Gli studi esegetici sulla “carriera satirica” di Giovenale hanno mostrato nel tempo una propensione a coagularsi attorno a temi ricorrenti, e talvolta anche a preconcetti, che non di rado hanno viziato la comprensione delle Satire : basti pensare al noto dilemma sull’esistenza di un “vero” e un “falso” Giovenale; alla preponderante valorizzazione del satirico dell’ indignatio a scapito del saggio “democriteo” degli ultimi libri; alla dicotomia tra il Giovenale satirico e retore, o ai più recenti dibattiti connessi alle diverse personae a cui Giovenale cederebbe la parola nei vari componimenti.1 Il volume di Catherine Keane si inserisce in questo complesso contesto, proponendo una nuova prospettiva interpretativa che—superando in gran parte le concezioni “tradizionali”—attinge ai recenti studi sul ruolo delle emozioni nella letteratura antica2 per leggere Giovenale alla luce delle emozioni che plasmano, a più livelli, le sue satire. Alla base del volume sta il presupposto che Giovenale abbia voluto reinventare la poesia satirica, facendone un genere emozionalmente impegnato, in grado di impegnare e al contempo manipolare le emozioni anche del suo pubblico. Keane dedica dunque un capitolo a ciascuno dei cinque libri del satirico, proponendosi di ricostruire lo spettro di emozioni che Giovenale avrebbe deliberatamente dispiegato nei suoi versi: uno spettro troppo ricco per poter essere esaustivamente presentato in questa sede, ma di cui tenterò di seguire almeno alcuni fili conduttori.
Punto di partenza obbligato per il primo capitolo (‘Anger Games’) è il noto tema dell’ indignatio e degli strumenti retorici a cui Giovenale attinge per darle voce. Muovendo dagli studi di W.S. Anderson e S. Braund sull’uso dell’ira e delle sue sfumature in Giovenale,3 Keane ritiene che il primo libro debba essere considerato, più che il “libro dell’ira”, un “libro sull’ ira”: nelle sue prime cinque satire, Giovenale lascerebbe narrare alla persona dell’ iratus una storia coerente, la storia di come questo sentimento nasca, si sviluppi e si manifesti. Keane ripercorre i versi del libro I in cui tale programma affiora con maggiore evidenza, quindi si concentra sulla tipologia dell’ascoltatore che il satirico adirato sembra presupporre: un ascoltatore che non dovrebbe necessariamente scegliere tra aderire all’indignazione della persona loquens o reagire con un tacito risentimento, 4 ma potrebbe immaginarsi come lo spettatore di un processo retorico indirizzato non direttamente a lui stesso; l’ascoltatore/lettore, in altri termini, assisterebbe alla dialettica tra il locutore e un ascoltatore interno alla satira (p. es. Umbricio e Giovenale stesso nella satira 3, Giovenale e Virrone nella 5), partecipando così alla creazione di una più ampia “comunità dell’ira”.
Il secondo capitolo (‘Monstrous Misogyny and the End of Anger’) legge la satira 6 come il coronamento del programma del libro precedente. Keane individua la connessione tra questo lungo discorso anti-matrimoniale e il tradizionale esercizio declamatorio sulla desiderabilità del matrimonio,5 che nella prospettiva interpretativa qui proposta si farebbe esercizio nel trasmettere ira, timore e disgusto. Mantenendo la stessa invisibilità della persona della satira 5, Giovenale cala qui il suo interlocutore in una prospettiva drammatica, facendo sì che questi prenda in moglie sotto gli occhi del lettore non semplicemente una donna viziosa, ma l’intera schiera di tutti i peggiori esempi femminili possibili. Anche qui il catalogo delle scene presentate si fonde in una narrazione coerente, in cui la successione dei possibili cattivi matrimoni collassa nell’esperienza del destinatario della satira: il promesso sposo Postumo, a cui in apertura della satira Giovenale suggeriva il suicidio, alla fine del componimento sarà messo a confronto con il suo stesso avvelenamento per mano della moglie. Giovenale violerebbe così deliberatamente lo statuto stesso di Postumo, che in quanto destinatario vive in questi versi, ma muore in quanto marito; e con questo paradosso Giovenale tradirebbe la vera ragione per cui ha creato la figura del suo destinatario, ovvero per costringerlo a sottostare, volente o nolente, allo sfogo dell’ira dell’“io” parlante.
