area cimiteriale, posta a est dell’acquedotto, rimasta in uso alla fine del I e all’inizio del II sec. d. C. Il floruit di questa parte urbana è stato individuato nel II sec. d. C., seguito da un declino verso la fine del II e specialmente nel III secolo. Presumibilmente allora molti edifici rimasero deserti e le strutture collassarono. Nel IV sec. si ebbe una rioccupazione parziale e temporanea degli edifici, quindi qualche segno di rinnovamento si ebbe nel tardo V secolo, quando si costruì una basilica paleocristiana nel sito dell’aula absidata.
Monete del VI e del XIII secolo datano le successive frequentazioni dell’area. Un edificio posto immediatamente a ovest dell’acquedotto, già interpretato dagli archeologi albanesi come una cisterna, viene qui spiegato come un tempio, la cui costruzione risalirebbe al primo periodo imperiale, con successivi interventi del IV sec.La presenza di case di abitazione e di ville tra le griglie dell’estensione meridionale di Butrinto rende evidente come questa fosse una parte della città e non il suburbio (136). Si tratta di case di lusso, spesso dotate di impianti termali.
Di grande rilievo lo studio di Ryan Ricciardi Two Roman Monuments. Proposals for Function and Context (165-174). In due problematiche strutture egli riconosce due altari, simili a quelli che si trovano spesso in aree santuariali del mondo antico (illuminante il confronto con Troia a p. 167). Nel Monumento 1 suppone che vi fosse una struttura a forma di betilo, comune in molte colonie corinzie. L’esempio più vicino è quello di Apollonia, ove lo stesso Ottaviano rimase fino al 44 a. C., il quale poi considerò Apollo come protettore di Nicopoli, costruita dopo la vittoria di Azio: infatti il medesimo betilo si ritrova nelle lastre Campana del tempio del dio Apollo sul Palatino.
Oltre il lago di Butrinto si vedono i resti della città di Fenice, ora interessata da una missione archeologica italo-albanese, su cui riferisce Sandro De Maria (175-188). Le due città hanno elementi in comune, ma un diverso destino. Fenice, nata dalla necessità di controllo del traffico interno lungo la valle del Drino, è ben nota nelle fonti antiche — forse anche per essere stata la capitale di Pirro — fino alla metà del II sec. a. C. Giá Ugolini aveva individuato sporadici resti attribuibili all’Eneolitico e all’età del bronzo, mentre i dati archeologici oggi disponibili paiono ricondurre l’origine della città a un sinecismo avviato intorno alla metà del IV sec. a. C. In epoca ellenistica l’impianto urbano di Fenice risulta esteso e posto sul versante meridionale della collina, con terrazzamenti e una strada serpeggiante di tipo “pergameno”. Sono ben evidenziate anche le somiglianze con la vicina Butrinto, come ad esempio per le fasi del teatro e del tempio di Asclepio. Anche per Fenice è possibile supporre una addizione, sia pure non nella forma istituzionale di colonia, nella zona dell’attuale Finiq, databile in base all’osservazione della tecnica muraria nei decenni centrali del II sec. d. C., forse in conseguenza dell’istituzione della provincia dell’Epiro. Simile ancora lo spostamento in età giustinianea dell’abitato sull’altura, per sfuggire l’impaludamento.
Conclude il volume un saggio di William Bowden su Butrint and Nicopolis: Urban Planning and the ‘Romanization’ of Greece and Epirus (189-209). La fondazione della città di Nicopoli dopo la battaglia di Azio è stata oggetto di un dibattito tra coloro che la consideravano greca e quelli che la vedevano come romana (190). A Nicopoli, costruita su uno spazio inedificato, elemento fondativo fu il monumento ( tropaeum) per la vittoria di Azio, verso cui tendeva il cardo maximus (esterno alla città) creando una sorta di santuario esterno, alla maniera greca, forse sottolineato da una strada colonnata, ove si riunivano la specificità romana e quella non romana, dopo il trasferimento qui, sotto la protezione di Apollo (venerato sulla collina), dei giochi Aziaci.
Secondo l’autore per salvaguardare il delicato equilibrio tra Romani e non Romani non sarebbe stato costruito qui un anfiteatro — ovvio per una colonia augustea di veterani — specialmente dopo che la sua costruzione a Nicopolis presso Alessandria, come riferisce Strabone, avrebbe mostrato effetti negativi sui culti locali. Quindi l’A. si sofferma sugli elementi augustei di Butrinto, di cui ben poco rimane, tranne l’acquedotto, innovazione tipicamente romana qui e in altre città dell’Epiro e della Grecia. Da ultimo l’A. tratta del sito di Diaporit in cui gli scavi hanno rivelato tracce di occupazione fin dal III sec. a. C., una fase costruttiva sviluppata specialmente tra 40 e 80 d. C. e un abbandono a partire dall’iniziale III sec. d. C.
Un indice dei nomi e delle cose notevoli conclude il volume (211-214).
Nonostante gli ampi e profondi contributi contenuti nell’opera, possiamo concordare con Bowden sul fatto che “Butrint remains a difficult site to interpret, in that one must take account not only of what was built, but also what was demolished and what was retained” (206). Ove si paragoni il volume ad altre pubblicazioni anche recenti su Butrinto (si pensi ad esempio a Neritan Ceka, Butrinto, Tirana 2006) balza agli occhi l’ampiezza della trattazione in questo volume che include aree finora non considerate adeguatamente (Diaporit, la piana di Vrina) e fa vedere con occhi nuovi strutture da decenni poste dinanzi agli occhi di archeologi e turisti. La notevole quantità di informazioni e di nuovo materiale fa rimpiangere che ancora non esista in loco una adeguata struttura museale (nel castello triangolare?) che possa fornire ai visitatori, secondo le aspettative della Butrint Foundation, almeno una parte dei nuovi dati che nel volume vengono proposti. Nel complesso dunque il volume appare del tutto innovativo e per la sua articolazione interna, che offre un ventaglio di competenze e di scuole di studi, e per i contenuti che ampliano considerevolmente quanto si conosceva finora dell’antica città.