Il volume edito da Margaret M. Miles raccoglie 15 contributi redatti dall’editrice stessa e da un gruppo di studiosi, che comprende dottorandi, ricercatori e professori, attivi principalmente in università statunitensi e legati a vario titolo all’American School of Classical Studies at Athens. La pubblicazione si apre con l’indice dei contributi e una lista degli autori, corredata da informazioni sulla loro attività scientifica. Segue un’introduzione in cui l’editrice traccia la storia della riscoperta e dello studio dei monumenti antichi di Atene partendo da Ciriaco d’Ancona, attraverso Le Roy e Stuart e Revett, l’attività della Società archeologica greca e delle diverse scuole straniere fondate ad Atene, con particolare attenzione alla scuola americana e alle sue ricerche, e terminando con una descrizione degli attuali progetti in corso ad Atene da parte di diverse istituzioni greche ed internazionali. La Miles identifica il filo conduttore dei contributi raccolti nell’esame autoptico dell’evidenza archeologica, che fin dalla riscoperta delle antichità ateniesi con Ciriaco d’Ancona ha caratterizzato l’approccio di molti studiosi e appassionati nei confronti del patrimonio della città. L’editrice sottolinea come tale esame, da sempre coltivato dall’American School of Classical Studies at Athens nella sua attività di ricerca, possa portare a nuovi risultati anche riguardo materiali già conosciuti e studiati.
I contributi, eccetto quelli di Jacob Morton e di Marya Fisher, hanno un preciso focus geografico ad Atene e in Attica. Menzionerò solo brevemente gli articoli che, a mio avviso, non necessitano di un commento critico e mi soffermerò, invece, su quelli in cui ho trovato aspetti problematici.
Il primo contributo di Nancy L. Klein, esamina alcuni elementi architettonici in calcare appartenuti a problematici edifici del VI e V sec. a.C. sull’acropoli di Atene, individuando diversi metodi di riparazione, che si servivano di grappe o integrazioni in piombo fuso, adottati in antico per far fronte a problemi di stabilità.
Barbara Tsakirgis riesamina i ritrovamenti provenienti da una struttura scavata nell’angolo sud-occidentale dell’agora di Atene e rafforza l’interpretazione tradizionale come casa-bottega degli scultori Mikion e Menon, mettendo in relazione alcuni degli utensili trovati con determinate attività della lavorazione scultorea. Gli utensili trattati sono corredati da un catalogo con le informazioni tecniche essenziali. Più difficile, a causa dello stato parziale delle indagini, appare, a mio avviso, la dimostrazione che la struttura abbia funzionato contemporaneamente come abitazione e come laboratorio.
L’articolo di Jenifer Neils, Derek Reinbold e Rachel Sternberg discute l’interpretazione tradizionale che vede nella rappresentazione di Elio nella quattordicesima metopa orientale del Partenone un’indicazione temporale, ovvero il sorgere del sole che pone fine alla gigantomachia notturna, tema delle metope orientali del tempio. Gli autori suggeriscono che Elio sia, invece, rappresentato mentre corre in aiuto di Efesto, raffigurato in combattimento nella metopa adiacente. L’interpretazione proposta mi sembra convincente per diversi motivi: manca qui la controparte di Elio, Selene, che caratterizza solitamente le indicazioni temporali; inoltre, ci sono altri personaggi sul carro rappresentati nelle metope orientali non impegnati nella lotta, per i quali l’interpretazione come aiutanti di altre divinità pare probabile.
L’articolo di Carol L. Lawton esamina evidenze archeologiche, letterarie ed epigrafiche a sostegno della presenza di un luogo di culto di Asclepio e Igea all’interno dell’Eleusinion ateniese, precedente al santuario alle pendici meridionali dell’Acropoli. Il ben ricercato contributo risulta convincente per il coinvolgimento del clero eleusinio nel culto di Asclepio e per il fatto che le feste Epidauria venivano celebrate durante i Grandi Misteri Eleusini. Tuttavia si nota una mancanza di trasparenza nel trattamento delle evidenze archeologiche: le carte con le mappature dei ritrovamenti mostrano solo quelli effettuati vicino all’Eleusinion, che appoggiano l’ipotesi dell’autrice, e non tutte le evidenze collegabili al culto di Asclepio provenienti dall’agorà.
Il contributo di Jessica Lamont riesamina la documentazione archeologica, letteraria ed epigrafica relativa all’Asklepieion del Pireo per seguire le dinamiche di assimilazione della divinità peloponnesiaca nel pantheon attico. Sembra convincente che il culto straniero si sia inizialmente insediato in un’area liminare come quella del porto. Non condivido, invece, la proposta che l’assimilazione sia stata facilitata dalla condivisione dell’altare tra Asclepio e altre divinità: l’argomentazione funzionerebbe se si trattasse di divinità già presenti nel pantheon attico, invece, abbiamo a che fare con divinità strettamente legate ad Asclepio e alla pratica dell’incubazione.
