BMCR 2016.11.36

Aristophanes and Alcibiades: Echoes of Contemporary History in Athenian Comedy

, Aristophanes and Alcibiades: Echoes of Contemporary History in Athenian Comedy. Berlin; Boston: De Gruyter, 2015. xxi, 241. ISBN 9783110437539. $112.00.

Preview

[The reviewer apologizes for the delay.]

Nell’ormai vastissima bibliografia dedicata alla complessa questione del ruolo svolto dalle commedie di Aristofane nell’Atene contemporanea, Michael Vickers si è senza dubbio distinto per le sue tesi innovative che non poche reazioni hanno suscitato nella critica.

Sostenitore dell’approccio storico alla decodificazione dei messaggi veicolati dalle trame delle opere teatrali, Vickers ripropone in questo nuovo saggio, completamento del precedente Pericles on Stage: political comedy in Aristophanes’ early plays. Austin: University of Texas Press, 1997, la sua visione di un Aristofane pienamente inserito nel dibattito politico ateniese contemporaneo, impegnato a commentare azioni e atteggiamenti degli Ateniesi più influenti con l’uso sapiente degli strumenti offerti dall’allegoria. Se nell’opera precedente l’attenzione era stata incentrata su quella che l’Autore definisce la lunga ombra di Pericle e i primi bagliori dell’astro nascente Alcibiade nelle prime sei opere del canone aristofaneo, in questo nuovo saggio, preceduto da diversi articoli e, per ammissione dello stesso Vickers, completato già dal 2008 (vd. p. 201), è la pervasiva presenza di Alcibiade, inevitabile punto di riferimento a suo dire delle analisi politiche sottese alle rappresentazioni teatrali dell’ultima decade del V secolo a.C., ad essere indagata ed evidenziata con particolare attenzione per le restanti cinque commedie: Pluto, Lisistrata, Thesmophoriazuse, Rane, Ecclesiazuse.

La novità del proprio, discusso, approccio metodologico, nella sua applicazione non solo alla commedia antica ma anche alla tragedia,1 è riaffermata da Vickers nei primi tre degli undici capitoli, arricchiti da tre appendici, un’ampia bibliografia e due indici,2 in cui si articola il volume. Essi sono dedicati rispettivamente alla nozione di allegoria politica (cap. 1); ad una riflessione sull’importanza dello studio dei giochi di parole quale via di accesso all’implicito e dell’ambiguità quale mezzo efficace e arricchente di comunicazione (cap. 2); ad un rapido sommario, non privo di precisazioni e integrazioni, dei risultati emersi dall’analisi delle prime sei opere già condotta in Pericles on Stage (cap. 3).

Nella sua analisi Vickers muove dalla valorizzazione della ricca tradizione aneddotica relativa alle personalità principali del tempo le cui politiche, idiosincrasie e condotte avrebbero a suo parere costituito l’oggetto privilegiato della satira del commediografo ateniese, “the hooks upon which were hung old-fashioned values, belligerent politics, and new-fangled excesses” (p. XI). È l’attenzione al livello personale, rivelato dall’aneddotica, a poter consentire, a suo parere, la decodificazione di quella fitta rete di allusioni, su cui il commediografo avrebbe costruito i propri quadri allegorici, senza il bisogno di riferimenti espliciti, in particolare nella fase post cleoniana, ai personaggi oggetto delle proprie taglienti satire.

Al di là dell’ onomastì komodèin, l’attacco personale ad alcuni degli uomini politici più influenti dell’Atene contemporanea, Aristofane avrebbe in realtà costruito le proprie opere intorno all’immagine pubblica di un numero limitato di personalità preminenti, individuate in Pericle, Alcibiade e altri membri delle loro famiglie, evocate sulla scena mediante un sapiente gioco di allusioni e “suggestioni subliminali” ( emphasis).

Pericle, Aspasia, ma soprattutto Alcibiade, Ipparete e figure loro legate, si rivelerebbero, ad una attenta analisi, come i veri komodoumenoi delle commedie di Aristofane, in piena rispondenza al tipo di persona “ricca, aristocratica o potente” presa di mira nella commedia antica secondo l’espressione di un testimone contemporaneo come l’oligarchico autore della pseudosenofontea Athenaion Politeia (2, 18); e ciò indipendentemente dalla loro partecipazione diretta agli eventi degli anni in cui le commedie sarebbero state rappresentate: benché Pericle fosse morto ormai da tempo, quando Aristofane iniziò a scrivere, ed Alcibiade sarebbe scomparso prima della rappresentazione delle ultime due commedie, Aristofane ne avrebbe richiamato le figure in base al principio dell’ idolopoeia, che consentiva l’evocazione di persone scomparse allo scopo di sottolineare aspetti della realtà contemporanea (come Eschilo ed Euripide nelle Rane).

