BMCR 2004.10.17

I frammenti di Aristarco di Samotracia negli etimologici bizantini

, , I frammenti di Aristarco di Samotracia negli etimologici bizantini : Etymologicum Genuinum, Magnum, Symeonis, Megalē Grammatikē, Zonarae Lexicon ; introduzione, edizione critica e commento. Hypomnemata : Untersuchungen zur Antike und zu ihrem Nachleben, Bd. 152. Göttingen: Vandenhoeck & Ruprecht, 2004. 615 pages ; 24 cm.. ISBN 352525251X. €109.00.

La premessa (pp. 7-9) contiene i propositi e i risultati. Da un punto di vista editoriale, l’A. si propone di rendere disponibile, criticamente, il materiale aristarcheo tràdito dagli Etymologica bizantini, e precisamente dall’ Etymologicum Genuinum e dagli Etymologica, che in qualche modo scaturiscono da esso. Ovvero: l’ Etymologicum Symeonis, la Magna Grammatica, l’ Etymologicum Magnum e il lessico dello Pseudo-Zonara, con una certa attenzione all’ Etymologicum Gudianum e agli Epimerismi Homerici per le glosse in comune con questa tradizione. E’ noto che molti di questi testi hanno fruito di edizioni solo parziali (per la situazione ecdotica vd. le pp. 16-24): così il Genuinum, l’ Etymologicum Symeonis, la Magna Grammatica e l’ Etymologicum Gudianum. Lo scopo è quello “di analizzare il terzo ramo della tradizione [scil. aristarchea], ossia quello relativo all’ Etymologicum Genuinum e ai lessici da esso derivati” (p. 8), dato che gli altri due, gli scolii all’ Iliade e Eustazio (sempre per l’ Iliade), godono di edizioni moderne.1 Sostanzialmente, l’A., con l’edizione e il commento intende far progredire la conoscenza di Aristarco “da tutti citato … in fondo poco conosciuto”, sulla linea del lavoro di Matthaios sulla Wortartenlehre,2 e rileva come “dall’analisi degli etimologici sono stati isolati nuovi frammenti di Aristarco … Per gli altri frammenti, presenti anche negli scoli éo in Eustazio, gli etimologici hanno spesso offerto ulteriori elementi importanti e necessari per chiarire lo status quaestionis” (pp. 7-8).

Sul resto le valutazioni verranno nel corso e alla fine della recensione, ma è opportuno anticipare qualche parola sui “nuovi frammenti di Aristarco”. In realtà sono tutti, tranne uno, frammenti presenti anche nell’ Etymologicum Magnum, quindi noti (alcuni già valutati, ad esempio, da Lehrs), e per i quali la definizione di “nuovi” può risultare fuorviante. Il solo fr. 73 è riportato unicamente nel Genuinum : uno strano frammento di esegesi a Platone (?).

L’articolazione del lavoro è molto semplice: una introduzione (pp. 11-35); una piccola sezione con due Testimonia commentati (pp. 39-46); la serie dei frammenti (73, più 2 spurii), ognuno seguito immediatamente dal commento (pp. 51-565). Chiudono la Bibliografia (imponente: pp. 567-596) e gli Indici dei termini greci discussi (pp. 597-599), dei passi discussi (pp. 600-602), delle fonti (603-608), dei termini tecnici e delle cose notevoli (pp. 609-611), degli autori (pp. 612-615).

