Il Commento agli Harmonica di Tolemeo di Porfirio è un’opera importantissima sia perché, grazie alla quantità e, in molti casi, all’ampiezza delle citazioni testuali da autori precedenti, offre una documentazione ricchissima sulla musicologia greca a partire dal IV sec. a. C., sia perché testimonia alcuni sviluppi fondamentali del Neoplatonismo nel III sec. d. C. Porfirio si accosta all’opera di Tolemeo da filosofo, non da musicologo, e probabilmente la sua genialità consiste nell’aver compreso che questioni filosofiche molto importanti e lungamente dibattute potevano essere considerate e approfondite studiando e analizzando principi e contenuti specifici di un’altra disciplina, la teoria armonica, della quale Tolemeo aveva saputo valorizzare gli aspetti filosofici. Del resto, in ambito neoplatonico l’interesse per la musica costituiva parte integrante delle teorie filosofiche. Insomma, l’unica opera di Porfirio dedicata alla musica è anch’essa un’opera di filosofia, e come tale va studiata. Eppure, dopo i lavori di Düring,1 e fino a qualche decennio fa, gli specialisti del settore l’hanno quasi del tutto trascurata, probabilmente condizionati dalla convinzione di non poterne comprendere i tecnicismi musicologici;2 i musicologi, invece, ne hanno studiato quasi esclusivamente i contenuti tecnico-specialistici, senza considerare come e perché proprio quei contenuti sono inseriti all’interno di contesti filosofici. In definitiva, era ormai maturata l’esigenza di riconsiderare il Commento nella sua globale complessità.
Questo splendido libro risponde pienamente alle attese. Dopo un’introduzione ricchissima ma agile, chiara e accattivante, troviamo il testo greco con il relativo apparato critico e una traduzione inglese, la prima in una lingua moderna,3 che brilla per precisione e chiarezza, corredata da ben 831 note che, senza tralasciare praticamente nessuna delle numerose difficoltà del testo, ne offrono spiegazioni sintetiche, chiare e rigorose; a chiusura, una bibliografia lucidamente selettiva e due utili indici. La fruizione di testo e traduzione è molto agevolata da lodevolissime scelte editoriali, opportunamente illustrate al termine dell’introduzione: per il testo, è riprodotta la paginazione e la numerazione delle righe di Düring; sono riportate per intero, evidenziate in grassetto nel testo e nella traduzione, le pericopi degli Harmonica di Tolemeo di volta in volta commentate da Porfirio;4 le numerose citazioni testuali sono evidenziate in grassetto nella traduzione.
L’introduzione, articolata in 11 sezioni, offre contributi fondamentali sia agli studiosi che leggano l’opera per la prima volta, sia a quelli che ne conoscano difficoltà e problemi. Non vi sono affrontate le ormai antiche questioni dell’autenticità, dell’attribuzione e dell’unitarietà dell’opera, che, dopo il lavoro di Düring (1932, XXIV-XXVI; XXXVII-XXXIX), possono considerarsi definitivamente risolte in senso unitario.5 Le prime sezioni contengono notizie su vita e opere di Porfirio (1-3), un profilo generale del Commento (3-7) e spiegazioni sulla sua lacunosità e incompletezza (7-9). Barker data l’opera a una fase avanzata della carriera di Porfirio (5-6), considerando decisivo in tal senso il fatto che egli (115.30-116.1D) cita come già compiuto il suo Commento al Timeo, un’opera che non si può ritenere giovanile; a un autore maturo fanno pensare anche la ricchezza e l’alto grado di elaborazione dei contenuti; altre considerazioni in tal senso sono sviluppate nella sezione 6 (46-47). A conferma della datazione tarda, nonostante Barker ritenga che «all the philosophical indications can be taken to point either backwards to pre-Plotinian Platonism or forwards to the work of Porphyry’s maturity» (6), bisogna considerare che diversi elementi – distinzione tra αἴσθησις e ἀντίληψις, ruolo della δοξαστικὴ ὑπόληψις e della φαντασία, rapporto tra αἴσθησις e νοῦς paragonato a quello tra un messaggero e un re (11.4-15.29D) sembrano configurare una stretta dipendenza da Plotino.6 Barker dimostra incontestabilmente (7-8) che la lacuna corrispondente a I.16 è certamente dovuta a un incidente della tradizione manoscritta, e sul fatto che l’opera si arresta a II.7 ipotizza convincentemente (8-9, cf. 52) che Porfirio abbia lasciato incompiuto il suo lavoro, forse perché disinteressato alla parte rimanente del testo di Tolemeo.
