BMCR 2014.09.49

Deus Medicus: Actes du Colloque organisé à Louvain-la-Neuve les 15 et 16 juin 2012 par le ‘Centre d’Histoire des Religions Cardinal Julien Ries’. Homo religiosus. Série II, 12

, , Deus Medicus: Actes du Colloque organisé à Louvain-la-Neuve les 15 et 16 juin 2012 par le 'Centre d'Histoire des Religions Cardinal Julien Ries'. Homo religiosus. Série II, 12. Turnhout: Brepols Publishers, 2013. 329. ISBN 9782503549293. €68.00 (pb).

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Deus medicus è una raccolta di contributi discussi in occasione di un convegno che si è tenuto presso il Centre d’Histoire des Religions Cardinal Julien Ries nel giugno 2012 a Louvain-la-Neuve. Il volume, che si apre con una introduzione di René Lebrun, il quale riassume brevemente le finalità dell’opera (pp. 7-8), si articola in tredici contributi che focalizzano la loro attenzione su regioni quali la Mesopotamia, l’Egitto, l’Anatolia, il mondo minoico, ellenico, biblico e paleocristiano (pp. 9-325).

L’idea di base è quella di analizzare gli dei guaritori nell’antichità mediterranea, alla luce e in ragione delle più recenti scoperte archeologiche e non solo. Come viene giustamente sottolineato nelle righe di presentazione dell’opera, “l’action de divinités bienfaisantes, de leurs lieux de culte et de leur impact sociologique est analysée, parfois dans une solution de continuité depuis l’antiquité lointaine jusqu’au début de l’ère chrétienne”.

Nel primo contributo del volume Hadrien Bru (“La mosaïque de l’eucharistie au monastère Mor Gabriel de Qartamin (Tur ‘Abdin)”, pp. 9-29) analizza un mosaico bizantino conservato nella chiesa principale del monastero di Mor Gabriel nell’Alta Mesopotamia costruito nel 397 d.C., al di sotto del quale si trova una breve iscrizione in greco ascrivibile all’inizio del VI secolo d.C. la quale, a parere dello studioso, andrebbe interpretata nel modo seguente: “C’era Gesù: ‘[questo è] il mio corpo …”. Il testo sarebbe tanto più importante in quanto il suo contenuto lo collegherebbe in modo inequivocabile al mosaico dell’eucaristia.

Dall’interessante contributo di Christian Cannuyer (“Des dieux aux saints guérisseurs dans l’Égypte pharaonique et copte”, pp. 21-48), apprendiamo come, nell’Egitto precristiano, accanto a dèi famosi quali Amon, ve ne furono altri, di rango minore, deputati alla cura delle malattie, quali Imhotep e Amenhotep. Si tratta di personaggi importanti che sono stati con il passar del tempo divinizzati e hanno ricevuto l’onore del culto. Anche l’Egitto cristiano conosce santi specializzati nell’azione taumaturgica e venerati in santuari simili a quelli dedicati a Imhotep e Amenhotep. Si tratta di uomini eccezionali, soprattutto martiri, a cui sono stati riconosciuti poteri sovrannaturali; l’autore fa l’esempio di Ciro e Giovanni, venerati nel santuario di Ménouthis, e di Kollouthos, il cui culto è attestato nella città di Antinoe. Se ne conclude che la speranza di ottenere la guarigione sollecitando l’intervento di forze ultraterrene resta costante attraverso i secoli tant’è vero che ancora oggi è possibile vedere sia musulmani frequentare santuari e monasteri cristiani, sia copti pregare sulle tombe dei santi dell’islam.