L’introduzione è ripartita in cinque sezioni. L’ultima contiene il Conspectus siglorum. La prima e la terza sono di grande utilità: alle pp. 11-14 c’è una descrizione e un grafico dello stemma di derivazione della dottrina aristarchea agli etimologici bizantini, mentre alle pp. 16-25 si ritrova una chiara e informata rassegna della situazione dei testimoni, di quella ecdotica e delle rispettive collocazioni degli Etymologica presi in considerazione. Chi è totalmente o anche solo parzialmente profano trarrà particolare giovamento da queste pagine. La quarta sezione descrive i criteri dell’edizione, per i quali c’è da notare che: a) le glosse provenienti da Etymologica privi di un’edizione completa sono edite mediante autopsia diretta o indiretta (microfilm) dei codici; b) l’edizione di tali glosse è accompagnata dalla trascrizione di altre fonti che si riferiscano al medesimo lemma (naturalmente con riferimento ad Aristarco): Eustazio, scolii a Omero, etc.; c) per il Magnum si sono seguite le edizioni di Gaisford e Lasserre-Livadaras, con sporadici controlli sul Dorvillianus 2; d) per (Ps.-)Zonara ci si è attenuti a Tittmann; e) per il Gudianum a De Stefani per la parte pubblicata, mentre il resto si deve allo sforzo ecdotico della Schironi (salvo che per una parte della tradizione, per cui si è ricorsi a Sturz); f) in corpo minore segue la semplice indicazione di altre fonti che trattino la medesima questione grammaticale, ma senza menzionare Aristarco. Nonostante il lavoro di edizione, l’A. dichiara comunque di aver favorito, piuttosto che gli apparati critici (comunque minuziosi), “la raccolta e il confronto delle diverse testimonianze antiche per un unico lemma” (p. 25).3 Per i testi già editi sono riprodotte le edizioni più affidabili (p. 27), anche nell’apparato critico.

In generale, gli interventi testuali della Schironi, pur numerosi, raramente pretendono di essere sostanziosi, limitandosi per lo più a fatti ortografici, accentuali, di divisione delle parole, etc. (ma vd., ad es., p. 71 ad l. 74; p. 109 n. 26; p. 474 ad l. 4).

A base del commento, la scelta è stata quella di dare una visione sinottica, con la trascrizione di tutte le glosse che riportassero il frammento in questione. Ciò porta a ripetere brani di testo che si ripetono identici (o con varianti trascurabili), oppure a trascrivere glosse evidentemente scorciate rispetto ad altre. La scelta si giustifica col fatto che spesso si tratta di glosse edite per la prima volta, ma non è del tutto confortevole per il lettore, che avrebbe una idea immediatamente più chiara del problema dalla selezione dei dati rilevanti.

La divisione dei frammenti e per “presunti” hypomnemata (a Iliade, Odissea, Esiodo, Sofocle, Aristofane e Platone [quest’ultimo con punto interrogativo]).

Ai veri e propri frammenti è preposta l’edizione di due glosse qualificabili come testimonia. Da segnalare nel commento al secondo testimone una densa discussione sul significato di παράδοσις (pp. 42-46), cui viene rivendicato, direi giustamente, l’accezione, minoritaria nella storia degli studi, di “tradizione grammaticale, ovvero l’opinione dei grammatici successivi ad Aristarco sulla base delle scelte operate da Aristarco stesso nel suo lavoro di ἔκδοσις” (p. 46).

Nell’edizione del testimone 2 si notano già gli inconvenienti e le contraddizioni, quasi inevitabili, che derivano dal principio di intervenire il meno possibile su i testi. Il lemma del Genuinum è τὸ χρῆσις : vi è una sequenza χρῆσις δὲ καὶ παράδοσις, evidentemente lacunosa; la Schironi, in apparato, riporta δὲ < οὐ > di Blank (suggeritogli a voce ?: cf. p. 9). Ma la soluzione sembra a portata di mano, cf. le glosse trascritte subito dopo: Etym. M. 815, 16 = Magna Grammatica χρῆσις … διαφέρει δὲ παραδόσεως, Zon. 1861 χρῆσις δὲ καὶ παράδοσις διαφέρει. Se si voleva dare il testo del Genuinum così come lo presentano i codici la proposta di Blank non doveva essere menzionata, altrimenti era necessario, e meglio ancora, integrare il sicuro διαφέρει delle glosse parallele (meno rilevante, ma indicativa, è la scelta di lasciare nel Magnum la correzione καλοῦνται di Gaisford, per καλεῖται del Dorvillianus 2 e di tutte le glosse parallele).

Si sa che intervenire su testi lessicografici per uniformarli rigidamente ai testi paralleli è operazione che può risultare sia superflua sia scorretta, per il fatto che si tratta di redazioni aperte e per la stessa possibilità che l’errore sia, per così dire, ‘d’autore’: ma ci è sembrato di ravvisare una serie di casi dove l’intervento testuale fosse legittimo. Sono riportati qui di seguito, insieme ad altre osservazioni di carattere testuale.

