La tragedia romana di epoca arcaica è considerata tradizionalmente produzione scolastica, basata sull’erudizione mitologica e sulla tecnica compositiva e stilistica, ma specialmente sull’imitazione della poesia drammatica greca. Per averne conferma, basta scorrere le rassegne bibliografiche relative ai decenni centrali del secolo XX, curate da H. J. Mette (“Lustrum” 9, 1964, pp. 5-211), da A. De Rosalia (“BStudLat” 19, 1989, pp. 76-144) e da G. Manuwald (“Lustrum” 43, 2001, pp. 11-237). Questa l’impostazione riscontrabile, per esempio, nella Storia del teatro latino di E. Paratore (Milano 1957) e nella pur pregevole edizione dei frammenti drammatici di Ennio, pubblicata da H. D. Jocelyn (Cambridge 1969); un’impostazione ancora chiaramente riconoscibile nella trattazione generale della tragedia romana recentemente delineata da G. Chiarini, La rappresentazione teatrale, in G. Cavallo, P. Fedeli, A. Giardina (edd.), Lo spazio letterario di Roma antica, vol. II, La circolazione del testo, 2 a ed. Roma 1993, pp. 127-214, in particolare 179-193.
Tuttavia negli ultimi decenni si è gradualmente affermata una visione più matura, che definirei ‘storicistica’ e che mira a inquadrare la tragedia romana arcaica nell’evoluzione politica e culturale della società, riconoscendo gli influssi filosofici e ideologici, gli intenti morali e talvolta perfino un impegno politico nei testi drammatici, nonostante lo stato gravemente frammentario in cui questi si trovano. In tale tendenza si collocano, per esempio, i volumi collettivi curati da G. Manuwald ( Identität und Alterität in der frührömischen Tragödie, Würzburg 2000) e da quest’ultima con S. Faller ( Accius und seine Zeit, Würzburg 2000), i profili sintetici tratteggiati da G. Aricò (‘La tragedia romana arcaica’, Lexis 15, 1997, pp. 59-78) e da A. Schiesaro (‘Republican tragedy’, in A Companion to Tragedy, ed. R. Bushnell, Oxford 2005, pp. 269-286), le monografie di A. J. Boyle ( An Introduction to Roman Tragedy, London – New York 2006) e della medesima Manuwald ( Roman Republican Theatre, Cambridge 2011); la mia edizione dell’ Astyanax di Accio (Bruxelles 2006).
Questa tendenza è stata anticipata (se non propriamente fondata) da Eckard Lefèvre, che ne è stato coerente e convinto sostenitore dagli anni ’60 del secolo scorso fino a oggi, con una serie di lavori adesso raccolti in volume sotto il titolo Studien zur Originalität der Römischen Tragödie. Si tratta di 42 contributi pubblicati nell’arco di 50 anni, di cui 12 sono nuovi, inediti: questi colmano i vuoti e completano il discorso tracciato in modo non sistematico dagli altri articoli, dando al libro un andamento metodico e un profilo unitario, a guisa di una monografia. Il filo conduttore che lo rende coeso è appunto il proposito, comune a tutti i contributi, “auf die zeitpolitischen Bezüge der römischen Tragödie aufmerksam zu machen” (p. VI, dall’‘Einletung’, pp. V-IX).
La prima parte (pp. 1-92) comprende due contributi di carattere generale, che delineano una visione d’insieme della tragedia romana: il primo ne ripercorre lo sviluppo diacronico in rapporto col sostrato storico e culturale (pp. 3-17); mentre il secondo ne esamina gli aspetti formali e sostanziali (“Struktur” e “Weltbild”), risalendo ai modelli greci e svolgendo une trattazione parallela della commedia, con cui non mancano punti di contatto. Un discorso ponderato e raffinato, dal valore essenzialmente paradigmatico e programmatico, che però non si appoggia su adeguati riscontri testuali e documentari, rischiando di rimanere su un piano astratto. Un inconveniente, questo, che risulta fortunatamente superato nel seguito del volume, dove i presupposti teorici fungono da cardini di un procedimento dimostrativo che li sorregge e li conferma, con costante riferimento ai testi (spesso non più che frammenti, i cui contesti sono ricostruiti ipoteticamente).