È già stato persuasivamente mostrato come il terzo libro di Giovenale segni lo sfumare dell’indignazione degli esordi in una più bonaria ironia;6 nel corrispondente capitolo (‘Change, Decline and the Progress of Satire’) Keane problematizza ulteriormente tale questione, per calare il rinnovato programma giovenaliano nella prospettiva interpretativa sin qui seguita. L’autrice osserva il relativo eclissarsi della voce del Giovenale irato delle satire precedenti, ma al contempo individua nella descrizione delle condizioni dei diserti della satira 7, dei nobili degradati della satira 8 e di Nevolo nella 9, tutte le condizioni necessarie al divampare dell’ormai ben nota indignatio : pur prendendo le distanze dagli sfoghi dei libri I-II, con i ritratti di questa satira Giovenale intenderebbe rammentare al proprio pubblico “l’opzione dell’ira”, nel momento stesso in cui lo accompagna verso il riso democriteo dei libri successivi.
Il nuovo atteggiamento giovenaliano appare ormai maturo nel libro 4, qui affrontato nel capitolo ‘Considering Tranquillity’. Il conclamato contrasto tra questo Giovenale e il satirico degli esordi è interpretato da Keane in una prospettiva più sfumata: la critica delle lacrime di Eraclito nella satira 10 non implicherebbe necessariamente una condanna dell’ira da parte di Giovenale; tale supposta condanna, inoltre, non comporterebbe una contraddizione interna alla persona dell’ iratus, perché qui Giovenale parlerebbe nelle vesti di un commentatore esterno che valuta il proprio atteggiamento precedente insieme al suo lettore. Un dettagliato esame delle satire 11 e 12, quindi, consente all’autrice di individuare una fitta rete di rimandi intertestuali con Persio e Orazio, che conferisce al libro 4 uno spessore sostanzialmente sfuggito ai teorici dell’inferiorità del “secondo” Giovenale rispetto al “primo”.
Il libro 5, esaminato nel capitolo ‘The Praegrandis Senex ’, è probabilmente il più difficile da inquadrare in una prospettiva “emozionale” unitaria. Aperto dalla consolatio della satira 13, che riprende il tema dell’amicizia già motivo presente nelle satire 11-12, il libro vira nelle satire 14-15 verso quelle che l’autrice battezza “civilized emotions”. Nell’interpretare la marcata presa di distanza dall’ indignatio che Giovenale pone nella satira 13, Keane intende mostrare come Giovenale, pur criticando l’abbandono all’ira, di fatto sia ancora pienamente coinvolto in tale passione. L’autrice procede dunque a esaminare la persona del senex a cui nella satira 13 Giovenale affida la propria riflessione sulla necessità di controllare l’ira, in un confronto con il coetaneo, ma più debole, Calvino; quindi traccia l’ulteriore evoluzione che porta questa voce a farsi latrice del messaggio sapienziale della satira 14. Nel passaggio tra queste due satire, Giovenale avrebbe di fatto congedato Calvino— incapace di contenere la propria indignazione nonostante la sua età avanzata—restando l’unico senex sulla scena; questo novello Nestore, così, potrà dare avvio a un’ampia tirata contro l’abbandono alle passioni che portano al disfacimento della civiltà. Se questa tirata riserva all’ira soltanto un passaggio cursorio, ancorché significativo (vv. 50-55), la satira 15 farà di questo impulso il proprio motivo di fondo: nel descrivere l’atto di cannibalismo perpetrato da un’intera città in preda all’ira, Giovenale biasimerà l’abbandono incontrollato alle passioni distruttive. La parabola delle emozioni dispiegate nelle satire giovenaliane si interrompe al v. 60 della frammentaria satira 16, lasciando al lettore il compito di decifrare l’enigmatica scelta di un satirico che, dopo aver evitato nell’intera sua carriera di attaccare personaggi potenzialmente pericolosi, si accommiata dal pubblico con una denuncia dei privilegi dei militari e dei soprusi da questi compiuti ai danni dei comuni cittadini di Roma.
