La catalogazione e lo studio delle iscrizioni etrusche ha recentemente imboccato la strada della specializzazione per temi. In particolare, nel 2009 è uscita un’eccellente raccolta delle iscrizioni votive, a cura di Daniele Federico Maras. 1 L’Autore si propone ora di presentare la raccolta delle iscrizioni che si leggono sulle gemme etrusche. Questo significa che sono prese in considerazione anche le iscrizioni greche e latine, visto che le gemme etrusche non recano solo iscrizioni in lingua locale. Lo studio è non solo volto ad esaminare aspetti linguistici, ma anche ad indagare il rapporto fra immagini, mito ed iscrizioni, nonché il rapporto fra i proprietari delle gemme e quanto sulle medesime era inciso. L’opera di riferimento in questo campo è ancora Etruskische Skarabäen di Peter Zazoff, 2 la quale però fa testo per la cronologia e l’evoluzione stilistica, ma non per l’epigrafia. Gli aspetti ideologici e sociali degli scarabei etruschi sono stati recentemente studiati da Mario Torelli.3
Le ricerche dell’Autore, e in particolare gli approfondimenti finali, si basano sul catalogo. C’è da dire però che il metodo con cui quest’ultimo è stato redatto non è sempre affidabile. Per entrare nello specifico, i testi vengono talora letti in modo errato, sulla base dell’interpretazione delle iconografie. Segnalerò una serie di problemi che emergono.
Prima di presentare il catalogo l’Autore discute delle 16 gemme etrusche con iscrizioni greche conservate al British Museum, già nella collezione Hamilton, ritenute unanimemente come moderne. L’Autore (pp.16-18) prende in considerazione la possibile antichità di alcune di loro, e in particolare del numero 23 del catalogo di Zazoff, sul quale l’Autore legge l’iscrizione ΤΟΥΔ come cattiva grafia di ΑΘΗΝΑ (!).
Anche le letture sulle gemme meno sospette talora non sono affidabili. La nr. 40 (Boardman, in “RA” 1971, 212) sembra riportare un’iscrizione greca: ΤΡΥΣ (aggiunta in epoca moderna?), che viene presentata come “ trus (?) vel trum per tur(m)s?.” L’immagine del dio etrusco Turms ha portato a forzare la lettura. Lo scarabeo nr. 22 (Zazoff, nr. 114) porta l’iscrizione ceie, che viene fatta equivalere a cele = (her)cele. Sull’intaglio si vede Hercle (Ercol), ma questa non è una buona ragione per immaginare che Hercle potesse essere chiamato Cele. Evidentemente ceie significava qualcos’altro, che non sappiamo. Lo scarabeo nr. 57 (Zazoff, nr.337) non risulta danneggiato, e reca l’iscrizione as, che viene presentata come [aiv]as, visto che è raffigurato Aiace. Ma le parentesi quadre presuppongono una parte danneggiata sulla pietra, che non c’è. Lo scarabeo nr. 59 (Zazoff, nr.52) mostra un guerriero che si congeda da un personaggio seduto. L’Autore (cf. p.91) pensa che sia Patroclo e legge l’iscrizione (giudicata moderna dall’Autore) pathr, laddove invece si deve continuare a leggere, come in ThLE, laθr.
La gemma nr. 73, già edita dal conte di Caylus, e nota solo da due disegni, non presenta nessuna caratteristica delle gemme etrusche e raffigura un uomo seduto con cappello e bastone, accompagnato da tre lettere male incise: V⊐Γ. Per qualche ragione che non viene resa nota, l’Autore vi riconosce Troilo, e legge tru(ile). Un’altra gemma disegnata dal Caylus mostra Capaneo sopra una scala rotta, accompagnato da un’A distesa, la cui barra si apre come una Y, seguita da NO. L’A. ci legge “ kapnth per kapne ”, il nome di Capaneo. Si noti che l’Autore trascrive quasi sempre ch e th le due lettere etrusche ψ (= greco χ) e θ, il che crea incertezze laddove l’Autore scrive mi papaśx(x)a (pp. 76 e 99), o acixu (pp. 80, 101).
Lo scarabeo nr. 94 (Zazoff, nr. 186) mostra Peleo; l’Autore legge l’iscrizione p[el]e, laddove gli editori precedenti leggevano [pe]le oppure [pel]e. Sembra però che la gemma sia stata prodotta dallo stesso incisore che ha realizzato la nr. 95 (Zazoff, nr. 187), che ha l’iscrizione intera. Bisognava cercare le lettere nella stessa posizione dell’altro esemplare; e in effetti sono visibili, tranne la p, coperta dall’incisore con due segni sopra la spalla sinistra dell’eroe. Si legge dunque [p]eḷe. Lo scarabeo nr. 106 (Zazoff, nr. 1334) mostra probabilmente Teseo e l’Autore vi legge atśe (Walters e Zazoff leggevano aise) e propone di riconoscervi t(e)śe. Un anagramma, che presuppone un errore, e dunque un’ipotesi fondata su un’altra ipotesi. Sullo scarabeo nr. 113 (Zazoff, nr. 127) si legge menuci, che l’Autore fa equivalere a Menoikos; però l’eroe greco si chiamava Menoikeus, che in etrusco avrebbe dato menuce; pertanto la tesi di un genitivo latino di possesso— “di Minucio” (sostenuta recentemente dal Torelli)— è valida, e non è in contraddizione con la cronologia al V secolo della gemma, come sostiene l’Autore ( p.96), visti i sei consolati di Minuci nel V secolo.
