Il volume nasce sulla scia di recenti studi sull’uso di arte e memoria nell’età della Seconda Sofistica e, in particolare, sul significato politico-culturale degli interventi di evergetismo nella creazione di spazi urbani commemorativi del passato all’interno di grandi città di cultura greca. È dedicato alla ricomposizione e contestualizzazione storico- culturale di un ciclo statuario marmoreo, che uno dei consoli del 149 d.C., Sosio Prisco, avrebbe dedicato in un luogo pubblico di Centuripe, una città dell’entroterra siciliano, della quale la famiglia del console sarebbe stata originaria. Il ciclo scultoreo avrebbe compreso esponenti della dinastia giulio-claudia, un eroe locale, Lanoios, e i ritratti di membri della facoltosa famiglia del dedicante, i Pompeii Falcones ( PIR 2 VI, 1998, Stemma 29). Nonostante l’assenza di figure della casa regnante, il monumento sarebbe stato “un chiaro esempio di propaganda con richiamo alla storia mitica della città e al rapporto della famiglia del committente con Roma e con l’imperatore” (28). Il “passato troiano”, cui si allude nel titolo, sarebbe stato rievocato dagli esponenti della gens Iulia e da Lanoios, “centuripino approdato nel Lazio al seguito di Enea” (69) e mitico fondatore eponimo di Lanuvio, una città del Lazio, alla quale Centuripe era legata da un rapporto di cognatio documentato da un’epigrafe tardo- ellenistica.
La città siciliana è annoverata da Plinio tra le comunità Latinae condicionis. In età imperiale, si arricchì di vari monumenti in opera cementizia, pubblici e privati, che hanno fatto pensare e interventi finanziari imperiali e all’esistenza di un’agiata “borghesia” locale.
Il contesto di rinvenimento delle sculture facenti parte, secondo l’Autore, di un unico gruppo è quella che ormai, nella letteratura archeologica, viene definita come “area presso l’ex Mulino Barbagallo”, nella vallata orientale della collina di Centuripe. Qui, dopo rinvenimenti fortuiti e scavi clandestini, all’inizio degli anni ’50, furono avviati scavi di recupero che portarono in luce un articolato complesso architettonico, con almeno tre fasi costruttive medio- imperiali. Sulla base di un’iscrizione menzionante un sacerdote augustale, fu naturale supporre che uno degli ambienti messi in luce potesse essere sede di un collegio di Augustales e che nei pressi potesse sorgere il foro. Si è, infine, ipotizzato che tutto il complesso potesse essere parte del foro,1 ipotesi, questa, accettata ed elaborata dal Patané.
Il gruppo, al di là della sua composizione, è datato tra il 128, l’anno di una probabile visita di Adriano a Centuripe, e il 149 d.C., l’anno del consolato del dedicante (28). Arco temporale, questo, che va senz’altro ristretto, perché Sosio Prisco, morto all’età di sessantadue anni nel 180 d.C.,2 nel 128 avrebbe avuto solo una decina d’anni.
La rilettura del complesso architettonico, con cui si apre il primo capitolo, è utile, purché si tenga presente che è basata su resti profondamente danneggiati dal tempo e dai vandali nei sessant’anni intercorsi dallo scavo. Va precisato che il mosaico all’interno di un distinto corpo di fabbrica al margine sud dell’area, con l’eccezione del primo editore che lo ritenne di età antonina, non è mai “stato datato all’epoca di Adriano o degli Antonini”, come crede il Patanè (41). Esso, saldamente collocabile tra il tardo II e gli inizi del III sec. d.C., data anzi l’ultima fase costruttiva medio-imperiale, a cui appartiene il corpo di fabbrica che lo ospita. Né, in assenza di nuovi lavori, c’è motivo di sospettare che tale struttura possa appartenere ad una fase anteriore (43-44). Le partizioni ricavate in epoca tarda all’interno di uno degli ambienti di età medio-imperiale, inoltre, dal momento che non presentano il fondo impermeabilizzato né un bordo superiore, non possono essere lette come vasche (39). Né si capisce che ruolo avrebbero potuto avere delle vasche all’interno di un impianto per la produzione di calce, di cui, in base a tracce di bruciato nel terreno e di fuoco su qualche scultura, prima si congettura (40) e poi si dà per certa l’esistenza (48). In assenza di un forno o di chiari indizi della sua esistenza, è arbitrario supporre che i marmi rinvenuti in zona si trovassero lì per essere calcinati (40, 49). Poco convincente, infine, mi sembra il riconoscimento del pavimento del foro di età repubblicana in un piano acciottolato emerso in un saggio del 1987, presso l’area scavata negli anni ’50; l’identificazione di un settore così importante si basa solo sulla presenza di un frammento di capitello con tracce di riutilizzo e di uno di mattone sagomato, trovati sull’acciottolato, e sul rinvenimento, avvenuto in passato nei dintorni, di due epigrafi di carattere pubblico (31-33).