L’articolo di Brian A. Martens riesamina una statuetta in marmo dall’agorà di Atene interpretata come Asclepio, suggerendo che si tratti di Serapide. Essa testimonierebbe la “iconografic hybridity” (p 51) delle due divinità, entrambe guaritrici. Condivido l’identificazione con Serapide per l’abbigliamento; tuttavia questo singolo ritrovamento non consente, a mio avviso, di trarre conclusioni sull’introduzione del culto di Serapide ad Atene come divinità guaritrice: mancano del tutto altre evidenze in questo senso.
Jacob Morton introduce nel volume un nuovo approccio metodologico, quello dell’archeologia sperimentale, per cercare di capire quale tipo di grasso veniva usato per avvolgere i femori delle vittime sacrificate, che, secondo le testimonianze letterarie, venivano bruciati sull’altare doppiamente avvolti.
Il contributo di Rachel Kousser si occupa della mutilazione delle Erme, avvenuta ad Atene nel 415 a.C. L’autrice esamina l’evidenza archeologica legata a questo episodio, per capire la reazione della città nei confronti dell’empio atto. Piuttosto esigue sono, però, le testimonianze di riparazione delle erme: si conoscono pochi esempi di epoca arcaica e classica, solo uno mostra segni di riparazione, ma non tracce di mutilazione. Convincente sembra, invece, l’osservazione secondo la quale, attraverso l’erezione delle stele con l’elenco delle confische effettuate nei confronti dei profanatori in luoghi ben frequentati della città, la democrazia volesse affermare visivamente il suo potere nel delicato contesto della guerra del Peloponneso.
Angele Rosenberg-Dimitracopoulou esamina quattro lekythoi inedite a figure nere, rinvenute nella necropoli di Merenda, a 3 m di distanza dalla fossa in cui erano stati deposti la kore Phrasikleia e il kouros suo “fratello”. Le lekythoi, che l’autrice tratta dettagliatamente in un catalogo in fondo al contributo, facevano parte di una pira funeraria. Viene ipotizzato che la pira, rinvenuta allineata con la fossa delle due sculture, a circa la stessa profondità, costituisse un’offerta compiuta in occasione della deposizione rituale delle statue; la datazione delle lekythoi al 480-460 a.C. consentirebbe, inoltre, l’associazione della deposizione con il sacco persiano. L’ipotesi, per quanto interessante, mi sembra problematica: mancano diretti confronti per l’associazione a statue di una pira, di solito offerta a sepolture di individui; la pratica stessa sembra diradarsi dopo il VI sec. a.C.; la pira è stata, inoltre, trovata a una distanza considerevole dalle sculture e lo scavo parziale del cimitero non consente di escludere la sua associazione con un’altra sepoltura.
Johanna Best analizza il fenomeno della religiosità quotidiana rispetto a piccoli luoghi di culto posti ai lati delle strade sulla base di fonti letterarie, epigrafiche e di tre complessi archeologici ateniesi: il santuario delle Ninfe alle pendici meridionali dell’Acropoli, il naiskos di via Poulopoulou 29 e l’altare per Zeus Herkeios, Hermes e Akamas nel Dipylon. A parte il caso del santuario delle Ninfe, la scarsità del materiale votivo associato agli altri due complessi li rende molto elusivi e poco rappresentativi per i fini dell’autrice. Nel caso del naiskos anche la sua connessione alla strada non è chiarita.
Il contributo di Jessica Paga esamina la strategia adottata dalla neonata democrazia ateniese per l’appropriazione del territorio dell’Attica. La metodologia d’indagine, chiaramente definita in apertura, prende in considerazione i demi di Eleusi, Sunio e Ramnunte per la loro posizione ai confini del territorio controllato da Atene. Attraverso la datazione all’ultimo decennio del VI sec./ primi due decenni del V sec. a.C. delle mura di fortificazione e del Telesterion tardo arcaici di Eleusi — già, tuttavia, suggerita da Lippolis 1—, del predecessore del tempio classico per Nemesi a Ramnunte e del tempio in calcare per Poseidone a Sunio, l’autrice considera i monumenti come una manifestazione monumentale del potere della democrazia in via di affermazione. Nonostante alcune perplessità relative alla poco motivata datazione delle mura di Eleusi e alle dimensioni davvero non monumentali del tempio in calcare per Nemesi a Ramnunte, l’argomentazione è, a mio avviso, stringente e convincente.
