BMCR 2015.03.34

Aeschylus, Suppliant women

, Aeschylus, Suppliant women. Aris & Phillips classical texts. Oxford: Phillips, 2013. 374 pages. ISBN 9781908343345. $34.00 (pb).

Anthony J. Bowen è stato dal 1993 al 2007 Orator dell’università di Cambridge ed è attualmente Emeritus Fellow del Jesus College, Oxford. Chi sfoglia l’APh troverà difficilmente indicazioni di suoi interventi critici o di recensioni a suoi lavori, ma chi consulta i cataloghi delle biblioteche di ricerca vi troverà un suo commento alle Coefore, pubblicato nel 1995 dalla Bristol University Press, uno al Simposio di Senofonte, del 1998, tutti non annunciati né recensiti sull’APh (questo per colpa degli editori, che dovrebbero dare comunicazione delle loro pubblicazioni). Chi prende in mano questi lavori troverà sostanzialmente le caratteristiche di questo: una informazione bibliografica essenziale, una rassegna equilibrata dei problemi e un commento puntuale di notevole interesse.

Il libro consta di quattro parti: una introduzione (pp. 2-40), bibliografia (pp. 42-52), testo con apparato critico (pp. 54-139), commento (pp. 140-360), indice dei luoghi e di elementi linguistici, grammaticali e retorici, indice delle parole greche richiamate in nota (questi ultimi due selettivi).

L’introduzione consta di una essenziale Synopsis of the play, una esposizione del mito, fondata sui dati del saggio di Garvie del 1986, con le integrazioni ricavabili dal PV, che B. data intorno al 430, e dalle fonti più tarde, indicate rapidamente. Per la datazione e l’ordine della tetralogia, B. si sofferma a lungo sulla rivoluzione operata dalla scoperta del POxy. 2256.3, con il conseguente spostamento della datazione della tragedia agli anni 60 del V secolo, e con le proposte di considerare gli Egizi come primo elemento della tetralogia (Sicherl, Roesler); cf. però anche Scullion, “Tragic Dates” CQ 52 (2002) 81-101. Segue una ampia sezione informativa sui problemi relativi alla data dell’opera, in relazione alla struttura, agli eventi contemporanei, alla lingua, alla tecnica drammatica: le conclusioni sono che la data del 463, quando era arconte Archedemide, è la più probabile. Infine, The play’s form : sulla scorta di West e di Taplin, Bowen individua la struttura della tragedia nella ripetizione di una situazione in cui dapprima si carica l’ansia delle Supplici che chiedono asilo, poi si ha la distensione, ma poi si carica nuovamente per le minacce degli Egizi, in modo da scandire la tragedia in due parti, che si rispecchiano,1-709 e 710-1073. Quindi The play’s people presenta concisamente ma efficacemente i personaggi della tragedia, le Danaidi, Danao e Pelasgo, The play’s staging illustra altrettanto efficacemente l’uso che il poeta fa dei suoi strumenti scenici, con puntuali indicazioni sull’effetto scenico dei tre cori (Danaidi, Argivi, Egizi). Seguono precise indicazioni sulle ipotesi avanzate sullo sviluppo della trilogia dopo le Supplici; infine indicazioni sui manoscritti, in particolare su M, che solo ci tramanda questa tragedia, con informazioni precise sulle sue caratteristiche e i problemi che pone all’editore e all’esegeta, e sui metri recitati e cantati.

Per la bibliografia, abbiamo detto che è ampia, anche se forse non è possibile produrne una completa per Eschilo. Alcune lacune tuttavia colpiscono: chi ha avuto la gioia di lavorare per dieci estati nella Cambridge University Library sa che dell’edizione commentata dell’Eschilo di Paley esiste in quella biblioteca, dopo la terza edizione del 1870, una quarta, considerevolmente accresciuta, del 1879, che è perfino raggiungibile via internet ( https://archive.org/details/tragediesreedite00aescuoft); così per chi vuole impegnarsi in questioni testuali non è possibile ignorare il Repertory of Conjectures on Aeschylus, di R. D. Dawe, Leiden 1965, che avrebbe segnalato a Bowen tre interventi di Paul Maas, riprodotti più tardi nelle Kleine Schriften, Muenchen 1947; infine la riproduzione collografica del cod. M, eseguita nel 1896 a Firenze, segnalata qui in bibliografia, oggi può essere efficacemente sostituita dalla splendida riproduzione a colori su DVD eseguita dalla direzione della Laurenziana, che consente di ingrandire enormemente i dettagli; infine si riscontra anche qui il limite ricorrente in molte bibliografie in lingua inglese, l’assenza di testi e commenti in lingue neolatine, come l’ Agamemnon di Bollack e Judet de La Combe, completato da quest’ultimo nel 2001 per le parti dialogate. Che dell’enorme lavoro che un gruppo di filologi italiani, francesi e catalani, ha dedicato a partire dal 2007 al testo delle tragedie di Eschilo non si trovi traccia non ci stupiamo. Questo è forse il nostro destino.

