Il recente volume di J. Godwin offre un’edizione tradotta e commentata del IV libro delle Satire di Giovenale, che si rivolge dichiaratamente non solo a un pubblico di studiosi, ma anche al lettore che del latino abbia una conoscenza limitata. Il volume, pertanto, si propone come un’introduzione alla lettura di Giovenale, esplicitamente intesa ad aiutare il lettore non specialista a cogliere alcuni degli aspetti per cui queste poesie meritino di essere studiate e apprezzate (p. VII). Il risultato sostanzialmente oltrepassa questa dichiarazione d’intenti: Godwin offre una gradevole introduzione generale a Giovenale, una traduzione nel complesso condivisibile, e un commento che non esita ad approfondire problemi linguistici, contenutistici e anche testuali. Non è possibile render giustizia in poche pagine alla ricchezza delle questioni affrontate da Godwin: nelle note seguenti mi limiterò a soffermarmi su alcuni punti del volume che, a mio avviso, possono dar spunto a ulteriori discussioni.
Nell’introduzione, l’autore ripercorre a grandi linee la storia della satira romana, di cui Giovenale è considerato lo sviluppo culminante (p. 4). Sorprendentemente, per un volume dedicato al libro IV, Giovenale è presentato qui come un poeta dotato della «rabbia di un Persio e un Lucilio coniugata con il talento poetico di un Orazio» (p. 4), senza che l’evoluzione “democritea”, presentata proprio nella satira 10, sia valorizzata nel tracciare il profilo dell’autore. Nel ripercorrere la cronologia relativa delle satire, quindi, Godwin data al 115 d.C. la pubblicazione del libro I; va tuttavia notato che l’ultimo evento databile a cui questo libro fa riferimento è il processo di Mario Prisco, celebrato nel 100: Giovenale rimanda a questo evento con un’allusione che difficilmente sarebbe stata colta a quindici anni di distanza, e ciò ha portato studi recenti a ribadire che il libro I va datato non oltre il 101 d.C.1
Al termine di questa iniziale rassegna, quindi, Godwin fa riferimento all’antico dubbio che l’incompletezza della satira 16 possa essere dovuta alla morte improvvisa del poeta (p. 5), ipotesi che andrebbe ormai definitivamente accantonata: è stato persuasivamente mostrato che una pubblicazione postuma dell’opera sarebbe stata accompagnata da un’iniziativa editoriale tesa a conferire quantomeno una parvenza di compiutezza al testo (che invece, nello stato attuale, lascia sospeso l’ultimo periodo).2
Altre ipotesi ormai per molti versi superate vengono rispolverate nel successivo paragrafo dell’introduzione, dedicato alla ricostruzione della biografia giovenaliana (pp. 6-8): per limitarci alle più evidenti, Godwin torna alle ipotesi di Syme, su una possibile provenienza di Giovenale dalla Spagna o dall’Africa (ma non ritiene degni di nota p. es. l’aperto riferimento a un’infanzia trascorsa sull’Aventino,3 l’enfatica allusione alla sua Aquino,4 e più in generale l’avversione mostrata per i provinciali che si rovesciano a Roma); e parla di una «chiara connessione» (p. 7) tra i versi giovenaliani e gli Annales di Tacito, che porterebbe a comprimere la pubblicazione delle satire tra 110 e 130 d.C., ma che è stata sottoposta a ben circostanziate critiche dagli studi recenti.5
Alcune generalizzazioni si addensano, come inevitabile, nel paragrafo dedicato al “proposito” per cui Giovenale avrebbe composto le sue satire: «Is he serious or is he a poseur ?», si chiede Godwin (p. 14), riassumendo in poche righe l’annosa questione della persona loquens giovenaliana; ma in questa sintesi, per limitarci all’esempio più palese, la sat. 6 torna a essere proposta come un attacco misogino a tutte le donne («it is still pretty strong stuff», p. 15), e l’alternativa che si propone al lettore è quella di leggere la satira come una parodia degli stereotipi misogini tradizionali— con buona pace di chi aveva dimostrato come Giovenale guardasse prevalentemente all’immoralità della matrona, valorizzando l’ampia tradizione della “letteratura misogina” per criticare lo sfaldamento dell’istituto del matrimonio.6
Il testo segue dichiaratamente quello di Clausen, che il commento correda di un ricco apparato di note testuali, stilistiche e linguistico-lessicali. Mi limito qui ad accennare ad alcuni dei punti in cui Godwin si allontana dall’edizione di riferimento.
