La biblioteca del filosofo epicureo Filodemo di Gadara (vissuto durante il I sec. a.C. tra Atene e l’Italia) ospitata a Ercolano nella villa suburbana che apparteneva al suo patronus Gneo Calpurnio Pisone Cesonino venne ricoperta dalla colata lavica dell’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. che distrusse un gran numero di quei volumi, ma ne preservò, carbonizzati, anche molti altri. La sua riscoperta fortuita ha messo a nostra disposizione una imponente raccolta libraria: volumi del III e del II sec. a.C., altri, la maggioranza, coevi di Filodemo, altri ancora forse di qualche tempo posteriori alla sua morte. La singolarità di questa biblioteca è che essa non era soltanto un luogo deputato alla conservazione, ma anche una attiva officina di produzione libraria legata alle esigenze del suo proprietario e eventualmente dei suoi amici. Una realtà che la rende ancora più preziosa per l’unicità di alcuni documenti che si rivelano indispensabili per chi studia le pratiche tecnico-librarie nel mondo greco-romano.
La biblioteca di Ercolano continua a svelare, giorno dopo giorno, i suoi segreti grazie agli sforzi considerevoli e alla pazienza di generazioni di studiosi che ormai da quasi tre secoli sono impegnati, moderni alchimisti, a trasformare in oro il carbone di Ercolano e a ridare voce al compagno di Pisone.
Da tempo attendevamo con impazienza la pubblicazione della ricerca di G. Del Mastro sulla tipologia dei titoli e delle annotazioni bibliologiche nei papiri greci della biblioteca di Ercolano. Il contenuto era già stato occasionalmente reso noto dall’autore che ne aveva diffuse alcune primizie, ma solo ora possiamo avere una idea completa e soddisfacente di tutte le testimonianze. Il risultato è sorprendente e va al di là delle aspettative.
La quasi totalità del volume (37-396), dopo una breve ma densa introduzione, consiste di schede riservate ciascuna ai 118 titoli sicuri e ai trenta incerti di papiri ercolanesi che Del Mastro è riuscito a scoprire, leggere e rendere accessibili in tutti i dettagli, anche i più nascosti, in anni di costante frequentazione di quei reperti. Ogni scheda è accompagnata dalla riproduzione della fotografia multispettrale del segmento di papiro che conserva il titolo dell’opera. E non solo: ogni scheda fornisce anche la bibliografia essenziale, la trascrizione e l’edizione del titolo e dei paratesti e peritesti che lo accompagnano, una traduzione italiana e una discussione precisa, aggiornata e soddisfacente dei molti problemi che quasi tutti presentano. I progressi sono evidenti, talvolta sensazionali.
L’introduzione (1-36) è riservata allo studio dei titoli (intesi nel senso più largo) nei papiri ercolanesi: posizione dei titoli nel rotolo (iniziali, intermedi, finali); foglio di protezione finale; caratteristiche grafiche; elementi decorativi e segni di separazione; tipologie accessorie (informazioni bibliometriche, sticometria, numero dei κολλήματα ecc.) e peculiari di alcuni rotoli (ὑπομνηματικόν, ἐκ τῶν Ζήνωνος σχολῶν, interventi del διορθωτής, presenza del nome dell’arconte eponimo) e infine la singolare indicazione ἔρρωσο del PHerc. 380 (35-36). Il volume è completato dalle abbreviazioni bibliografiche (397-414) e da indici (415-437): catalogo dei titoli, tabella riassuntiva delle informazioni sui titoli, indice dei titoli per autore e dei papiri citati.
Un libro così denso e ricco di materiali e di risultati non può non suggerire domande, far nascere suggestioni e osservazioni, far sorgere, su un punto o su un altro, dubbi o sospetti che inducono alla tentazione di cercare risposte diverse o alternative. Senza che questo, bene inteso, scalfisca la portata del lavoro e dell’impegno profuso dall’autore per realizzarlo.
Comincio con una osservazione di ordine generale. Una delle acquisizioni più interessanti riguarda i titoli iniziali, una tipologia attestata anche per i rotoli di provenienza greco-egizia (10). La maggior parte di questi titoli specifici è propria di un gruppo di rotoli vergati tutti da un unico anonimo, l’Anon. XXV nella classificazione di Cavallo.1 Essi appartengono, per lo più, a un unico trattato di Filodemo, il Περὶ κακιῶν in almeno 10 rotoli-libro dedicati ciascuno a una virtù o al suo vizio corrispondente.
