Questa nuova edizione delle Metamorfosi nella «Sammlung Tusculum» segue a breve distanza quella pubblicata nel 2004 (2007 2) da Gerhard Fink con traduzione in prosa (ma anche, risalendo appena un po’ indietro, quella pubblicata nel 1996 dallo stesso Niklas Holzberg con la vecchia traduzione poetica di Eric Rösch, uscita originariamente nel 1952). Le ragioni di una nuova traduzione del poema ovidiano sono illustrate dal Curatore alla fine dell’introduzione ( Einführung, pp. 7-35): obiettivo del lavoro è quello di offrire una versione poetica (in esametri), che però adotti un linguaggio moderno e accessibile ai lettori del XXI secolo (pp. 30-35).
Sempre nell’introduzione Holzberg delinea un quadro di sintesi assai efficace delle caratteristiche principali delle Metamorfosi (pp. 7-21) e della fortuna dell’opera dall’antichità ai nostri giorni (pp. 21-30). Recuperando in parte, in relazione al primo punto, alcune idee, come quella della divisione dei quindici libri in tre pentadi, espresse nel capitolo sulle Metamorfosi («Poetic Explanation of Causes as Mythological World History: The Metamorphoses », pp. 114-151 dell’edizione inglese) della sua monografia (N. Holzberg, Ovid. Dichter und Werk, München, C. H. Beck, 1997; 2017 4; Ovid. The Poet and his Work, translated from the German by G. M. Goshgarian, Ithaca-London, Cornell University Press, 2002), egli propone una lettura del poema come fusione di metro epico, mitologia metamorfica, storia del mondo, spiegazioni etiologiche, intertestualità e racconti che riflettono i problemi di uomini «come te e me»; e presenta alcune persuasive chiavi di lettura, come quelle di «mise en abyme» (in relazione ai racconti delle Muse alla fine della prima pentade [5, 250-678], ai canti di Orfeo alla fine della seconda [10, 143-739] e al discorso di Pitagora nell’ultimo libro [15, 75-478]) e di «monde à l’envers» (in relazione al gusto ovidiano per il paradosso e il grottesco e al sistematico rovesciamento delle aspettative del lettore), che costituiscono altresì un ottimo accessus al poema ovidiano per il pubblico generalista al quale il volume è innanzitutto rivolto.
Ottima è anche la panoramica sulla ricezione delle Metamorfosi da Lucano ai Tales from Ovid (1997) di Ted Hughes: Holzberg dichiara di limitarsi agli esempi a suo avviso più interessanti (e in effetti dà particolare rilievo ad alcuni episodi di per sé forse minori, come le riprese di miti ovidiani da parte di Hans Sachs), ma di fatto la selezione è assolutamente soddisfacente in proporzione allo spazio. Sorprende comunque che Dante non sia neanche menzionato (a differenza, ad es., di Ariosto e Tasso): negli ultimi decenni è stato ampiamente dimostrato che «il riuso di Ovidio è sistematico e fondamentale nella strategia narrativa e nell’impianto strutturale della Commedia, tanto da segnare i loci deputati dell’opera e i momenti nodali del viaggio»,1 e infatti la bibliografia sul tema «Dante e Ovidio» è sterminata. Anche la scelta di indicare negli studi di Gianpiero Rosati ( Narciso e Pigmalione. Illusione e spettacolo nelle “Metamorfosi” di Ovidio, Firenze, Sansoni, 1983; Pisa, Edizioni della Normale, 2016 2) e di Stephen Hinds ( The Metamorphosis of Persephone. Ovid and the Self-conscious Muse, Cambridge, Cambridge University Press, 1987) l’inizio della recente «riscoperta» critica del poema ovidiano è pienamente convincente, ma avrebbe forse meritato almeno una menzione Ovid. A Poet between Two Worlds (Berkeley-Los Angeles, University of California Press, 1945; trad. ted. Ovid. Ein Dichter zwischen zwei Welten, Darmstadt, Wissenschaftliche Buchgesellschaft, 1970) di Hermman Fränkel, «un vero punto di svolta nella storia della critica per quanto riguarda gli studi classici».2
