Per “gemme magiche” (o “gnostiche”) si intendono quelle pietre preziose o semi-preziose, risalenti in massima parte ai secc. II-IV d.C., che insieme a charakteres e voces magicae recano incise immagini di esseri divini e demonici rappresentati in modo difforme da ogni tradizione ufficiale e pubblica, non di rado sotto forma di bizzarri ibridi animaleschi, quali il gallo anguipede o il serpente leontocefalo. Individuati come uno specifico gruppo all’interno della produzione gemmaria antica già dalla curiosità antiquaria del tardo ‘500, questi affascinanti oggetti — un tempo diffusissimi e d’uso comune, essendo in genere destinati ad assicurare al possessore la salute del corpo e dell’anima nonché il successo in ogni impresa— costituiscono un campo di ricerca di grande rilevanza per l’approfondimento di molti aspetti della cultura e della società romano-imperiale. Forse soprattutto a causa della oggettiva difficoltà di studiare materiali dispersi in una miriade di collezioni e musei e reperire pubblicazioni spesso vecchie di qualche secolo, essi sono però stati relativamente poco studiati. Dopo i pionieristici lavori di A.Delatte e l’importante stagione di studi che ha avuto come protagonisti C. Bonner e A.A. Barb, un nuovo impulso al lavoro di classificazione e approfondimento della materia è molto opportunamente venuto, dalla metà degli anni ’90, dall’iniziativa di un gruppo di studiosi italiani, tra i quali un ruolo eminente ha avuto Attilio Mastrocinque.1 In questo volumetto, accessibile anche al non-specialista grazie alla chiarezza espositiva e alla semplicità del linguaggio, sono raccolti cinque studi, specificamente dedicati all’esame del significato storico-religioso di alcune gemme conservate in musei italiani e al Cabinet des Médailles di Parigi. Li precedono una “Preface ” (pp. vii-viii) ed una “Introduction” ( 3-8).
I primi due capitoli affrontano il tema della valorizzazione esoterica di Kronos ἀρσενόθηλυς -— simbolo di mistica castità ma anche efficace paredros in faccende d’amore —, illustrando il processo di trasformazione che ha fatto del generatore di déi esiodeo una divinità contemplatrice della Bellezza suprema (1 “Metamorphoses of Kronos on a Gem in Bologna ” 9-49) e ha portato alla sua identificazione con Sabaoth, Serapide e Osiride (2. “New Reading of the Osiris Myth in Near-Eastern Magic ” 51-64). Si tratta di argomenti già in precedenza trattati da Mastrocinque, che qui si muove lungo nuove linee d’indagine. Lo stesso avviene con il cap. 5 ( “Empousa, Also Called Onoskelis ” 113-118), dove si mostra come —contrariamente a quello che è stato quasi un postulato della ricerca in questo campo (peraltro ormai ampiamente dimostrato falso) — sulle gemme magiche trovi posto anche una figura della religione greca classica quale Empusa, probabilmente promossa ad oggetto d’interesse per la speculazione teologica tardo-antica dal suo polimorfismo. Nel cap.4 ( “Asklepios Leontouchos and Divine Triads on Syrian Gems ” 95-112) sono studiate alcune gemme d’origine siriana già oggetto di molteplici interpretazioni, e si dimostra che dietro una peculiare iconografia e un’inconsueta onomastica sono ravvisabili figure appartenenti al pantheon ufficiale della città di Ascalona, tra cui Perseo ed Asclepio.
Lo studio più originale e stimolante del volume è senz’altro quello contenuto nel cap. 3 (“Helios-Shiva: Porphyry, Ardhanarisvara, and a Magical Gem in Naples” 65-93), dove viene sottolineata una volta ancora l’importanza di una questione tanto ben nota quanto bisognosa di ulteriore approfondimento quale quella dei rapporti tra mondo ellenistico e cultura indiana in età imperiale. Con una non comune finezza interpretativa, Mastrocinque riconosce in un Helios/Arpocrate panteista ed ermafrodita rappresentato su una gemma del Museo Archeologico di Napoli le fattezze di Ardhanarisvara, “il Signore mezzo donna” di una tradizione shivaita risalente perlomeno al II sec. d.C. L’iconografia di questa divinità corrisponde a quella della statua descritta a Bardesane, — secondo un frammento del de Styge di Porfirio — da un gruppo di Brahmani residenti in Siria, ed in effetti molti dei dettagli della scena incisa sembrano rimandare alle dottrine delle Upanishad che i saggi orientali andavano esponendo allo scrittore cristiano, il che autorizza senz’altro a vedere nello specimen la testimonianza di una speculazione circa la creazione e la divinità suprema in cui si mescolavano idee platoniche e brahmaniche. Come luogo d’origine dell’ amuleto e della soggiacente riflessione teologica, una possibile alternativa alla Siria è l’Egitto, dove, a detta di Damascio, sarebbe un tempo giunta una delegazione di saggi indiani. Al di là di questa circostanza, sull’ampiezza della cui risonanza culturale è forse bene essere prudenti, circa la candidatura della terra del Nilo a più probabile luogo d’incontro tra il pensiero occidentale e quello orientale, vale la pena di valorizzare la testimonianza della Vita Apollonii, opera che – in relazione alla questione generale di una possibile influenza indiana sulla produzione gemmaria — anche l’Autore cita (i sette anelli planetari donati al Tianeo dal maestro Iarca, III 41). Non solo Filostrato parla della visita di Apollonio ad una comunità di gimnosofisti egiziani, confusamente uniti all’India dal culto della saggezza e da una quanto mai improbabile storia di migrazione (III 20; VI 10-23), ma esplicitamente collega la “sapienza degli Indiani” alla via marittima del Mar Rosso e del Golfo Persico (VI 16).