Sullo scarabeo nr. 119 (Zazoff, nr. 646) c’è un uomo barbato e alato dietro un eroe nudo che tiene una clava. Gli editori vi hanno finora letto tielta, come si legge chiaramente anche nella foto. Ma l’Autore riconosce nell’iconografia un abbinamento inedito fra Dedalo ed Ercole e pertanto legge: taitle. In realtà, è chiaro che non si tratta di Dedalo e che non siamo in grado di capire l’iscrizione.
Nella sezione dedicata alle “gemme con iscrizioni etrusche di definizione incerta” la nr. 1, a p.78 (W.Martini, Die etruskische Ringsteinglyptik, Heidelberg 1971, nr. 47), mostra Hercle e l’iscrizione è presentata in questo modo: h(erc)le q senti. Dalla foto risulta un’iscrizione in etrusco: h[erc]le; e poi un’iscrizione latina: senti che presenta un ductus del tutto diverso e potrebbe essere ritenuta un’aggiunta posteriore, anche di secoli. La gemma nr. 3 è nota attraverso una foto edita dal Furtwängler e mostra un giovane nudo che regge una lampada e tiene un oggetto a forma di T (martello?). Furtwängler (che vedeva la gemma) aveva letto ΘLΛI, mentre l’Autore legge “ śa (?) forse ś(ethl)a(ns) ”. Poiché è evidente che non si tratta di Efesto-Sethlans, l’ipotesi di scioglimento cade. Nella sezione dedicata alle ”gemme con iscrizioni etrusche in caratteri latini” lo scarabeo nr.1, a p.82 (Zazoff, nr. 197), reca un ritratto maschile con cappello dotato di piccolo apice: Hermes-Turms (?),4 di stile tardo-repubblicano, e l’iscrizione TR VP (queste ultime in legatura), viene così presentata: “ tru per tur(ms) ”. Tale metamorfosi dell’iscrizione è inaccettabile.
C’è da segnalare poi un altro problema, quello della reale attribuzione alla glittica etrusca di alcune delle gemme presentate in catalogo. A parte il caso di intagli moderni, che l’Autore discute spesso in modo pertinente, c’è anche quello di intagli italici o romani di età imperiale che non hanno nulla a che fare con le gemme etrusche. Tre gemme mostrano un eroe seduto e pensoso, con la mano sinistra alla fronte: nel catalogo sono le nr. 44, 102 e 103 (Zazoff, nr. 89 e 307, Martini, nr. 173). La prima ha l’iscrizione aχle : Achille, le altre due θese, Teseo. L’A. (p. 91) sembra supporre che la prima, con Achille, fosse una copia di quelle con Teseo. A me sembra che solo quella con Achille sia antica: quelle con Teseo sono copie pedisseque ma in uno stile classicheggiante. La gemma nr. 107 era un’acquamarina della collezione Praun, di cui il Winckelmann vide una copia in pasta vitrea nella collezione Stosch. Essa raffigura un giovane che cavalca un delfino. La sua attribuzione alle gemme etrusche pone qualche problema perché l’iscrizione mostra un’evidente E di forma lunata, tipica dell’epoca imperiale e rarissima in epoca repubblicana. La nr. 108 è una gemma di cui resta solo un disegno, dal quale non risulta chiaramente che si tratti di un intaglio etrusco. La nr. 8 della serie delle gemme con iscrizioni di possesso o di dono, ( p. 77, all’Ermitage) è in “diaspro nero” (molto spesso questa definizione si rivela erronea), raffigura Ercole Musagete. Il Gori vi leggeva F.TEMES.R. L’A. vi riconosce v.teśes.a. Non essendo possibile leggere l’iscrizione sull’originale, non è possibile neppure sapere se si tratta di latino o di un’iscrizione moderna, mentre l’etrusco è improbabile, visto lo stile tardo-ellenistico-proto imperiale della gemma (datato dall’Autore al III-II sec. a.C.). La nr. 2 della serie delle gemme con iscrizioni etrusche di definizione incerta (p. 79) è un diaspro rosso della serie con Ercole che strangola il leone e le tre lettere KKK al rovescio, utili per combattere il male di stomaco.5 È una gemma magica, databile al II o al III secolo d.C., non una gemma etrusca.
