BMCR 2012.10.12

L’ora die Antigone dal nazismo agli ‘anni di piombo’. Drama: Studien zum antiken Drama und seiner Rezeption, NS, Bd 9

, L'ora die Antigone dal nazismo agli 'anni di piombo'. Drama: Studien zum antiken Drama und seiner Rezeption, NS, Bd 9. Tübingen: Gunter Narr Verlag, 2012. 172. ISBN 9783823367123. €48.00.

Nel corso di un seminario online, organizzato dal Classical Reception Studies Network, Open University (University of Liverpool, UK, 2010-2011), intitolato ‘The Purpose of Teaching Classical Receptions’, Barbara Goff richiamava l’attenzione su “How malleable the classical world turns out to be in terms of the range of significances it can be made to bear.” Il saggio di Fornaro lo dimostra molto bene commentando sulla ‘moltiplicazione’ delle Antigoni in Europa a partire dal dopoguerra (17), ciascuna delle quali risulta ‘duplicata’ dal modello originale secondo le esigenze del contingente contesto storico-sociale.

Questo saggio concerne un ‘capitolo’ specifico della ricezione dell’ Antigone sofoclea in Europa, quasi esclusivamente nell’area tedesca, dalla fine della Seconda Guerra Mondiale agli anni Ottanta: gli ‘anni di piombo’. La realtà ed il ricordo del Terzo Reich costituiscono il comune denominatore dei testi trattati: da Bertolt Brecht (1948) a Grete Weil (1980), attraverso una serie di versioni ‘intermedie’, tutte intese a dimostrare l’attualità del mito di Antigone, la sua capacità di riflettere problematiche, collettive o individuali, del presente, e il suo esemplare invito a non dimenticare le vittime della guerra. Un’esperienza personale con una delle vittime ha, di fatto, indotto la Fornaro a scrivere questo saggio. Le lacrime della figlia di una donna, un’eroina della Resistenza al Nazismo, un’Antigone moderna, Rose Schlösinger, ghigliottinata il 5 agosto 1943, hanno fornito all’autrice l’input definitivo (15).

Il saggio è articolato in sei ampie sezioni, ciascuna delle quali consiste di un diverso numero di paragrafi. Lo conclude una lista di ‘Abbreviazioni Bibliografiche’ (171-172).

La prima sezione (‘L’ora di Antigone’, 9-17) funge da introduzione: Fornaro descrive il percorso e gli obiettivi del saggio dopo aver riassunto la trama della tragedia, che inizia ad un’ora più o meno definita: l’alba. A questa sezione introduttiva, distinta dal testo vero e proprio a mo’ di prefazione, non corrisponde alcuna sezione conclusiva, come ci aspetterebbe: le conclusioni dell’autrice sono compensate nell’ultimo paragrafo (‘Antigone presente/assente’, 167- 169) dell’ultima sezione dedicata, quasi interamente, a Grete Weil (141-169). L’impronta fortemente personale di questo paragrafo conclusivo, richiamando l’altrettanto forte tono personale delle pagine introduttive, chiude, in ogni caso conformemente, l’intera trattazione.

L’ Antigone di Bertolt Brecht (1948) (19-66) costituisce il punto di partenza del percorso scelto dall’autrice. La sezione consiste in una dettagliata descrizione della rielaborazione brechtiana della tragedia sofoclea, con accurate osservazioni sul modello (la traduzione di Holderlin) e citazioni biografiche tratte sia dal diario di Brecht sia da biografie a lui dedicate. Sono citazioni che documentano l’atmosfera storico-culturale del tempo e il processo di ripensamento che ha condotto Brecht ad intraprendere quell’opera. Fornaro procede, poi, ad un’analisi comparativa con una precedente versione moderna del dramma sofocleo, a cui Nazismo e Resistenza, sebbene in Francia, fanno da sfondo: l’ Antigone di Jean Anouilh (1942). Conclude questa parte dedicata a Brecht un paragrafo che ‘mette a confronto’ Brecht e Sofocle, tramite un ‘dialogo’ scritto da Walter Jens nel 1958 (50-66). Come accade nel corso dell’intero saggio, descrizione e commento sono intervellate da citazioni di interi passi delle opere moderne in discussione. La traduzione dal tedesco a volte è presa da traduzioni esistenti, la maggior parte delle volte è fornita dall’autrice stessa (come nel caso del ‘Dialogo’ di Jens), soprattutto se si tratta di testi inediti. È questo uno dei pregi del saggio su cui mi soffermerò in seguito.