• 10,41 Celsus per il tradito consul : si è spesso discusso dell’incoerenza in cui Giovenale incorrerebbe, secondo il testo tradito, chiamando prima praetor (v.36) e poi consul il magistrato che presiede i giochi del Circo (vd. nota a pp. 75s.). La correzione può forse essere evitata se si considera che Giovenale sta descrivendo la scena come se si trattasse di un corteo trionfale (associazione incoraggiata dalla vanagloria del praeses stesso): chiamando consul questo personaggio, cui poco oltre si attribuisce appunto lo scettro del potere consolare, Giovenale intende probabilmente rimarcare l’insensatezza di questo magistrato che inaugura i giochi con la stessa pompa con cui un console vittorioso celebrerebbe un trionfo.7
• 10,128 torquentem (congettura di Markland) per il tradito torrentem. Il riferimento è all’eloquenza di Demostene. Godwin ritiene che in torrentem coesisterebbero le nozioni di «torrenziale» e «bruciante»; ma non si bruciano le redini di un cavallo (il riferimento è alla parte restante del verso giovenaliano: pleni moderantem frena theatri), per cui torquere sarebbe invece più appropriato. Anche qui, l’intero ragionamento può risultare non necessario se si considera che torrens è comunissimo in riferimento a un’eloquenza «torrenziale» (cf. 10,9, citato da Godwin, cui si aggiunga 3,74 Isaeo torrentior; molto altro in OLD s.v.); e che torquere, in realtà, non risulta mai adoperato con frenum come oggetto.
• 10,183 il testo tradito è: mitius id sane, quod non et stigmate dignum / credidit? («senz’altro fu segno di una certa indulgenza, non ritenerlo degno del marchio dello schiavo»); Giovenale si riferisce a Serse, che alla notizia della distruzione del ponte di navi sull’Ellesponto avrebbe inviato aguzzini a frustare, mettere in ceppi e persino marchiare a fuoco il mare. Godwin accoglie la correzione di Weber, seguendo in questo Courtney e Braund: mitius id sane. Quid? non et stigmate dignum / credidit? (traducendo: «too mild, that. How so? Did he not think the god deserved branding too?») Con il testo tradito, Giovenale sembrerebbe discostarsi dalle altre fonti, lasciando intendere che Serse avrebbe sì fatto frustare e incatenare il mare, ma gli avrebbe risparmiato quantomeno l’onta della marchiatura. Ciò risulta inaccettabile ai sostenitori della congettura di Weber,8 che tuttavia peccano a mio avviso di eccessivo razionalismo: nell’intera pericope, infatti, Giovenale ostenta scetticismo nei confronti delle “assurdità” narrate dagli storici greci in merito alla leggendaria impresa di Serse; giunto al più incredibile di tali aneddoti—che un mortale possa aver anche solo concepito l’idea di trattare il mare come un proprio schiavo—Giovenale sembra rallegrarsi che ciò non sia avvenuto davvero; ma l’uso di sane, come comunemente avviene in analoghe esclamazioni (cf. 4,16; 5,123; 9,46; 12,124), tradisce una palese carica antifrastica. Giovenale mostra sempre una grande libertà nel selezionare e manipolare le sue fonti, soprattutto riguardo alla storia (leggendaria) greca: non sembra necessario “costringere” il satirico a seguire precisamente il resoconto erodoteo, peraltro proprio in un passo improntato allo scetticismo nei confronti di tale fonte, dove «la selezione nell’uso dei particolari permette di chiudere con una battuta scherzosa per la quale è ipotizzabile un riferimento mitologico».9
• 11,21-23 il testo tradito è: Refert ergo quis haec eadem paret; in Rutilo nam / luxuria est, in Ventidio laudabile nomen / sumit et a censu famam trahit. Secondo Godwin, il testo dei manoscritti farebbe di Ventidio «the subject of the verb [ sumit ] and also a name in the ablative» (p. 143); ciò lo porta a seguire Heindrich nel correggere sumit in sumptus, da intendersi come soggetto di trahit («Much depends, then, on who is buying these same dishes: if it is Rutilus, it is extravagance, but in the case of Ventidius his free-spending earns him a praiseworthy reputation and celebrity from his wealth»). Tale ragionamento parte tuttavia da un presupposto discutibile: il soggetto logico sia di sumit che di trahit (presupposto anche da luxuria est) non è Ventidio, ma l’azione di acquistare prelibatezze a caro prezzo che è oggetto dell’intera sezione iniziale (v. 21: haec eadem paret); questa azione è considerata segno di lusso sfrenato quando commessa da Rutilo (un ignoto che scialacqua i suoi ultimi averi atteggiandosi ad anfitrione?), mentre procura complimenti a Ventidio («un ricco lodato per il tenore di vita lussuoso»).10 Meglio pertanto conservare il testo tradito, intendendo: «È però importante vedere chi si procuri queste stesse prelibatezze: se è Rutilio, si tratta di lusso sfrenato, se è Ventidio, ciò prende un nome lodevole, e dal suo censo trae buona reputazione».
