Colma un vuoto il libro di Roland Oetjen sulla vita dei demi dell’Attica che, nel corso del III secolo, si trovarono ad ospitare delle guarnigioni. Risultato della rielaborazione di una tesi dottorato, difesa ad Heidelberg nel 2004, il volume ricostruisce, sul filo delle testimonianze epigrafiche, la vita politica e sociale all’interno delle fortezze, fino alla seconda guerra macedonica che portò alla sconfitta di Filippo V (201 a.C.). L’indagine è articolata in tre lunghi capitoli, preceduti da un’introduzione in cui l’A. illustra i caratteri della documentazione epigrafica relativa alle guarnigioni: un corpus che è venuto arricchendosi negli ultimi anni, dopo la ripresa degli scavi di V. Petrakos, nel demo attico di Ramnunte, e che può essere suddiviso in due fasi: la prima, che va dal 340 al 300 ca a.C., in cui rientrano una serie di iscrizioni onorifiche di limitato apporto storico, poco interessanti per gli obiettivi del volume, e la seconda, che va dal 268/67, data di inizio della guerra cremonidea, al 200 a.C., e copre, grosso modo, il periodo, in cui Atene si trova nella sfera di influenza macedone, sotto Antigono Gonata prima e Demetrio II dopo. Un arco di tempo quest’ultimo che ha sollecitato scarso interesse presso gli studiosi, proprio a causa della difficile situazione documentaria e della frammentarietà del materiale. Tuttavia, proprio i documenti provenienti dalle guarnigioni possono costituire, nella prospettiva di Oetjen, un dossier organico di informazioni, utile a restituire un quadro dell’Atene di età ellenistica, nei suoi rapporti all’interno dell’Attica e con la dinastia macedone.
La prima parte, dal titolo Die Garnisonsdemen im dritten Jahrhundert v. Chr. (pp. 9-39), presenta un agile excursus storico che riepiloga il corso degli eventi, dal 307 a.C. fino al 201 a.C. Segue una sintesi relativa all’organizzazione interna delle guarnigioni e alla difesa del territorio dell’Attica che mostra come all’interno delle fortezze, e principalmente a Ramnunte, si trovarono a convivere, nel corso del tempo, diversi gruppi: da un lato i cittadini ateniesi, dall’altro soldati stranieri e altre tipologie di residenti, individuati nella documentazione epigrafica, con termini specifici quali i paroikoi e i kryptoi (in particolare a Ramnunte) e gli hypathroi (a Ramnunte e ad Eleusi). L’analisi delle iscrizioni e dei decreti onorifici in onore degli strateghi di stanza nelle fortezze porta inoltre l’A. a ritenere che, nel periodo tra il 268 a.C. e il 200 a.C. da cui provengono le testimonianze epigrafiche sulle guarnigioni, gli Ateniesi considerassero la difesa dell’Attica una responsabilità della polis e che ancora percepissero la città e la chora come un organismo omogeneo. Come le altre poleis della Grecia, del resto, anche Atene per finanziare le spese militari faceva leva sulle risorse dei suoi cittadini più facoltosi che, dal loro contributo alla causa pubblica, si aspettavano un ritorno in termini di prestigio.
Chiude la prima parte, infine, un paragrafo sulla vita religiosa delle guarnigioni. Anche in questo caso il dossier più corposo di fonti viene da Ramnunte, benché anche Sounion e Eleusi fossero sedi di importanti santuari. Fino alla liberazione del 228 a.C., a seguito della morte di Demetrio II, la vita religiosa di questi demi sembra essere dominata dalle esigenze religiose dei demoti. I santuari di Nemesis e quello di Dioniso a Ramnunte diventano sede privilegiata di esposizione dei decreti. Dopo il 228 a.C. invece sono i soldati a dare maggior impulso alla vita religiosa delle guarnigioni, con culti che l’A. ritiene più rispondenti ai loro bisogni, quali quello di Afrodite Hegemone, di cui esplora pure il nesso con l’ Hegemone e le Cariti ateniesi,1 Anfiarao e Atena e Zeus Soteres. Tali attività religiose trovavano sostegno da parte degli strateghi che a loro volta s’impegnavano nell’organizzazione di feste, dei sacrifici in onore degli dèi e dell’allestimento dei banchetti. Diversa sembrava essere la situazione, nelle altre guarnigioni, o per lo meno ad Eleusi, dove i soldati continuarono a prendere parte alla vita religiosa dei demoti.
