Il volume di Estelle Galbois, frutto di una rielaborazione di una parte della tesi di dottorato, affronta un tema complesso e affascinante, i ritratti su medaglione dei sovrani lagidi, tentando una loro contestualizzazione storica. Il lavoro è organizzato in due sezioni: una prima — suddivisa in tre capitoli preceduti da una ”Introduction”— che presenta le questioni di ricerca alla base dello studio, e una seconda che contiene il catalogo di tutte le evidenze censite.
Galbois (pp. 15-29), apre con un tentativo di definizione di ritratto, utilizzando e discutendo con accuratezza storica le testimonianze delle fonti antiche, e concentrandosi sulla definizione di immagine reale, al contempo rappresentazione di un individuo, che riprende tratti fisiognomici tali da poterne permettere l’identificazione, e incarnazione di una ideologia tesa a rafforzare la legittimità del potere del sovrano. In particolare, il fenomeno della miniaturizzazione del ritratto, sebbene sporadicamente attestato già in epoca classica, viene situato all’interno della corte di Filippo II di Macedonia e di suo figlio Alessandro, e risulta pertanto legato al potere dinastico fin dalla sua origine. Galbois passa poi in rassegna gli studi precedenti sulla ritrattistica ellenistica, rilevando l’assenza di un lavoro specificamente dedicato ai ritratti miniaturistici, fatta eccezione per un articolo di Renate Thomas.1
Molti problemi sono collegati allo studio di questa categoria: la dispersione dei documenti nelle grandi collezioni, che rende velleitario il volerne proporre un catalogo esaustivo; l’identificazione puntuale di ogni raffigurazione con un sovrano, operazione già difficoltosa per i documenti di statuaria in pietra, e ancora più ardua per i ritratti miniaturistici; i contesti di rinvenimento spesso incerti, quando non ignoti, e la conseguente incertezza nella definizione delle funzioni e degli usi dei ritratti; infine, i committenti e i destinatari degli stessi. La decisione di focalizzare l’attenzione sui sovrani tolemaici, la più durevole dinastia ellenistica, è ragionevole e permette così di vagliare un contesto storico noto anche da altre evidenze documentarie.
L’opera inizia (”Première Partie. Représenter le souverain lagide: la fabrique des “medaillons-portraits” miniatures”, pp. 31-56) discutendo la definizione di medaglione-ritratto, e analizzando le forme di questo tipo di documenti e le convenzioni iconografiche adottate. L’autrice affronta in dettaglio la questione del supporto materiale: pietre preziose e semipreziose, avorio, metalli (suddividendo i documenti su metalli in anelli con sigillo, emblemata bronzei di mobili e di specchi, piccola plastica, e un esemplare isolato di una placchetta bronzea che ella identifica con la coppia tolemaica di Tolemeo II e Arsinoe II);2 faïence , vetro (nelle categorie degli intagli, dei cammei su pasta vitrea e della scultura miniaturistica), osso, gesso, fino all’argilla (suddivisa in cretule e coppe a emblema). Dal punto di vista storico la nascita del medaglione-ritratto monumentale viene riconosciuta originariamente come decorazione architettonica, situata convincentemente a Delo, al Neorion, intorno all’inizio del III sec.a.C. Dapprima riservata agli dei e agli eroi, questa forma di ritratto viene poi estesa a rappresentare i sovrani ellenistici e, in seguito, gli imperatori romani: la sua traccia nella storia dell’architettura viene seguita con attenzione nelle sue attestazioni successive. L’analisi dei medaglioni-ritratto nelle arti decorative (il corpus comprende le coppe a emblema e i coperchi di pissidi) concludecercando di chiarire il rapporto tra questa tipologia di produzione e i ritratti numismatici, constatando come tra le due categorie gli elementi di differenza prevalgano sulle affinità.
La conclusione, a cui l’autrice arriva attraverso una dimostrazione serrata, è che i medaglioni-ritratto miniaturistici siano una produzione specifica e meritino una trattazione storico-artistica per se.
