[Authors and titles are listed at the end of the review.]
Il volume, curato da Maria Vittoria Cerutti, raccoglie gli Atti del I Seminario Internazionale organizzato dall’Associazione “Patres. Studi sulle culture antiche e il cristianesimo dei primi secoli”, svoltosi il 19 maggio 2011 presso la Pontificia Università della Santa Croce (Roma), sul tema ” Auctoritas e conoscenza religiosa. Mondo tardoantico e riflessi contemporanei”.
Angela Maria Mazzanti chiarisce l’oggetto del seminario di studio e cioè il sorgere presso i filosofi dell’epoca tardo-antica di significativi percorsi di ricerca religiosa che riconoscono i limiti della filosofia e l’insufficienza dell’apporto della tradizione pagana. Da qui, la ricerca di un’ auctoritas garante della verità della conoscenza connessa alle religioni, auctoritas che per gli autori cristiani consisteva nella persona stessa di Cristo Gesù. Proprio questo confronto, fra esponenti del tardo ellenismo e auctores cristiani, costituisce il filo conduttore della gran parte degli interventi ospitati nell’opera. Maria Vittoria Cerutti illustra in sede di presentazione le diverse modalità di auctoritas che i pagani andarono investigando, senza dimenticare strade diverse, non oggetto di indagine in questa occasione, come la strada percorsa dagli gnostici, per i quali “le rivelazioni sono sottratte al vaglio della indagine razionale perché affidate al riconoscimento di una ontologica affinità tra il rivelatore e il destinatario del messaggio rivelato” (p.13).
Christian Gnilka parte da una rilettura del IV libro del De Civitate Dei. Agostino, utilizzando i materiali offerti da Varrone nelle Antiquitates, critica il paganesimo del suo tempo. In particolare, combatte il culto degli dèi coi mezzi della logica e ritiene, a motivo della insistita violazione – da parte di quello – delle leggi della logica, che esso, manifestamente, non possa essere riconosciuto come vero, anche se può contenere qualche brandello di verità. Agostino indica l’unico Dio cristiano come il dio ignoto, che Varrone ipotizzava stesse dietro la figura tradizionale della Felicità, quello stesso che Paolo ad Atene aveva visto onorato con un’ara ( At 17,22-24). I pagani avrebbero, quindi, potuto percorrere una via che li avrebbe condotti alla verità: sarebbero dovuti partire da un esame razionale delle insensatezze del politeismo per giungere alla conoscenza dell’unico Dio; una volta ammesso di non conoscerlo, sarebbero stati pronti ad accogliere il Vangelo. Ciò, però, argomenta Agostino, non accadde a motivo di una forza storica e sociale, la consuetudo, che li aveva trattenuti e alla cui auctoritas piegavano la loro stessa ragione.
Ignacio Yarza spiega come Porfirio sia aperto alla ‘fede’, vista come strumento per avviarsi lungo il cammino della filosofia. Infatti, egli non individua l’ auctoritas nella tradizione religiosa secolare, quanto piuttosto nella filosofia platonica che ad essa fornisce la giustificazione razionale. Così, la fede appare strettamente legata alla conoscenza (γνῶσις) in una complementarietà solo apparente, in quanto è la conoscenza a prendere il sopravvento. Ne deriva l’insistenza di Porfirio sul fatto che una fede priva di conoscenza, come egli giudicava quella cristiana, sia irrazionale (ἄλογος πίστις). Porfirio punta sull’ auctoritas della tradizione filosofica per rifiutare la convinzione cristiana che la salvezza si realizzi nella storia. La concezione negativa della materia e l’identificazione fra essere e pensiero sono due dei principali postulati filosofici che condizionano la comprensione e il giudizio di Porfirio sulla fede cristiana. Con ciò, “la vera autorità che Porfirio riconosce è quella della tradizione filosofica” (p. 91), per cui misura la natura e l’agire di Dio con il metro del proprio modo di pensare.