Il testo della tragedia, e il commento che rende conto delle scelte compiute dall’editore, giustamente merita una particolare attenzione. Il commento che, continuando un lavoro che ho intrapreso, fino alla sua recente scomparsa, in collaborazione con Carles Miralles, sto stendendo alle Supplici spero possa adeguatamente render conto dei meriti e in qualche misura anche dei limiti di questo; in questa sede mi limiterò a indicare alcuni punti in cui dissento, precisando qui che il fatto di dissentire da certe soluzioni non significa per nulla disistima per chi le ha proposte o riprese. Non è possibile concordare in tutto con un’altra edizione di Eschilo.

In generale il testo di questa edizione è quello proposto nella seconda edizione di West (1998). Questo non è irragionevole, anche se Bowen non manca di avanzare sue proposte, per lo più scegliendo tra quelle che altri editori hanno formulato.

Un’ osservazione del nostro autore potrebbe dirci qualcosa del suo metodo di selezionare le proposte di correzione al testo. A proposito di Suppl. 982, ἐπεὶ σωτῆρες, a p. 339, B. annota: “εἰσί must be supplied [… ]; why did Aeschylus not write κἄσωσαν?”. Secondo me la risposta è molto ovvia: perché σωτήρ è una parola sacra, appellativo rituale di Ζεὺς σωτήρ , che ricorre in Eschilo in Supp. 27, Sept. 520, Cho. 1073, Eum. 760, e, nel nesso paradossale Διὸς νεκρῶν σωτῆρος , in Ag. 1387. Queste cose Bowen le sa : perché non ha dato la risposta che era perfettamente in grado di dare? Eschilo ha preferito fare un’ellissi in qualche misura costosa pur di proclamare che Danao (e le sue figlie) vedevano gli Argivi, nei loro confronti, simili a Zeus Salvatore.

Un altro caso. Suppl. 397. Pelasgo risponde alle Danaidi, che insistono perché si assuma la responsabilità della scelta in loro favore, che questa decisione non spetta a lui, bensì all’assemblea del popolo di Argo, οὐκ εὔκριτον τὸ κρῖμα· μὴ ’μ’ αἱροῦ κριτήν. La prima mano di M aveva scritto κρίμα, quella che ha scritto gli scoli ha corretto in κρῖμα (aggiungendo un secondo tratto che forma con il precedente una specie di angolo acuto), e questo fatto deve dare da pensare: se normalmente lo iota era breve, non possiamo pensare che metri causa il correttore, che non era per nulla uno sprovveduto, abbia corretto un errore ortografico. κρῖμα è accolto ultimamente da Friis Johansen e Whittle, West, Sandin e Sommerstein. Maas aveva proposto di correggere dapprima (1915) in τὸ πρᾶγμα, quindi (1917) in τὸ χρῆμα, infine (1932) è giunto ad accogliere τὸ κρῖμα (cf. Dawe, Repertory, 66). Friis Johansen and Whittle hanno richiamato a sostegno di questa triplice figura etymologica (che, si noti, in Eschilo è in realtà quadruplice, perché prosegue κρῖνε del v. 396), due esempi euripidei, Bacch. 954 s. ἐλάταισιν δ᾽ ἐμὸν κρύψω δέμας. – κρύψῃ σὺ κρύψιν ἥν σε κρυφθῆναι χρεών , IT 1182 δεξόμεθα δέξιν ἥν σε δέξασθαι χρεών, con ampi rinvii a D. Fehling, Die Wiederholungsfiguren. L’annotazione di Bowen lascia perplessi: “Mc’s accenting of κρίμα as κρῖμα (the two words would sound the same to him) is necessary for metre but difficult. κρίμα is the correct form: ι is naturally short, κρῖμα would be unique. The word in either form does not occur for another two centuries”. Se andiamo a consultare il LSJ troviamo “ι in A. l. c.”e non c’è traccia della lunga in testi di due secoli posteriori, così anche per il Revised Supplement del 1996 (Sandin elenca occorrenze di κρῖμα in alcuni scrittori tardi, a cominciare da Plutarco), però in testi di prosa, cf. peraltro Greg. Naz. MPG 37 p. 465.7 (trimetri giambici). Ma non c’è nemmeno traccia, neppure in LSJ, della puntuale osservazione di Paul Maas, in JHS 52, 1932, 151 nella recensione all’edizione delle parti V e VI del LSJ, “κρῖμα: A. Suppl. 397 derselbe staatrechtliche Begriff wie in den Urkunden: nicht in κρεῖμα zu aendern”. Purtroppo il tipografo del Repertory ha stampato 131 per 151, forse confondendo i tratti della scrittura manoscritta di Dawe, e così la fatica di Maas e di Dawe, per questo passo, rischia di andare perduta.