La seconda parte del volume ( “Fonctions, contextes d’utilisation et enjeux des médaillons-portraits miniatures des Lagides” , pp. 57-96) esamina funzioni e contesti di utilizzo, committenza e distribuzione di queste immagini. La provenienza, laddove è stato possibile stabilirla, indica per la grande maggioranza l’Egitto, segnatamente Alessandria e la sua chora, seppure i medaglioni si diffondano sino a Cipro, nel mondo greco, e a Pompei. I contesti di rinvenimento sono sia pubblici sia privati (domestici e funerari). Per i contesti pubblici vengono analizzate le cretule da ambienti di archivio (Callon/Callipolis, Edfou, Nea Paphos e, in modo più incerto, Artaxata); viene poi ipotizzato che i ritratti miniaturistici, all’interno di un quadro pubblico di relazioni diplomatiche, poterono essere offerti agli ambasciatori stranieri, come confermato da diverse testimonianze letterarie (p. 66). L’esame si sposta poi sui possibili contesti cultuali legati ai sovrani lagidi, osservando l’utilizzo dei ritratti miniaturistici nelle corone sacerdotali, o come appliqués sui vasi ( oinochoai in faïence e nelle coppe a emblema), fino al caso isolato e problematico della già citata lastrina in bronzo del Cabinet des Médailles di Parigi. Il cosiddetto Ptolemy Group di produzione ateniese è invece espunto dalle testimonianze di pratiche cultuali e considerato dall’autrice piuttosto segno di gratitudine per le donazioni di grano e di denaro di Tolomeo I ad Atene. In conclusione, nel quadro pubblico i medaglioni-ritratti miniaturistici sembrano da inserirsi nell’ambito ristretto dei notabili legati alla corte. Differente, e assai più sfaccettato, è il quadro di committenza e di utilizzo in contesti “privati”, in cui essi possono essere declinati come >ex voto ; ornamenti personali — talvolta con l’intento di replicare i costumi dei cortigiani —; talismani; decorazioni di mobilio e di vasellame di lusso. Infine, in misura più marginale, essi entrano a far parte del corredo funerario, come dimostrano esempi da necropoli d’Egitto, cipriote e della regione del Ponto Eusino (pp. 86-87).
Le questioni legate alla produzione e alla committenza dei ritratti medaglioni occupano la seconda parte del capitolo 2. Partendo dalla riflessione sulla molteplicità di funzione dei calchi, attraverso l’imprescindibile riferimento agli esemplari da Memphis e a quelli del “tesoro” di Beghram/Kapisi, l’autrice riflette sui modi di produzione degli ateliers di toreuti, arrivando a stabilire come le officine di Memphis non fossero affatto specializzate nella produzione di oggetti di lusso, avendo anche restituito modelli di elmi e di spade, e non sembrerebbero essere state poste sotto l’autorità del potere reale, al contrario di quanto accade ad Aï Khanum e a Beghram. Da ciò deriva la questione dei responsabili della diffusione di questi oggetti che, nel caso specifico di Memphis, l’autrice identifica in modo persuasivo con gli alti funzionari di corte, che li ordinarono in segno di lealtà e di riconoscenza verso la coppia regnante. I ritratti, non generici ma resi attraverso dettagli essenziali al riconoscimento, dovevano essere acquistati sia da aristocratici e notabili (per gli esemplari realizzati in materiali preziosi e in pietre preziose o semipreziose), sia, per gli esemplari in materiali non di pregio, da classi più modeste della popolazione (come dimostrano incontrovertibilmente tanto i contesti di rinvenimento delle oinochoai delle regine quanto la documentazione epigrafica.
Infine, nella terza parte ”Reconnaître le roi et la reine: mise en scène et attributs du pouvoir” , pp. 97-147) è affrontata la questione dell’identificazione dei sovrani e degli attributi del potere. Una rassegna delle fonti letterarie antiche sui ritratti dei Lagidi e delle loro consorti prosegue con l’analisi dei segni di potere esibiti dai sovrani (e.g. la kausia , il diadema, la clamide, l’uniforme militare). Ugualmente, dai segni di esibizione del potere nelle basilissai tolemaiche, si passano infine in rassegna gli attributi faraonici e le assimilazioni sub specie deorum dearumque, funzionali a sottolineare il legame tra le virtù incarnate dagli dèi e dai loro emissari sulla terra, i sovrani. Quello che emerge chiaramente dalla disamina è che la pluralità di funzioni e di contesti di utilizzo dei medaglioni-ritratto si traduce in iconografie particolarmente variegate, a differenza di quanto si può osservare sia nella numismatica sia nella grande plastica fatto che costituisce un ostacolo tanto all’identificazione puntuale dei sovrani quanto alla datazione dei pezzi.3
La ”Synthèse” conclusiva (pp. 149-159) riprende le questioni trattate in precedenza, in maniera sintetica ma esauriente, sottolineando nuovamente come si debba definitivamente abbandonare la lettura dei medaglioni-ritratto come oggetti di propaganda reale. Bisogna invece, , alla luce dei dati raccolti, abbracciare il loro essere esito di una molteplicità e di una varietà altissima di azioni e di decisioni, compiute e prese da attori tanto locali quanto centrali, e destinati ad assolvere una identica pluralità di funzioni.
