BMCR 2012.04.57

Amber and the Ancient World

, Amber and the Ancient World. Los Angeles: J. Paul Getty Museum, 2011. 152. ISBN 9781606060827. $25.00.

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Il volume di Faya Causey fa parte di una ricerca più ampia sull’ambra confluita in una mostra. Il testo, breve ma chiaro, è diviso in paragrafi accompagnati, come nel taglio per lo più archeologico della ricerca, da una serie di immagini di ottima qualità.

La ricerca analizza il tema da differenti punti di osservazione: linguistico, geografico, botanico, medico, storico, artistico, economico e commerciale e si basa per lo più su studi recenti riportati nella bibliografia finale (pp. 142- 145). Le note, poste per scelta editoriale alla conclusione del volume (pp. 131-141), amplificano l’immediatezza del testo accompagnato e chiarito dall’apparato iconografico e completato da una serie di indici (pp. 146-152).

Per la sua multiforme natura legata alla capacità di trasformarsi da resina vegetale in pietra, per il suo colore luminoso e caldo, per la sua rarità che ne accrebbe il valore di mercato, l’ambra fu considerata al contempo pietra preziosa e magica e si inserì nei diversi ambiti della vita quotidiana dei popoli del Mediterraneo antico. “What amber was believed to be, how it was used, and why”: questi i quesiti di partenza (p. 13). Nella risposta al primo l’Autrice fa rientrare la simbologia dell’ambra usata come pietra per la confezione di gioielli, come simbolo di unione tra due persone, con funzione di talismano utile contro le malattie, in immagini riferite allo zodiaco, come emblema di potere, dono dopo il parto, elemento connesso ai riti funerari.

Riportando le parole di Jean H. Langenheim,1 l’Autrice (p. 28) lega l’origine dell’ambra ad “an araucarian Agathis- like or a pinaceous Pseudolarix-like resin producing tree…Although the evidence appears to lean more toward a pinaceous source, an extinct ancestral tree is probably the only solution.” La resina, emessa dalla corteccia di questa pianta, dispersa poi nell’ambiente e trasportata dai fiumi, si sarebbe col tempo trasformata in pietra e dunque in ambra confluendo in depositi ubicati per lo più nei paesi del Nord Europa, sebbene tracce ne siano state trovate anche in Liguria, Sicilia, Etiopia, India e Numidia.

Indicata dai Greci come elektron e nota fin dal VI secolo a.C. al filosofo Talete per il suo magnetismo, l’ambra diede origine al termine moderno electricity coniato intorno al 1600 dal medico di Elisabetta I di Inghilterra W. Gilbert al fine di descrivere i caratteri del magnetismo. Essa, osserva l’Autrice (pp. 55-56 e note 85- 86), per la sua natura a tratti misteriosa, fu legata al mito di Fetonte, figlio del dio Sole (detto anche Elektor o Splendente) che, avendo ottenuto dal padre di guidare per un giorno il carro col disco infuocato, fu incenerito da Zeus preoccupato che potesse avvicinarsi troppo alla terra. Disperate, le sue sorelle si mutarono in pioppi e cominciarono a emettere dai loro tronchi la resina dell’ambra.2 Come quello di Mirra, madre di Adone, mutatasi nell’omonimo albero, anche questo mitoè caratterizzato da una vicenda di giovinezza, morte e metamorfosi, cui si unisce anche una componente astrologica: Fetonte infatti fu associato alla costellazione dell’Auriga (p. 59).

Se l’Autrice mostra di muoversi agevolmente tra le fonti archeologiche, talora appare poco precisa di fronte alle fonti letterarie greche e latine soprattutto nella sezione a esse dedicata (pp. 66-70). Ad esempio, a p. 67, cita tre passi di Plinio il Vecchio in relazione all’uso dell’ambra (note 111-113), ma a p. 68, pur riportando alla lettera il testo di Plinio, non indica nelle note 115 e 116 il luogo ma preferisce rimandare alla bibliografia moderna. Fa lo stesso a p. 74 per Teofrasto 3.

Nonostante questo limite imputabile al taglio della ricerca, il volume di Faya Causey non manca di pregi ravvisabili in primis nella bellezza delle foto e nell’utile commento che le accompagna e le contestualizza. In particolare sono degne di attenzione alcune parti del volume, come quella, ampia, dedicata agli amuleti usati a scopo terapeutico o apotropaico (pp. 70-88), e la sezione finale dal titolo “Archaeological evidence for the use of figured amber: three periods of abundance” (pp. 89-111). In essa l’Autrice con grande competenza ricostruisce la diffusione dell’ambra presso Greci, Romani ed Etruschi, elenca diversi tipi di manufatto e indica le officine e gli artigiani deputati a lavorare la preziosa resina, la cui sua natura multiforme legata a magia, medicina, profumeria e gioielleria se fu in grado di conquistare i popoli antichi, non manca certo di affascinare anche la società moderna.

Notes

1. J.H. Langenheim, Chemistry, Evolution, Ecology, and Ethnobotany, Portland, Oregon, 2003, p. 169.

2. Ovidio, Metamorfosi I 750-II 380; ma anche Diodoro Siculo V 23-24.

3. L’Autrice in questo caso ricorda un aneddoto riportato da Teofrasto relativo a un amuleto che una donna avrebbe donato a Pericle malato, ma nella nota 143 non cita il luogo della fonte ma rimanda ancora alla moderna bibliografia.