La bibliografia finale rende conto delle ampie letture su cui si fonda il lavoro di Godwin, ma al contempo denota un’importante lacuna metodologica che, se non compromette l’utilità di questo volume per il pubblico non specialista, ne limita per certi versi l’apporto scientifico. Fatte salve pochissime eccezioni, la bibliografia di Godwin tralascia sistematicamente contributi non in lingua inglese: ciò esclude dalla considerazione dell’autore sia studi complessivi che avrebbero fatto chiarezza delle questioni generali sopra accennate;11 sia, soprattutto, i commenti specifici che sono disponibili per ciascuna delle satire del IV libro,12 le cui note avrebbero offerto un’importante punto di partenza, e un necessario approfondimento bibliografico, alle pur ricche analisi proposte dall’autore.
Notes
1. Cf. sat. 1,49-50: Exul ab octava Marius bibit et fruitur dis / iratis, at tu victrix, provincia, ploras; cf. ora J. Uden, The Invisible Satirist: Juvenal and SecondCentury Rome, Oxford-New York 2015, 219-226.
2. Stramaglia 2008, 291-292.
3. sat. 3,84-85.
4. sat. 3,318-321.
5. Cf. per tutti F. Bellandi, Cronologia e ideologia politica nelle satire di Giovenale, in A. Stramaglia – S. Grazzini – G. Dimatteo (edd.), Giovenale tra storia, poesia e ideologia, Berlin-Boston 2016, 5-64.
6. Cf. F. Bellandi, Contro le donne, Venezia 2003, 9-38, e più recentemente L. Watson – P. Watson, Juvenal, Satire 6, Cambridge 2014, 19-26.
7. Cf. P. Campana, D. Iunii Iuuenalis, Satura X, Firenze 2004, 113-114.
8. Cf. E. Courtney, A Commentary on the Satires of Juvenal, 2013 2, 415: «the crowning absurdity should not be denied».
9. Campana 2004, 241; nonché 222-224.
10. F. Bracci, La satira 11 di Giovenale, Berlin-Boston 2014, 76.
11. Oltre ai lavori citati alle nn. 5 e 6, per l’interpretazione complessiva delle Satire restano un punto di partenza fondamentale F. Bellandi, Giovenale, in F. Della Corte (ed.), Dizionario degli scrittori greci e latini II, Milano 1987, 1035-1048, nonché Id., Etica diatribica e protesta sociale nelle satire di Giovenale, Bologna 1980.
12. Non sembrano essere stati considerati, nella stesura di questo volume, il commento di Campana 2004 alla sat. 10 (cit. n. 7), nonché quello alla sat. 12 di A. Stramaglia, Giovenale, Satire 1, 7, 12, 16. Storia di un poeta, Bologna 2008 (rist. riveduta 2017), che è fondamentale anche per una più corretta comprensione dell’evoluzione della “carriera poetica” del satirico. È invece citato nella prefazione e in bibliografia il commento alla sat. 11 di Bracci 2014 (cit. n. 10).