È sufficiente sfogliare il poderoso volume in questione (elaborazione di una tesi specialistica) per rendersi conto della straordinaria mole di materiale raccolto, analizzato e catalogato con certosina pazienza e precisione, dell’impegno indefesso, della convincente competenza che vi si celano dietro, e delle grandi ambizioni che ne costituiscono l’imprescindibile premessa. Le ambizioni sono indiscutibilmente grandi – e va bene così –; il problema, però, è chiarirsi quali esattamente esse siano. Il libro vuole catalogare e analizzare la documentazione (letteraria, epigrafica, numismatica e archeologica — il taglio dell’opera è prevalentemente storico) relativa a una dea conosciuta in numerose zone del Mediterraneo dal V secolo a.C. al II secolo d.C., chiamata con nomi diversi (Afrodite per i Greci, Astarte per i Fenici, Herentas per i Campani, Venere per i Romani), ma indissolubilmente legata alla città di Erice e all’ ethos elimo? Il libro vuole ricostruire l’evoluzione del culto a lei tributato, raggruppando tutte le testimonianze e inserendole in un unico quadro d’insieme? Il libro vuole delineare un’esaustiva storia degli studi sull’argomento? Tutte queste cose il libro le fa, e le fa egregiamente. Il libro vuole fornire proposte interpretative sulle ragioni profonde e sulle dinamiche della diffusione di questo culto “transnazionale”, una lettura originale delle modalità di ricezione di esso e della natura mimetica, sfaccettata e composita della dea? Questo il libro lo fa meno. Le conclusioni sono deboli e non riescono a svincolarsi dal ripetere e ad andare oltre alcuni “clichés” come quelli relativi alla dea ericina, divinità dall’eccezionale versatilità, e all’isola, luogo di felice commistione di culture diverse e crocevia strategico del Mediterraneo (anche se l’Autrice cerca di ridimensionare il ruolo della dea come “emporica” a favore di una dea protettrice della sfera della sessualità e dell’amore, con una forte vocazione politica e guerriera, come vedremo). Il punto è – a nostro avviso – che uno studio con le suddette premesse non può che essere, in ultima analisi, sostanzialmente una raccolta di materiale e una storia degli studi, entrambe preziosissime. Sbaglia chi si aspetta molto di più o di diverso. Una lettura in chiave storico-religiosa della vicenda della dea può – sempre a nostro avviso – essere oggetto di una successiva analisi, che tenga conto non soltanto dell’enorme documentazione raccolta, ma che porti anche a un’analisi comparativa con altre divinità aventi origine, natura, destino analoghi (a esempio Cibele, dea peraltro significativamente presente in Sicilia).
Con questa affermazione non si vuole assolutamente svilire l’opera in questione: si sa e si ripete sovente che la dea di Erice è una figura straordinariamente poliedrica e che è stata oggetto nel tempo di svariate interpretationes, che la sua straordinaria vicenda abbraccia un arco spazio-temporale particolarmente ampio, che la posizione di Erice è del tutto peculiare; ma affermare tutte queste cose sulla base dell’analisi minuziosa di tutti i materiali a nostra disposizione, opportunamente collocandoli e intrecciandoli, ha ovviamente tutt’altro spessore. Si reputa, al contrario, che ci sia bisogno di opere come questa.
Passiamo all’analisi più dettagliata delle singole sezioni del libro.
Il primo Capitolo è intitolato ” La dea di Erice nella storiografia” e si propone di offrire un quadro esaustivo delle principali linee di studio sulla dea (impresa non facile, come nota l’Autrice). La prima parte è dedicata alla storiografia sulla Sicilia antica (si segnala in particolare la critica alla predominante tendenza, tutto sommato mai veramente abbandonata, a parlare di una Afrodite “emporica”, con analogie con la “Grande Madre mediterranea”, pp. 44ss.), mentre le altre tre parti raccolgono le interpretazioni della dea nei principali studi relativi alla religione fenicio- punica, greca e romana.