Segue ‘Antigone nella Rivoluzione’ (67-103), una sezione quasi completamente dedicata alla rielaborazione del dramma in Novembre 1918. Una rivoluzione tedesca. Opera narrativa in tre parti di Alfred Döblin (1937- 1943). Fornaro ha scelto di trattare questa opera per fornire un esempio di interpretazione totalmente opposta a quella di Brecht, per quanto entrambi gli autori, attivi nella medesima temperie storico-sociale, intendevano reagire al medesimo contigente mondo di orrori del nazismo, della guerra, e dopoguerra. Döblin riscrive l’ Antigone nel segno della conversione al cristianesimo. La sua è una Antigone polifonica, che si presta ad essere impersonata da più di un personaggio dell’ ‘opera narrativa’ nelle sue tre parti. Antigone è il fil rouge di quei tre ‘atti’. La descrizione dell’opera di Döblin è filtrata attraverso la ricostruzione dei modelli, cioè attraverso accurati riferimenti a pensatori e scrittori (e.g., R. Bultmann, S. Weil, K. Reinhardt, etc.) che hanno influenzato l’autore tedesco nella sua interpretazione di Antigone a metà strada tra teologia e filosofia (89-103). Conclude la sezione, un po’ ex abrupto, una succinta descrizione e completa traduzione di un racconto che, sebbene scritto nel medesimo periodo, rappresenta un esito diverso delle medesime interpretazioni filosofiche e teologiche che hanno influenzato Döblin. Si tratta de La fedele Antigone di Elizabeth Langgaesser (1947) (96-103).

In ‘Antigone senza oblio’ (105-125) Fornaro descrive tre rielaborazioni di Antigone meno note, prodotte da autori tedeschi, avversari del Nazismo e partecipi della Resistenza: L’ora di Antigone di Claus Hubalek (1961); L’Antigone di Berlino di Rolf Hochhuth (1963), e L’uomo che corre sul muro di Fritz Rudolph Fries (1975). Comune obiettivo di questi autori era quello di denunciare la volontà di dimenticare i crimini di guerra perpretati da Hitler, e di osteggiare il desiderio di coprire con l’oblio quelle verità scomode da sentire. Le ‘Antigoni’ di questi autori sono metafora di ribellione al silenzio e alla dimenticanza.1 La descrizione è accompagnata da un’analisi comparativa con modelli precedenti: Anouilh per Hubalek; Brecht e Döblin per Hochhuth. Non mancano riferimenti all’originale sofocleo (119-120). Preponderante è la parte dedicata alla citazione diretta dei testi. Dell’ Antigone di Hubalek, Fornaro riporta e traduce l’intero prologo, traendolo peraltro dal copione inedito dell’opera.

‘Antigone ad Auschwitz’ (127-140) costituisce la penultima sezione del saggio. Il titolo è alquanto eloquente: le Antigoni, trattate in questa sezione, sono ambientate in campi di sterminio che, anche quando indefiniti, ricordano Auschwitz. In particolare due sono gli autori discussi: lo slovacco Peter Karvas, la cui Antigone e gli altri (1962) è costellata di riferimenti alla storia slovacca all’interno di una riflessione sulla Resistenza del 1943; e Charlotte Delbo, sopravvissuta ad Auschwitz. Quest’ultima non ha, di fatto, rielaborato il dramma sofocleo. La Delbo aveva trovato nella letteratura un rifugio per sopravvivere durante gli anni di prigionia nel campo di concentramento. Antigone diventa uno ‘spettro letterario’, una compagna consolatrice “di cui racconta e con cui dialoga” (136). Ciò che accomuna l’eroina alla Delbo è l’essere stata imprigionata per essersi opposta al ‘potere politico’. Questo ‘spettro letterario’ si materializza in un poema scritto nel 1978: un coro di donne commemora i uomini del villaggio greco Kalavrita, trucidati dai Tedeschi in ritirata per rappresaglia in dicembre 1943. Sono le donne che, come Antigone, provvedono a dare una tomba ai loro uomini. Anche questa “è l’ora di Antigone”, un’ora ferma nell’orologio del paese che, dal momento della rappresaglia, non ha ripreso più a battere.

Antigone negli ‘anni di piombo’ (141-169) chiude il saggio. Tramite un breve excursus su una delle vicende che segnarono il ‘terrore’ di quegli anni (il dirottamento del Boeing della Lufthansa ad opera di quattro giovani palestinesi, nell’ottobre 1977), Fornaro richiama l’attenzione sull’attualità del tema di Antigone: in particolare, il tema della sepoltura negata. Questo tema non a caso diventa leitmotiv del film documentario Germania in autunno (1978). Di questo film ad episodi, Heinrich Böll scrisse la sceneggiatura del tredicesimo episodio: L’Antigone rinviata. Traducendo direttamente da Böll, Fornaro riporta l’abbozzo della sceneggiatura (143- 146), e l’analizza come denuncia del potere manipolitivo dei media. Il tema della sepoltura negata era troppo ‘scottante’; la rappresentazione di Antigone andava rinviata. Maggior spazio viene riservato al romanzo Mia sorella Antigone di Grete Weil (1979). Credo che Fornaro abbia intenzionalmente posto quest’opera a conclusione della rassegna, dal momento che, a suo avviso, “il passato della persecuzione nazista e il presente degli ‘anni di piombo’ sono tenuti insieme nella rievocazione dell’io narrante” (151). Nel romanzo di Weil, dunque, i due poli storico-temporali, all’interno dei quali si dipana la storia della ricezione di Antigone in Europa, si congiungono. Fornaro spiega in dettaglio quanto diversa sia l’Antigone di Weil. Menziona, inoltre, un altro romanzo di Weil, Generazioni (1983), dove Antigone appare, ancora una volta, sebbene nelle pagine finali. Di queste pagine Fornaro fornisce inoltre la traduzione (166-167).