Ci sono tre eccezioni, forse solo apparenti:
PHerc. 1583 attribuito al IV libro del De Musica (328-333). Si tratta realmente del titolo iniziale del rotolo che tramandava il IV libro? L’ipotesi è allettante, ma mi sia consentito mostrarmi ancora scettico. Non si può escludere che il titolo indicasse un altro libro (dal I al III del medesimo trattato) e appartenesse dunque a un ulteriore volume. La tesi che tutti i resti del De musica finora reperiti si ricompongano in un solo rotolo è plausibile, ma non definitiva.
PHerc. 1670 è un caso a parte (355). Il titolo di cui resta solo l’indicazione sticometrica era scritto sul verso e non sul recto, come d’abitudine. Lo conosciamo solo attraverso il facsimile riprodotto da Hayter.2
PHerc. 1786 — Ci sono resti del titolo e della sticometria, tramandati solo dall’apografo napoletano e ormai evanidi sulla scorza originale (10, 16, 380-383). Il titolo iniziale è scritto sul recto da una mano che può essere datata, su basi paleografiche, al II sec. a. C. (380 n. 1)
Se accettiamo la ricostruzione del primo rigo del titolo (ΔΗΜΗΤ]ΡΙΟΥ ΛΑΚω[ΝΟϹ), il rotolo avrebbe contenuto un libro dell’epicureo Demetrio Lacone, vissuto fra II e I s. a.C. La datazione della scrittura del reperto, se corretta (è infatti aleatorio datare un documento a partire solo dal facsimile) si rivela di estrema importanza per determinare una cronologia relativa dell’impiego della pratica dei titoli iniziali.
Di fronte a questi dati, penso sia dunque lecito domandarsi se, all’epoca di Filodemo, l’opzione del doppio titolo (iniziale e finale) non fosse riservata specificamente a trattati specifici come poteva presentarsi il De vitiis. Opere come questa, in almeno 10 libri, ognuno su un argomento diverso, potevano infatti esigere la presenza di un titolo iniziale che consentisse al lettore di sapere subito, a apertura del rotolo, quale libro aveva davanti e quale ne era il tema. È una ipotesi che mi sembra sensata e che merita una riflessione ulteriore. Si noti anche, in ogni caso, che i papiri del De vitiis (ma anche quelli del De musica e altri ancora nella biblioteca di Ercolano) fanno parte di veri e propri progetti ‘editoriali’ (come li definisce Cavallo). Progetti che rispondevano quindi a specifiche esigenze bibliologiche e a una mise en colonne particolare, che poteva prevedere, per questo genere di produzione, un doppio titolo, all’inizio e alla fine. In altri casi o eventuali progetti editoriali, il titolo era invece posto solo alla fine del rotolo. Se così, non sono solo i singoli volumina che devono essere presi in conto nello studio di questa fenomenologia, ma piuttosto gruppi di rotoli-libro che rispondono a precise o possibili esigenze di ordine ‘editoriale’.
Ecco di seguito alcune spigolature frutto della mia lettura. Pochi esempi fra i molti che hanno sollecitato la mia attenzione. Cito solo il numero del papiro e, fra parentesi, indico le pagine della discussione di Del Mastro.
PHerc. 182 (87). Ho qualche dubbio sulla lettura (integrazione) ὑπόμνημα a causa dell’ ordo verborum. Bisognerebbe indagare meglio se ci sono altri esempi di titoli che confermano un uso di ὑπόμνημα prima di περὶ + il gen. di argomento. Un esempio potrebbe essere indicato in Galeno, In Hipp. de nat. hom. comm. III (XV, 72.6 K.): ἀλλ’ ὅτι γε ψευδὴϲ ὁ λόγοϲ αὐτῶν, ἐπιδέδεικται μὲν ἡμῖν καθ’ ἓν ὑπόμνημα Περὶ τῆϲ τῶν καθαιρόντων φαρμάκων δυνάμεωϲ ἐπιγεγραμμένον. Non escludo inoltre che Genovesi, che era un ‘interprete’ dei papiri, conoscesse abbastanza il greco per congetturare lui stesso ὑπόμνημα in questo contesto.