Come si legge nella nota al testo latino ( Zum lateinischen Text dieser Ausgabe, pp. 803-804), base dell’edizione è il testo critico di quella curata da Alessandro Barchiesi e altri nella collana degli «Scrittori greci e latini» pubblicata dalla Fondazione Lorenzo Valla (6 volumi, 2005-2015): una scelta inusuale, che costituisce un notevole riconoscimento per quella che non è una vera e propria edizione critica (essendo basata a sua volta su quella edita nel 2004 da Richard Tarrant negli «OCT») e nella quale il testo dei vari libri è curato da studiosi diversi, a ciascuno dei quali sono affidati tre libri e dai quali Holzberg si distanzia, infatti, in misura variabile (6 volte da Barchiesi, una da Rosati, 11 da Kenney, 2 da Reed, 14 da Hardie).3 Laddove Holzberg compie scelte diverse rispetto sia all’edizione di Tarrant sia a quest’ultima, lo fa in genere per tornare alla lezione di Anderson (così in 13 casi, tra i quali tutti e cinque quelli relativi ai primi due libri) oppure per accogliere nel testo delle congetture già proposte da altri, da Heinsius allo stesso Hardie (anche qui 13 volte), più raramente per stampare lezioni non accolte né da Anderson né da Tarrant (6 casi, tutti relativi alla seconda parte del poema, a partire da 9, 713).4 È da segnalare, infine, la scelta – coerente con la volontà di fornire un testo facilmente accessibile anche al grande pubblico dei lettori non specialisti – di omettere del tutto dal testo (e quindi anche dalla traduzione), piuttosto che stamparli tra parentesi quadre, gli oltre cento versi espunti nell’edizione della «Lorenzo Valla» (e in gran parte già, naturalmente, in quella di Tarrant, dove le espunzioni totali sono ancor più numerose), con due sole eccezioni (7, 525-527 e 11, 510-513, che Holzberg considera autentici).
I criteri della traduzione sono diffusamente illustrati, come si è detto, nell’introduzione, e di fatto la versione di Holzberg realizza pienamente l’obiettivo di conciliare, da un lato, la resa metrica, in assenza della quale andrebbe perduto il carattere poetico del testo, e, dall’altro, un linguaggio che sia comprensibile ai lettori contemporanei: perseguendo così una «via di mezzo» che conservi il meglio delle precedenti versioni tedesche, giudicate rispettivamente troppo libere quelle in prosa e troppo «innaturali» quelle in versi («Mir ist wichtig, dass Leser des 21. Jahrhunderts bei der Lektüre meiner deutschen Hexameter die Verskunst des Originals zumindest erahnen, ohne dass sie hilflos vor veralteten Formulierungen stehen und dann das Vorurteil bestätigen, von lateinischen Texten seien nicht einmal die Übersetzungen verständlich», p. 34). Molto fedele al testo latino non soltanto per il senso ma anche nelle soluzioni ritmiche e stilistiche (ad es. 1, 474: Protinus alter amat, fugit altera nomen amantis, «Er ist sofort verliebt, sie flieht vor dem Namen “Verliebte”»; 10, 58: prendique et prendere certans, «bemüht, ergriffen zu werden, zu greifen»), la traduzione è, allo stesso tempo, vivacemente espressiva: un risultato al quale contribuisce anche il frequente ricorso al corsivo enfatico (ad es. «Genug, dass das freudlose Reich er / einmal erblickt und einmal den stygischen Strom überquert hat» [14, 590-591]; ma soprattutto con i pronomi personali e gli aggettivi possessivi: «Der da bin ich !» [3, 463]; « Ich hab mit meiner Brust» [13, 93]). La fedeltà all’originale, del quale è sovente riprodotta – per quanto possibile e in modo comunque assai efficace – persino la collocazione delle parole all’interno del verso, emerge in modo particolarmente evidente nella resa del dialogo tra Eco e Narciso (3, 379-392), dove ad es. i vv. 391-392 ( “ante” ait “emoriar, quam sit tibi copia nostri!” / rettulit illa nihil nisi “sit tibi copia nostri!”) sono tradotti «“Ich sterbe eher, als dir ich gehöre!” / Darauf gab sie nur zur Antwort “dir ich gehöre!”».5
Il volume è chiuso dalla già ricordata nota al testo latino, da un apparato di brevi note illustrative ( Erläuterungen, pp. 805-855), da un’essenziale bibliografia ( Bibliographie, pp. 856-862), che prende in considerazione soprattutto le pubblicazioni più recenti (quasi tutti i contributi citati sono degli anni Novanta o posteriori),6 e da un repertorio dei nomi e dei principali concetti che si incontrano nel poema ( Namen und Begriffe, pp. 863-895):7 anche grazie a questi agili ausili alla lettura, il volume si conferma un eccellente strumento per il grande pubblico dei lettori non specialisti (ma di questa nuova traduzione delle Metamorfosi, che si deve di fatto a uno dei massimi studiosi di Ovidio viventi, terranno senz’altro conto con profitto anche i classicisti e gli stessi cultori della poesia ovidiana).8
Notes
1. R. Mercuri, Ovidio e Dante: le “Metamorfosi” come ipotesto della “Commedia”, «Dante. Rivista internazionale di studi su Dante Alighieri» 6, 2009, pp. 21-37, alla p. 21.
