BMCR 2018.05.15

‘Logos’ without Rhetoric: The Arts of Language before Plato (Afterword by Edward Schiappa). Studies in rhetoric/communication

, 'Logos' without Rhetoric: The Arts of Language before Plato (Afterword by Edward Schiappa). Studies in rhetoric/communication. Columbia: University of South Carolina Press, 2017. xiii, 191. ISBN 9781611177688. $49.99.

Preview
[Authors and titles are listed at the end of the review.]

[L’autrice si scusa per il ritardo.]

Il volume edito da Robin Reames accoglie otto saggi che vertono su autori e pensatori greci che, per ragioni ora cronologiche, ora culturali, si possono considerare anteriori a Platone (e quindi alla nascita del termine retorica):1 Isocrate, Teodoro di Bisanzio, Gorgia, Parmenide, Eraclito, Omero e la poesia epica, in ordine temporale volutamente ascendente. Di tutti si cerca di cogliere il contributo all’elaborazione di una τέχνη ῥητορική.

Infatti, come dichiarato dalla curatrice nell’Introduzione (e confermato dall’ampio spazio lasciato alla postfazione di Edward Schiappa), gli scritti contenuti in questo volume si inseriscono nelle coordinate teoriche della riflessione sulle origini della retorica. Se Reames (p. 1) accenna a due vie, quella del “traditional account”, che risale a Cicerone Brutus 46 e quella del “nominal account”, di chi, cioè, ritiene che la nascita di tale disciplina coincida con il diffondersi dell’uso del termine ῥητορική e quindi con Platone (Schiappa, Cole),2 nella postfazione Schiappa non solo introduce una terza possibilità, la “rhetorical sensitivity”, ma insiste sulle nozioni di evoluzione e sviluppo, precisamente dalle teorie del logos a quelle della rhetorike (pp. 132s.): i contributi critici qui proposti potrebbero collocarsi in questo terzo ambito.

Più dettagliatamente, in “Unity, Dissociation, and Schismogenesis in Isocrates” (pp. 11-18), Terry Papillon mostra come lo schema antropologico della schismogenesi 3, unitamente alla nozione retorica di “argomenti dissociativi”, aiuti a comprendere come lavorava Isocrate e i suoi legami con la cultura del V secolo a. C.: nonostante la vicinanza cronologica con Platone, lo studio di questo autore getterebbe luce sul periodo precedente la nascita del termine ῥητορική.

Il saggio “Theodorus Byzantius on the parts of a Speech” (pp. 19-29) di Robert Gaines si articola in due momenti: una riconsiderazione delle testimonianze su Teodoro di Bisanzio, per valutare se possa aver teorizzato dodici parti del discorso, come si può desumere da alcune fonti antiche, e l’esame dell’orazione pseudolisiana Contro Andocide, nella cui struttura sembrano applicati gli insegnamenti del retore. Se ne può concludere che l’attribuzione a Teodoro di Bisanzio di una posizione centrale nella storia della retorica da parte di Aristotele non deve essere sottovalutata.

Il contributo di Carol Poster “Gorgias’ On Non-Being : Genre, Purpose, and Testimonia” (pp. 30-46) riconsidera la natura dell’opera gorgiana (talora considerata testo filosofico, talora satirico, talora esibizione oratoria), alla luce delle informazioni biografiche sull’autore: soprattutto, Poster ritiene importante non cercare di definire in modo troppo preciso il ruolo intellettuale di Gorgia, ma prendere atto che nel corso della sua lunga vita egli ha coltivato ambiti diversi (filosofici, sofistici, retorici), rimanendo tuttavia legato agli interessi relativi all’uso della parola propri della scuola eleatica. Cadrebbe così l’interpretazione parodico-satirica de Sul non-Essere.

In “Parmenides: Philosopher, Rhetorician, Skywalker” (pp. 47-62), Thomas Rickert evidenzia come la scoperta archeologica avvenuta a Velia di un busto del filosofo recante l’iscrizione Ouliades physikos, (dunque Parmenide come iatromantis, pholarchos praticante riti di incubazione) renda opportuno riconsiderare il suo poema, specialmente il proemio. Infatti, a differenza di altri ‘miti della caverna’, il viaggio narrato da Parmenide ha carattere visionario e appare non un’ascesa verso la verità, ma una discesa verso la rivelazione; Rickert ne sottolinea, inoltre, gli aspetti protrettici e performativi, e, quindi, il ruolo importante nella pre-istoria della retorica.

Lo studio di Robin Reames, “Heraclitus’ Doublespeak: The Paradoxical Origins of Rhetorical Logos ” (pp. 63-78) si sofferma sul valore del termine λόγος nel frammento DK22b1: mentre vari commentatori hanno ipotizzato un legame tra i frammenti incentrati sul λόγος e quelli relativi al νόμος, l’Autrice, rifacendosi ad alcune considerazioni di Heidegger (p. 64), sostiene che il gioco di parole di Eraclito si fondi su due significati opposti della radice del termine: “to lay down” e “to gather up” (pp. 64; 74). Tale frammento, pertanto, farebbe riferimento non solo al concetto di discorso, ma anche alla sua funzione (dispiegare e nascondere) evidenziando, nel filosofo, seppur in forma enigmatica e paradossale, una consapevolezza retorica.