Valerio Neri indaga le differenti posizioni nei confronti del Cristianesimo, che vedono il paganesimo romano del IV e V secolo dividersi fra polemica e volontà dialettica. Mentre personaggi come Simmaco, Longiniano e l’autore della Historia Augusta ritengono che la via migliore per giungere a Dio consista nel paganesimo tradizionale, una maggiore apertura di credito verso il cristianesimo compare presso Ammiano Marcellino. Questi vede la fede cristiana come absoluta et simplex, in quanto estranea all’indagine razionale caratterizzata da dubbi e ipotesi. Il cristianesimo comportava verità da accettare per fede, quindi appariva ad Ammiano come una religione irrazionale. Pur riconoscendone la specificità, comunque, egli resta convinto della superiorità teologica del paganesimo filosofico, richiamando in tal modo le posizioni del neoplatonico Alessandro di Licopoli, che un secolo prima definiva il cristianesimo come una ‘filosofia grossolana’ (ἁπλῆ φιλοσοφία).
Giuseppe Fidelibus si concentra, analogamente a Gnilka, sull’uso di Agostino delle Antiquitates di Varrone, per il quale la verità della religione tradizionale discende dall’ auctoritas della consuetudo. Agostino, pertanto, auspica che si ottenga la liberazione dal dominio della consuetudine in favore della libertà per la verità. Perciò, smaschera l’uso apologetico della ragione operato dalla filosofia, per difendere la tradizione pagana in funzione anticristiana, secondo una sorta di ‘irresistibilità’ della consuetudo. L’Ipponate analizza e critica come dogma teologico la radicalizzazione della trascendenza di Dio nei confronti del mondo e degli uomini operata dal pensiero ellenico, da Platone fino ad Apuleio e al Corpus Hermeticum. Infatti il saggio, secondo una sensibilità propriamente ‘dualistica’, deve sottrarsi il più possibile alla contaminazione dovuta al contatto con la dimensione fisico-corporea dell’umano e, una volta purificato, può ascendere verso quel Dio a cui è precluso il percorso discensivo. Questa sorta di ‘dogma’ razionale serve, quindi, a ‘salvare’ Dio dalla contaminazione con il basso: la ‘verità’ su ciò che Dio può o non può fare deriva dall’ auctoritas della ragione. Agostino, d’altro canto, sottolinea la novità cristiana dell’incarnazione, di fronte alla quale emerge l’estensione del deficit di verità, non solo a livello di religione, ma anche di ragione, proprio del paganesimo tradizionale. L’approccio filosofico di Fidelibus permette di cogliere efficacemente le tangenze fra la critica agostiniana e il dibattito teologico-filosofico del tempo attuale circa l’uso e i limiti della ragione.
Anna Bernardini Penati dedica la propria attenzione al De antro nympharum porfiriano, commento allegorico ai versi omerici relativi alla descrizione del luogo dove sbarcò Odisseo, ritornato a Itaca. Porfirio, diversamente dai medioplatonici che svalutavano la ‘lettera’ del testo, tendeva a valorizzare pure il senso letterale della descrizione omerica. Anche Cronio, Numenio, Giamblico e Proclo, fra gli altri, ritenevano possibile che l’individuazione del significato allegorico- metafisico del mito non fosse disgiunto necessariamente da concreti riscontri storici. In ciò, quindi, l’A. evidenzia il ricorso da parte del filosofo neoplatonico all’ auctoritas di Omero e degli antichi che lo avevano preceduto, quali depositari della verità.
Ilaria Ramelli1 si occupa di testi cristiani di area siriaca collocabili fra gli ultimi decenni del II secolo e i primi del III, illustrando come l’ auctoritas, su cui poggiano teologia e filosofia, presso gli autori considerati, risieda nel Logos /Cristo, che fonda il logos umano, cioè la capacità di processi argomentativi razionali. Bardesane, infatti, nel quadro della polemica antimarcionita e antignostica, si esprime con molta chiarezza circa la necessità della fede ai fini della conoscenza: chi è privo di fede e timore di Dio resta nel dubbio e non conosce nulla con certezza. Teologia e filosofia, quindi, vengono a sovrapporsi nel pensiero di Bardesane. Proprio attorno a questo tema l’ Apologia, pervenuta in siriaco e attribuita a Melitone di Sardi, presenta una sorprendente convergenza con il Liber Legum Regionum, riconducibile a Bardesane o al suo entourage.