2. A. Barchiesi, Nota bibliografica, in Ovidio, Metamorfosi, vol. I, a cura di A. Barchiesi, traduzione di L. Koch, Milano, Fondazione Lorenzo Valla-Arnoldo Mondadori, 2005, pp. CLXV-CLXXIV, alla p. CLXVII.
3. A p. 804 Holzberg fornisce l’elenco dei 34 luoghi nei quali si distanzia da «Tarrant/Barchiesi u.a.», dichiarando che soltanto in un caso (9, 179) il testo di quest’ultima edizione differisce a sua volta da quello di Tarrant. In realtà vi sono diversi altri casi nei quali Holzberg segue Tarrant e non l’edizione della «Lorenzo Valla», a volte senza segnalazione nell’elenco (13, 693, dove è stampato dare e non per di Hardie; 8, 159; 14, 467), a volte inserendo il verso nell’elenco, ma senza indicare la divergenza tra le due edizioni (9, 569, dove è stampato paulum e non pauidum tra cruces di Kenney; 13, 684). In tutti gli altri casi di divergenza tra Tarrant e l’edizione della «Lorenzo Valla» (142 in totale) il testo stampato da Holzberg, se vedo bene, è sempre quello di quest’ultima.
4. Si arriva così a 32 casi in tutto: ai 34 indicati da Holzberg occorre infatti sottrarre, come si è detto, i due versi nei quali la sua edizione si discosta da quella della «Lorenzo Valla», ma non da quella di Tarrant (9, 569 e 13, 684).
5. Certo una fedeltà assoluta non sempre è raggiunta (come è forse inevitabile, del resto): a 6, 655, ad es., nella versione di Holzberg («In dir hast du den, den du forderst») è ben colto il ritmo dell’originale ( intus habes, quem poscis), ma va del tutto persa l’anfibologia («è [qui] dentro»/«lo hai dentro [di te]»; cfr. ThlL VII.2, 103, 62-63: «nota sensum duplicem ita, ut pro ‘in conclavi’ accipiat Tereus»). Altrove la resa di alcune sfumature può apparire meno persuasiva: ancora nell’episodio di Narciso, ad es., al v. 405 ( sic amet ipse licet, sic non potiatur amato!), che Holzberg traduce «Möge er selbst so lieben und das, was er liebt, nicht bekommen!», tenderei a considerare piuttosto amato maschile, con allusione al prosieguo della vicenda, e a rendere potiatur con «possegga» («besitzen»), lasciando aperta la possibilità di dare al verbo senso più concreto (cfr. fast. 3, 21: Mars videt hanc visamque cupit potiturque cupita); ma si tratta, appunto, di sfumature e di valutazioni comunque soggettive.
6. Spiace comunque notare l’assenza, tra i commenti, dei due volumi curati rispettivamente nel 1972 (libri VI-X) e nel 1997 (libri I-V) da William S. Anderson per University of Oklahoma Press.
7. Con pochissime eccezioni (come ad es. Plebs o Tiara), si tratta quasi esclusivamente di nomi propri o di aggettivi derivati da nomi propri.
8. La veste editoriale è, in generale, ben curata, ma non mancano alcuni refusi, talora assai evidenti: ad es. a p. 19 « Met 13,120f.» dovrebbe essere « Met 14,120f.»; a p. 862 il titolo del libro di Sarah Annes Brown The Metamorphosis of Ovid. From Chaucer to Ted Hughes presenta ben due errori («Metamorphoses» è al plurale e manca «From»); a p. 863 il rinvio alla premessa alle note illustrative è privo del numero di pagina («S. ***»).