A conclusione del saggio troviamo un breve, ma pungente e commovente paragrafo che suggella un’idea che diventa chiara, anche se non dichiarata apertamente, man mano che la lettura procede, un’idea che, a mio avviso, l’autrice vuole sia percepita tra le righe: l’ora di Antigone non è scoccata in un’alba di 2500 anni fa; non lo è nel dicembre 1943 a Kalavrita; non lo è nell’agosto 1943, quando Rose Schlosinger viene ghigliottinata; non lo è nel gennaio 1945, quando l’Armata Rossa entra ad Auschwitz; né lo è nell’ottobre 1977, con il dirottamento del Boeing della Lufthansa. L’ora di Antigone non è mai scoccata ancora ‘una volte per tutte’: continua a scoccare.

Di piacevole lettura, questo è un testo indubbiamente per gli ‘addetti ai lavori’. Alcune conoscenze preliminari sono necessarie per apprezzarne la portata, per comprendere il processo e il significato delle ricezioni di Antigone in quel particolare contesto, e, soprattutto, comprendere i differenti strati di ricezione, non sempre debitamente notati dall’autrice se non giustapponendo quella che ho menzionato come analisi comparativa. È un testo che, certamente, contribuisce a completare la bibliografia relativa alla ricezione dell’ Antigone : una tessera che mancava, fino ad ora, nel grande mosaico. Ciò che ne aumenta il merito e il valore del volume è la citazione dei testi medesimi, alcuni inediti e non disponibili finora in traduzione. L’aver così reso disponibile un’ampia gamma di testi, molti dei quali meno conosciuti ma altrettanto importanti, rappresenta, senza dubbio, un pregevole contributo. Più che un saggio, direi si tratta di un’antologia di testi di ricezione dell’ Antigone nell’area tedesca negli anni presi in considerazione dall’autrice, un’antologia corredata di dettagliati compendi, dotte note e succinte analisi.

Una più chiara articolazione, anche solo in termini formali, dell’intero libro gioverebbe, comunque, alla consultazione. La divisione per temi / periodi presente nell’indice non risulta, nel corso della lettura, di facile fruizione; l’impressione talvolta è quella di un ‘accatastare’ materiale. Non c’è conformità tra il modo usato nell’indice per indicare quelli che potremmo considerare paragrafi, ed il modo usato nel testo. Nell’indice solo i titoli dei testi direttamente citati e tradotti (ma non tutti) appaiono in corsivo; nel testo tutti i titoli sono in corsivo. Una più chiara grafica contribuirebbe alla fruizione del testo. Le note sono ricche di indicazioni bibliografiche, ma manca una vera lista bibliografica, cosa che, a mio avviso, per uno studioso è sempre auspicabile avere a disposizione. La lista di ‘Abbreviazioni Bibliografiche’ copre ben poco. Questa lista e, al tempo stesso, la presenza di note con altre indicazioni bibliografiche crea un senso di scarsa uniformità. Per quel che concerne le riflessioni dell’autrice, vorrei soffermarmi su quanto afferma a proposito del carattere ‘anticipatore’ dell’ Antigone di Anouilh (49): Fornare vede e definisce la “ragazza magra” di quest’opera come una possibile anoressica. Mi sembra un po’ eccessivo. Si tratta di una categoria mentale che, penserei, non appartiene ad Anouilh e, in quanto tale, non è, almeno nelle intenzioni dell’autore, anticipatore. Per le stesse ragioni, sarei cauta a dire che nell’Antigone di Anouilh, “c’è la prefigurazione delle ragazze ribelli della fine degli anni Sessanta del Novecento, a cui Liliana Cavalli ha dato un altro volto di Antigone nel film I cannibali (1969)”. Si tratta di un’opinione, non di un fatto, per cui eviterei l’uso dell’indicativo sia nel passo citato sia nella frase di introduzione a questa ‘opinione’: “anche l’Antigone di Anouilh è anticipatrice.” Probabilmente è la Cavani che si è ispirata ad Anouilh, e non Anouilh che ha anticipato i tempi. Inoltre, sembrerebbe che, in questo caso almeno, la Fornaro abbia in mente solo e specificamente realtà italiane, quella degli anni Sessanta del Novecento.

Queste osservazioni nulla tolgono ai meriti di questo libro, quali ho già enfatizzato.

Notes

1. Una simile ricezione dell’Antigone ‘contro l’oblio e il silenzio’, intesa a denunciare soprusi di potere e difendere i diritti dei morti, si ritrova nella letteratura argentina: Antigone diventa metafora de ‘Las madres de la playa de Majo’ e della loro lotta a difesa dei cosiddetti ‘desaparecidos’ (cf., e.g., M. F. Nelli, ‘Identity, Dignity and Memory: Performing/Re-Writing Antigone in Post-1976 Argentina’, New Voices in Classical Reception Studies, 4 (2009) 70-82).