La seconda parte (pp. 93-164) è dedicata alla tragedia romana di epoca repubblicana, di cui sono prese in considerazione alcune opere rappresentative dei principali esponenti, e.g. i drammi del ciclo troiano di Livio Andronico, che richiamano “die trojanische Abstammung der Römer” ed esprimono di conseguenza “die politisch-aitiologische Ideologie” che è sottesa alla costruzione dell’identità romana (pp. 95-104); la Danae di Nevio, in cui si riscontrano analogamente “aitiologisch-politische Implikationen” (pp. 116-124); la Medea di Ennio, la cui eroina è attualizzata e finanche trasfigurata in una figura italica, “die italische Medea” (pp. 125-136); il Philocteta e il Diomedes di Accio, che forniscono chiari esempi di come il racconto mitologico possa essere impiegato nel contesto teatrale “als politisches Instrument” (pp. 105-115, 137-146). Notevole il ruolo rivestito dal personaggio di Diomede negli sviluppi italici del mito troiano, salvo che il riferimento al Palladio (un tema risalente al ciclo epico greco e variamente sviluppato dal IV secolo a.C. in poi) avrebbe meritato un maggiore approfondimento. Questa parte si conclude col “Tableau I” (pp. 147-164), che tira le somme dei capitoli precedenti e definisce la posizione della tragedia nel quadro più ampio degli altri generi letterari del periodo repubblicano.
La terza parte (pp. 165-231) è dedicata alla tragedia di epoca augustea, che è quasi completamente sconosciuta, poiché ne resta una parte ancora più esigua della produzione drammatica arcaica. Largamente ipotetica, ma non priva di plausibilità, la ricostruzione del Thyestes di Vario, con riferimento al profilo dell’autore “als panegyrischer Dichter” e ai drammi greci e romani della medesima saga, in particolare il Thyestes di Ennio e i Pelopidae di Accio (pp. 167-200, 220-227). Un capitolo è dedicato all’episodio di Didone nel libro IV dell’ Eneide, che Eduard Norden ha definito “die einzige römische Tragödie, die den Namen verdient” (pp. 201-219): tra i diversi modelli, qui l’attenzione si sofferma quasi esclusivamente sull’ Aiace di Sofocle; mentre non si affronta la contaminazione con altri drammi greci come la Medea di Euripide, né la mediazione della tragedia romana. Il “Tableau II” (pp. 228-231) estende il discorso alla Medea di Ovidio, che rivela “einen ganz ‘privaten’ Charakter” e segna il punto d’arrivo di un processo già in corso, consistente nel passaggio “von der offiziellen zur ‘privaten’ Literatur”.
La quarta parte, che è anche la più ampia e articolata (pp. 233-624), riguarda la “frühkaiserzeitliche Tragödie”: nonostante la formulazione generalizzante, si tratta ovviamente della tragedia di Seneca; soltanto qualche accenno è dedicato ad altri autori, quali il poeta anonimo dell’ Octauia e Curiazio Materno (pp. 604-610). I drammi di Seneca sono esaminati nei singoli contributi, quasi tutti dal taglio monografico ( Agamemnon, pp. 235-245, 275-297, 594-603; Phaedra, pp. 246-268, 383-392, 401-412; Thyestes, pp. 298-304, 362-382, 459-474; Oedipus, pp. 315-335, 342-361; Troades, pp. 393-400; Medea, pp. 442-458, 475-489, Hercules furens, pp. 504-556; Hercules Oetaeus, pp. 557- 583, Phoenissae, pp. 584-593); a cui si aggiungono alcuni capitoli più generali o ‘trasversali’, incentrati su problemi che investono diverse tragedie, e.g. sulla “modernità” di Seneca, consistente nel “ritorno dell’uomo a se stesso” (pp. 269-274), sul concetto del “culto senza dio” (pp. 336-341) o sull’impiego motivato del “paradosso” (pp. 413-420). Non manca una sintesi finale, nel “Tableau III” (pp. 611-627).