Massimo Borghesi, partendo dal mondo classico, esplicita nessi significativi con la contemporaneità, approfondendo le nozioni di ‘sequela’ e ‘imitazione’. Egli osserva come con Socrate la filosofia suggerisca il metodo per conformare la vita al modello divino, e, dunque, si ponga come auctoritas. Socrate, nel quale coincidono virtù e conoscenza, diventa modello in due maniere: come paradigma pratico di sequela (cfr. i cinici) e come sostenitore di un pensiero, cioè il mondo ideale, che merita imitazione (cfr. la tradizione platonica). In quest’ultimo caso, spiega Borghesi, la salvezza non viene da un modello personale, ma dalle idee che quella persona sostiene. Così, la filosofia del ‘conosci te stesso’ consiste nell’individuazione del demone divino dentro ogni persona, cioè nell’identità fra uomo e dio; solo gli uomini superiori, i filosofi, pervengono a questa conoscenza, cui non corrisponde alcun volto concreto. Con il cristianesimo, invece, l’astrazione filosofica viene surclassata dal rilievo attribuito alla dimensione storica, cioè all’incarnazione di Dio: l’ideale diventa Persona. Così, dottrina e vita, imitazione e sequela si incontrano e la dicotomia rappresentata dalla via platonica e da quella cinica non ha più ragione di essere. Il Dio incarnato ‘testimonia’ la verità di ciò che è creduto. La sua auctoritas fonda la tradizione e l’intero edificio ecclesiale: la sequela ed imitazione di Gesù Cristo trasformano l’uomo da spettatore in attore in grado di ‘rappresentare-ripresentare’ nella storia la Presenza di Lui. Volgendosi all’attualità, Borghesi mostra come il pensiero moderno, fin da Cartesio, neghi la possibilità di percepire la verità a partire dai segni, dalle ‘rappresentazioni’ di essa incarnate negli individui. L’universale non ‘può’ manifestarsi nel particolare: Cristo è ridotto a personificazione del principio buono. La persona di Cristo non ‘può’ essere il logos, perché, come hanno chiarito Kant e Lessing, la verità di ragione ( logos) non può incarnarsi in verità storiche particolari (Cristo- Dio). Con Hegel l’Idea è la totalità a cui l’individuo deve sacrificare se stesso. L’io viene obliterato e ciò che è ‘personale’ (emozioni, affetti, legami e vincoli etici) va eliminato. Negare l’io e affermare l’ideale appare come lo scopo dell’ideologia. Nel passaggio che da Hegel attraverso Marx conduce a Nietzsche, si assiste alla dissoluzione dell’idea di verità e al primato della prassi: il rivoluzionario e l’eroe romantico agiscono al di là del bene e del male in quanto il loro agire è misura e ‘regola’ del bene che deve ancora venire, di quel Bene assente, u-topico, riservato al futuro, ai ‘tempi nuovi’. La volontà, quindi, sostituisce la verità. Tuttavia, la filosofia moderna, diversamente da quella antica, non vuole restare elitaria, ma, divenuta ideologia, aspira a raggiungere le masse e, per farlo, necessita dell’idolo, cioè di ‘colui che dà l’esempio’, di una concrezione dell’ideale, del ‘capo carismatico’ di cui parla Max Weber. Il ‘post-moderno’ sancisce, però, il fallimento di questo tentativo ideologico, sostituendo l’eroe rivoluzionario con i ‘nuovi dèi’, eternamente giovani e felici, imposti dalla società dello spettacolo e nei quali risiede l’ auctoritas. L’uomo estetico, che ne deriva, obbedisce a modelli che attengono alla dimensione dell’apparenza: esso si pone alla sequela dei nuovi idoli, oppure cerca l’imitazione del divino interiore, che altro non è che l’io empirico elevato a io divino trascendentale.
