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Pubblicato originariamente in francese per il Centre Jean Bérard e il Centre Camille Jullian,1 questo denso volume di studi di André Tchernia si rivolge oggi a un pubblico ancor più vasto, grazie alla traduzione in inglese (a cura di James Grieve, con il contributo di Elizabeth Minchin) e all’inclusione nella fortunata collana degli Oxford Studies on the Roman Economy, per i tipi della Oxford University Press.
L’Autore, esperto di economia antica e di commercio marittimo di età romana, ha dedicato una gran parte dei suoi lavori all’analisi di prodotti e mercati, ai regolamenti e alle leggi relative ai movimenti di merci, al ruolo di mercatores e navicularii nei traffici navali, fino alle storie di singoli mercanti ricostruibili sulla base delle fonti letterarie ed epigrafiche, pubblicando un gran numero di articoli e alcune monografie divenute vere e proprie opere di riferimento, come il saggio del 1986 per l’Ecole Française de Rome Le vin de l’Italie Romaine.2
Molti dei suoi articoli più famosi e citati, dallo studio sul plebiscitum Claudianum del 219-218 a.C. a quello sul tonnellaggio massimo delle onerarie romane, o ancora a quello sul dromedario dei Peticii e sul commercio con l’Oriente, trovano spazio in questo volume, che si presenta, però, non come una semplice raccolta dei contributi più significativi di uno studioso di chiara fama, ma come una reale opera di sintesi e di riconsiderazione dei numerosi lavori affrontati durante una lunga e brillante carriera. Se, infatti, tutta la seconda parte del libro è dedicata alla ripresa di undici articoli e saggi di grande importanza, rivisti e aggiornati al 2016, è la prima parte dell’opera che, lungi dal presentarsi come semplice introduzione, si configura invece come un lungo saggio a sé sui Romani e il commercio.
Nella prima parte del volume, in effetti, che costituisce più di un terzo dell’intera opera (pp. 1-130 su un totale di 316), l’Autore affronta, nell’ordine, delle colte riflessioni su proprietari terrieri e commercianti, sulle sorti di chi investe le proprie risorse nel commercio, sulla questione del mercato in sé (con una sapiente ripresa delle differenti posizioni emerse nel dibattito scientifico), sul ruolo dello Stato (anche in merito al tema dell’approvvigionamento delle truppe) e sulla necessità di venire incontro alle esigenze. Temi che, del resto, per stessa ammissione dell’Autore, si ritrovano nella prima e nella seconda parte, al punto da poter considerare molti degli articoli di quest’ultima come “footnotes to Part I, linked to it by cross references”.
Già dall’introduzione, le domande fondamentali della ricerca vengono precisate: chi controlla il commercio? Fino a che punto si diffonde nella totalità dell’Impero? Quali sono i fattori che innescano un determinato flusso commerciale? Ancor prima di queste “essential questions” l’Autore mette in evidenza i grandi paradossi e i grandi temi del commercio romano: da una parte l’enormità di un sistema che arriva a soddisfare i bisogni di approvvigionamento di una “super-city” come Roma e che annulla distanze grandissime spostando beni da un estremo all’altro del mondo antico: un sistema che si riesce a comprendere appieno solo mettendo da parte le categorizzazioni e le forme di pensiero moderno, riconoscendone l’unicità e la sua diversità da ciò che è stato fatto prima e da ciò che sarà fatto dopo; dall’altra, l’idea antica del commercio marittimo come fonte di pericoli, di rovina, di decadenza, e il biasimo mai troppo celato per chi vi si dedica, in contrapposizione al mito dell’autosufficienza del’Età dell’Oro (idea discussa dall’Autore a p. 3). Solo la consapevolezza di quest’idea del commercio navale, fortemente radicata nelle menti del tempo, riesce a spiegare il rapporto controverso tra senatori e investimenti marittimi, e le decisioni dello Stato al riguardo.