Il successivo Capitolo, “Il culto della dea in Sicilia ,” si apre con un interessante discorso sul problema delle origini del culto e riprende la questione della “Grande Madre della fecondità” ( 61ss.). Con il tempo, infatti, la ricerca delle origini avrebbe imposto nella storia degli studi un modello (le origini locali del culto di una “Grande Madre”) duro a morire anche in opere non direttamente interessate a questo specifico argomento. Partendo da una più generica problematica inerente l’uso di fonti primarie e secondarie, soprattutto per quanto concerne le culture locali della Sicilia antica, la studiosa adotta posizioni decisamente e dichiaratamente brelichiane1, ritenendo “in luogo di un’indagine all’indietro nel tempo alla ricerca di una fragile quanto inconsistente essenza originaria del culto ericino […] più interessante ‘seguire il corso della storia,’ nel tentativo di delinearne le principali caratteristiche e il significato attraverso i secoli” Dal punto di vista metodologico, si tratta di una presa di posizione significativa, per quanto non originale. Questa strada, a nostro avviso, non è sempre l’unica percorribile, ma, nel caso specifico della dea ericina, si motiva con il fatto che, da un lato, la documentazione precedente al V secolo a.C. è molto evanescente (come d’altronde lo sono gli elementi distintivi fra le diverse culture locali di Sicilia), e, dall’altro, che il materiale storico a nostra disposizione è talmente ricco e ancora bisognoso di un’attenta analisi da suggerire di occuparsi in primis di esso. Apprezzabile la precisazione che non si intende abbandonare la definizione della divinità come dea locale, il cui legame con l’elima Erice è imprescindibile, ma che si vuole svincolarla da quell’idea di purezza originaria che le è stata finora associata.
Questo Capitolo è suddiviso sostanzialmente in due sezioni: “La dea nella storia di Erice” e “La dea nel resto della Sicilia.” Nella prima si dà ampio spazio alla notevole versatilità e capacità di adattamento del culto ericino e al suo profondo radicamento nel territorio, che sarebbe stato alla base della sua fortuna nei secoli, e alla rielaborazione in chiave romana (pur nel mantenimento delle tradizioni locali). Rilevante l’invito a riconsiderare l’apporto punico. Un dato di particolare interesse emerge nella seconda parte: al di fuori dell’area elima, prima delle conquista romana, il culto ericino conosce scarsissima diffusione, diversamente da quanto accade in altre zone del Mediterraneo. Per quali ragioni? Questo ci pare un aspetto meritevole di approfondimento.
Con il terzo Capitolo si arriva a “La diffusione del culto al di fuori della Sicilia.” Partendo dal presupposto che non tutte le testimonianze hanno lo stesso valore (in alcuni casi ci troviamo di fronte a semplici iscrizioni di dedica, la cui interpretazione risulta problematica), l’Autrice analizza l’evoluzione del culto della dea soprattutto in Arcadia, nel Nord Africa, in Campania e, ovviamente, a Roma (dove il suo arrivo “finì per determinare la nascita di un culto originale, contraddistinto da una felice mescolanza di tratti locali e caratteristiche mutuate sull’esempio siciliano” 179). L’Autrice dimostra che la diffusione del culto al di fuori della Sicilia risale al V secolo a.C., cioè al periodo in cui Segesta cercava strategicamente un avvicinamento al mondo ellenico; che il fenomeno di “esportazione” di esso interessò tutto il periodo di vita del santuario ed è strettamente connesso al suo prestigio locale; che l’introduzione della dea si colloca sempre al culmine di un avvicinamento culturale iniziato in loco, che dà vita a peculiari fenomeni di interpretatio; che la dea ericina si caratterizza per il forte valore ideologico a essa connesso e per la grande versatilità che la contraddistingue fin dalla nascita, avvenuta all’insegna dell’incontro fra culture eterogenee. Una volta assodati tutti questi aspetti, la lettura che offre la studiosa è di natura – come ella stessa afferma – “politica” o “politico-ideologica”, almeno in senso lato, in quanto in ultima analisi l’introduzione della dea in casa propria sarebbe stata soprattutto (ma non soltanto) un mezzo per rivendicare o rafforzare un legame con la Sicilia occidentale.
