Nemo propheta in patria sua. Non esiste miglior espressione sintetica per descrivere il destino di oblio che la sua città natale ha riservato a questo controverso ed interessante personaggio storico al cui profilo è dedicata la monografia di Giuseppe Squillace, rielaborazione della sua tesi di dottorato discussa all’Università di Messina, ospitata liberalmente nella serie Spudasmata dall’Università di Tubinga.
Nella sua prefazione (pp. 5-8), l’A. illustra la genesi della sua ricerca che affonda le sue radici nella curiosità nata durante gli anni del dottorato1 mentre nella introduzione seguente (pp. 9-17) traccia le tappe della sua ricerca attraverso le fonti letterarie antiche.
Divisa in due parti non omogenee ma complementari, la ricostruzione della vita e delle opere di Menecrate di Siracusa, medico del IV secolo a.C., che vantò illustri pazienti e che fece parlare di sé per la sua stravaganza di farsi chiamare Zeus dai suoi assistiti, prende le mosse dall’ambiente siracusano in cui il Nostro ha sicuramente appreso l’arte medica, non immune dall’influsso delle teorie di Empedocle e di Platone. Egli inoltre, non fu certamente il primo a farsi equiparare (in realtà, sembra che “accettasse” questo onore offertogli per la sua eccezionale capacità di guarire i malati) al padre degli Dei (pp. 21-40).
Nel Theios choros dei suoi pazienti (pp. 41-46) si annoverano Nicostrato di Argo, Nicagora di Zelea e Alessarco di Macedonia. Tre personaggi di rango elevato, figure di primo piano nella scena politica dell’epoca che richiesero le cure di Menecrate, offrendogli facilmente ospitalità ed un generoso onorario.
Si è molto discusso sull’autenticità di alcune lettere (pp. 47-64) che la tradizione manoscritta ci ha fatto pervenire a suo nome. L’A. esamina i possibili modelli di riferimento quali le lettere (encomi o critiche) rivolte da parte di filosofi ed oratori ad importanti personaggi pubblici del V-IV secolo e si inoltra nell’analisi delle missive di Menecrate ad Agesilao (databile al 399-360 a.C.), ad Archidamo (menzionata da Athaen., VII, 289e) e a Filippo II delle quali si sono conservate anche le sprezzanti risposte che bollavano la tracotanza del medico.
Nel quarto capitolo (pp. 65-85), l’A. cerca una risposta sul perché Menecrate fosse divenuto oggetto di scherno da parte dei commediografi attici, già avvezzi a bersagliare la corte di Siracusa e gli intellettuali (pitagorici e platonici) che la frequentavano. Se nella lettera di Menecrate a Filippo, basata sullo stretto confronto (già usato da Platone ed Aristotele) fra medicina e politica, il medico si riteneva degno di onori divini, nel banchetto (una vera e propria Theoxenia) riferitoci da un passo di Ateneo, offertogli da Filippo, il sovrano lo scherniva, lasciandolo a digiuno e costringendolo ad andar via per fame insieme al suo seguito di ex pazienti-schiavi-dei. La figura del medico fanfarone (Menecrate) fu usata come personaggio di contorno nelle commedie attiche di Efippo e di Alessi allo scopo rispettivamente di ridicolizzare in maniera indiretta Nicostrato e di elogiare l’ eusebeia di Filippo II.
Sebbene non sia certo che Menecrate conoscesse tutte le teorie mediche discusse fin dal V secolo e fotografate nelle pagine del Corpus Hippocraticum, nel riferimento alla sua Iatrike, ci sono a detta dell’A. gli indizi per ritenere che il medico siracusano fosse giunto al secondo grado di conoscenza medica, dove ad una conoscenza pratica si abbinava secondo Aristotele anche una teorica, tipica della classe degli Architektonikoi (pp. 87- 94).
Nella seconda parte (pp. 97-169) sono raccolti, tradotti e commentati tutti i passi che si riferiscono a Menecrate [A] ed ai suoi pazienti [B].
Nelle sue conclusioni generali (pp. 171-172), grazie anche alla riscoperta della sua opera medica nei frammenti dell’ Anonimo Londinese, l’A. riabilita quindi la figura di un uomo che pur nel solco della tradizione siceliota di divinizzazione, osò esporsi al pubblico panellenico rivolgendosi ai grandi personaggi del suo tempo (Filippo II, in primis) che ne screditarono la fama, gettandolo così in pasto alle graffianti parodie dei Commediografi attici.
Da elogiare nella composizione editoriale della monografia, la presenza di tre utili cartine geografiche, di un buon apparato bibliografico (pp. 181-230) e di preziosissimi indici delle fonti letterarie ed epigrafiche (pp. 233-246) e dei nomi e dei toponimi (pp. 247-248). Solo l’assenza di un breve estratto in qualsivoglia lingua (se in tedesco avrebbe inoltre assolto al doveroso pegno di ringraziamento per l’ospitalità ricevuta nella collana di studi….) rallenta un po’ quella riscoperta di un illustre siracusano, sconosciuto alla maggior parte dei suoi stessi concittadini, che, grazie all’instancabile e appassionata ricerca di Giuseppe Squillace, riesce pur tuttavia a spezzare la coltre del silenzio e dell’oblio.
Notes
1. Cfr. G. Squillace, “Le lettere di Menecrate/Zeus ad Agesilao di Sparta e Filippo II di Macedonia”, in Kokalos, XLVI, (2004), 175-191; Idem, “Medicina e regalità: Menecrate di Siracusa e Filippo II”, in M. Caccamo Caltabiano – C. Raccuia – E. Santagati (eds.), Tyrannis, Basileia, Imperium: forme, prassi e simboli del potere politico nel mondo greco e romano. Atti delle Giornate seminariali in onore di S.N. Consolo Langher (Messina, 17-19 dicembre 2007), [ Pelorias, 18], Messina: Dipartimento di Scienze dell’Antichità dell’Università degli Studi di Messina, 2010, 193-207.