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La tipologia testuale del centone ha conosciuto per lunghi decenni una notevole sfortuna critica.1 La sua “riscoperta” estetica e metodologica è iniziata proprio in ambito italiano all’inizio degli anni Ottanta con le edizioni di Giovanni Salanitro e Rosa Lamacchia della Medea di Osidio Geta,2 ma una più attenta e lucida considerazione della comunità scientifica si è osservata a partire dagli anni Novanta e soprattutto Duemila: ne è prova l’ampia messe di studi apparsa nell’ultimo ventennio (tra cui spiccano i lavori monografici di Scott McGill3 e di Martin Bažil,4 per i centoni latini, virgiliani e cristiani, e di Óscar Prieto Domínguez5 per quelli greci), che testimoniano un progressivo e ormai inesorabile affrancamento del centone dall’etichetta pregiudiziale di “arte minore”.
Il presente volume, che nasce dalla raccolta degli studi presentati all’omonimo Seminario internazionale tenutosi presso l’università di Trento il 21 e 22 marzo 2013, si colloca appunto in tale florido filone e il più significativo contributo che sembra apportarvi è l’eterogeneità della prospettiva: oggetto di indagine sono infatti patchwork poems (non solo centoni, dunque, ma anche pastiches) latini e greci, pagani e cristiani, riferibili a un arco cronologico che va dall’epoca ellenistica al pieno Medioevo. Pertanto, sebbene alcuni contributi rimontino (in quanto estratti o “filiazioni”) a più ampi saggi dei loro autori in precedenza pubblicati, dal momento che una trattazione monografica esaustiva sul centone (nonché sul pastiche nel mondo antico) ancora non esiste, il primo e maggiore merito dell’opera va individuato proprio nell’ampiezza tematica che la connota.
Altro pregio del volume è sicuramente il rigore di analisi e la chiarezza di impianto, che si osserva fin dall’ Introduzione, dove si definiscono le caratteristiche specifiche delle due tipologie testuali (il centone è un testo composto esclusivamente da «segmenti virgiliani, senza l’aggiunta di materiale verbale esterno e senza che il testo fonte venga modificato»; il pastiche presenta «anche porzioni di testo interamente aggiunte dalla mano del (ri)compositore, nonché parti in cui l’ipotesto viene considerevolmente modificato», p. 9). Se, naturalmente, è opportuno rifuggire da un’applicazione troppo rigida di questi parametri, è pur vero che tale distinzione preliminare aiuta il lettore non specialista a focalizzare in modo chiaro l’articolazione del volume (suddiviso in due ideali sezioni dedicate rispettivamente al centone e al pastiche), il lettore specialista a orientarsi velocemente fra i contributi, i primi cinque dei quali (relativi al centone), mostrano un utile impianto induttivo, muovendo tutti da un’analisi di loci testuali che poi si allarga a questioni di più ampia portata.
Scott McGill si rivolge al De Ecclesia, opera di cui è recentemente apparsa una nuova edizione critica commentata a cura di Adriana Damico. 6 Il contributo dello studioso è di natura esegetica: egli si concentra sull’inserto in prosa tra i vv. 110-111 (e in particolare sull’appellativo Maro Iunior riferito al suo autore) e sul breve centone che ne segue, dove si menziona l’episodio di Apollo e Marsia, elevati a metafore sia del rapporto crudamente “agonistico” tra il centonatore e il suo modello sia della natura stessa del centone, fatto di « membra disassembled and reassembled to form a new textual body» (p. 28).
Maria Teresa Galli sfrutta la Medea di Osidio Geta e successivamente i Vergiliocentones minores per proporre, attraverso uno specimen di passi significativi e testualmente problematici, «un itinerario attraverso le mille astuzie dell’arte centonaria» (p. 35). L’obiettivo— che sembra riuscito—della studiosa è dimostrare che coniugare originalità artistica e massima adesione formale al modello richiede sapienza nella scelta delle fonti e padronanza linguistica e grammaticale per la “cucitura” dei segmenti, ma rende talvolta inevitabili errori e forzature metriche. Di conseguenza, l’arte centonaria obbliga all’ “equilibrismo” anche l’editore moderno, costantemente esposto al rischio «di cadere o nelle insidie [di] un’eccessiva uniformazione del testo centonario a quello virgiliano o […] di un’accettazione incondizionata del testo tradito» (p. 53).
Paola Paolucci ci porta all’interno del laboratorio ecdotico, concentrando la sua indagine sul v. 145 della Alcesta centonaria. L’apertura del contributo ripropone il frutto di uno studio già presentato al convegno conclusivo dei lavori del progetto Musisque Deoque (Venezia, 21-23 giugno 2010) e pubblicato nel 2011,7 e cioè l’interpretazione del segmento oblitus natorum come glossa marginale erroneamente penetrata nel testo, emendabile, secondo l’analisi della Paolucci, in hoc nomen solum. Nuova è invece la seconda argomentazione avanzata per difendere la bontà di tale congettura, argomentazione che si articola attraverso il raffronto stilistico e tematico tra il centone da una parte, l’ Alcesti euripidea, l’ Alcestis Barcinonensis e gli stilemi della coeva poesia epigrafica dall’altra. Questa convincente metodologia “comparativa” sostiene la Paolucci anche nella proposta di una diversa—e più sensata—distribuzione delle battute nei vv. 155-161, altro locus vexatus sulla cui analisi critica si chiude l’articolo.
