Il libro è una biografia di Antioco III inserita nella storia della dinastia dei Seleucidi, a partire dal fondatore Seleuco I Nicatore fino agli ultimi epigoni. È la storia di un grande impero sovranazionale e delle strategie messe in atto per la sua creazione e successiva espansione, conservazione e difesa della sua esistenza.
Nel primo capitolo l’autore traccia un panorama della estensione territoriale del dominio di Antioco III, e ne fa risalire la genesi al fondatore Seleuco I che, insediatosi nella satrapia di Babilonia dopo la uccisione del reggente Perdicca, ne fu cacciato dal nuovo aspirante al dominio universale Antigono. Seleuco, rifugiatosi presso Tolemeo, contribuì alla vittoria su Demetrio Poliorcete a Gaza e, con l’aiuto del sovrano lagide, riuscì a reimpadronirsi di Babilonia. Una rottura nell’asse con Tolemeo intervenne nel momento in cui quest’ultimo, assente nella battaglia di Ipso vinta dalla coalizione dei diadochi su Antigono, ne approfittò per impadronirsi della Celesiria, che resterà attraverso le generazioni un motivo di contesa fra le dinastie. Seleuco, da parte sua, provvedeva ad assicurarsi sul confine orientale tramite un accordo con il sovrano maurya Chandragupta, che gli fornì 500 elefanti in cambio di concessioni territoriali.
La storia delle successive generazioni passa attraverso la figura della regina Stratonice, figlia del Poliorcete, la cui mano venne ceduta da Seleuco al figlio Antioco I. Dopo la vittoria di Seleuco I su Lisimaco e la morte ad opera del traditore Tolemeo Cerauno, il regno passò definitivamente sulle spalle del rampollo Antioco I. Questi si guadagnò un credito personale grazie alla vittoria sui Galati, ai quali impose lo stanziamento in una zona circoscritta dell’Asia minore. Suo figlio Antioco II, succedutogli attorno al 261 a.C.1 indebolì il regno con una imprudente politica matrimoniale, passando dall’unione con la cugina Laodice a quella con la principessa egiziana Berenice.
Alla morte di Antioco II, avvenuta nel 246 a.C., vi fu la presa del potere da parte di Seleuco II, figlio avuto dalla prima moglie Laodice, e la conseguente invasione del regno da parte di Tolemeo III per difendere i diritti del nipote, figlio della seconda moglie Berenice. Intanto la rivolta dei satrapi della Partia e della Battriana, Andragora e Diodoto, preludeva alla formazione di regni orientali indipendenti. Un altro elemento di sofferenza nel regno di Seleuco II fu la rivolta del fratello Antioco Ierace in Asia minore. Da Seleuco II nacque il nostro Antioco, che succederà al breve regno del fratello maggiore Seleuco III (226-223 a.C.), deceduto nel tentativo di sloggiare dall’Asia minore Attalo I di Pergamo.
Dopo una disamina sullo stato del regno alla accessione di Antioco III, l’autore passa in rassegna i principali eventi storici del suo dominio, a cominciare (capitolo II) dalla usurpazione di Molone, satrapo della Media. A questa si associò la rivendicazione di indipendenza di Acheo cugino di Antioco, cui era affidata l’Asia minore, e la guerra contro Attalo di Pergamo. In tale frangente Antioco III venne però indotto dall’interessato consigliere Ermia ad occuparsi soltanto della guerra contro Tolemeo per la Celesiria. Inizialmente pertanto Molone colse alcuni successi sui generali incaricati di condurre la guerra, ma una volta venuto a capo degli intrighi di corte, Antioco III mosse personalmente contro Molone, sbaragliandone l’esercito ed inducendolo al suicidio.
Instaurata una tregua con il cugino Acheo (i cui soldati si erano rifiutati di seguirlo in una impresa contro il re), Antioco fu libero di affrontare con decisione la contesa con l’Egitto, iniziando con la riconquista di Seleucia Pieria. L’autore pertanto, che oltre ad avere una esperienza accademica ha anche militato con l’esercito americano in Kosowo, Kuwait ed Iraq, passa in rassegna le istituzioni, e soprattutto le forze militari a disposizione di Antioco III in questo momento cruciale (cap. III). Lo sforzo bellico condotto contro Tolemeo IV, anch’egli da poco succeduto al trono, culminò nella battaglia di Raphia del 217 a.C. (cap. IV), per la quale il re egiziano per la prima volta aveva reclutato un largo contingente di nativi, decisivo nella risoluzione dello scontro. La pace che seguì lasciava però Antioco in possesso di Seleucia Pieria ed egli si volse così ad affrontare l’usurpazione del cugino (cap. V), che venne assediato nella sua capitale Sardi, fino a che la città venne espugnata con un colpo di mano e lo stesso Acheo mutilato e decapitato.