Kristian Lorenzo esamina la dedica dopo la vittoria di Salamina di tre triremi persiane nei santuari di Istmia, Sunio e Salamina. Interessanti e ben argomentati sono gli aspetti tecnici relativi allo smontaggio, trasporto e ri-montaggio delle navi; piuttosto scarna è, invece, l’evidenza riguardo alla loro collocazione all’interno dei santuari.
Sylvian Fachard e Daniele Pirisino analizzano le vie che mettevano in comunicazione Atene con le principali città vicine. Alla funzione militare delle strade, tradizionalmente ritenuta preponderante, gli autori affiancano il significato politico, economico e religioso. Il contributo è ben documentato; valide sono, a mio avviso, le osservazioni relative alla multifunzionalità delle vie, in particolare al significato politico che la rete stradale assunse per la neonata democrazia, permettendo la partecipazione alla vita politica dei cittadini residenti nei demi periferici. Quello che sembra a volte mancare è un collegamento più stretto tra le teorie formulate e il dato archeologico, che offra esempi concreti e cronologicamente diversificati.
Marya Fisher offre l’unico contributo che poco ha a che fare con l’esame autoptico. L’autrice espone, anche troppo dettagliatamente, gli approcci di studio ai templi non peripteri adottati nelle sintesi sull’architettura greca a partire da Le Roy e Stuart e Revett. Suggerisce poi accanto agli approcci evoluzionistico e documentario quello che considera la connessione tra forma architettonica e attività cultuale. Il suggerimento non viene però concretamente messo in atto e il contributo si caratterizza come una breve dichiarazione di metodo preliminare alla conduzione di una ricerca.
Il volume si chiude con l’articolo dell’editrice, che riesamina la storia della scoperta della doppia stoa di Thorikos. Alla luce delle più recenti indagini sul monumento, che hanno rivelato l’esistenza di un muro divisorio tra le due stoai (purtroppo riprodotto nell’articolo solo in ricostruzione), l’autrice propone alcuni confronti per la tipologia architettonica e suggerisce di attribuirle la doppia funzione di stoa e propylon, sul modello dell’accesso al santuario di Atene Lindia a Lindos. L’ipotesi, a mio avviso un po’ azzardata per il paragone tra una struttura tardo classica e un santuario su terrazze ellenistico, di forte impatto scenografico, può essere confermata solo dallo scavo dell’area intorno alla struttura, finora rimasta non indagata.
Gli articoli sono corredati all’inizio da un breve abstract l’apparato fotografico è generalmente ottimo. Ad ogni contributo seguono le note e la bibliografia di riferimento. La sistemazione delle note in fondo agli articoli non agevola, a mio avviso, la consultazione. I contributi mi sembrano generalmente ben documentati; a parte alcune eccezioni (un contributo di Lippolis nell’articolo di Martens 2, la pubblicazione della Costaki 3 in quello di Fachard e Pirisino), i titoli citati rispecchiano le principali ricerche svolte in ambito internazionale. Gli errori di stampa da me notati sono piuttosto isolati. Più frequenti sono, invece, le incongruenze relative alla citazione di pagine consecutive nelle note. Nel contributo della Kousser mancano le indicazioni alle figure nel testo; nel contributo della Best le citazioni bibliografiche in nota seguono a volte un ordine alfabetico, a volte un ordine cronologico.
Il volume offre sicuramente un’interessante scorcio sulle ricerche in corso ad Atene e in Attica, nonostante la partecipazione di soli studiosi statunitensi e una certa concentrazione dei contributi sull’epoca classica diano l’impressione di una visione piuttosto parziale. Gli articoli restano prevalentemente fedeli al filo conduttore dichiarato nell’introduzione e ribadiscono accanto a nuove e moderne tecnologie la validità del metodo autoptico. Quest’ultimo, tuttavia, non può dirsi davvero innovativo nella ricerca archeologica e costituisce di per sé un legante piuttosto debole: la scelta dei contributi non viene, a mio avviso, sufficientemente giustificata nell’introduzione e appare quasi casuale. Ci si può chiedere, inoltre, se sia stato necessario mettere insieme articoli così eterogenei, la cui raccolta in un volume non produce un valore aggiunto e che sarebbero stati ugualmente recepiti come singoli anche nelle riviste scientifiche.
Notes
1. E. Lippolis, Mysteria: archeologia e culto del santuario di Demetra a Eleusi, Milano 2006, p. 180.
2. E. Lippolis, “Tra il ginnasio di Tolomeo ed il Serapeion. La ricostruzione topografica di un quartiere monumentale di Atene, Ostraka” Rivista di antichità 4, 1995, pp. 43-67.
3. L. Costaki, “The intra muros road system of ancient Athens” (PhD Dissertation, University of Toronto 2006).