Si possono indicare ancora diversi luoghi in cui potrebbe essere possibile risolvere i problemi posti dalla costituzione del testo con una maggiore attenzione per la tradizione manoscritta. Tanto per cominciare, al v. 23 ὧν πόλις, ὧν γῆ, καὶ λευκὸν ὕδωρ, Stanley ha adottato la correzione ὦ πόλις, ὦ γῆ che Robortello presentò in una lista di correzioni premesse alla stampa delle sette tragedie, ma tra gli editori moderni Friis Johansen and Whittle 1980, 23 s. ritengono difficile supporre che da ὦ … ὦ sia risultato ὧν … ὧν e sottolineano che l’anafora del pronome relativo è una caratteristica tradizionale della lingua poetica greca. Anche West Studies 126 s. propende per ὧν, ripetendo sostanzialmente l’argomento di FJ-W, ma poi postula la lacuna di un dimetro tra i vv. 22 e 23, che avrebbe dovuto contenere gli antecedenti dei relativi (ad es. ἀλλ᾽ ὦ πάτριοι δαίμονες Ἄργους) così da normalizzare la sintassi. Sandin e Sommerstein seguono West, e anche Bowen. Chi scrive ( BollClass 28, 2007, 23 ss.) ha suggerito di ritornare all’idea della prolessi del relativo ed è ancora di quella opinione. Al v. 81, a partire da Arnaldus, Specimen animadversionum criticarum, Harlingae 1728, 260 (Portus, il vero autore della congettura, è stato usato solo recentemente da West) è stata accolta la correzione ἐτύμως (‘veramente’) che risulta però piuttosto oscura; il senso migliore è offerto, invece, proprio dalla paradosis ἑτοίμως (‘adeguatamente’) : gli dèi debbono respingere la violenza in modo adeguato, ossia garantire la salvezza delle Supplici. Friis Johansen and Whittle aggiungono che ἑτοίμως, metricamente difficile, è estraneo alla poesia e meno efficace di ἐτύμως. La responsione v. 72 ἀπειρόδακρύν τε καρδίαν, ⏑ – ⏑ – – ⏑ – – (giambo trocheo, misurando καρδίαν come bisillabo) con 81 ὕβριν δ᾽ ἑτοίμως στυγόντες, ⏑ – ⏑ – – ⏑ – – (giambo trocheo) è perfettamente accettabile, come nei vv. 97˜115 (cf. L. Lomiento, in La colometria antica dei testi poetici greci, Roma 1999, 65 e 76 s.). Potrebbe fare difficoltà il secondo α di ἀπειρόδακρυν, giacché δακρ- è una sillaba lunga in Omero, breve di solito in tragedia per effetto della correptio attica; in Sept. 912, però ἐτύμως δακρυχέων, δακ- è lungo – evidente omerismo (cf. Sideras) – e non si può escludere che anche in questo caso ἀπειρόδακρυν possa essere stato usato da Eschilo con una prosodia epicheggiante. Quanto a ἑτοίμως, non si può pensare estraneo alla poesia un aggettivo che in Eschilo ricorre in Ag. 790, 842, Cho. 448 e 1025.

Ricordo ancora un caso, in cui io credo che la lezione del ms. debba essere conservata contro la maggioranza degli editori. Questo evidentemente non è una critica a Bowen, ma vuole far notare che in ogni caso chi si accinge a pubblicare un testo così complesso deve riflettere a lungo e non accettare nessuna conclusione come assoluta. Ai vv. 164-65 il tràdito κοννωδάταν γαμετουρανόνεικον è stato diviso già da Tournebus in κοννῶ δ᾽ ἄταν γαμετᾶς οὐρανονείκου, e quindi corretto da un anonimo (anon.1 di West 1998) con οὐρανονίκου, testo generalmente accolto sulla base dello scolio τὴν τῆς Ἥρας τῆς ἐν <τῷ> ἀνδρὶ νικώσης πάντας τοὺς ἐν οὐρανῷ θεούς. Ma questa versione è in contrasto con il mito (la vicenda di Epafo non si conclude con il trionfo di Hera, ma al contrario), e con le speranze delle Danaidi, le cui preghiere sarebbero inutili se Hera dovesse trionfare della volontà di Zeus, che deve proteggerle; anche βασιλέων νείκη del v. 197, sempre riferito ai contrasti tra Zeus ed Hera per Io, sembra appoggiare la lezione manoscritta οὐρανονείκου.

Direi che nel suo complesso questa edizione di Bowen è uno strumento apprezzabile sia per le indicazioni che fornisce al lettore sia per gli stimoli che offre a chi conosce un pochino questa tragedia e voglia riflettere un momento sulle possibilità che lo stato attuale del testo mette a sua disposizione. Alcuni limiti che ho messo in evidenza non oscurano la solida base documentaria che essa offre a chi vuole approfondire lo studio delle Supplici eschilee.