Il metodo allegorico, pur consentendo la veicolazione di significati forti, avrebbe posto al riparo il commediografo non solo da eventuali azioni giudiziarie intentate dagli uomini politici oggetto di satira (vd. Cleone), ma anche dal ricorso a vie di fatto da parte di personaggi, come Alcibiade, dalla spiccata attitudine alla violenza (vd. Plut., Alc., 3,1; 7,1; 8,1). Aristofane si sarebbe, inoltre, adeguato al divieto dell’ onomastì komodein imposto dal decreto di Siracosio del 415 (Schol. Ar. Av. 1297), di cui Vickers accetta l’attendibilità. L’uso dell’allegoria spiegherebbe, dunque, sia la mancata menzione di figure reali nelle commedie più tarde, sia l’incomprensibile scarsa attenzione riservata alla controversa figura di Alcibiade.

Nel ribadire, in risposta alle critiche ricevute, le sue convinzioni sulle capacità del pubblico ateniese di riconoscere le figure reali celate dietro i caratteri fittizi presenti sulla scena, Vickers rileva come gli spettatori sarebbero stati comunque indirizzati dalle maschere indossate dagli attori che, come riferito da Platonio (1, 64-66), nel richiamare le fattezze dei komodoumenoi, ne avrebbero rivelato al pubblico l’identità prima ancora che l’attore avesse avuto modo di pronunciare anche una sola parola.

A rendere sulla scena la ricchezza delle personalità di Pericle, Alcibiade etc., sarebbe stata anche l’applicazione da parte di Aristofane di quella che Vickers definisce “polymorphic characterization”: l’interpretazione da parte di personaggi diversi presenti sulla scena di aspetti differenti della personalità o dell’immagine pubblica di una figura storica, allo stesso modo in cui un singolo personaggio avrebbe potuto assumere personalità diverse come Cremilo nel Pluto (figura periclea prima, alcibiadea da v. 322 in poi) o riassumere in sé caratteristiche di differenti individualità storiche come il Socrate delle Nuvole, amalgama dei caratteri dei filosofi del circolo pericleo.

Caratteristiche personali, eventi, aspetti o tratti caratteristici della visione popolare, o meglio del gossip desumibile dalla tradizione aneddotica su quelle che egli definisce “Happy Families” (Pericle, Alcibiade e congiunti), sono dunque assunti da Vickers quali indizi atti a rivelarne i volti, tessere di un mosaico la cui ricomposizione ne confermerebbe immancabilmente la presenza nelle singole commedie, vera cifra interpretativa dell’unità dell’opera del commediografo. Una presenza confermata da termini, espressioni, modulazioni linguistiche usate dai caratteri sulla scena in chiaro riferimento alle peculiarità espressive di Pericle o ai difetti (τραυλισμός) e manierismi linguistici di Alcibiade riferiti da Plutarco o desumibili dai discorsi attribuiti ai due personaggi in Tucidide.

Emerge così una sorta di griglia interpretativa la cui applicazione alle ultime cinque commedie del canone occupa i restanti capitoli (5-6 e 8-11) con due significativi inserti dedicati all’analisi di alcune tragedie coeve nei cui protagonisti Vickers ritiene possibile ravvisare, con estensione alla tragedia del medesimo modulo interpretativo, il volto di Alcibiade: nello Ione Euripide, maestro nei riferimenti obliqui, avrebbe inteso ricostruire in positivo la genealogia del giovane alcmeonide in risposta all’ Aiace di Sofocle ove la pazzia, la hybris e la falsità dell’eroe omerico da cui Alcibiade si vantava di discendere avrebbero rappresentato palesi allusioni al suo carattere (cap. 4); anche nell’ Elena e nell’ Andromeda Euripide ne avrebbe difeso la reputazione allo scopo di spingere gli Ateniesi a consentirne il ritorno (cap. 7).

Nell’impossibilità di riassumere e discutere in poche righe la dettagliata analisi di Vickers, mi limiterò, a titolo di esempio, ad enumerare alcuni degli indizi sui quali egli tende a basare l’attribuzione di figura “periclea” o “alcibiadea” ai personaggi portati sulla scena da Aristofane.

Allusioni alla figura di Pericle vengono ravvisate nei cenni ai sintomi della peste, in considerazione di quanto, sulla base delle notizie offerte da Plutarco e dal resoconto tucidideo, si suppone egli possa aver sofferto: “blindness, forgetfulness, and the loss of the genitalia are distastefully employed as vehicles for criticism of Pericles’ reputation” (p. 25 e Appendice 2); nei riferimenti indiretti all’assedio di Samo del 439 e alle torture inflitte ai ribelli, nei contesti in cui compaiono caratteri periclei (Strepsiade nelle Nuvole, il Coro di Vecchi e il Probulo nella Lisistrata); in figure che richiamano nei loro nomi la dikaiosyne, virtù eminentemente periclea ( Dikaios aner nel Pluto, Diceopoli negli Acarnesi), o la capacità oratoria, cui doveva l’epiteto di Olimpio, come il Cremilo del Pluto o l’Euripide delle Thesmophoriazuse. La tendenza di Pericle alla polipragmosyne, di cui Tucidide offrirebbe una “delicata” allusione nella critica periclea all’ apragmosyne, troverebbe un riflesso nel Sicofante del Pluto, vicino a Pericle anche nella ripetitività di termini e concetti considerati da Vickers veri e propri markers periclei (p. 83). Il volto di Aspasia, a sua volta, sarebbe sotteso non solo alle mogli o compagne delle figure “periclee”, ma alla σοφή Prassagora di Ecclesiazuse (cap. 11).