Ritorna sul De Ecclesia Sergio Audano, già autore di un corposo studio sui vv. 89-91 dell’opera,8 che qui invece affronta alcuni problemi ecdotici e teologici presenti nella sezione nota come Descensus Christi ad Inferos (vv. 51-67). La minuziosa e dotta esegesi dei vv. 58, 62 e 64, che approfondisce e rettifica le posizioni espresse in merito da altri studiosi,9 rivela un’istanza spiccatamente dottrinale: la tesi innovativa sostenuta da Audano è che, in seno alle dispute che nel V secolo opponevano i sostenitori di una salvazione del solo Adamo nella catabasi infernale di Cristo e coloro che invece ampliavano il numero dei salvati, il centonatore appartenga a questa seconda, più “aperta” corrente. Ciò tuttavia non pregiudica la sua ortodossia, sia testuale—il rispetto dell’ipotesto virgiliano, la catabasi di Enea nel VI dell’ Eneide —sia teologica—il rispetto della visione di Agostino, che indicava il numero dei salvati da Cristo nei santi dell’Antica Alleanza.
Lo scopo dichiarato dello contributo di Carmen Arcidiacono, basato sull’analisi filologica del riuso virgiliano in alcuni loci dei Versus ad gratiam Domini, « è quello di dimostrare che, previa un’accurata selezione, le testimonianze centonarie meritano di essere accolte negli apparati critici delle future edizioni di Virgilio » (p. 113). Questa tesi era già stata sostenuta dalla Arcidiacono (che si è occupata molto di questo centone fin dal 2011) in un contributo apparso su Sileno nel 2012, di cui il presente costituisce la mera sintesi, come dichiarato in apertura (p. 114).10
Alice Bonandini apre l’ideale sezione dedicata ai pastiches con un lungo contributo (l’unico, insieme a quello di A. Camerotto, di stampo grecistico) che offre un’inedita, articolata rassegna del reimpiego dei versi omerici nella letteratura diatribica e menippea greca e latina, da Diogene di Sinope a Seneca. Il pregio del lavoro risiede sia nell’ampiezza dell’arco cronologico considerato, sia nella struttura dell’articolo (suddiviso in 10 capitoli), la quale testimonia rigore di impianto analitico e si traduce in perspicuità quasi “manualistica” nella comunicazione dei risultati raggiunti.
Uno degli ultimi autori esaminati dalla Bonandini, Luciano, diviene il protagonista dello studio di Alberto Camerotto (che all’eroe lucianeo ha dedicato un saggio apparso sempre nel 2014),11 che indaga la funzione mimetica e parodica del pastiche nel Cataplus (cap. 1), nel Come si deve scrivere la storia (cap. 2), nelle Storie vere (cap. 3), in Sulla morte di Peregrino (cap. 4) e nell’ Alessandro o il falso profeta (cap. 5). Camerotto argomenta come Luciano ammicchi, con sapiente ironia, ora a Tucidide, ora a Omero, ora ad Aristofane, rivelando sia la tendenza tipica della Seconda Sofistica dell’omaggio agli autori antichi congiunta al compiacimento del gioco letterario, sia una volontà di originale superamento della tradizione.
Il volume si chiude con il contributo di Caterina Mordeglia sull’ Ecbasis captivi (opera a cui l’autrice si è dedicata fin dal 2006, come provano le sue numerose pubblicazioni in proposito elencate nella bibliografia finale); questo non solo è il più tardo fra i testi presi in esame nel volume, ma anche uno dei più singolari nel Fortleben virgiliano e più sfuggente a una ascrizione inequivoca alla categoria di ‘centone’ o di ‘ pastiche ’ (la studiosa si inserisce nel solco già tracciato dalla critica nel ricondurlo al Mosaikstil, p. 208). Dopo la presentazione dell’opera, viene offerto un dettagliato elenco delle occorrenze che tradiscono una ripresa di testi classici e tardoantichi (p. 209). Merita osservare che mentre i—pochi—contributi recenti sull’ Ecbasis captivi si concentrano soprattutto sulle reminiscenze oraziane ivi contenute, l’articolo della Mordeglia si focalizza su quelle virgiliane, per la prima volta censite integralmente e messe a confronto con i relativi passi originali (pp. 213-217), con una tecnica che coniuga dati filologici e statistici.12 La disamina che ne segue—volta ad analizzare soprattutto il trattamento che l’autore dell’ Ecbasis riserva a riprese e citazioni di Virgilio—porta la studiosa a definire l’opera «una testimonianza molto interessante della lectura Vergilii tra i secoli X e XI» (p. 222). Una conclusione, questa, che, decontestualizzata dalla cronologia dell’opera specifica, sembra potersi utilmente riferire a tutti i centoni e i pastiches, campo d’indagine privilegiato per esplorare le dinamiche dell’intertestualità.