Le divinità guaritrici in Etruria sono analizzate da Marco Cavalieri e Debora Barbagli (“Divinités et cultes guérisseurs en Étrurie: un état de la question”, pp. 49-86). Gli studiosi, in base all’analisi di un corposo dossier costituito da oggetti (soprattutto ex voto) provenienti dai depositi votivi (caso emblematico quello rinvenuto a Comunità presso Veio), presentano un bilancio comparativo dei culti tributati alle divinità guaritrici nel mondo etrusco a partire dall’età arcaica, ma con un’attenzione particolare al periodo ellenistico. Sulla base del materiale disponibile, interpretato alla luce delle fonti letterarie ed epigrafiche, essi hanno cercato di comprendere, da una parte, il fenomeno di quei culti, dall’altra, le conseguenze che la conquista romana ebbe su di essi.

Sono i favori e le protezioni divine nel mondo ittita il tema del contributo di Matthieu Demanuelli (“Faveurs et protections divines en Tabal à l’âge du fer”, pp. 87-139): si tratta di un intervento ricco di informazioni desunte soprattutto da iscrizioni, le quali parlano dei legami esistenti tra gli uomini e gli déi del pantheon tabaliano nell’età del ferro. Ugualmente importanti sono la montagna e la vigna, elementi questi rivestiti di poteri sacri, profilattici e guaritori, che giocano un ruolo importante per quanto attiene alla garanzia di una lunga vita, del benessere fisico e della fertilità degli individui. Insomma, per dirla con lo studioso, il Tabal offre uno dei maggiori campi d’investigazione per lo storico delle religioni dell’Anatolia antica, dalla preistoria all’età greco-romana.

L’ambito del sacro è ancora oggetto dell’interessante contributo di Julien De Vos (“Les marins anatoliens et leurs divinités guérisseuses dans les sources égyptiennes”, pp. 141-182), il quale compie una ricognizione complessiva di documenti attestanti l’esistenza di contatti diplomatici e commerciali e culturali tra l’Egitto e l’Asia minore a partire dal regno di Amenemhat II. Questo accadde soprattutto nelle zone portuali dove più intensa dovette essere la mescolanza di genti e culture, palesata ad esempio dalla presenza di elementi ittiti nella versione egizia della leggenda di Anat.

Della figura di Anfiarao, eroe epico, demiurgo, divinità oracolare e guaritrice, si occupa Charles Doyen (“La figure épique d’Amphiaraos archéologie d’un dieu guérisseur”, pp. 183-203). Secondo la tradizione, il più antico santuario di Anfiarao fu edificato vicino a Tebe; rimase l’unico almeno fino a quando, verso il 420 a.C., non ne fu fondato uno di dimensioni maggiori a Oropos, località posta al confine tra la Beozia e l’Attica. In essi veniva praticato il rito dell’ incubatio che permetteva ai fedeli, visitati in sogno dal dio, sia di ottenere un oracolo, sia la guarigione immediata in caso di malattia.

Attorno all’esclusivismo di Yhwh e alla sua unicità ruota gran parte della Bibbia ebraica, come ben sottolineato da Frédéric Gangloff (“Le serpent d’Airain (2 Rois 18, 4 & Nombres 21, 4-9): Yhwh une divinité guérisseuse?”, pp. 205-217). Da divinità guerriera, solare e rigeneratrice, Yhwh viene via via trasformandosi in divinità ‘medica’.

Stéphane Lebreton (“La fontaine de Zeus Orkios ou fontaine d’Asbama Tyane, Cappadoce”, pp. 219-243) focalizza l’attenzione su alcune curiose descrizioni di una fontana consacrata a Zeus Orkios nel territorio di Tyane, in Cappadocia, le cui acque sarebbero in grado di curare affezioni quali l’idropisia. Esse sarebbero contenute nel de mirabilibus auscultationibus, nella Vita di Apollonio di Filostrato e nell’opera di Ammiano Marcellino. A suo parere tali racconti farebbero certamente riferimento a delle credenze e a dei rituali consolidati ma anche a tradizioni complesse di cui ormai si è persa ogni traccia. L’autore conclude il suo contributo avanzando un’ipotesi interessante: lo Zeus d’Asbama, considerato come un dio cavaliere da J. Gagé, potrebbe essere avvicinato all’Apollo cavaliere attestato anche in altre parti dell’Asia minore.