Conclude lo studio un catalogo di 138 esemplari, suddivisi tipologicamente secondo la natura e il materiale del supporto. Per ciascun pezzo vengono forniti provenienza, stato e luogo di conservazione, dimensioni, , datazione e pubblicazione, oltre a una breve descrizione e a una riproduzione iconografica di buona, e spesso ottima, qualità. Bibliografia, una carta geografica con le indicazioni dei luoghi di rinvenimento dei medaglioni, due tabelle riassuntive delle assimilazioni dei sovrani e delle sovrane lagidi con le divinità, e gli indici forniscono inoltre un quadro organico complessivo dei ritratti in miniatura su medaglioni, fino ad ora mancante.
Lo studio della Galbois è tanto impegnativo quanto piacevole. Impegnativo perché segue la complessità della ricerca compiuta dall’autrice, che muove dagli oggetti per allargare il quadro fino a una loro contestualizzazione storica attraverso l’uso sapiente di fonti di varia natura (storico-letterarie, epigrafiche, numismatiche, archeologiche); piacevole per la sistematicità di esposizione, per l’ampio respiro che assume la trattazione e per l’equilibrio nella valutazione delle ipotesi in gioco. Si tratta di un volume fondamentale per la comprensione storica dei medaglioni ritratto e, più in generale, dei meccanismi all’origine della creazione del ritratto stesso. Infine, l’autrice sovente effettua efficaci richiami aritratti miniaturistici moderni nei contesti delle corti, specialmente di Francia e di Inghilterra, a testimoniare, da un lato, la sua profonda competenza storica ma anche, e soprattutto, come documenti così peculiari possano essere pienamente studiati solo superando specialismi ed expertises per giungere a una storia critica e problematizzata della società che li ha pensati, voluti, prodotti e acquistati.
Notes
1. R. Thomas, ”Miniaturporträts’als Propagandamittel” , in Kosmos der Zeichen. Schriftbild und Bildformel in Antike und Mittelalter, Ausstellung im Römisch-Germanischen Museum der Stadt Köln, 26. Juni bis 30. September 2007, Wiesbaden 2007, pp. 269-292. Alla rassegna va aggiunto lo studio di Elisabetta Gagetti, Preziose sculture di età ellenistica e romana, Milano 2006, che, pur occupandosi di statuette di piccolo formato a tutto tondo in materiale non metallico, può offrire un valido confronto su alcuni aspetti trattati da Galbois, quale la produzione e la committenza dei ritratti preziosi.
2. Si tratta del doc. M18, pp. 212-213.
3. Un esempio della difficoltà di provvedere a un’identificazione definitiva dei ritratti su questa categoria di oggetti è dato dal doc. G14, p. 193, un granato recante la firma dell’incisore Nikandros, oggi alla Walters Art Gallery di Baltimora, in cui la Galbois riconosce il ritratto di Arsinoe III sulla scorta della veste, del mantello e della collana di perle che si ritrovano anche sui coni monetali della regina (su Arsinoe III, da ultimo, si veda E. Ghisellini, Due ritratti di bronzo tolemaici nel Museo Archeologico di Firenze, in Archeologia classica 66, 2015, pp. 225-251). La maggioranza degli studiosi (come riporta la Galbois a p. 193) considera invece il documento un ritratto di Berenice II, mentre la Zwierlein-Diehl (E. Zwierlein-Diehl, Antike Gemmen und die Nachleben, Berlin; New York 2007, p. 376) preferisce identificarlo come immagine di Cleopatra I. Questo esempio vuole mostrare come nella ricostruzione della ritrattistica tolemaica permangano diverse aree di discussione, che dipendono dall’ampio spettro di soluzioni iconografiche e formali adottate, proprio come ha sottolineato la Galbois nel suo studio.