La gemma in diaspro rosso nr. 12, a p. 82, non ha nessun elemento che la faccia ritenere etrusca. Se ne conoscono solo dei disegni; essa raffigura un cavallo in uno stile che richiama quello delle gemme greche (cf. per es. J. Boardman, Greek gems and finger rings, London 1970, 475, 477). Anche la nr. 10, a p. 81, non è una gemma etrusca; è un nicolo di cui resta solo un disegno, raffigurante un leone, il cui stile richiama gli intagli siriani o mesopotamici. La nr. 6, a p. 80, raffigura un Satiro — personalmente ritengo che sia un atleta — e l’iscrizione è letta cach oppure come greco: “SAY” (sic), possibile abbreviazione di Satyros (!). Ma se di greco si tratta, avremmo un sigma lunato, che ci aspetteremmo di trovare ovunque meno che su una gemma etrusca. Lo stile sembra quello delle gemme di epoca imperiale.
La nr. 7, p.76 (TLE 899) potrebbe non avere nulla a che fare con l’etrusco; vel.max potrebbe essere un Velleius Maximus, mentre la lettura della seconda linea vel.pem non corrisponde a quanto si vede nella fotografia, in cui la prima lettera sembra una R. Era meglio escludere dal catalogo questa ipotetica bilingue etrusco- latina.
Circa l’esegesi del mito ci sarebbe un suggerimento: lo scarabeo con Hercle che sorregge Turan avrebbe potuto essere studiato in abbinamento con lo specchio da Atri raffigurante Hercle e Mlachuch, cui G.Colonna ha dedicato molta attenzione.6
Una gemma presentata fuori catalogo (pp. 111-114) mostra uno scriba e l’iscrizione apcar, che viene tradotta con “scriba”; però era già era ben noto il vocabolo etrusco che indica lo scriba: ziχu.
Le fotografie non sono all’altezza del loro compito. Per ogni intaglio l’Autore pubblica spesso varie immagini, tratte da altre pubblicaizoni, da calchi o da vecchi disegni, mentre solo quelle del British Museum derivano da foto dell’autrice. In realtà, sarebbero servite delle immagini migliori, molto dettagliate e tali da permettere la lettura delle iscrizioni. Lo studio delle iscrizioni antiche richiede poi l’autopsia, che l’Autore ha eseguito solo per gli esemplari del British Museum. Da ciò consegue l’incertezza delle letture derivanti da foto o da disegni. Un’indagine più estesa nei musei avrebbe certamente anche permesso di capire se alcune gemme descritte da antiquari dei secoli passati sono realmente conservate dove ci si aspetta che siano. Ad esempio, le gemme descritte dal Caylus potrebbero essere nel Cabinet des Médailles.
Il libro avrebbe potuto essere molto più efficace se l’editore avesse prestato più attenzione all’aspetto scientifico dell’operazione editoriale. Il libro ha un prezzo che ritengo sproporzionato al numero di pagine. Un sistema simile a quello adottato dagli editori scientifici di vari Paesi (negli USA, ad es.) avrebbe permesso di ovviare a vari difetti del volume. Il ricorso a referees qualificati, pagati dagli editori stessi, consente di selezionare meglio le opere e di migliorarne la qualità. Un libro così costoso avrebbe dovuto essere, quanto meno, irreprensibile.
[For a response to this review by Laura Ambrosini, please see BMCR 2012.09.37.]
Notes
1. D.F. Maras, Il dono votivo. Gli dei e il sacro nelle iscrizioni etrusche di culto, Pisa – Rome 2009.
2. P. Zazoff, Etruskische Skarabäen, Mainz am Rhein, 1968.
3. M.Torelli, “Autorappresentarsi. Immagine di sè, ideologia e mito greco attraverso gli scarabei etruschi “ in Ostraka 11, 2002, 101-155.
4. P.Zazoff, Etruskische Skarabäen, 102, lo definisce “nicht etruskisch”; Id., Die antiken Gemmen, München 1983, p. 305, pensa giustamente alla ritrattistica romana. La forma del cappello potrebbe richiamare l’iconografia di Mercurio: E. Zwierlein-Diehl, Die antiken Gemmen des Kunsthistorischen Museums in Wien, II, München 1979, nr. 589-591.
5. Cf. per es. C.Bonner, Studies in Magical Amulets chiefly Graeco-Egyptian, Ann Arbor-London 1950, 63. A pp.100-101 l’Autore cita qualche gemma di questa serie, descritta dal Le Blant, ma, nonostante ciò, interpreta le tre k come abbreviazioni di kn(e)zus.
6. G.Colonna, ” I culti della Cannicella “ in Annali Mus.Fond.Cl.Faina 3, 1987, 20-22.