Di Alcibiade Vickers ravvisa la figura in personaggi dalla sessualità ambivalente3 come Lisistrata, la cui occupazione dell’acropoli, prefigurazione dell’atto tirannico per eccellenza, richiamerebbe per altro verso la tirannide “potenziale” di Alcibiade (cap. 8), o l’effeminato Agatone delle Thesmophoriazuse; in figure definite dalla ricchezza e dall’amore per il lusso, come lo stesso Pluto, o dalla proverbiale bellezza come l’Elena di Euripide. Episodi come il controverso rapporto col barbaro Tissaferne troverebbero un parallelo nella cattura e imprigionamento di Mnesiloco da parte dell’Arciere scita nelle Thesmoforiazuse, così come la sua condizione di “servo di lusso” del satrapo ne accrediterebbe la presenza in figure servili come il Carione del Pluto o nelle figure di eroine fuggiasche come l’Elena e l’Andromeda di Euripide. Anche i suoi controversi rapporti con Sparta offrirebbero spunti allegorici: l’allontanamento da Sparta a seguito della liaison con Timea sarebbe evocato in alcune frasi pronunciate dall’Elena di Euripide, quanto in alcuni frammenti dell’ Andromeda e nella figura di Lampitò della Lisistrata, che non a caso porterebbe lo stesso nome della madre del re Agide.

Senza dubbio va riconosciuto a Vickers di aver riportato l’attenzione sul dibattuto problema del valore politico della commedia antica quanto sull’indiscussa capacità di Aristofane di “giocare” col linguaggio e, come già rilevato da Martin Revermann, su questioni fondamentali quali il rapporto sulla scena fra immaginazione e politica, intrattenimento e veicolazione di concetti importanti; sulla capacità dei commediografi di sfruttare a pieno le possibilità offerte dall’uso di marcatori orali e visuali.4

Ciononostante anche la lettura di questo nuovo saggio ripropone la sensazione dell’applicazione di un modello ermeneutico che, postulata la centralità delle figure di Pericle e Alcibiade, si sforza di coglierne inevitabilmente i profili dietro i diversi personaggi attraverso indizi e interpretazioni eccessivamente cavillose, spesso non convincenti, potenzialmente applicabili, in pari modo, ad altri personaggi dell’Atene contemporanea.

Pur muovendosi con abilità fra le fonti che veicolano le tradizioni relative agli uomini politici posti al centro dell’interesse del commediografo, Vickers sembra uniformarne il valore quando afferma l’irrilevanza per il suo studio della consistenza storica degli aneddoti riferiti non avendo egli inteso ricostruire la verità storica ma solo l’esistenza “of a piece of gossip” poiché, “if there is a prefiguration in comedy of a story preserved in the anecdotal tradition, then the two are related” (p. 15). Non poche perplessità suscitano, tuttavia, sia l’estrema ricercatezza di alcuni dei riferimenti allegorici individuati, sia l’assenza di un’approfondita analisi interna delle tradizioni sottese alle fonti, al pari di alcune proposte di revisione della cronologia di rappresentazione delle commedie troppo legate alle necessità di coerenza del quadro interpretativo proposto.

L’assolutizzazione delle opere di Aristofane quali bacini di raccolta delle visioni popolari su Pericle e Alcibiade porta, infine, Vickers a formulare l’ipotesi di un loro uso quali aide-mémoire da parte di Tucidide la cui descrizione della peste, formulata per descrivere in modo “discreto” le sofferenze di Pericle, richiamerebbe da vicino il racconto di Strepsiade/Pericle tormentato dalle cimici ( Nuvole, 694-745; vd. Appendice 2). Se così fosse, tuttavia, non si comprende come mai Tucidide, che non aveva certo bisogno di suggerimenti nella descrizione del morbo, non avesse colto quello che Vickers considera il suggerimento nella commedia di un coinvolgimento degli insetti nella sua diffusione!

Pur se con diverso metodo credo vada, tuttavia, colto l’invito di Vickers a rileggere l’opera di Aristofane sulle tracce di Alcibiade, figura troppo discussa perché non fosse evocata sulla scena ateniese.

Notes

1. Michael Vickers, Sophocles and Alcibiades: Athenian Politics in Ancient Greek Literature, Ithaca, Cornell University Press, 2008.

2. Molto ben curato, il volume non presenta refusi ad eccezione della mancata integrazione a nota 9 di p.44 del numero di pagina del rimando interno.

3. Caratteristica che avrebbe spinto già Sofocle ad evocare sulla scena il giovane Alcibiade come Antigone: vd. Sophocles and Alcibiades, 26-27.

4. Rec. a Pericles on Stage in IJCT, 6/4 2000, 591-593.