A p. 58 l. 15 il mantenimento della crux posta da Dyck appare ingiustificata, a fronte delle glosse parallele. Nella stessa pagina, a l. 27, nello schol. h, non si capisce lo scorretto Ἀριστάρχου per l’ovvio Ἀριστάρχῳ recato da tutti i paralleli (errore di stampa ?). A p. 70 l. 59 e p. 71 l. 73 la Magna Grammatica e il Magnum recano νεᾶσαι ( νεάσαι il cod. V della Magna grammatica) per ἐᾶσαι del Genuinum, del Simeoniano e di Cherobosco: la Schironi annota nell’apparato al Magnum, ” νεᾶσαι Gaisford ex V: ἐᾶσαι Sylburg, fort. recte”. In primo luogo sembra di capire che anche parte della tradizione del Magnum ha ἐᾶσαι, in secondo luogo è evidente che νεᾶσαι non è accettabile né per l’accento (( νεάσαι di V della Magna grammatica è una correzione dell’impossibile νεᾶσαι), né per la sintassi, né per il significato: avremmo fatto il passo di mettere a testo ἐᾶσαι sia nella Magna grammatica sia nel Magnum. Alle pp. 77-78 La Schironi lascia il tràdito τὰ προτακτικὰ in l. 4 ( Magnum), mentre lo corregge in τοῖς προτακτικοῖς in l. 14 ( Gudianum) e accetta la medesima correzione di Dyck in l. 24 ( Epimerismi). È vero che nelle ll. 28 e 31 troviamo l’atteso dativo con il verbo χρῆσθαι, ma per χρῆσθαι con l’accusativo si veda G. Redard, Recherches sur χρῆ, χρῆσθαι, Paris 1953, p. 33. Alle pp. 146-7 avremmo scelto tra περιγραφὴν di ll. 9 e 34 ( Genuinum e schol. A) e παραγραφὴν di l. 23 ( Magnum). Non si capisce perché la Schironi a p. 205 l. 3 voglia γράφει contro γράφεται proposto da Erbse e presente in tutte le glosse parallele. Alle pp. 216-218: a l. 6 potrebbe andar bene il tràdito αποτυχεῖν; a l. 10 probabilmente la crux non è necessaria; a l. 4 s. ὅπῃ καὶ πῇ (tra cruces) è fuori posto, cf. p. 217 l. 38; forse si potrebbe correggere συγκοπὴν in ἀποκοπὴν in l. 34 (come ha operato De Stefani nel Gudianum, vd. l. 52 e apparato), ma cf. συγκοπῆναι in Eustazio (p. 219 l. 83). A p. 327 l. 41 forse ci vorrebbe οἷον, come nei paralleli Genuinum (l. 5) e (Ps.-)Zonara 1254 (l. 34), e non οἱ δὲ (avrei qualche dubbio anche sul λεγόμενα di l. 42, al cospetto di λέγομεν di l. 7 e λέγουσἱν) di ll. 6 s., 21 e 35). A p. 353 l. 16 mi sembra che il Gudianum presenti lacuna, se confrontiamo i paralleli (ll. 4 s., 10 s., 23-25). Per p. 371 l. 6 la Schironi, p. 374, suppone, giustamente, corrutela: ipotizza una lacuna e corregge Ἐλλούς in Ἑλλούς. Non sarebbe stato più coerente (anche se più compromettente) correggere in σελλούς ?. Dalla discussione alle pp. 380 s. si capisce che la soluzione di Aristarco presuppone un εἴρυμι, mentre quella di Tirannione ἐρύομαι : se è così alle ll. 6 s. di p. 379 (nel testo del Magnum), ὁ … τυραννίων προπερισπᾷ, ἀπὸ τοῦ εἴρυμι, εἰρῦτο, c’è qualcosa fuori posto. P. 452 ll. 27 s.: mi pare evidente che, sulla base di ll. 7 e 17 s., sia opportuno correggere in ὥσπερ τὸ κρὴς Ἐτεόκρης.