Anche se non è affatto facile separare il contenuto filosofico del Commento da quello musicologico, Barker, senza mai smarrire le connessioni tra l’uno e l’altro, riesce a trattarli in due sezioni distinte, e la sua scelta si rivela molto efficace dal punto di vista comunicativo. La sezione 4, dopo un quadro sintetico degli argomenti filosofici (9-15), offre analisi approfondite di due passi fondamentali: l’ excursus epistemologico di I.1 (11.1-15.29D) (16-22) e l’ampia sezione di I.3 (43.23-67.14D), nella quale Porfirio contesta la validità della concezione di Tolemeo sul carattere quantitativo delle differenze tra i suoni (22-27). La musicologia antica, in quanto territorio di confine tra la musica pratica e le scienze teoretiche e sperimentali, costituisce qui la base privilegiata per argomentare su ragione e percezione sensibile, definizione e dimostrazione, criteri di giudizio e di verità, modi di acquisizione della conoscenza, nel tentativo, non sempre riuscito, di conciliare Platonismo e Aristotelismo. Barker mostra chiaramente come Porfirio, anche quando si allontana molto dai temi trattati da Tolemeo, riesca sempre a rendere funzionali alle proprie finalità esegetiche le ampie citazioni testuali e le acute discussioni di dottrine altrui, in un amalgama ben integrato, nel quale tuttavia i suoi contributi originali rimangono riconoscibili. Un altro elemento di novità è rappresentato dal fatto che le citazioni vengono costantemente considerate e analizzate all’interno del contesto esegetico nel quale sono inserite. La sezione successiva è dedicata agli aspetti specificamente musicologici, campo nel quale il contributo originale di Porfirio, argutamente definito un «indefatiguable source-hunter»,7 è notoriamente alquanto modesto. L’attenzione degli studiosi è stata attirata finora soprattutto dalle numerose citazioni di autori precedenti, che coprono circa un quarto dell’estensione dell’opera, distribuite soprattutto nella sua prima parte e ben integrate all’interno delle argomentazioni di Porfirio; alcune sono abbastanza estese, e sono tratte da autori per noi altrimenti sconosciuti, che vengono scrupolosamente nominati.8 Ma Barker, rimandando il lettore alle relative note di commento, sceglie molto opportunamente di percorrere qui un’altra via, mostrando come il commentatore, non ignaro della pratica e della didattica musicale del suo tempo, esamini alcuni temi fondamentali da punti di vista inusuali e meritevoli di ulteriori approfondimenti.9 Le sezioni 6 (45-47) e 7 (47-52), strettamente collegate fra loro, proiettano una luce totalmente nuova sulle ragioni che spinsero Porfirio a dedicare la sua opera di esegesi filosofica a un testo musicologico, sull’ambiente socio-culturale nel quale il Commento fu concepito, sulle modalità della sua composizione e pubblicazione e sul pubblico al quale era stato destinato. Sono poi illustrati (52-55) i criteri seguiti nel risolvere i problemi posti dalla traduzione di un testo così difficile; il lettore si accorgerà che sono applicati con giudizio e coerenza.10 Sugli aspetti più importanti della tradizione testuale, Barker (56-58) si limita a esporre le conclusioni di Düring, ma sulla validità del suo stemma si dichiara al corrente dei dubbi di Raffa, i cui lavori, all’epoca ancora in corso di stampa, sono ora pubblicati.11
Il testo, benché non fondato su una nuova e completa collazione dei manoscritti, si presenta in più punti migliorato rispetto a quello di Düring; vengono infatti accolte, oltre ad alcune lezioni emerse da un esame parziale ma più accurato dei manoscritti principali, che erano state rese note da Huffman,12 una lezione importante del recentior non deterior Cantabr. gr. 1308 (XVII sec.);13 tra le numerose emendazioni proposte, sia da Wallis (1699) sia dopo l’edizione di Düring,14 Barker, registrando le sue scelte nell’apparato critico e motivandole nelle note, accoglie quelle da lui giudicate più attendibili o persuasive, senza rinunciare a proporre le proprie, che, sempre con modifiche minime delle lezioni tràdite, restituiscono senso a diversi passi problematici o addirittura incomprensibili;15 in alcuni casi, individuate probabili corruttele del testo tràdito, propone soluzioni exempli gratia in apparato, con relative giustificazioni nelle note.16 La stampa è praticamente perfetta.17
Questo libro è uno dei più importanti tra gli innumerevoli eccellenti risultati della lunga e generosa attività scientifica di uno studioso impareggiabile, che ha dato contributi sostanziali alla conoscenza della musica e della musicologia degli antichi, ponendone in luce gli strettissimi legami con le altre manifestazioni della loro vita culturale, sociale e politica (letteratura, arti figurative, filosofia, scienze). Si può facilmente prevedere che farà compagnia ad antichisti, filosofi e musicologi, per molti anni a venire.
Notes
1. I. Düring, Porphyrios. Kommentar zur Harmonielehre des Ptolemaios, Göteborg, 1932; I. Düring, Ptolemaios und Porphyrios über die Musik, Göteborg, 1934.