Il volume di Keane offre un’interessante interpretazione complessiva di Giovenale, dischiudendo un innovativo percorso di lettura in un campo che sarebbe potuto ormai apparire esausto da secoli di studi. In una prosa limpida e appassionante, supportata da una dettagliata informazione bibliografica, Keane conduce il lettore lontano da stereotipi critici, tratteggiando un’interpretazione coerente e sistematica dell’opera di Giovenale. Approfondendo il complesso sistema di emozioni espresse ed evocate nelle Satire, Keane raggiunge il duplice obiettivo di inquadrare compiutamente Giovenale nella tradizione satirica romana, e al tempo stesso di aprire gli studi giovenaliani alle moderne ricerche sulle emozioni nelle letterature antiche. La pluralità di approcci applicati nel corso di questa analisi e l’ampia messe di spunti che ne derivano offriranno, è lecito attendersi, un terreno fertile alla prossima stagione di studi su Giovenale.7
Notes
1. Rimando in merito all’utile sintesi di Keane, p. 5, ai cui rinvii va aggiunto il recente lavoro di Y. Nadeau sulla satira 5 (BMRC 2014.09.30).
2. Sull’origine della “emotionology” vd. i rinvii di Keane, p. 22, n. 76; un importante impulso agli studi in questo campo è stato dato in anni recenti dalle attività del Centre Interfacultaire en Sciences Affectives presso l’Université de Genève ( http://www.affective-sciences.org/).
3. Gli studi fondamentali sulle emozioni valorizzate nelle Satire di Giovenale sono riepilogati in Keane, p. 16 n. 57.
4. Dilemma, questo, tratteggiato da K. Freudenburg, Satires of Rome: Threatening Poses from Lucilius to Juvenal, Cambridge 2005, 241.
5. Cf. S. H. Braund, ‘Juvenal–Misogynist or Misogamist’, JRS 82 (1992), 72-86, con gli ulteriori sviluppi proposti nei lavori di F. Bellandi, Giovenale: Contro le donne, Venezia 1995, 9-38 e Eros e matrimonio romano, Bologna 2003.
6. Così p. es. S. H. Braund, Beyond Anger: A Study of Juvenal’s Third Book of Satires, Cambridge 1988, 130-177, cit. da Keane a p. 88 n. 3.
7. La “diacronia” delle emozioni qui delineata da Keane dovrà a mio avviso confrontarsi con un approfondito studio della diacronia dei componimenti giovenaliani, per valutare se e in quale misura il progetto letterario di Giovenale sia stato influenzato dal contesto storico-politico in cui si dispiegò la sua lunga carriera poetica (un ampio studio sul punto è stato proposto da Franco Bellandi nel contesto del convegno: Giovenale tra storia, poesia, ideologia, tenutosi a Cassino e Aquino nell’ottobre 2014, i cui atti saranno pubblicati nel corso del 2016); la prospettiva di una “reinvenzione” giovenaliana del genere satirico, inoltre, andrà ulteriormente verificata tenendo in maggiore considerazione quella componente di “protesta sociale” che è stata giustamente individuata alla base della poetica giovenaliana (resta fondamentale F. Bellandi, Etica diatribica e protesta sociale nelle Satire di Giovenale, Bologna 1980).