PHerc. 336/1150 (122-125). Darei più importanza al vacuum che precede l’inizio del secondo titolo del libro di Polistrato prima di οἱ δ᾽ ἐπιγράφουσιν. Sarei dell’idea che non ci troviamo di fronte a un vero e proprio doppio titolo, ma piuttosto a una ‘contaminazione’ di titoli distinti reperiti in rotoli diversi, ognuno dei quali ne tramandava uno solo; una specie di conflazione erudita al momento della copia del PHerc. 336/1150. Non si deve dimenticare che questo esemplare del papiro è tardo, copiato forse già in epoca post-filodemea. Niente vieta di pensare che c’erano due rotoli dello scritto di Polistrato nella biblioteca di Ercolano, come per certi libri del Περὶ φύϲεωϲ di Epicuro, ma con titoli diversi che potevano o meno risalire (l’uno o l’altro) all’autore.
PHerc. 1005/862 e 1485 (184-187, 324-325). Siamo di fronte a una delle scoperte più soprendenti e fruttuose della ricerca. Non solo Del Mastro ha provato che il PHerc. 862 altro non è che la parte inferiore (separata da un paio di righi) del PHerc. 1005 e che il PHerc. 1485 ne è una doppia copia (che tramanda forse una redazione differente), ma ha anche provato che è il primo libro (Α è sicuro nella subscriptio) di un’opera più vasta. Lo studioso pensa di essere riuscito anche a risolvere il mistero del titolo. Attraverso una attenta lettura dei papiri e degli apografi e un abile reperaggio di lettere su strati sovrapposti e sottoposti egli ha proposto di ricostruire il seguente titolo Φιλοδήμου | Πρὸϲ τοὺϲ | φαϲκοβυβλιακοὺϲ | Α, che ha tradotto Filodemo, Contro coloro che si proclamano conoscitori dei libri (Libro) I (185). Io non voglio né posso mettere in discussione le letture e la ricostruzione di Del Mastro, ma credo sia mio dovere esprimere forti sospetti sulla neoformazione φαϲκοβυβλιακούϲ e sul suo significato. Approfondire questo caso e trovare i necessari paralleli richiederebbe una ricerca a sé che lascio volentieri a altri.
PHerc. 1479/1417 (320-324). Se la lacuna individuata fra i rr. 4 e 5 mi sembra sicura, qualche dubbio avrei a proposito della lettura αὐτογράφων. È proprio la presenza della lacuna che deve spingere a maggiore prudenza.
Un paio di parole per concludere. Il volume di Del Mastro è una di quelle opere che si apprezzano con il tempo, che si consultano più che si leggano di un sol fiato. Ogni progresso che si farà in futuro in questo campo di ricerche sia per il materiale di Ercolano sia per quello di provenienza greco-egizia troverà in queste pagine un ottimo punto di partenza, una serie di stimoli e eccellenti suggestioni che solo alcuni anni fa non ci saremmo aspettati.
La scienza avanza sempre più veloce e la papirologia con essa. Non mi meraviglierei che ben presto, Del Mastro sia obbligato a preparare se non una seconda edizione del suo libro almeno un articolo di addenda che tenga conto oltre che dei materiali greci della biblioteca di Ercolano forse anche dei papiri latini. Non è a caso che aggiungo questa frase. Finora mancano tracce di titoli nei papiri latini e questo spiega e giustifica la loro assenza. Sennonché, anni fa, durante una conversazione, Robert Marichal mi aveva mostrato con la consueta cortesia che lo caratterizzava una sua trascrizione di quello che credeva il titolo di un papiro latino di Ercolano: in esso il grande paleografo aveva letto il nome di Seneca. Non mi ricordo più il numero del papiro, ma forse un giorno riaffiorerà alla mia memoria oppure altri lo ritroveranno frequentando l’Officina dei Papiri Ercolanesi a Napoli.
Notes
1. G. Cavallo, Libri, scritture, scribi a Ercolano, Napoli 1983.
2. J. Hayter, A Report upon the Herculaneum Manuscripts in a Second Letter Addressed, by Permission, to His Royal Highness the Prince Regent, London 1811. Nel facsimile a fronte di pagina 31.