La raccolta, non rispondente a un criterio tematico, ci pone di fronte a un panorama variegato delle questioni affrontate da Aristarco (grafiche, prosodiche, etimologiche, morfosemantiche, semantiche, etc.), e a una parallela varietà di criteri metodici utilizzati dallo stesso per risolverle. Tali criteri vanno quasi sempre indotti dal dettato di testimoni scorciati e desultori e quindi bisogna ricorrere a un certo sforzo di ingegno per arrivare ad una conclusione. Le analisi della Schironi enucleano diversi elementi dello strumentario metodico di Aristarco: il notorio Ὅμηρον ἐξ Ὁμήρου σαφηνίζειν; l’analogia (ad es. frr. 15, 18, 19, 35, 48, 58), su cui, però, a proposito del fr. 25 sembra prevalere l’etimologia, secondo la Schironi, mentre al fr. 39 viene contrapposta una sorta di ‘analogia semantica’ alla base della scelta di Aristarco (vd. anche fr. 60) contro una più ‘ortodossa’ analogia morfologica invocata da Dionisio Trace per una diversa soluzione nell’accentazione di ταρφειαι (casi di questo tipo fungono da profilassi contro l’imposizione dogmatica di criteri metodici assoluti a personalità che conosciamo in maniera così lacunosa; inoltre, il secondo caso, se è corretta l’analisi, dimostrerebbe, ancora una volta, che l’assunzione di categorie strettamente grammaticali non è ancora definita per Aristarco);4 il privilegio dato all’ usus rispetto a categorizzazioni grammaticali, peraltro di definizione più tarda (ad es. frr. 1, 22); forse la preferenza, stilistica, per forme composte (fr. 10); il ricorso, comunque, alla tradizione manoscritta, anche se minoritaria (ad es. fr. 15, pp. 151 s.); l’ascrizione della lingua omerica all’attico antico (ad es. frr. 17, 19, 32); una certa predilezione per lo spondeo iniziale (ad es. fr, 19); l’attenzione alla prosodia come tratto distintivo tra omofoni (ad es. frr. 42, 51, 60; ma vd. fr. 69); il rifiuto di soluzioni in funzione di interpretazione allegorica (fr. 45); una costante attenzione a distinguere l’ usus linguistico omerico da quello dei νεώτεροι (ad es. fr. 49). Interessante il fr. 7 (pp. 91-95), che permette di notare chiaramente le differenze nell’analisi morfologica tra un Aristarco e un Erodiano (per giungere alle medesime conclusioni). L’analisi del fr. 22 è un esempio di capacità di distinguere la dottrina aristarchea da quella di grammatici successivi, soprattutto nell’essere quella estranea all’applicazione di canoni grammaticali generali (vd. anche p. 241).

Le analisi sono a tratti corredate da note con utili rassegne sulla posizione di Aristarco rispetto a determinate questioni (ad es. p. 101 n. 20: sull’eliminazione dell’aumento; p. 116 n. 25: sulle preposizioni “ridondanti”; p. 152 n. 24: sull’ emphasis; p. 163 n. 24: soggetto neutro plurale e verbo singolare; p. 424 n. 28: sull’uso dell’ arthron in Omero).

L’A. dimostra alcune pecche in materia di linguistica (benché senza conseguenze sull’interpretazione dei frammenti aristarchei):

p. 175: non credo si possa partire dalla distinzione di due temi * owi- e * owy- e non saprei se le forme οἰός e οἰο=ν siano definite corrette da Schwyzer per il fatto di presentare il dittongo e non piuttosto per la collocazione dell’accento.

p. 192 n. 3: – εσσι non è la desinenza eolica ma quella greco-comune per i neutri in – ος -/- ες -.

p. 441: una “radice – ομ – nel senso di “vedere”” non esiste.

p. 513: qualunque fosse l’opinione degli antichi sulla ‘ionicità’ di ἐδήδαται,5 esso è comunque la forma attesa pangreca di III plur. media del perfetto, l’alternanza tra epsilon di ἐδήδαται e alpha della nostra forma non c’entra niente, trattandosi in un caso di una III sing. e nell’altro di una III plur.