Di nessuno dei marmi, quasi tutti recuperati in seguito a ritrovamenti fortuiti o a scavi clandestini condotti per cunicoli, si conosce la posizione stratigrafica. Non è detto, quindi, che le sculture, frammentarie, lì rinvenute facessero parte di un unico ciclo. La testa del presunto Lanoios, anzi, sembra testimoniare il contrario. A differenza delle altre sculture, infatti, non fu trovata in corrispondenza di uno degli ambienti medio-imperiali, ma “sul muro” perimetrale di uno di questi.3 Tenuto conto dell’accentuato scoscendimento della zona, quindi, è legittimo supporre che la suddetta testa sia rotolata dalla zona a monte del complesso medio-imperiale, a cui questa e le altre sculture si vorrebbero rapportare, solo dopo l’abbandono e il successivo interro delle strutture. Nel ricomporre il gruppo scultoreo, all’interno del quale vengono inclusi cinque ritratti di non sicura provenienza dall’area dell’ex mulino, nei singoli pezzi sono ravvisati dei tratti di omogeneità “con caratteristiche che si ripetono costantemente, a partire dal marmo: sempre lo stesso”, ma, come si asserisce in nota, solo “ad un primo esame” e in assenza di un’indagine di laboratorio sui marmi, “che sarebbe opportuna” (48). I ritratti, in genere attribuiti al I sec. d.C., vengono ora datati al II. Al di là della validità di una tale datazione, un elemento importante, che confligge con la loro asserita omogeneità, è che l’unico ritratto del gruppo attribuibile con sicurezza al II sec. d.C. grazie alla tipica acconciatura traianea, a differenza di tutti gli altri, ha iride e pupilla incise. Non ci sono immagini, inoltre, che consentano di constatare l’asserita analogia, nella resa delle ciocche dietro l’orecchio destro, tra il suddetto ritratto e quelli dei personaggi giulio-claudi (57, 60). La levigatezza di una testa di Augusto, infine, considerata uno stilema di età adrianea (57), è in realtà – come testimonia il primo editore, che a quattro giorni dal rinvenimento ne vide la “la bella e calda patina”, poi scomparsa – un effetto dell’energico e paventato intervento di improvvisati restauratori.4 . Non mi sembra provato, in definitiva, che i ritratti dei membri della famiglia giulio-claudia facessero parte del gruppo che avrebbe dedicato Sosio Prisco.
A tale gruppo, in realtà, si possono riferire solo due epigrafi con dediche del console del 149 d.C: una alla nonna paterna, Clodia Falconilla, e una allo zio paterno, Pompeo Prisco. Non c’è alcuna prova della dedica di altre statue da parte dello stesso personaggio. È inesatto, pertanto, affermare che “dalle iscrizioni sappiamo che devono esserci due fratelli” (72) tra i componenti del presunto ciclo scultoreo, vale a dire il padre, Pompeo Falcone, oltre allo zio del dedicante. Quella di una terza pietra con dedica a Pompeo Falcone è una lontana ipotesi, prospettata nel caso in cui un frammento, ora tra l’altro ricomposto nella lastra menzionante la dedica allo zio paterno, esposta nel Museo di Centuripe, non fosse stato pertinente a quest’ultima.5 Mancano, di conseguenza, i presupposti per cercare tra i marmi dell’ex Mulino Barbagallo il ritratto di Pompeo Falcone, riconosciuto, invece, nella citata testa con acconciatura traianea, dal volto lacunoso (72-73). Decadono anche le attribuzioni a Clodia Falconilla e a Pompeo Prisco di una testa di dama con tipica acconciatura flavia, dal volto molto consunto, e di una testa maschile stilisticamente appartenente al I sec. d.C., perché proposte solo in base ad una presunta somiglianza fisionomica con il precedente ritratto (72-75). Tanto più che non è certa la provenienza delle due teste dall’area dell’ex mulino.