Il capitolo VI è dedicato alla cosiddetta anabasi di Antioco III, la spedizione verso le alte satrapie del suo regno, intrapresa nel 212 a.C. Essa, attraverso una serie di tappe intermedie (Armenia, Media, Partia), lo portò ad affrontare l’usurpatore greco della Battriana, Eutidemo. Un ambasciatore inviato da quest’ultimo al campo di Antioco ebbe modo tuttavia di presentare il dominio di Eutidemo come vantaggioso per Antioco: questi a sua volta promise in moglie al futuro sovrano della Battriana, Demetrio, una delle sue figlie. Ultima tappa della spedizione orientale fu l’incontro con Sofagaseno, erede della dinastia Maurya di Chandragupta ed Asoka, il quale concesse ad Antioco una nuova fornitura di elefanti. Infine nel ritorno Antioco ebbe occasione di visitare alcune località del golfo Persico, fra cui Gerrha. Nell’insieme la spedizione rinforzò la posizione del sovrano procurandogli, in imitazione di Alessandro, l’appellativo di ‘Grande’.
Antioco era così pronto ad affrontare la sfida con i Romani, già vincitori del suo collega macedone Filippo, sfida che avrebbe deciso il destino del suo regno (cap. VII). Prima che si arrivasse ad una dichiarazione di guerra, i due stati navigarono a lungo in uno stato di latente ostilità (la cosiddetta ‘pace infida’), dovuta alla esistenza, vera o presunta, di un patto segreto fra Antioco III e Filippo V di Macedonia per dividersi le spoglie del dominio dei Tolemei, approfittando della immatura età del nuovo sovrano Tolemeo V. Antioco assistette perciò da spettatore interessato alla guerra dei Romani con Filippo e, attraverso un gioco di scambi diplomatici,2 cercò di mettere piede in Europa senza lasciarsi intimorire dai Romani, a loro volta sollecitati da alcune città d’Asia a garantirne la libertà dalla ingerenza seleucide.
A scatenare senz’altro la guerra fu l’iniziativa presa dagli Etoli di invitare Antioco in Grecia, da poco sgomberata dalle forze di Flaminino, invito al quale il re né si sottrasse, né si presentò con forze adeguate (cap. VIII). Insediatosi nella città euboica di Calcide, Antioco III indulse poi a nuove nozze con la figlia di un notabile locale e, presentandosi di fatto come il successore di un esautorato Filippo, rese gli estremi onori alle ossa lasciate insepolte dei caduti macedoni di Cinoscefale. La guerra venne poi risolta in Grecia dalla battaglia delle Termopili, ed ebbe un seguito in Asia, preceduto dagli scontri navali di Side, Cisso, Mionneso. Lo sbarco dei Romani in Asia fu accompagnato da trattative, in cui Antioco III si mostrava ora pronto a concedere ai Romani le loro richieste iniziali, inclusa la liberazione di alcune città, mentre il console Lucio Scipione e suo fratello Publio esigevano l’evacuazione di tutta l’Asia minore al di qua del Tauro.
Pertanto, rifiutando Antioco tali condizioni si addivenne allo scontro finale presso Magnesia al Sipilo (cap. IX): la descrizione della battaglia da parte dell’autore è molto dettagliata, con la presentazione dei luoghi e delle forze in campo. Probabilmente la disfatta ebbe inizio dal movimento disordinato di alcuni elefanti che scompigliò la falange macedone, esponendola all’assalto delle legioni, cosicché, a detta di Livio, le perdite risultarono in oltre 50.000 uomini dell’esercito seleucidico contro poche centinaia di Romani. In seguito alla battaglia, attraverso una serie di intermediari, nuovamente Antioco intavolò trattative con Scipione in Apamea, da cui scaturirono severe condizioni di pace, che includevano la consegna dei consiglieri etoli e, in particolare, del cartaginese Annibale.
Antioco poté conservare il suo regno e cercò di rafforzarlo come poteva, incontrandò però difficoltà finanziarie alle quali si sforzò di rimediare attingendo alle risorse templari. Durante uno di questi tentativi, nel 187 a.C. egli venne assassinato in Elam, all’età di 53 anni. Segue un capitolo in cui l’autore descrive i successivi eventi della dinastia, nei quali erano destinate ad avere peso le trame intessute da Roma, dove alcuni dei futuri sovrani seleucidi a lungo dimorarono come ostaggi, in conseguenza degli accordi di Apamea.