Alcune osservazioni sparse:

p. 89 ll. 3 ss.: mi sembra che la glossa degli Epimerismi (n. 9), a proposito dei νεώτεροι non si riferisca a φῆ, ma ad ( ν).

A p. 72 n. 1, bibliografia sul piucheperfetto di οἶδα, aggiungere O. Hackstein, Die Sprachform der homerischen Epen, Wiesbaden 2002, pp. 254 ss.

p. 122: credo che il significato inteso da Aristarco sia piuttosto “l’arco di cerchio (che corre) tra i manici da una parte e dall’altra”, a meno che τὴν διὰ τῶν ὤτων περιφέρειαν non possa significare “la curvatura dei manici”.

p. 123: adde P. Radici Colace, Lexicon vasorum Graecorum, IV, Pisa 2001, p. 60 s.

p. 193 n. 9: era da citare E. Risch, Wortbildung der homerischen Sprache, Berlin-New York 1972 (II ed.), p. 80, e accennare al fatto che ὑγιής potrebbe essere un composto.

p. 207 n. 3: il libro di Curtius è citato secondo la I edizione (= II ed. p. 147).

p. 219: manca in apparato il nome di chi ha integrato Lex. Mess. (Rabe ?).

p. 223: forse l’intervento di Aristarco non si riferiva al vocalismo iniziale, ma solo al suffisso, che doveva essere – δήν e non – τήν.

p. 232 n. 1: adde la bibliografia in R. Nicolai, I veleni di Efira, in F. Montanari (cur.), Omero tremila anni dopo, Roma 2002, p. 457 n. 5.

p. 254 ll. 14 e 17: dato che si dice che Aristarco non solo leggeva due parole, ma anche accentava properispomeno è meglio scrivere ἀμβόμοισι e ἄμβωμος per le lezioni di Crisippo.

p. 286 l. 2: Esichio dice τὸ πλέον, ovvero “per lo più”, non “sempre”

p. 381 l. 9: meglio specificare che si tratta della III sing. del medio, poiché quella dell’attivo è, al contrario, sempre lunga.

p. 508 l. 7: si dovrà scrivere ἦγος, a seguire le conclusioni di p. 507 n. 12.

p. 542: non direi che il dettato dei testimoni inviti a concludere che “Aristarco sembra voler limitare il valore metaforico (e comico) dell’espressione, rifiutando le varie interpretazioni legate all’ambito culinario e rinviando l’immagine al campo medico”: non è chiaramente definito cosa Aristarco intenda per θρίω in questo passo.

Un giudizio finale deve necessariamente prevedere una valutazione in se del lavoro e una per se.

Le incongruenze testuali, se pure, a voler essere rigidi, compromettono la completezza del lavoro ecdotico, sono comunque poche e certamente non tali da pregiudicare la grande utilità del materiale presentato. Le stesse modalità di presentazione dei testi, con la ricchezza dei paralleli, sia trascritti sia menzionati, provvedono a delineare un contesto quanto più chiaro possibile per i problemi in questione. Ciò fa da ottima base a quanto la stessa Schironi considera il suo compito primario, ovvero il lavoro di commento. In questo si nota immediatamente una qualità. Ogni singola trattazione si apre con la descrizione del contenuto delle glosse, l’introduzione al problema in questione e la definizione della cornice in cui inquadrarlo: sono operazioni condotte con grande limpidezza, completezza e competenza e costituiscono già una parte importante dell’esegesi, considerando la ‘reticenza’ del dettato di queste schede lessicografiche. La Schironi dimostra inoltre di possedere una saldissima conoscenza di questo tipo di materiali introducendo spesso nella discussione scolii o glosse che non vi pertengono direttamente, ma contribuiscono a integrare o illuminare il quadro. Questa competenza, come quella dimostrata sulla bibliografia pertinente,6 è regolata da una sorvegliata misura nella valutazione dei dati e nelle conclusioni che si traggono. I percorsi scelti sono normalmente lineari (nei limiti in cui ciò è possibile in considerazione delle caratteristiche del materiale) e contribuiscono pressoché sempre a fornire un quadro coerente dell’attività filologica di Aristarco. Il rifiuto di soluzioni tortuose o ad hoc naturalmente porta in alcuni casi all’ impasse esegetica. Così è, a mio parere, nei casi, non rari, in cui le ragioni di una scelta aristarchea vengono individuate nella difesa della lezione manoscritta: normalmente questo avviene di fronte a scelte di Aristarco che contraddicono quanto sappiamo (o riteniamo di sapere) del suo metodo oppure vanno contro soluzioni che appaiono più plausibili (ad es. frr. 4, 21, 26, 37, 43, 47, 56, 69). Il ricorso al ‘criterio’ della difesa della tradizione manoscritta, nella sua genericità, ha un po’ il sapore della resa: ma non si può farne una colpa alla Schironi, costretta a ciò dalla natura del materiale e guidata da una notevole dose di buon senso, che la porta a preferire questa generica proposta di criterio, piuttosto che ventilare proposte audaci e, alla fine, indimostrabili.