La seconda parte, dal titolo Athen unter makedonischer Herrschaft (pp. 41- 126) è la più corposa e si sforza di portare luce sui rapporti interni all’Attica e di esplorare le forme del controllo macedone sulle questioni interne della città. Dopo un’analisi cursoria delle fonti letterarie (il testo della Cronaca di Apollodoro FGrHist 244 F. 44 e Pausania III 6, 6), che tuttavia non consentono di pervenire a un giudizio univoco sulla natura degli interventi degli Antigonidi sull’amministrazione interna di Atene, l’A. ritorna all’esame delle testimonianze epigrafiche. L’analisi di due decreti per Dicearco di Tria (non identificabili, però, secondo l’A. con la stessa persona), di quelli per Callistene di Prospalta, Tucrito di Mirrinunte, di Apollonio di Tria, di Apollodoro di Otrine, onorato da un gruppo di isoteleis, e dei 17 decreti relativi ai paroikoi, la cui presenza è attestata dalla metà del III secolo fino all’inizio del I secolo, consentono di tracciare il procedere politico degli Antigonidi e le loro relazioni con Atene e con il territorio dell’Attica. I decreti esaminati, corredati da un dettagliato status quaestionis comprensivo delle problematiche connesse alla datazione, riferiscono un quadro in base al quale, prima del 256/255 a.C., anno in cui si data la restituzione della libertà agli Ateniesi da parte di Antigono, secondo la versione greca di un passo di Eusebio di Cesarea, agli strateghi della costa e del distretto eleusino furono sostituiti phrourarchoi nominati dal re. Il loro potere era comunque limitato alla guarnigione e non si registrano interventi di altra natura sulle questioni interne alla polis ateniese; anzi, la nomina regia degli ufficiali sembra essere semplicemente una misura volta ad evitare il ripetersi delle condizioni che portarono alla guerra cremonidea. Dopo il 256/255 a.C. si trovano nuovamente gli strateghi eletti dagli Ateniesi. Sul territorio di Ramnunte rimasero i paroikoi, soldati d’origine macedone insediati sul territorio attico a supporto delle forze ateniesi, per i quali l’A. ipotizza uno statuto assimilabile a quello dei cleruchi. Prende avvio da qui una riflessione sul possibile ricorso all’insediamento di cleruchi in zone controllate dagli Antigonidi, sul modello seleucide o tolemaico. L’A. si volge all’analisi del materiale epigrafico che testimonia della politica d’insediamento di cittadini stranieri a partire Antigono Gonata fino a Filippo V e giunge alla conclusione che anche questi ultimi inviarono soldati, come cleruchi, nei territori da loro controllati, seppure con funzioni ed esiti differenti.
A conclusione di questa seconda parte, l’A. passa infine a discutere le relazioni tra Antigono Gonata e gli Ateniesi e gli obiettivi della sua politica nei confronti della polis attica. Il punto di partenza è fornito dalla testimonianza di Eusebio di Cesarea sulla restituzione della libertà agli Ateniesi. Il problema di fondo è stabilire il contenuto concreto da dare al gesto di Antigono, se come risulta dall’analisi condotta nelle pagine precedenti, gli interventi del sovrano furono limitati a un obiettivo minimo: quello cioè di salvaguardare il sistema di sicurezza macedone di cui Atene e la fortezza di Ramnunte, in particolare, erano nodi fondamentali. Non è chiara l’occasione nel corso della quale Antigono restituì la libertà agli Ateniesi. Certo è che da questo momento in poi vengono meno le limitazioni più evidenti all’autonomia della città, anche se alcune parti dell’Attica continuarono a essere sotto il controllo macedone e non mancarono, anche in seguito, ingerenze a livello dei rapporti interni alla polis. Nel contesto di questi avvenimenti può leggersi l’attribuzione da parte degli Ateniesi delle isotheai timai ad Antigono Gonata, definito soter tou demou in un decreto in cui i Ramnusii istituiscono sacrifici in suo onore da celebrare nel corso delle Grandi Nemesie. Il confronto con gli altri Antigonidi, che ottennero lo stesso privilegio (Antigono Monoftalmo e Demetrio Poliorcete), mostra che solitamente tali onori erano espressione della riconoscenza della città a seguito della protezione accordata a quest’ultima dall’aggressione da parte di un nemico esterno. Si profila dunque l’ipotesi che il Gonata avesse protetto Atene da un attacco da parte dello stesso Tolomeo Filadelfo, intervenuto, già tempo prima, ma questa volta a fianco degli Ateniesi, nel corso della guerra cremonidea contro Antigono. L’oggetto del contendere poteva essere, ora come allora, il controllo del Pireo che giocava un ruolo importante non solo nella politica greca, ma anche in quella egea del sovrano macedone e che evidentemente toccava gli interessi di Tolomeo nella stessa area.