Si tratta, come si può vedere, di un libro denso di avvenimenti e di altre notizie, qui riassunte solo in maniera parziale, che l’autore narra in uno stile avvincente, senza imporre ai fatti una visione marcatamente ideologica della storia. Il libro è corredato da una serie di illustrazioni in bianco e nero stampate su carta lucida e presenta una serie di carte geografiche (pure in bianco e nero) ed alcune appendici dinastiche e cronologiche. Sia per la veste che per il taglio narrativo, il libro appare indirizzato ad un pubblico di lettori colti piuttosto che ad un ambito specialistico di ricerca.3 Non mancano però saggi di analisi più approfondita (in particolare per quanto riguarda la storia militare, nella quale anche editorialmente il libro si iscrive) e riferimenti alla bibliografia più recente.4 Accanto alla ricchezza degli aspetti informativi dobbiamo però anche lamentare una certa sciattezza linguistica ed editoriale,5 che si manifesta in particolare nella grafia dei nomi antichi,6 ma anche in alcune sviste di ordine storico.7
Notes
1. Taylor (p. 161) anticipa l’accessione di Antioco II al 264 a.C., ma non trovo riscontri per questa data.
2. Rinvio alla mia recente trattazione in Le relazioni diplomatiche di Roma, IV. Dalla ‘liberazione della Grecia’ alla pace infida con Antioco III (201-194 a.C.), Roma 2014.
3. L’autore evidenzia questa scelta rimandando gli specialisti all’opera in tedesco di H.H. Schmitt, Untersuchungen zur Geschichte Antiochos’ des Grossen und seiner Zeit, 1964.
4. J. Ma, Antiochus III and the Cities of Western Asia Minor, Oxford 1999 è citato a p. 71. L’opera di Aperghis sulla economia seleucidica è citata in maniera diversa nel testo (p. 50 e n. 36: G.G. Aphergis, Seleucid Economy) e nella bibliografia (p. 184: Makis Aperghis, Seleukid Economy).
5. Alcune espressioni in lingua inglese sembrano viziate da errori tipografici: p. 101: according to an inscription from King Antiochus to Ilium; p. 127: the pleb(e)ian consul; p. 128: it would brought the total number; p. 149: all grievances are (to) be submitted; p. 159: he was stood triumphant; p. 157: every private household (was) filled with gloom.
6. P. 18: Politeia, non Politikon; p. 29: Ct(e)siphon; p. 37: BASILEW(S) ; p. 40: Ptolem(ai)c; p. 57, 67, 68, 87: Sosib(i)us; p. 74: Anaiti(s); p. 77: S(y)r(i)nx; p. 77: Hectambylos = Hecatompylos? P. 78, 145: archi(e)re(u)s; p. 82: Mayaran = Maurya?; p. 82: Sophag(a)senus; p. 83: Dra(n)giana; p. 92: Aetoli[e]an; p. 99: Is(t)hm(i)an; p. 107: Flamini(n)us; p. 110: Philopoem(e)n; p. 122: A[n]thamanian; p. 132: Semp[e]ronius; p. 152: Pharn(a)ces; p. 152, 153: Philomet(o)r; p. 153: Popilius Laen(a)s; p. 156: Her(a)clides; p. 157: la grafia Mithradites mi sembra inusuale.
7. A p. 19, l’autore attribuisce a Cartagine (piuttosto che alla iniziativa personale di Annibale) lo sforzo bellico intrapreso contro Roma. A p. 83-84 egli sostiene che Antioco avrebbe popolato Antiochia in Perside con coloni della Tessaglia, ma nel documento (anche in Iscrizioni dello Estremo Oriente Greco, nr. 252) si parla espressamente solo di Magnesia al Meandro. Della legazione inviata dai Romani ad Antioco III (p. 92) nulla sappiamo circa l’arrivo ad Antiochia; cfr. ora Le relazioni IV cit., nr. 808; i legati non avevano facoltà di proclamare Antioco ‘amico ed alleato del popolo Romano’: sarà un pronunciamento del senato ( ibid. nr. 889) a farlo. P. 99: la proclamazione ai giochi Istmici è dell’anno 196 a.C.; p. 102 chiaramente Ptolemy è una svista per Philip; p. 109: Demetrio era il figlio più giovane di Filippo, non il più anziano. P. 123: le Termopili lasciavano al passaggio non poche centinaia ma solo pochi metri. P. 140: comandante delle legioni romane a Magnesia fu il legato Gneo Domizio (console del 192 a.C.) piuttosto che Lucio Scipione. P. 153: la commissione era di dieci (non dodici) legati.