Dato il carattere tutt’altro che lineare che le è proprio, ogni tentativo di ricostruire la rete di associazioni, allusioni, risemantizzazioni e rimandi che sta dietro ai mostruosi ibridi e agli incomprensibili palindromi delle gemme magiche non può, naturalmente, che essere ipotetico. Cionondimeno, anche se non tutte le tappe dei tortuosi percorsi attraverso i quali personaggi e tematiche provenienti da un ampio ventaglio di culti tradizionali si sovrappongono e si contaminano per rispondere a nuove istanze di successo mondano e salvezza individuale risultano illustrate in modo egualmente persuasivo, i cinque studi qui riuniti costituiscono senz’altro un importante contributo alla comprensione di un panorama ideologico ancora poco noto, intessuto di dottrine esoteriche e riflessioni sul rapporto tra l’uomo, il cosmo e il Divino che certamente non circolavano solo nel ristretto ed equivoco ambiente dei fabbricatori d’amuleti, ma erano condivise dagli Gnostici e da non pochi tra i filosofi del tardo paganesimo.
Lucida e chiara la posizione dell’Autore, che, senza entrare nel merito della complessa problematica inerente al rapporto magia/religione, 2 rivendica l’importanza delle gemme magiche dal punto di vista propriamente storico-religioso, sottolineando con forza come esse, anche se spesso destinate ad un uso prosaico, siano documento di raffinate speculazioni teologiche. In effetti, se la definizione “magiche”, che ha sostituito quella – metonimica non peregrina — “gnostiche” cara al Cardinale Cesare Baronio, è qualcosa di più che una semplice etichetta discriminatoria (magico = estraneo alle “genuine” tradizioni religiose del mondo ellenistico-mediterraneo), è perché, seppur non spessissimo, i termini μάγος, μαγεία, μαγικός ricorrono nei papiri Anastasi, quei Papyri Graecae Magicae che insieme alle defixiones, alle lamelle e, appunto, alle gemme costituiscono il corpus documentario della magia d’età imperiale. Tuttavia, anche ammettendo che nel rapporto – spesso definito “di continuità e rottura” — che lega magia e religione sia possibile individuare qualche oggettivo elemento differenziale, questa “magia” non è il contrario della religione o la sua parodia, come pensavano Plinio il Vecchio e Tertulliano in base ai rispettivi codici culturali, ma una espressione religiosa dotata di caratteri suoi propri, “un’arte ben accetta agli dèi immortali”, per dirla al modo dell’ Apuleio dell’ Apologia. Laddove il retore africano faceva riferimento a pratiche d’origine persiana, quello che sempre più chiaramente va emergendo dietro alle gemme magiche è però un universo religioso di matrice medio- orientale, fortemente sincretista e con una spiccata impronta giudaizzante ed egizianeggiante (o, forse più correttamente, egittomane).
Il volume è completato da un indice dei nomi e da una “Selected Bibliography” la cui essenzialità è bilanciata dalla ricchezza dell’informazione bibliografica delle note a piè di pagina. Abbondante e puntuale la documentazione iconografica, con fotografie e disegni, anche se non sempre — in un campo dove, letteralmente, “dio si cela nei dettagli””—la qualità delle riproduzioni è quella che lo specialista desidererebbe.
Notes
1. Quale curatore degli Atti dell’inconto di studio: “Gemme gnostiche e cultura ellenistica”(Verona, 22-23 Ottobre 1999), Bologna, 2002 e dei due volumi sinora usciti della importante Sylloge gemmarum Gnosticarum (parte I = Bollettino di Numismatica, Monografia 8.2.I, Roma, 2003; parte II = Bollettino di Numismatica, Monografia 8.2. II, Roma 2008).
2. Problematica ampiamente trattata da Giulia Sfameni-Gasparro sia negli Atti (“Religione e magia nel mondo antico: il caso delle gemme magiche ” 243-269) sia nella Sylloge (“Le gemme magiche come oggetto d’indagine storico-religiosa” parte I, 13-47).