2. Su questo, cf. R. Chiaradonna, in DPhA Vb, 1376-1381.
3. La traduzione latina di John Wallis risale al 1699 (in Opera Mathematica, III, Oxonii, 189-355); di recente è apparsa la traduzione italiana di Massimo Raffa (Claudio Tolemeo, Armonica con il Commentario di Porfirio, a cura di M. Raffa, Milano, Bompiani, 2016), col quale Barker riconosce di aver avuto fruttuose discussioni (cf. vi; 6; 58; 119, 85n; 201, 202n; 237, 277n; 269, 347n; 403, 610n).
4. Il testo è ripreso da I. Düring, Die Harmonielehre des Klaudios Ptolemaios, Göteborg, 1930; la traduzione da A. Barker, Greek Musical Writings, II, Cambridge, 1989, 275-332, entrambi con minime variazioni.
5. Per ripercorrere tutte le fasi del dibattito, cf. Raffa cit., XXXIII-XXXVII.
6. L’immagine del messaggero e il re richiama Plot. enn. 5, 3.3.39-45; per altri aspetti, cf. Raffa, cit., XLVII-L.
7. A. Barker, Scientific Method in Ptolemy’s ‘Harmonics’, Cambridge, 2000, 61.
8. L’elenco è in Düring, cit., 1932, 177-181.
9. I temi affrontati sono cinque: Pythagoreans, Aristoxenians and others (28-34); The monochord (34-35); The tonoi and the attunement of musical performers (35-37); Continuous and intervallic sound (37-43); Melody as ‘broken sound’ (43-45).
10. Noto soltanto che se a 135, riga 7 ‘alteration’ traduce ἀλλοίωσις e ‘locomotion’ traduce φορά, l’ordine dei termini va invertito (cf. il testo greco a 30.9-10D).
11. Cf. Raffa, cit., LXXI-LXXII, e Porphyrius. Commentarium in Claudii Ptolemaei Harmonica edidit Massimo Raffa, Berlin/Boston, 2016, XXXI-XXXII, XXXVII.
12. A 56.21D ἐκχέῃ … ἐγχεῖται contro ἐκχέῃ … ἐκχεῖται è essenziale per il senso; a 56.10-11D, 93.10D εἶμεν contro ᾖμεν salva il dorico di Archita: cf. C. A. Huffman, Archytas of Tarentum, Cambridge, 2005, xiii; 104; 162; 154.
13. A 13.18D σωματικῇ ὕλῃ contro σωματικὴ ὕλη è essenziale per il senso.
14. Cf. A. Wifstrand, Eikota: Emendationen und Interpretationen zu griechischen Prosaikern der Kaiserzeit, III, Lund, 1934, 8-9; C. Höeg, Gnomon 10 (1934); W. Theiler, GGA 198 (1936), 196-204; B. Alexanderson, Textual Remarks on Ptolemy’s Harmonics and Porphyry’s Commentary, Göteborg, 1969, D. Olson – I. Sluiter, An Emendation in Porphyry’s Commentary on Ptolemy’s Harmonics, CQ 46 (1996), 596; C. A. Huffman, cit.
15. Cf., ad esempio, 6.7D: τόνους contro τόπους, 9.29D: ἀπέγνωσται contro ὑπέγνωσται, 11.17D: κεκτημένος. οὕτως contro κεκτημένος, ὥσπερ, 11.28D: πληγῇ contro πληγή, 18.8D: ὕλῃ contro ὕλη; 23.20D: ἐξ ἀριθμοῦ συγκρούσεων restituisce senso all’incomprensibile ἐξ ἀριθμῶν συγκρουστῶν, concordemente tramandato (confesso di preferire συγκρουσμῶν, che Barker propone in alternativa); altrettanto essenziali per il senso sono: 34.6, βαρύτερον contro βραδύτερον; 66.19D, l’integrazione <μὴ> πληχθείσης; 105.20D, τεσσάρων contro πέντε (e l’elaborata integrazione di Düring); 105.28-28D, ἡ διὰ πασῶν συμφωνία contro τῇ διὰ πασῶν συμφωνίᾳ.
16. Cf. 67.26D (225, 254n), 72.17D (237, 278n).
17. Ho notato solo pochissimi refusi: 57, riga 4: ‘176’, non ‘88’; 86, riga 16: συνεψηφισμένη τῆς; 229, riga 21: ‘together’, non ‘together together’; 461, riga 8: ‘melodicness’; 469, nota 692: ‘Hagel (2009)’; purtroppo, alcuni errori sono riprodotti dall’edizione di Düring: 78, riga 25 (10.7D), leggere ἐγγεννᾷ; 86, riga 11 (12.25D): leggere διανοητικῆς; 266, riga 11 (85.17D): leggere παραιτητέον; 356, riga 15 (118.18D): leggere πολλαπλάσιος; 458, righe 9-10 dal basso: leggere ἐκλελυμένοις; infine, a p. 19, n. 35, non mi è parso opportuno accennare ai dubbi, ormai superati, sul nome dell’autore del Didascalicus, certamente Alcino, non Albino (cf. J. Dillon, Alcinous. The Handbook of Platonism, Oxford, 1993, ix-xi).