Tutti i contributi di questa sezione si ricompongono in una visione d’insieme complessa, ma perfettamente coerente, che si sviluppa nella feconda tensione tra due principali nuclei tematici: la politica (una riflessione sul potere e sulle sue degenerazioni) e la filosofia, con speciale attenzione alla curvatura originale impressa da Seneca alle tematiche della scuola stoica (in particolare il destino e l’ordine del mondo: un ordine che appare spesso “sovvertito”, “capovolto”). A più riprese si affronta il problema del “libero arbitrio” o del conflitto tra “Schiksal” e “Selbstverschuldung”, conflitto che trova una formulazione pregnante e paradossale come “Unfreiheit der Freheit” (pp. 244-245 e passim, ma specialmente pp. 341 e 421-441). L’interesse precipuo per il pensiero di Seneca non esclude che uno sguardo sia rivolto anche allo stile, definito come “Manierismus” (i.e. uso e abuso degli espedienti retorici, virtuosismo, “Pointiertheit”, “Geziertheit”, “Paradoxität”, “Allusionshypertrophie”, etc.), che però non è fine a se stesso, ma rispecchia ed esprime con efficace incisività la sua peculiare concezione del mondo e dell’uomo (pp. 535ss. e 624-627).
La quinta e ultima parte, una sorta di appendice (pp. 629-651), verte sulla “ricezione” della tragedia romana, di cui sono focalizzate però soltanto due tappe, peraltro cronologicamente distanti l’una dall’altra e sostanzialmente eterogenee. La prima è la critica espressa da Petronio ( Sat. 88-89) sul dramma di Seneca: un giudizio “wenig günstig”, corrispondente pressappoco a quello formulato da Quintiliano sulla prosa di quest’ultimo (pp. 631-640). La seconda concerne le osservazioni teoriche di Lessing e la “produktive Rezeption” che egli pratica nei drammi Miβ Sara Sampson ed Emilia Galotti : nell’una e nell’altra sede Lessing dimostra una profonda comprensione e una notevole affinità di gusto con la tragedia di Seneca (pp. 641- 651).
Il libro si conclude con un’ampia bibliografia (pp. 652-674), in cui dispiace però di notare alcune carenze, che si riscontrano altresì nella discussione dossografica svolta passim nelle note. Tra i titoli che si potevano citare sul dramma romano in generale: C. Garton, Personal Aspects of the Roman Theatre, Toronto 1972 (un volume che ha suscitato un vivace dibattito critico negli anni ’70); J. A. Enríquez, ‘El hecho social del teatro latino’, CFC(L) 8, 1995, pp. 45-58; S. M. Goldberg, ‘The Fall and Rise of Roman Tragedy’, TAPhA, 126, 1996, pp. 265-286; F. Dupont, L’orateur sans visage. Essai sur l’acteur romain et son masque, Paris 2000 (un contributo provocatorio, che a me non sembra condivisibile, ma che comunque valeva la pena di prendere in considerazione). Sulla tragedia romana arcaica: J. Dangel, ‘Les généalogies d’Accius’, Euphrosyne 18, 1990, pp. 53-72; W. Suerbaum, ‘Ennius als Dramatiker’, in A. Bierl, P. von Möllendorff, S. Vogt (Hrsgg.), Orchestra. Drama, Mythos, Bühne. Festschrift H. Flashar, Stuttgart – Leipzig 1994, pp. 346-362; a cui mi permetto di aggiungere almeno due tra i miei lavori: ‘La conquista di Troia nella tragedia romana arcaica’, InvLuc 28, 2006, pp. 237-254; ‘La critica della religione tradizionale nella tragedia romana arcaica’, Ktema 31, 2006, pp. 345-358. Sterminata (ma largamente ignorata) la bibliografia sulla presenza della tragedia nel libro IV dell’ Eneide. Mi limito a ricordare due contributi di M. Fernandelli: ‘Come sulle scene. Eneide IV e la tragedia’, Quaderni del Dipartimento di Filologia, Linguistica e Tradizione Classica A. Rostagni 1, 2002, pp. 141-212; ‘Virgilio e l’esperienza tragica. Pensieri fuori moda sul libro IV dell’ Eneide ’, Incontri triestini di filologia classica 2, 2002/2003, pp. 1-54. Insomma, trattandosi di un libro formato da articoli pubblicati in diversi periodi (in alcuni casi, alquanto lontani nel tempo), un sistematico lavoro di aggiornamento bibliografico sarebbe stato opportuno. Questo limite non infirma però il valore complessivo del volume, che appare oltremodo interessante e piacevole da leggere.