La sostanza fornita dal materiale finora inedito non è, in grandissima parte, nuova, in particolare alla luce del fatto che si tratta in grandissima parte di glosse presenti, pressoché con il medesimo dettato, nell’ Etymologicum Magnum, ma presenta qualche integrazione di rilievo. Il progresso a mio parere sta soprattutto nelle lunghe e dettagliate discussioni che danno conto delle scelte di Aristarco, e che costituiscono, complessivamente, un ampio contributo alla definizione della sua personalità scientifica.7

Una valutazione invece per se del lavoro richiede altri criteri. Aristarco si trova in una situazione particolare. Logica vorrebbe che la comunità degli studiosi avesse sott’occhio la raccolta completa dei frammenti della dottrina aristarchea (dico dottrina perché sarebbero da contemplare frammenti anonimi ma riconducibili al nostro) e da qui partisse per una analisi complessiva. Questo non è, e dal XIX secolo si producono volumi su Aristarco senza l’aiuto di una recensio completa (il che non vuol dire che non si tratti a volta di opere di grande valore). Forse ciò è il motivo che spinge la Schironi ad affermare che “Aristarco, da tutti citato, è in fondo assai poco conosciuto” (p. 7). Il fatto terribilmente indicativo è nell’affermazione di Matthaios (cit. in n. 2), p. 33, di aver trascelto circa 800 frammenti tra i ca. 5000 pertinenti, si badi bene, la sola descrizione linguistica in Aristarco. Di fronte a questi numeri c’è da disperare che un giorno, con gli attuali sistemi di lavoro, si possa avere una raccolta completa dei frammenti aristarchei. In ogni caso, il risultato è, per parlare di situazioni concrete, che un volume come quello della Schironi, in cui si edita e discute materiale tematicamente eterogeneo (minimo comun denominatore è il tipo di fonte), si trova accostato a lavori come quello di Matthaios o come quello di Lührs,8 dedicati a questioni specifiche della filologia aristarchea: raccolte parziali di frammenti commentati accanto a trattazioni tematiche che, se anche prevedono una raccolta di materiale, ovviamente non può essere che selettiva.

Sia ben chiaro che non si tratta qui di giudicare il valore intrinseco del nostro lavoro e degli altri menzionati: è tuttavia evidente che la ricerca su Aristarco non procede in maniera coerente, tassello dopo tassello, ma costituisce per il momento un arcipelago, ove invece dovrebbe affiorare un continente. Il lavoro della Schironi è una di queste isole.

I refusi non sono moltissimi, considerando la mole del lavoro.9

Notes

1. Di non poco rilievo, per l’utilità dell’operazione, è il fatto che la tradizione che fa capo al Genuinum mostrerebbe un utilizzo del Viermännerkommentar diverso da quello verificabile negli scolii all’ Iliade (p. 16).

2. S. Matthaios, Untersuchungen zur Grammatik Aristarchs: Texte und Interpretation zur Wortartenlehere, Göttingen 1999.

3. A margine, si noti che ciò la porta a rilevare un grave errore di trascrizione da parte di Lentz in Herodian. II 326, 1 (p. 74 n. 8).