L’ultima parte del volume Körperschaften und politisches Leben in Rhamnus (pp. 127-171) è dedicata all’esame dei rapporti interni al demo di Ramnunte, tra i gruppi che, nel corso di due secoli, si trovarono a condividere lo stesso spazio di residenza. Le testimonianze epigrafiche e i decreti restituiscono vivide tracce dell’attività politica di questi gruppi e consentono anche di comprendere in che misura le differenze di statuto giuridico tra le diverse componenti orientavano la vita politica del demo e in che modo esse si riflettevano sul quotidiano. Sotto esame sono i decreti che presentano più gruppi tra le autorità emananti. Per esempio, sempre il decreto in onore di Dicearco di Tria lascia emergere la natura delle relazioni tra demoti, soldati e non-cittadini e ci testimonia anche dell’esistenza di un koinon a Ramnunte, sotto la cui denominazione, secondo l’A., occorre individuare un gruppo formato tanto da cittadini che da non-cittadini.2 Gli stranieri, cui la possibilità di emanare decreti era preclusa, concorrevano senz’altro alla loro esecuzione e al finanziamento delle spese. Tali risultati dimostrano che, pur non essendo parte attiva della vita e delle decisioni politiche, i non-cittadini erano integrati nella vita sociale. Del resto, le associazioni cultuali (Anfiarasti e Serapiasti) che fecero la loro comparsa a Ramnunte, dopo il 228, rispondono proprio a tali esigenze d’integrazione. Esse accoglievano diverse tipologie di residenti: cittadini, non cittadini, uomini, donne, liberi, non liberi ed erano uno strumento nelle mani delle élites locali per inserire i soldati nella gerarchia sociale del demo.
La terza parte si conclude con un confronto tra la situazione di Ramnunte e quella di Delo dopo che, nel 167 a.C., ritornò, per decisione del senato romano, agli Ateniesi. Entrambi i territori riproducono infatti situazioni similari: spazi limitati e lontani da un centro direzionale politico, su cui gruppi diversi si trovarono a convivere. Anche a Delo ai non-cittadini era sostanzialmente preclusa la possibilità di emanare decreti, pur essendo ad essi riconosciuto un importante ruolo sociale all’interno della comunità che popolava l’isola.
Il volume si chiude con delle rapide conclusioni in cui si tirano le somme e si tracciano i contorni di uno scenario complesso che vede Atene al centro delle tensioni che opposero Antigono Gonata e Tolomeo Filadelfo, ridotta a mero elemento della politica difensiva del Macedone in Grecia, il cui obiettivo era sostanzialmente quello di proteggere i luoghi strategici dell’Attica. Gli Ateniesi, tuttavia, pur non essendo più, da tempo, campioni della democrazia e della libertà greca non smisero di considerarsi tali almeno nella prassi politica locale. Benché risucchiati prima nella sfera di controllo macedone poi in quella di Roma, continuarono ad assegnare un significato ai diritti politici e a considerare l’autonomia come un valore e la difesa del territorio come un dovere pubblico da non delegare ad altri. Il volume, corredato da un curata appendice epigrafica, contenente i testi delle iscrizioni prese in esame, spesso , accompagnati da una traduzione in lingua tedesca, rappresenta un contributo significativo alla storia dell’Atene del III secolo, nelle sue articolazioni territoriali interne e nei suoi rapporti con la potenza macedone.
Notes
1. A questo proposito, l’A. avrebbe potuto prendere in considerazione anche lo studio di V. Pirenne – Delforge, Les Charites à Athènes et dans l’île de Cos, Kernos 9 (1996), 195-214.
2. Di questo aspetto, come anche in generale dei decreti onorifici dei demi attici, si è occupata C. Lasagni, I decreti onorifici dei demi attici e la prassi politica delle realtà locali, in E. Culasso Gastaldi, La prassi della democrazia ad Atene. Voci di un seminario, Alessandria 2004, 91-128.