BMCR 2018.02.30

Génération et substance. Aristote et Averroès entre Physique et Métaphysique. Scientia Graeco-Arabica 18

, Génération et substance. Aristote et Averroès entre Physique et Métaphysique. Scientia Graeco-Arabica 18. Boston; Berlin: De Gruyter, 2015. xiii, 734. ISBN 9781614517771. $322.00.

L’ampia e impegnativa trattazione di Cristina Cerami affronta in tutta la sua profondità e complessità il tema della generazione naturale in Aristotele e nella rilettura che ne propone Averroè.

Come si evince già dal sottotitolo, la generazione degli enti katà physin non è questione di esclusiva pertinenza della scienza fisica, ma, considerati i suoi risvolti più significativi, appare perfettamente calata in un contesto metafisico. Aristotele, infatti, presenta la generazione come il “venire all’essere di una nuova sostanza”, quella che Randall (J. H. Randall, Aristotle, New York 1968) ha chiamato “emergence of novelty”. Ciò che Randall intende evidenziare con tale espressione è che nel momento stesso in cui si produce un mutamento sostanziale, non si ha a che fare con una delle trasformazioni del sostrato, come nel caso degli altri mutamenti naturali (alterazione, aumento/diminuzione, traslazione) ma si verifica il venire all’essere di qualcosa che prima semplicemente “non era”. Viene all’essere un “nuovo” ente, una “nuova” sostanza. L’Autrice sembra riprendere l’interpretazione di Randall e, concentrando l’attenzione sulla sostanza e non sulle categorie accidentali, presenta il venire all’essere di una nuova sostanza come il paradigma esplicativo della teoria aristotelica della generazione. Cerami afferma che la generazione sostanziale è proprio il venire all’essere di un nuovo “tutto”, di un nuovo sinolo, in cui la materia, pur trasformandosi, assume ormai il semplice ruolo di componente (Introduzione, p. 3).

Pur dietro l’apparente trasformazione della materia dei corpi naturali, è legittimo, secondo lo Stagirita, parlare in senso proprio di generazione (così come del suo concetto opposto e complementare, la corruzione) quando una sostanza che prima ‘non era’, passa ‘all’essere’. Ecco perché l’Autrice sostiene che la generazione rappresenta il cuore della ricerca sulla sostanza.

Il volume è suddiviso in due grandi parti, suddivise a loro volta in nove capitoli, numerati in ordine progressivo: fino al capitolo V incluso, la trattazione è dedicata ad Aristotele, dal capitolo VI in poi è dedicata ad Averroè. La mole del lavoro è imponente: crediamo di non esagerare suggerendo che ciascuna delle due parti potesse essere in grado di diventare una monografia accurata sull’argomento che tratta. L’Autrice tuttavia spiega la finalità scientifica della realizzazione di un unico volume, motivandola con la fitta serie di rimandi e precisazioni che le due parti presentano vicendevolmente: se è necessario rifarsi ad Aristotele per comprendere appieno Averroè, è vero anche il contrario, dalla lettura di Averroè si ottengono chiavi interpretative assolutamente valide per una maggiore comprensione dello stesso Aristotele.

Accanto alla fondamentale acquisizione, secondo cui il nuovo ente frutto di generazione costituisce un nuovo “tutto”, l’analisi della teoria aristotelica della generazione getta luce sull’altro grande pilastro dell’ontologia aristotelica: la forma sostanziale. È quest’ultima che costituisce una sorta di anello di congiunzione tra il generante e il generato, secondo il principio di sinonimia. Principio che Aristotele enuncia in Metafisica Lambda, 3 1070a 4-5: “La sostanza si genera da ciò che è sinonimo”. I sinonimi sono i termini che hanno lo stesso nome e la medesima definizione, come precisa ulteriormente Aristotele in Metafisica Zeta 7 1032 24-25: “Ciò ad opera di cui le cose si generano è natura: natura intesa nel senso di forma, della medesima specie del generato (ancorché risiedente in un altro individuo diverso): infatti è sempre un uomo che genera un altro uomo”. Inoltre, grazie alla “pulsione di vita” che anima il mondo naturale ogni ente è spinto a portare a compimento la propria essenza, a preservarla e a riprodurla in un nuovo ente. In questo senso la forma è anche fine, dato che garantisce e preserva l’ente.

Sotto questo aspetto ci permettiamo di sollevare qualche dubbio circa l’assoluta precisione della lettura proposta dalla Cerami, che probabilmente risente dello studio approfondito di Averroè in merito alla causalità delle forme sostanziali. Infatti, l’Autrice già da subito nell’Introduzione sembra attribuire alla forma sostanziale, che è certamente anche causa finale nell’ambito degli enti naturali, un ruolo simile a quello del motore immobile, assegnandole quindi anche una funzione ‘motrice’ (“La forme substantielle, en étant le principe moteur inengendrable et incorruptible”, p. 6). Ora, senza le dovute precisazioni, tale tesi ci sembra poter risultare fuorviante. L’Autrice stessa conduce in maniera ampia e dettagliata nel capitolo IV l’analisi sul calore come causa motrice della generazione. Tuttavia, quando si tratta di presentare la teoria aristotelica della generazione in maniera sintetica e generale, ad esempio nell’Introduzione (p. 5 e p. 6) e nella Conclusione della parte del volume dedicata ad Aristotele, viene ribadito il ruolo della forma sostanziale come causa agente, motrice: “Le but étant de montrer la priorité de la forme, identifiée au principe agent (…) La physique prouve la nécessité de poser un principe positif qui en étant agent oriente la génération; la métaphysique se charge de montrer ce qu’est ce principe, en expliquant que la substance première est la forme”(p. 232). Il fatto che Aristotele affermi che ogni ente naturale abbia in sé il principio del movimento, rimanda, a nostro avviso, al fatto che tale principio abbia cause remote da far risalire al moto degli astri e dei motori immobili. Soprattutto non pare sufficientemente fondata la triplice equivalenza causa formale=finale=motrice nella teoria aristotelica della generazione naturale.