Per il suo punto di vista globale, per la capacità di incrociare e mettere a sistema le fonti archeologiche, epigrafiche e letterarie, per l’eccellente e densa sintesi di tematiche di ampio respiro, per la capacità non comune di mettere serenamente a confronto posizioni anche distanti con l’ausilio di dati sempre aggiornati,3 e allo stesso tempo per la presenza di approfondimenti puntuali e ben focalizzati, il volume si presenta come un potente strumento nelle mani di chi si occupa di commercio marittimo e relazioni mediterranee in età romana, ma anche come un’eccellente introduzione per ricercatori e studenti, che troveranno in esso senza dubbio gli spunti per una feconda analisi di dinamiche complesse; degna di nota, a questo proposito, la ricchissima bibliografia (pp. 317-363) che, riprendendo il percorso di ricerca dell’Autore, raccoglie una nutrita schiera di lavori sui commerci, sull’archeologia marittima, sulle anfore, sulla ceramica, sull’epigrafia e sulle fonti letterarie: a queste ultime, ben indicizzate e ordinate, sono dedicate altre sei pagine (pp. 365-371), in fondo alle quali si ritrovano anche i riferimenti al CIL o all’AE delle 66 iscrizioni citate (si sarebbe forse potuto scorporare l’indice epigrafico da quello delle fonti letterarie, e includere magari, ove possibile, anche le equivalenze con EDR, il corpus epigrafico digitale che, con ormai oltre 80.000 iscrizioni censite, costantemente aggiornate nei dati, nelle immagini e nella bibliografia, può forse a buon diritto essere considerato oggi come il riferimento principale per le iscrizioni latine d’Italia). Per quanto riguarda l’apparato iconografico, infine, esso appare ridotto al minimo: le pochissime immagini inserite nel testo, però, sono ampiamente discusse e analizzate, formando esse stesse parte della discussione (è il caso ad esempio dei famosi istogrammi di Parker4 e Wilson,5 riportati alle pp. 118-119, sulla quantità dei relitti del Mediterraneo tra il 500 BC e il 500 AD, e sulla loro più o meno diretta rappresentatività delle curve di crescita e di decrescita del commercio marittimo di età romana).
In conclusione, l’ottimo lavoro di André Tchernia sui Romani e il commercio può a buon diritto essere considerato una vera e propria opera di riferimento, la cui diffusione, grazie a questa recente versione in inglese, non potrà che portar buoni frutti.
Table of Contents
PART I: The Romans and Trade
Introduction
1: Landowners and Traders
2: Traders’ Fortunes
3: The Matter of the Market
4: The Role of the State
5: Dispatching What Is Required
PART II Scripta varia
6: Dreams of Wealth, Borrowing, and Seaborne Trade
7: The Sale of Wine
8: The plebiscitum Claudianum
9: The Crisis of AD 33
10: Staple Provisions for Rome: How to Quantify Them?
11: Food Supplies for Rome: Coping with Geographical Constraints
12: Claudius’s Edict and Ships of 10,000 modii
13: The Dromedary of the Peticii and Trade with the East
14: Winds and Coin: From the Supposed Discovery of the Monsoon to the Denarii of Tiberius
15: D. Caecilius Hospitalis and M. Iulius Hermesianus ( CIL, VI, 1625b and 20742)
16: Delivery of Oil from Baetica to the Limes in Germania: Wierschowski Versus Remesal
17: Warehousing and Complementary Cargoes on the Alexandria Grain Run
18: Wine Exporting and the Exception of Gaul: Current Interpretations
19: The Economic Crisis in Imperial Italy and Competition from the Provinces
Notes
1. A. Tchernia, Les Romains et le commerce. Co-édition du Centre Jean Bérard (Études VIII) et du Centre Camille Jullian (BiAMA hors collection), (Naples, 2011), 439 p.
2. A. Tchernia, Le vin de l’Italie Romaine. Essai d’histoire économique d’après les amphores. Ecole Française de Rome, Palais Farnèse, (Roma, 1986).
3. Si veda a questo proposito l’istruttivo capitolo 16: “Delivery of Oil from Baetica to the Limes in Germania: Wierschowski Versus Remesal”.
4. A.J. Parker, Ancient Shipwrecks of the Mediterranean and the Roman Provinces. BAR International Series, 580. (Archaeopress, Oxford, 1992).
5. A.I. Wilson, “Approaches to Quantifying Roman Trade”, in A.K. Bowman and A.I. Wilson (eds.), Quantifying the Roman Economy: Methods and Problems, Oxford Studies on the Roman Economy 1. (Oxford University Press, Oxford, 2009).