Per concludere abbiamo un Capitolo di taglio maggiormente storico-religioso, dal titolo ”La figura della dea: racconto mitico e pratiche cultual .”. La studiosa chiarisce subito che i dati a disposizione sono pochi e discontinui. “Del resto, non si può certo pensare che la fisionomia della dea sia rimasta sempre uguale a se stessa, in tutti i luoghi e in tutti i tempi” ( 181)! L’Autrice si muove in due direzioni, che poi convergono: l’analisi delle vicende mitiche, di cui la dea fu protagonista (perché, se i racconti mitici hanno la funzione di fondare e legittimare il presente storico, essi possono fornire informazioni preziose circa la visione del mondo di coloro che li hanno elaborati), e l’analisi delle modalità con cui la divinità viene in contatto con i fedeli (perché il culto e i riti, se opportunamente contestualizzati, sono estremamente indicativi della natura del destinatario). Il disegno che ne risulta, però, è (inevitabilmente, ma non colpevolmente) “un disegno sfumato: in mancanza di attestazioni dirette di ciascuno dei tratti che lo compongono, non sarà possibile estenderlo tout court a nessuna delle localizzazioni della dea né, a maggior ragione, a nessuna delle epoche storiche interessate al suo sviluppo” ( 181s.). Per quanto concerne in particolare il caso dell’ inserimento della dea all’interno della vicenda troiana, la studiosa si affianca all’ipotesi che questi racconti fossero riservati a popoli ambiguamente percepiti come a metà strada fra grecità e barbarie: “il collegamento della leggenda con il santuario ericino potrebbe essere indicativo di una connotazione della dea come greca ed estranea al tempo stesso, come una sorta di Afrodite dotata di un’aura di esotismo” ( 187).
Non molto spazio viene dedicato alla questione della “prostituzione sacra” (e forse è meglio così), ma di essa si coglie uno degli aspetti più interessanti, ovvero quello terminologico. “Prostituzione sacra”, infatti, sarebbe un contenitore piuttosto vago creato dalla storiografia moderna per raggruppare una serie eterogenea di fenomeni connessi, a vario titolo, con la prostituzione in un contesto religioso. Ma, al di là di questo, “la tutela della prostituzione dev’essere stato uno dei tratti più importanti della personalità della dea” ( 206).
Le appendici con la raccolta delle fonti costituiscono circa la metà del libro e risultano davvero ricche.2 La bibliografia è esaustiva e aggiornata.3
Non si può, per concludere, non essere grati a Beatrice Lietz per il prezioso strumento di studio che ha generosamente offerto al mondo della ricerca con passione e pazienza encomiabili, la cui qualità scientifica è indiscutibile. La via della cautela e dell’analisi del materiale storico a nostra disposizione, inquadrato peraltro in un arco spazio-temporale così vasto, non portano, però, a risultati particolarmente originali —anche se risultano assai apprezzabili i tentativi di liberare la dea di Erice dai soffocanti vincoli di sterili definizioni, che ormai andrebbero superate, come “Grande madre della fertilità” e “divinità emporica”.
Notes
1. Angelo Brelich, “La religione greca in Sicilia,” Kokalos» 10-11 (1964-1965), 35-62.
2. Sono suddivise in tre sezioni: ” Il culto della dea in Sicilia,” ”La diffusione del culto al di fuori della Sicilia,” e una brevissima appendice “ ‘Veduta pittoresca” del Tempio di Venere Ericina (Ferrara 1830-38, VIII, 296-7 “ che mi permetto di segnalare in quanto risponde al mio personale interesse per spunti e “curiosità” locali (che trovano opportuna collocazione, appunto, nelle appendici).
3. Si vuole soltanto segnalare la mancanza di Gabriella Pironti, Entre ciel et guerre. Figures d’Aphrodite en Grèce ancienne Supplemento a Kernos 18 (2007).