Ricostruire gli aspetti più importanti della vita degli antichi Greci e dei popoli che si affacciavano sul Mediterraneo significa anche prendere in considerazione la possibilità per il genere femminile di spostarsi da una parte all’altra del luogo di residenza, di uscire dall’ oikos per affrontare l’ambiente esterno e per confrontarsi con realtà non domestiche, di intraprendere viaggi. Non si tratta solo di spostamenti abituali per le donne nell’ambito delle strutture cittadine, come andare alla fonte ad attingere acqua o partecipare a cerimonie religiose o ad un’assemblea, ma di una mobilità più complessa nell’ambito di più vasti orizzonti, che comportava un allontanamento impegnativo dal proprio ambiente, un distacco non solo fisico e, in ogni caso, un cambiamento rilevante.
Il fenomeno della mobilità muliebre nella cultura degli antichi è giustamente e opportunamente ripensato da A. Konstantinou a partire dalle numerose testimonianze che di essa sono presenti nel mito greco: mobilità delle dee e mobilità delle eroine. Il supporto fondamentale è rappresentato dall’esegesi dei testi nei quali queste storie sono raccontate, dall’epica al teatro, alla mitografia. Non è affrontato (ed è un peccato) il tema dell’effettiva mobilità delle donne comuni nella realtà storica e quotidiana dell’antica Grecia, anche se l’argomento, come vedremo, rimane necessariamente sullo sfondo e non è del tutto obliterato, come indicano le conclusioni (pp. 155-158).
Il volume si apre con un’introduzione da leggere con particolare attenzione perché utile e direi indispensabile per comprendere la struttura e lo sviluppo del discorso portato avanti dall’Autrice. In poche pagine sono sviluppate con rigore questioni che hanno avuto un posto rilevante nella più recente bibliografia—soprattutto anglosassone—sulla posizione delle donne nell’antichità e viene suggerita una nuova prospettiva per spiegare i loro movimenti, i viaggi, gli spostamenti nell’ambito del territorio o della polis. Il confronto tra dei e dee, eroi e eroine, uomini e donne è inevitabile. Gli spazi riservati all’uno o all’altro sesso o ad ambedue i sessi oppure la possibilità di passaggio da uno spazio all’altro sono intesi con valore prevalentemente sociale, in relazione anche alla fissità e alla dinamicità delle due categorie. La domanda che si impone è sempre la stessa. Come può il mito con le storie di dee e di eroine far luce sulla “actual experience” delle donne greche? Tra la posizione di Dowden (1995), che privilegia il significato mitico dei racconti sulle donne nel mito, e quella di Pomeroy (1975), che utilizza simili racconti per ricostruire la mentalità e le istituzioni dei Greci, Konstantinou si allinea con quest’ultima e, a ragione, indirizza la sua ricerca sullo spazio e il movimento nel pensiero mitico in rapporto sia alla realtà fattuale, sia al genere di appartenenza dei personaggi mitici.
Naturalmente la ricerca riguarda quelli femminili che nel mito hanno un ruolo di assoluto rilievo. Il volume si divide in due grandi sezioni: nella prima parte le dee in movimento (divinità vergini come Hestia, Atena, Artemide, nel cap. 1; divinità Olimpiche spose e madri come Afrodite, Demetra, Hera nel cap. 2); nella seconda parte le eroine in movimento (nella tragedia greca nel cap. 3; nei rituali e nella caccia nel cap. 4). Il cap. 5 fornisce le coordinate ideologiche per inquadrare e illustrare il materiale sulla mobilità femminile, raccolto dall’Autrice nelle fonti greche antiche, prevalentemente letterarie e raramente archeologiche. In realtà risulta il capitolo centrale e quello più influenzato dalle problematiche presenti nella critica femminista contemporanea. Sui limiti e sulle prerogative della mobilità femminile nell’antico mito greco si allunga l’ombra delle difficoltà professionali e degli ostacoli incontrati dalle donne nella cultura odierna nell’ambito dei rapporti di lavoro e di carriera. Il ricorso a una terminologia—a dire il vero un po’ abusata—come “il soffitto di cristallo” per definire l’impedimento per tante donne, a parità di merito, di accedere a posizioni di responsabilità in senso verticale, o le “pareti di cristallo” per indicare le invisibili barriere che prevengono l’avanzamento laterale delle donne e di altre minoranze a causa della differenza di genere, è in tal senso significativo. È tuttavia necessario precisare che per Konstantinou l’accostamento tra passato e presente riguarda sempre l’immaginazione mitica e le caratteristiche della mobilità femminile, divina ed eroica, nei più antichi racconti mitici dei Greci. Non è funzionale per descrivere la posizione delle donne greche nell’ oikos e nella polis, anche se, alla fine, l’Autrice ammette che “la mobilità delle donne nel regno del mito sembra essere parte e porzione dell’ideologia sociale” (p. 152). Il problema è sempre se il mito può essere una “lente costruttiva, una categoria di studio che può aprire una finestra sulle posizioni sociali del Greci , sui presupposti sociali, sull’immaginario”(p. 12). Con la prudenza che deriva dalla difficoltà e dall’opinabilità di questo tipo di ricostruzione mi sentirei di condividere le conclusioni di Konstantinou sulla possibilità che i movimenti delle dee e delle eroine nel mito riflettano abitudini in uso nelle varie zone della Grecia (vedi Atene) e nelle diverse epoche.
Come già sottolineato, non è questo, tuttavia, il focus dell’indagine condotta dalla studiosa. I suoi interventi in prima persona (nell’Introduzione, nel sommario dei capitoli, nelle note accurate, nella Conclusione) chiariscono e precisano i confini entro i quali ella intende muoversi.
Ancora molto si potrebbe dire, ad esempio sui due aspetti determinanti di ogni spostamento femminile nell’antichità: ( a) la prassi e le modalità dell’allontanamento (quindi sotto il profilo antiquario); ( b) il significato umano e sociale del viaggio femminile (quindi sotto il profilo antropologico). Nel libro il secondo interesse, proiettato nella sfera mitica, prevale nettamente sul primo. Lo prova il fatto che ad eccezione di alcuni spostamenti tramite carro come quello di Afrodite ( Il. 5, 359), oppure attraverso un libero vagabondaggio tra le montagne come quello di Artemide ( Hymn. Hom. 27, 4) o ancora mediante le corse sfrenate delle Menadi (Eur. Bacch. 677-774; 1088-1094), poco spazio è dedicato ad un altro tipo di mobilità femminile. Quella che si realizzava per mare. Una mobilità non scarsa e di poco conto, come si riteneva fino a qualche decennio fa, nell’ottica di un paragone con l’incidenza forte e predominante dell’elemento maschile. Le dee, le eroine, le donne comuni erano in grado di lasciare la terra ferma e di attraversare il mare fendendo le onde o salendo su una imbarcazione o rinchiuse in una cassa galleggiante. Ma, come si diceva, lo scopo della ricerca è un altro.
In conclusione si tratta di una lettura stimolante, che provoca diverse domande e che affronta in maniera problematica alcuni concetti chiave nell’immaginazione mitica relativa all’universo femminile. La discussione investe di volta in volta lo spazio e gli spazi, il privato e il pubblico, il viaggio, la finalità del movimento riservato alle donne. La ricca bibliografia e l’indice delle cose notevoli agevolano la consultazione del libro, non sempre facile nonostante l’ordinata struttura editoriale, l’opportuna presenza di traduzione dei testi greci e l’abbondante apparato di note.