4. Per una valutazione del tipo delle applicazioni analogistiche di Aristarco si vedano le discussioni, sia pur marginali, alle pp. 357 n. 13 e 449 n. 12.

5. La sensazione di uno ionismo poteva essere fornito agli antichi dal confronto con forme come hom. ἐφράδαται, ἐληλάδατο, herodot. κατακεχύδαται, ἐσταλάδατο.

6.Dalla quale si nota, sia detto per inciso, che nella sostanza il grosso del lavoro esegetico su Aristarco è fermo al XIX secolo.

7. Senza dire, poi, che dal confronto tra le soluzioni di Aristarco e quello di altri filologi antichi risultano anche tasselli di storia e metodo dell’esegesi nell’antichità.

8. D. Lührs, Untersuchungen zu den Athetesen Aristarchs in der Ilias und zu ihrer Behandlung im Corpus der exegetischen Scholien, Hildesheim-Zürich-New York 1992.

9. Si trova sempre Van der Valk, Van Thiel, Van Leeuwen per van der Valk, van Thiel e van Leeuwen; p. 28 n. 11 l. 2: leggi “nei”; p. 44 l. 17: διάλεκτος è femminile; p. 45 l. 18: leggi “manoscritti”; p. 59 n. 3 l. 1: leggi ἥδε; p. 71 app. crit. ad Magnum l. 73: leggi “Choerob.”; p. 85 l. 26: leggi ” ὑποδιαζευκτικὸς“; p. 88 n. 3 l. 4: leggi ” πλουτοῦντα“; p. 136 n. 18 l. 2: leggi “rifiuta”; p. 149 l. 14: leggi “Küster”; p. 155 n. 10 l. 2: leggi ” προπαροξυτόνως“; p. 163 l. 7: leggi “inesistente”; p. 191 l. 26: leggi ” “; p. 205 l. 19: leggi ” περισπᾶται“; p. 207 n. 3 l. 3: leggi “Verbum” (anche in bibliografia, a p. 581); p. 214 n. 6 l. 3: leggi ” τερψίμβροτος“; p. 216 l. 14: leggi ” γενικὴ“; p. 223 n. l. 1: leggi “maggioranza”; p. 224 l. 2: leggi ” ἐφομαρτεῖτον“; p. 255 l. 15: leggi “consonanti”; p. 262 n. l. 2: leggi ” ἐτόλμησ’“; p. 275 n. 4 l. 1: leggi ” ἀρσενικῶς” e ” ἀρσενικόν“; p. 281 appar. ad l. 28: leggi “frustra”; p. 293 n. 11 l. 1: leggi “nonostante”; p. 308 n. 8 l. 2: leggi ” διδάσκω“; p. 326 l. 2: leggi ” ἐπέβαινον“; p. 333 l. 14: leggi “spiaggia”; p. 339 n. 14 l. 2: leggi “accettato da Fehling”; p. 347 n. 12 l. 3: leggi ” ἀλκτήρ“; pp. 373-76: nelle note Ἐπειρωτικά è scritto sistematicamente con lo spirito aspro (così anche in bibl., a p. 591 l. 12); p. 381 n. 9 l. 10: leggi “interpretazione”; p. 391 n. 13 l. 3: leggi “attestata”; p. 401 ll. 16 s.: leggi “signi-ficati”; p. 406 n. l. 3: leggi “arcaici”; p. 414 l. 16: leggi ” γλαυκῶπις“; p. 423 n. 20 l. 2: leggi “173-174”; p. 430 ll. 18 s.: “Dato che … Aristonico” è ripetuto in n. 12; p. 448 n. 9 l. 7: leggi ” παρατατικός“; p. 488 l. 8: leggi “esegeti”; p. 534 l. 8: leggi “quali”; p. 542 n. 17 l. 3: leggi “Henderson” (il relativo item manca in bibliografia); p. 549 n. 17 l. 8: leggi ” διελέγχονται“; p. 590 ll. 18 e 19: leggi ” indogermanischen“.