In sede conclusiva, Giulio Maspero osserva che l’armonia fra auctoritas e ratio è uno dei fondamenti del pensiero cristiano e che essa viene a mancare nella riflessione filosofica contemporanea. La ragione è misura di ogni cosa e ogni altra auctoritas è negata. In ciò risiede l’origine della contrapposizione fra filosofia e teologia, fra scienza e fede. Ipotizzare una verità superiore alla ragione è interpretato come una rinuncia alla ragione. Efficacemente, ricorda Maspero, Agostino rimproverò ai pagani la chiusura mentale verso l’irrompere della verità, che supera e scardina presupposti che si rivelano erronei. Il paganesimo appare, in sostanza, una forma di rassegnazione, che non può “accettare una verità veramente buona, una verità troppo bella” (p. 212). Il pensiero, allora, accetta di essere se stesso nel venir misurato dalla Verità trascendente, alla cui auctoritas, cioè – etimologicamente – alla cui capacità di ‘far crescere’ ( augere), esso si àncora. La rinuncia a tale ancoramento appare come la cifra delle lacerazioni contemporanee, dove l’uomo è stretto nella sua aspirazione al vero dalla rassegnata rinuncia del neopaganesimo relativista ad alzare gli occhi verso l”oltre’.
Il volume ha il merito di dimostrare, con un approccio interdisciplinare, come il Tardoantico possa offrire spunti di riflessione per interpretare la contemporaneità, in particolare, intorno ai concetti di relativismo, verità e, appunto, auctoritas. I numerosi fili tematici, che tessono una trama di fecondi rapporti fra i differenti contributi, sembrano potersi aggregare attorno ad una sorta di parabola storica, che è storia del pensiero e insieme storia sociale, in cui il cristianesimo, con l’irrompere del Dio che si rivela, fornisce certezze ad un mondo, quello antico, disorientato nella ricerca della verità su Dio e sull’uomo; a quelle certezze il mondo contemporaneo, secondo alcuni degli autori del volume, intenderebbe programmaticamente rinunciare a motivo di una forma di hybris della ragione. Quest’ultima, infatti, oggi come nel Tardoantico sarebbe assurta ad auctoritas indiscussa, pur non di rado rinunciando ad essa in favore delle convenienze della consuetudo. L’incarnazione annunciata dal cristianesimo, infrangendo i dogmi imposti dall’assolutizzazione della ragione e le inveterate abitudini della tradizione, secondo le intenzioni del Seminario, manterrebbe aperti orizzonti di libertà e di stupore.
Table of Contents
Saluto (Luis Romera, Rettore Pontificia Università della Santa Croce, Roma): 5
Presentazione (Angela Maria Mazzanti, Università degli Studi di Bologna): 7-9
1. Auctoritas. Mondo tardoantico e riflessi contemporanei: un’introduzione al tema (Maria Vittoria Cerutti, Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano): 11-14
2. Il dio ignoto nel IV libro della Città di Dio di Sant’Agostino (Christian Gnilka, Università di Münster): 15-36. Der unbekannte Gott im vierten Buch der Civitas Dei Augustins: 37-59. Discussione: 60-65
3. La fede di Porfirio (Ignacio Yarza, Pontificia Università della S.Croce, Roma): 67-91. Discussione: 92-95
4. Al di là del conflitto: proposte e modalità di convivenza con il cristianesimo nel paganesimo romano del IV secolo: Simmaco, Ammiano Marcellino, Historia Augusta (Valerio Neri, Università degli Studi di Bologna): 97-118. Discussione: 119-120
5. All’origine filosofica dell’obiezione pagana. Un contributo di Agostino dalla polemica contra paganos (Giuseppe Fidelibus, Università G. d’Annunzio di Chieti-Pescara): 121-139. Discussione: 140-142
6. Il tema dell’ auctoritas nel De antro nympharum di Porfirio (Anna Bernardini Penati, Associazione Patres): 143-149
7. L’ auctoritas che fonda ogni filosofia e teologia: Bardesane e l’ Apologia siriaca ad Antonino Cesare (Ilaria Ramelli, Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano): 151-176
8. La dottrina e il testimone. Il ruolo del modello personale nel pensiero classico, cristiano, moderno (Massimo Borghesi, Università degli Studi di Perugia): 177-198. Discussione: 199-208
9. Alcune riflessioni conclusive sull’ auctoritas dal tardoantico al postmoderno (Giulio Maspero, Pontificia Università della S.Croce, Roma): 209-216
Notes
1. Tengo a precisare che la prof. I.Ramelli presso l’Università Cattolica di Milano fa riferimento al Dipartimento di Filosofia Antica, mentre io faccio parte del Dipartimento di Scienze Religiose. Non intrattengo, infatti, con Lei specifici contatti scientifici.