In “Rhetoric and Royalty” (pp. 79-96), Marina McCoy prende in esame la narrazione fatta da Odisseo alla corte di Feaci del suo incontro con alcune ombre dell’Ade, prima femminili e poi maschili: in essa l’eroe mostrerebbe di possedere competenze retoriche intermedie rispetto a chi risulta abile a parlare per natura o per sorte e chi è in grado non solo di costruire discorsi efficaci, ma anche di spiegare le tecniche utilizzate. Infatti, sebbene privo di competenze meta-retoriche, il suo discorso può essere analizzato facendo riferimento a categorie che saranno elaborate ben più tardi (il riferimento ad Aristotele è costante) e rivela la capacità di adattarsi a differenti uditori (prima Arete, poi Alcinoo), di dare una buona rappresentazione di sé ( ethopoiesis) e di mettere in una benevola disposizione d’animo l’ascoltatore ( diathesis), al fine di raggiungere lo scopo di ritornare finalmente a casa.

Secondo David Hoffman, “Metis, Themis, and the Practice of Epic Speech” (pp. 97-112), lo schema interpretativo che contrappone μῦθος a λόγος, ormai superato in vari ambiti di ricerca, dovrebbe essere infirmato anche negli studi di retorica. Pertanto, dopo aver esaminato i discorsi pronunciati negli episodi dell’ambasceria ad Achille ( Il. 9) e dell’assemblea ad Itaca ( Od. 2), avvalendosi anche del contributo delle “Theories of Practice” di Bourdieau e de Certeau (pp. 108s.),4 l’Autore ritiene di poter individuare nei concetti isocratei di καιρός e φιλοσοφία la persistenza, sebbene con nomi differenti, dei concetti di μῆτις e θέμις: dunque, essi potrebbero rappresentare un ponte culturale tra l’età arcaica, incentrata sul mito, e quella razionale inaugurata dalla Sofistica.

La tesi sostenuta da Michael Svoboda in “It takes an Empire to Raise a Sophist” (pp. 113-132) è che le grandi figure di Sofisti del V sec. a. C. abbiano trovato nell’impero ateniese, in particolare nell’età periclea, una situazione particolarmente feconda in cui operare, non tanto per ragioni politiche (l’affermarsi della democrazia non è, a suo parere, sufficiente), quanto per ragioni economiche. Infatti, presupponendo che ancora nel V secolo il mondo greco, e Atene in particolare, si fondasse su una “dual economy” (quella governata dalle leggi del mercato e dalla moneta all’esterno e quella del dono e dello scambio all’interno),5 le ragioni del successo dei sofisti appaiono numerose: nel contesto internazionale dell’impero, essi hanno insegnato a gestire patrimoni all’estero, a districarsi nelle questioni legali, da un lato; hanno offerto la possibilità alle persone più benestanti di offrire ai loro amici dei doni, benché di natura erudita, dall’altro, inserendosi così anche in forme di economia più tradizionali. Le critiche mosse loro dagli intellettuali ateniesi del IV secolo devono essere collocate nel nuovo panorama politico e culturale sopravvenuto alla fine della guerra del Peloponneso e alla crisi di Atene: la necessità di recuperare i patrimoni perduti a causa della guerra e al collasso dell’Impero avrebbe fatto sì che anch’essi vedessero nell’insegnamento un’opportunità economica; le nuove necessità dello Stato, inoltre, avrebbero reindirizzato gli interessi della retorica verso l’ambito politico.

Nell’Introduzione e nella Postfazione al volume sono evidenziati tanto i punti di forza (soprattutto da Reames), quanto quelli di debolezza (soprattutto da Schiappa) dei singoli lavori: comunque sia, i vari quesiti inerenti alle origini della retorica non trovano una risposta definitiva, né questa sarebbe possibile se, come osserva Schiappa “there is no simple way to resolve differences of opinion” (p. 141).

In effetti, sebbene le ricerche presenti nel volume tentino di mettere in luce nell’autore antico una forma di consapevolezza sia teorica sia tecnica, nessuno degli studiosi si spinge ad affermare che si possa propriamente parlare di τέχνη ῥητορική, ma le espressioni utilizzate sono piuttosto caute: per esempio, Papillon (p. 18) parla di un uso antico della retorica in Isocrate; Rickert (p. 62) definisce “proto-rhetorical” il metodo parmenideo; Reames (p. 78) nota in Eraclito la presenza di una teoria retorica “riddling” e “paradoxical”; per McCoy (p. 84), in Omero sarebbe riscontrabile una “proto-techne”.

Pertanto, una volta risolto (o eluso) il quesito di fondo, se cioè sia possibile parlare di retorica prima di Platone, vorrei soffermarmi su un altro aspetto, ovvero la destinazione del volume. L’unico accenno che sono riuscita a reperire è nella prefazione (p. ix), dove si dice che il risultato del lavoro è non solo significativo ed originale, ma anche accessibile: se ne dovrebbe dedurre che esso possa essere rivolto anche ai non specialisti della disciplina.