La presenza di statue di privati, i Pompeii Falcones, in un luogo pubblico, presuppone che anche il complesso architettonico che avrebbe accolto il monumento scultoreo, le terme (49) o il presunto foro (80), fosse frutto dell’evergetismo del dedicante o di altri esponenti della gens Pompeia (70-72). Non c’è, però, nessuna testimonianza certa al riguardo. La sola iscrizione, molto frammentaria, che citi un non meglio definito Pompeo, al genitivo (47), unico termine integrabile dell’epigrafe, non può, infatti, far “nascere il sospetto che un Pompeius sia l’evergete cui si deve la costruzione di qualcuno degli edifici” dell’area dell’ex mulino, dove è stata rinvenuta. E, a maggior ragione, non può portare a dedurre, tout court, un “atto di evergetismo di questo tipo, con la costruzione di edifici di questa portata” (68).
La parte conclusiva del primo capitolo è dedicata al messaggio politico-propagandistico che il console del 149 d.C. avrebbe voluto esprimere con il suo atto di evergetismo. Tale messaggio sarebbe passato attraverso la rievocazione della saga di Enea e della cognatio tra Centuripe e Lanuvio, richiamata dall’eroe Lanoios. Nello stesso tempo, le statue dei familiari di Sosio Prisco avrebbero ricordato i ruoli da questi ricoperti “ai massimi livelli nell’amministrazione dell’impero” (81). La presenza dell’eroe locale nel gruppo scultoreo, però, non è sorretta da alcuna evidenza epigrafica né da altri indizi oggettivi. L’assegnazione a Lanoios di una testa precedentemente attribuita ad un principe della dinastia giulio-claudia si fonda solo sul confronto tipologico con una testa di Perge assegnata ad un altro, omologo, eroe fondatore (83-84). Né la nonna né lo zio del dedicante, inoltre, i soli personaggi documentati con sicurezza nelle epigrafi, occuparono alcuna carica amministrativa. Tutto fa pensare, in realtà, come suppose già W. Eck, ad una dedica avvenuta all’interno di un contesto privato.6
In mancanza di epigrafi o di altri dati che documentino con sicurezza il finanziamento di alcun edificio da parte dei Pompeii, la proposta di assegnazione dei monumenti di Centuripe databili tra il II e gli inizi del III sec. d.C. all’evergetismo della gens Pompeia o, più specificamente, dei Pompeii Falcones, avanzata nel secondo e ultimo capitolo (95-111), si basa, in sostanza, sull’idea che tali monumenti non possono non essere frutto dell’opera della facoltosa famiglia, essendo questa di origini locali. Va tenuto presente, però, che anche le ipotesi di un’origine centuripina o genericamente siciliana dei Pompeii Falcones, prospettate agli inizi degli anni ’90,7 sono state messe in dubbio qualche anno dopo e che, in un recente lavoro sul nipote di Sosio Prisco, console nel 193 d.C., sono del tutto ignorate.8
L’idea dell’operato su vasta scala della ricca famiglia senatoria a Centuripe e le conseguenti implicazioni politico- propagandistiche rimangono, in definitiva, suggestive ipotesi in attesa di validi riscontri. Di ciò, onde evitare la loro diffusione come comprovati fenomeni storici, è bene sia consapevole chi si accosta al volume senza una conoscenza pregressa dei temi trattati. Per il resto, il lavoro è utile per la disamina di alcuni monumenti medio-imperiali di Centuripe e, soprattutto, per la collocazione cartografica di questi nel moderno tessuto urbano e per la ricomposizione della testa del presunto Pompeo Falcone su una statua di togato.
Notes
1. R.J.A. Wilson, Sicily Under the Roman Empire, Warminster 1990, 113.
2. Cfr.: H. Dessau (ed.), Inscriptiones Latinae Selectae, Berolini 1892, n. 1106.
3. G. Libertini, ‘Centuripe. Nuove indagini sulle costruzioni presso il Mulino Barbagallo. Campagna di scavo 1950- 1951’, in Notizie degli scavi di antichità, 1953, 358.
4. P. Griffo, Nuova testa di Augusto e altre scoperte di epoca romana fatte a Centuripe, Agrigento 1949, 9.
5. W. Eck, ‘Senatorische Familien der Kaiserzeit in der Provinz Sizilien’, in Zeitschrift für Papyrologie und Epigraphik, 1996, 116-117.
6. Eck, cit., 121-122.
7. Rispettivamente: Eck 1996, cit.; O. Salomies, Adoptive and Polynymous Nomenclature in the Roman Empire, Helsinki 1992, 123-125.
8. Rispettivamente: C. Marek, ‘Ein neues Zeugnis aus Kaunos für den Senator Pompeius Falco’, in Museum Helveticum, 2000, 90; D. Okoń, ‘Der Konsul Q. Pompeius Sosius Falco — Ein Nachfolger von Kommodus?’, in Eos, 2008, 109-113.