Come abbiamo cercato di mostrare nella nostra monografia dedicata alla generazione naturale in Aristotele (A. Doninelli, Dal non essere all’essere, Soveria Mannelli 2006), il De Generatione et Corruptione presenta lo studio del fenomeno attraverso l’analisi delle quattro cause aristoteliche, individuando nella materia prima-sostrato dei quattro elementi la causa materiale della generazione, nella forma sostanziale la causa formale-finale, nel moto dei corpi celesti (del Sole in primis, cfr. Physica II,2 “In effetti un uomo lo generano un uomo e il sole” e GC II, 10 “La causa della generazione è quella secondo il ciclo dell’eclittica”) e nel generante (nel calore presente nel seme, o meglio ancora nel pneuma, che fungerebbe in maniera analoga al calore del sole) le cause efficiente, rispettivamente remota e prossima.

La scelta di porre Averroè come degno ‘contraltare’ di Aristotele è sicuramente ampiamente giustificata dalla sistematicità, ma soprattutto dalla fedeltà e dall’efficacia con le quali Averroè ha affrontato e riproposto i trattati aristotelici. Non fa certo eccezione il De Generatione et Corruptione, così come gli altri scritti fisici. Ed è bello constatare come in effetti nella lettura di Averroè, fedelissimo all’andamento delle ricerche aristoteliche (e certamente, come rileva l’Autrice, influenzato da ambienti neoplatonici nell’approcciarsi alla questione in termini di gerarchie), ogni fenomeno naturale debba essere ricondotto e analizzato alla luce delle quattro cause, avvalendosi della distinzione tra cause remote e cause prossime. Averroè pur muovendosi in una prospettiva teista, terrà a prendere le distanze dalla tradizione avicenniana, soprattutto – come ben evidenzia Cerami – dalla tradizione avicenniana filtrata da al Gazali. Secondo Avicenna è necessario porre alla sommità del sistema di cause per il mondo sublunare il cosiddetto “Datore di Forme”, l’intelletto agente al quale vanno ricondotte tutte le idee intellegibili e anche le forme sostanziali capaci di “informare” la materia, che sussistono quindi separatamente da essa. Averroè, proponendo una lettura meno drastica della prospettiva avicenniana, utilizza Aristotele per evitare che le forme intellegibili sussistano separatamente dalla materia. In tal modo cerca di coniugare l’unicità dell’intelletto agente con una molteplicità di forme sostanziali legate alla materia e capaci di agire realmente in essa: “C’est contre le ‘formalisme’ avicenno-baggien, mais ultimement contre Al-Gazali qu’Averroès va élaborer son propre aristotélisme: la forme dans le sensible agit véritablement sur le corps” (p. 571).

La Cerami conduce un’analisi assai accurata delle influenze reciproche e delle divergenze su tale questione dei principali pensatori arabi (al-Gazali, Ibn Bagga) fornendo preziose indicazioni.

La soluzione che Averroè propone alla difficoltà relativa alla capacità delle forme di essere cause efficienti è quella di attribuire tale capacità non alla forma in quanto tale, ma ad alcune qualità sensibili che sono però necessariamente legate ad una certa forma, senza tuttavia costituirne una parte (qualcosa di assai simile all’accidente proprio di cui parla lo stesso Aristotele in Topici, 5). Esse sono secondo Averroè degli elementi ‘essenzialmente concomitanti’ alla forma. Conferendo uno statuto ontologico intermedio a questi accidenti essenziali, Averroè riesce sia a mantenere lo statuto ontologico della forma-essenza, sia ad evitare le derive ilemorfistiche.

Il cuore della lettura di Averroè è il tentativo di conciliare l’aristotelismo con le nuove prospettive teologiche, innanzitutto riuscire a spiegare il “contatto” tra Dio e il mondo, frutto della sua azione creatrice e per questo stesso motivo distante ontologicamente da lui. Perciò Averroè giunge a presentare un universo unitario ma non uniforme, in cui l’azione divina possa essere presente attraverso quegli intermediari rappresentati dai corpi celesti.

L’importante lavoro di Cristina Cerami ha certamente il pregio di mettere in luce in modo esaustivo le ragioni profonde della critica che Averroè muove ad Avicenna e ai teologi del kalam : non è veramente praticabile una ‘terza via’ che cerchi di mediare tra platonismo e aristotelismo. Il sistema filosofico che Averroè intende proporre si presenta come la ricostruzione dell’eredità filosofica aristotelica, dopo il tentativo di distruzione di al-Gazali. Ma l’Autrice è abile nel mostrare come l’aristotelismo di Averroè sia un aristotelismo profondamente rinnovato. Al centro di tale aristotelismo rinnovato ricopre un ruolo centrale proprio la generazione sostanziale che è in effetti ciò che conferisce al volume della Cerami un’unità contenutistica e di intenti: “La possibilité de prouver l’éternité du monde, l’existence d’un système causal unitaire, ainsi que la bonté absolue de notre cosmos (…) Ces enjeux se trouvent tous au croisement d’une étude physique et métaphysique de la génération substantielle et de son produit” (p. 673).