Indice dei contenuti
Introduzione, p. 7
Scott McGill, From Maro Iunior to Marsyas: Ancient Perspectives on a Virgilian Cento, p. 15
Maria Teresa Galli, Insidie palesi e nascoste dell’arte centonaria: le astuzie del compositore e le scelte metodologiche dell’editore, p. 35
Paola Paolucci, Per la costituzione del testo dell’ Alcesta centonaria. L’epilogo, p. 57
Sergio Audano, Intrecci teologici e tecnica centonaria: per l’esegesi della sequenza del Descensus Christi ad Inferos (vv. 51-67) nel centone De ecclesia ( AL 16 R 2), p. 79
Carmen Arcidiacono, Il riuso di Virgilio nel centone cristiano Versus ad gratiam Domini, p. 113
Alice Bonandini, Tessere omeriche nella tradizione diatribica e menippea in Grecia e a Roma, p. 133
Alberto Camerotto, Pastiches sovversivi. Strategie della parodia e della satira in Luciano di Samosata, p. 181
Caterina Mordeglia, «Non simplo stamine texam»: reminiscenze e citazioni virgiliane nell’ Ecbasis captivi, p. 201
Note bio-bibliografiche, p. 229
Notes
1. Si vedano ad esempio Domenico Comparetti, che lo ritenne lo sterile frutto di un apprendimento meccanico dei versi virgiliani ( Virgilio nel Medio Evo, Firenze 1937, I, pp. 64-65), Giorgio Pasquali (un «esercizio scolastico inferiore», in Stravaganze quarte e supreme, Venezia 1951, p. 12) e da ultimo David Roy Shackleton Bailey, che bollò come opprobria litterarum ( Anthologia Latina, Stutgardiae 1982, I.1, p. III) i centoni virgiliani, espunti dalla sua edizione della Anthologia Latina.
2. R. Lamacchia (ed.), Hosidii Getae Medea, cento Vergilianus, Lipsiae 1981; G. Salanitro (ed.), Osidio Geta: Medea. Introduzione, testo critico, traduzione e indici. Con un profilo letterario della poesia centonaria greco-latina, Roma 1981.
3. S. McGill, Virgil Recomposed. The Mythological and Secular Centos in Antiquity, Oxford 2005.
4. M. Bažil, “Centones christiani”. Métamorphoses d’une forme intertextuelle dans la poésie latine chrétienne de l’Antiquité tardive, Turnhout 2009.
5. Ó. Prieto Domínguez, De alieno nostrum: el centón profano en el mundo griego, Salamanca 2010.
6. A. Damico, De ecclesia. Cento Vergilianus, Acireale-Roma 2010.
7. P. Paolucci, “Dall’ Alcesta centonaria ad alcune chiose di lettura nella tradizione a monte del Salmasiano ( Par. Lat. 10318)”, in P. Mastandrea, E. Spinazzè (edd.), Nuovi archivi e e mezzi di analisi per i testi poetici. I lavori del progetto Musisque Deoque, Venezia 21-23 giugno 2010, Amsterdam 2011, pp. 239-249.
8. S. Audano, “I signa del Giudizio nel centone De ecclesia (AL 16 R 2): testo ed esegesi dei vv. 89-91”, Sileno 2012 (38), pp. 55-87.
9. Ad esempio Damico 2010 e F. Formica, Il riuso di Virgilio nel centone cristiano De ecclesia, Vetera Christianorum 2002 (39), pp. 235-255.
10. C. Arcidiacono, “Il contributo dei Versus ad gratiam Domini alla ricostruzione dell’ipotesto virgiliano”, Sileno 2012 (38), pp. 21-53.
11. A. Camerotto, Gli occhi e la lingua della satira. Studi sull’eroe satirico in Luciano di Samosata, Milano-Udine 2014.
12. Tra i più recenti contributi sulle reminescenze oraziane nell’ Ecbasis captivi vd. A.M.R. Tedeschi, L’«Ecbasis captivi» e il testo di Orazio, Bollettino di Studi Latini 2004 (34.1), pp. 117-129; M. Billerbeck, “Die Horaz-Zitate in der Ecbasis cuiusdam captivi”, Mittellateinisches Jahrbuch: internationale Zeitschrift für Mediävistik und Humanismusforschung 1976 (11), pp. 34-44; sul metodo matematico-statistico di analisi dei centoni vd. R.F. Glei, “Die Auflösung des Textes: zur literarischen, grammatischen und mathematischen Centonisierung Vergils”, in M. Baumbach, W. Polleichtner (edd.), Innovation aus Tradition. Literaturwissenschaftliche Perspektiven der Vergilforschung, Trier 2013, pp. 167-186.