Indubbiamente, il fatto che i collaboratori provengano da settori di ricerca differenti, dalla teoria della comunicazione alla lingua e letteratura inglese, passando, ovviamente, per gli studi classici, favorisce il dibattito e l’incontro di prospettive critiche diverse, consentendo al lettore di misurarsi con un’interessante pluralità di voci e di orientamenti. Inoltre, la scelta di citare ed esaminare i testi degli autori antichi prevalentemente in traduzione (cf. p. xiii), rende agevole per tutti accostarsi all’opera. Nello stesso tempo, tuttavia, l’affermazione che “the authors of these essays have consulted various translations for the primary ancient texts” (p. xiii) lascia supporre che anche gli Autori non abbiano sempre esaminato i testi antichi direttamente, con l’ausilio degli strumenti critici di base per accostarsi al greco antico. Tralasciando le pur importanti questioni di metodo, questo rischia di minare la solidità delle riflessioni proposte: per esempio, il saggio di Reames, a prima vista ben strutturato, si fonda sulla convinzione ripresa da Heidegger che nel verbo λέγειν coesistano due significati opposti (cf. supra): di ciò non v’è alcun riscontro nel Dictionnaire étimologique di Chantraine (cf. p. 625 s.v. λέγω), mentre LSJ 9 (s.v. λέγω (A), p. 1033) spiega che il significato “to lay” deriva da un fraintendimento grammaticale. Nello specifico, tuttavia, la tesi generale risulta solo parzialmente inficiata: anche ammettendo, oltre al significato di “dire”, solo quello di “raccogliere”, nell’uso che Eraclito fa del termine mi sembra rimanga una certa consapevolezza retorica.

Chiudono il volume tre Appendici: un quadro delle fonti sui momenti salienti della vita di Gorgia e dei giudizi espressi su di lui nelle prime due; una nuova testimonianza su Teodoro di Bisanzio, nella terza: infatti, in Phld. Rhet. 4, P. Herc. 1007 col. 5a, 9-22, al rigo 16 Gaines legge Θεοδώρου anziché Ζωπύρου (Sudhaus):6 proposta interessante, ma che richiede ulteriori verifiche, dato lo stato di conservazione del testo, non suscettibile di una lettura univoca da parte degli studiosi.7

Seguono le note; una ricca bibliografia, benché costituita prevalentemente da testi di studiosi anglosassoni; una sintetica presentazione dei collaboratori; un indice che accoglie indistintamente gli autori, antichi e moderni, i termini tecnici, gli eventi storici citati.

La veste grafica appare accurata e non emergono significativi errori di stampa: in particolare, a p. 47 leggi “Velia […] is on the western coast of Italy”.

Authors and titles

Introduction
1. Terry L. Papillon. Unity, Dissociation, and Schismogenesis in Isocrates
2. Robert N. Gaines. Theodorus Byzantius on the Parts of a Speech
3. Carol Poster. Gorgias’ “On Non-Being”: Genre, Purpose, and Testimonia
4. Thomas Rickert. Parmenides: Philosopher, Rhetorician, Skywalker
5. Robin Reames. Heraclitus’ Doublespeak: The Paradoxical Origins of Rhetorical Logos
6. Marina McCoy. Rhetoric and Royalty: Odysseus’ presentation of the Female Shades in Hades
7. David C. Hoffman. Metis, Themis, and the Practice of Epic Speech
8. M. Svoboda. It Takes an Empire to Raise a Sophist: An Athens-Centered Analysis of the Oikonomia of Pre-Platonic Rhetoric
Afterword: Edward Schiappa. Persistent Questions in the Historiography of Early Greek Rhetorical Theory
Appendix A: Carol Poster, A Timeline of the Life of Gorgias of Leontini
Appendix B: Carol Poster, A Summary of Gorgias’ Work and Activity
Appendix C: Robert N. Gaines, A New Testimonium of Theodorus Byzantius
Notes
Bibliography
Index

Notes

1. Precedenti versioni dei contributi di Reames e Rickert sono stati pubblicati rispettivamente in Philosophy and Rhetoric 46 (3): 328-350; 47 (4): 472-493.

2. E. Schiappa, “Did Plato Coin Rhētorikē” AJPh 111 (4): 457-470; Th. Cole, The Origins of Rhetoric in Ancient Greece, Baltimore 1991.

3. Il termine, coniato da G. Bateson nei suoi scritti di antropologia, indica un processo di differenziazione nei comportamenti degli individui che porta alla separazione in gruppi.

4. P. Bourdieu, Outline of the Theory of Practice, trans. R. Nice, Cambridge, 1977 (ed. or. 1972); M. de Certeau, The Practice of Everyday Life, trans. S. Rendall, Berkeley 1984 (ed. or. 1980).

5. Sono applicate al V secolo le riflessioni di D.W. Thandy, Warriors into Traders: The Power of the Market in Early Greece, Berkeley 1997.

6. S. Sudhaus, Philodemi volumina rhetorica, Lipsiae 1892-1896.

7. Come si può desumere dall’apparato critico proposto e da una ricognizione degli studi citati.