Dopo il breve contributo di René Lebrun (“Réflexions sur l’origine du dieu Asklèpios”, pp. 245-248), il quale sottolinea l’importanza dell’ incubatio per il culto di Asclepio, è la volta di Maria Grazia Masetti-Rouault (“Justice divine, dieux guérisseurs, exorcismes et médecine: notes sur la gestion de la maladie en Mésopotamie ancienne”, pp. 249-262), la quale esordisce con la descrizione fatta da Erodoto dei problemi sanitari nella società mesopotamica e del modo di trattare le varie patologie. Nella città d’Isin, di cui Gula era la divinità poliade, godeva di grande prestigio la scuola di medicina tant’è vero che Gula era chiamata la ‘grande dottoressa’, era patrona dei medici e, negli inni a lei dedicati, la si invocava, in quanto divinità guaritrice, per le conoscenze mediche di cui era depositaria. E ancora, dagli archivi di Mari, di epoca paleo-babilonese, si apprende che la divinità poliade Itur-Mer era nota per i suoi poteri ‘medici’, tant’è vero che il suo tempio era meta di pellegrinaggio da parte di malati che speravano di potere essere guariti da lei. Dato che causa della malattia è l’assenza di protezione da parte della divinità, un ruolo importante è quello giocato dagli esorcisti, i quali hanno il compito di espellere le forze e le energie negative che debilitano il malato, utilizzando l’autorità e i saperi che hanno ricevuto dagli dei.

Il dio anatolico Men è al centro del contributo di Emile Piguet (“Qu’est-ce qu’un dieu guérisseur? Réflexions à propos du dieu anatolien Men”, pp. 263-284). La sua analisi prende l’avvio dalla definizione di dio guaritore e intende determinare, da una parte se Men possa essere inserito nel novero delle divinità guaritrici in base alle stele votive rinvenute in Licia e in Frigia, dall’altra se i suoi santuari di Antiochia di Pisidia e di Caria funzionassero come centri medici veri e propri. Appurato che Men è un dio che provoca la malattia e non solo la guarisce, l’autore ritiene azzardato considerarlo come una divinità ‘sanante’, al contrario di Asclepio il quale non è mai in nessun caso responsabile di procurare infermità e affezioni.

Éric Raimond (“Un oracle sarpédonien dans la vie et les miracles de Sainte Thècle”, pp. 285-297) avvicina Santa Tecla ad Artemide Sarpedonia, affermando che ella possiede sia gli attributi della dea quali la verginità e la capacità di domare le belve feroci, sia il carattere ctonio e taumaturgico del demone Sarpedone.

Il volume termina con il contributo di Jacques Vanschoonwinkel (“Le crocus et la déesse dans le mond cyclado-minoen”, pp. 299-325) che affronta il tema dell’ammirazione dei popoli micenei e cicladici per la natura: tra i motivi floreali più popolari si trova il fiore di croco, la cui rappresentazione più antica risale al II millennio a.C. La sua importanza risulta non solo dal valore inestimabile della risorsa naturale che produce, vale a dire lo zafferano, ma anche dalle virtù terapeutiche che ne consigliano la somministrazione alle donne per curare i dolori mestruali e quelli da parto. Non meraviglia dunque che il croco sia associato alla dea che personifica la Natura, una dea che sovrintende alla raccolta dello zafferano e che, in un’epoca in cui regna la fitoterapia, può essere considerata a tutti gli effetti una dea della salute fisica.

Nel numero sempre crescente di studi dedicati alle divinità sananti e alle loro virtù terapeutiche, questa raccolta costituisce un contributo importante e denso di spunti per ulteriori ricerche. Da ogni pagina traspaiono una grande vitalità da parte di queste entità divine, tutt’altro che stagnante durante l’intero arco temporale considerato, e una altrettanto notevole loro duttilità, laddove esse si rapportano a situazioni e realtà differenti.