BMCR 2012.01.25

Stephani Byzantii Ethnica, Volumen II: Δ-Ι. Corpus Fontium Historiae Byzantinae, Bd 43/2

, , Stephani Byzantii Ethnica, Volumen II: Δ-Ι. Corpus Fontium Historiae Byzantinae, Bd 43/2. Berlin; New York: Walter de Gruyter, 2011. ix, 310. ISBN 9783110203462. €119.63.

A breve distanza dalla pubblicazione del primo volume (Berlin-New York 2006, per cui cfr. C. Neri, BMCR 2008.07.64), contenente una dettagliata introduzione e l’edizione con traduzione in tedesco delle glosse Α-Γ, esce ora, sempre per le cure di Margarethe Billerbeck, coadiuvata da Christian Zubler (già collaboratore nel primo tomo), il secondo volume degli Ethnica di Stefano di Bisanzio, in cui sono raccolte le glosse Δ-Ι: si giunge così circa alla metà del lavoro complessivo. Quella del secondo volume costituisce una sezione importante per la storia del testo, in quanto le glosse a partire da δ 139 (Δυμᾶνες) fino a δ 151 (Δώτιον), nonché ε 1 (Ἔαρες) fino a κατὰ φήμην, sono tramandate anche nel Par. Coisl. 228 (S) foll. 116r-122v (cfr. vol. I pp. *5s.) in forma plenior rispetto all’Epitome; vi si trova anche una sorta di indice della lettera ε, oltre a una forma più estesa del titolo dell’opera al fol. 122r (rr. 1-5). Che si tratti della versione integra di Stefano, oppure di una versione non ancora drasticamente epitomata, non si riesce a definire con sicurezza, come osservava già nel 2006 la Billerbeck nel corso dei Prolegomena del primo volume (p. 5*). E una redazione plenior del lessico appare forse nel De administrando imperio e nel De thematibus di Costantino VII Porfirogenito (o, per meglio dire, dei redattori delle opere volute dall’imperatore), oltre che in Tz. Chil. 3,818-20, nonché a quanto risulta in particolare dagli studi della stessa Billerbeck1 in Eustazio, segnatamente nei commentari omerici e in quello a Dionigi Periegeta, e probabilmente nel lessico attribuito a Zonara.2

Dopo un breve Vorwort (VII-IX), da integrarsi con un importante lavoro della stessa Billerbeck a proposito dei modi di citazione di Stefano (cfr. n. 1), e dopo la necessaria lista delle abbreviazioni (1*-17*), si passa alla vera e propria edizione (1-305), seguita dagli Addenda et corrigenda al primo volume (307-310). Come per il precedente, l’apparato si articola in due mantisse, la prima delle quali ospita le fonti di Stefano e quei passi di opere tardo-antiche e bizantine che mostrano una fruizione del lessico etnografico, mentre la seconda è dedicata al regesto delle variae lectiones e degli interventi degli studiosi moderni. Quanto alla prima mantissa, si osserva come un simile criterio permetta di non complicare i livelli di apparato, ma rischi talora di sacrificare qualcosa dei dettagli della storia della tradizione. In particolare risulterebbe utile, dove possibile, distinguere la tradizione geografica e storiografica, cui Stefano più o meno direttamente attinge,3 da quella più propriamente lessicografica. Non ci sembra possibile, invece, individuare un criterio inequivocabile per distinguere quello che precede la glossa da quanto la segue nel corso della storia, dal momento che la tradizione di Stefano pone un problema oggettivo e significativo, peraltro condiviso da altri lessici: un editore deve impiegare come terminus l’epoca di Stefano (per quanto non definita nel dettaglio) o la glossa nella versione epitomata (anch’essa non esattamente circoscrivibile)? E quale criterio bisogna che egli adotti nel momento in cui si trova dinanzi alla doppia tradizione, versio plenior ed epitome? Quanto invece alla seconda mantissa, si può evidenziare come l’edizione, in linea con le recenti acquisizioni in termini di edizioni dei lessici, si mantenga generalmente, e opportunamente, conservativa nella proposta di interventi sul testo. Risulta ormai acclarato come sia complesso trattare gli errori di tradizione lessicografica, anche quelli evidentissimi, in quanto si rivela molto spesso difficile, quando non impossibile, definire se un errore appartenga alla tradizione manoscritta del lessico o se non sia piuttosto penetrato nel lessico da una sua fonte.4 A tal proposito, si veda la glossa δ 13, per cui opportunamente nella n. 10 si segnala: «Bereits Holste merkte an, dass Stephanos offensichtlich eine Vorlage hatte, welche Λανούβιον (Lanuvium; vgl. Ptol. Geog. 3,1,62 [3,1,54]) zu Δανούβιον verschrieben hatte. Entsprechend fehlt ein Eintrag im Buchstaben λ der Ethnika ».

Seguono qui alcune osservazioni, che intendono servire da esempio dei molti e specifici problemi che l’edizione di un lessico normalmente presenta: problemi sempre risolti con equilibrio dagli ultimi editori di Stefano.

La glossa δ 81 appare significativa per la tradizione manoscritta: Δικαιάρχεια … πότια δὲ τὰ φρέατα καλοῦσι ̣̣Ρωμαῖοι, ὀλῆρε δὲ τὸ ὄζειν, in cui ὀλῆρε è congettura di Meineke per l’ ὄλαι di RQ contro l’ ὀλέρε di PN. Nella trattazione dei rapporti tra i codici contenuta nel primo volume la Billerbek ipotizza che Q e P derivino da uno stesso subarchetipo, che da P dipenda N, la sua Bearbeitung, e che da un subarchetipo diverso da quello di P e Q derivi R: il caso della glossa citata mostrerebbe sia una maggior vicinanza della lezione di P (e di N) a quella ritenuta originaria sia l’unione di RQ in errore contro P, ciò che fa contemplare l’ipotesi, tra altre, di un contributo extrastemmatico.5 Interessante appare anche la situazione di δ 137 (Δρυόπη), in cui i soli R e Q condividono l’errore ἰδρυοπίς.

La glossa η 5 (ᾘών) è piuttosto problematica per l’identificazione geografica del luogo, nonostante la menzione di Tucidide (o forse proprio in ragione di essa): πόλις ἐν Χερρονήσῳ, ὡς Θουκυδίδης. τὸ ἐθνικὸν ᾘονεύς. ἔστι καὶ ἄλλη πρὸς τῇ Πιερίᾳ. τὸ ἐθνικὸν ταύτης ᾘονίτης. Non si tratta di stigmatizzare come al solito le (presunte) scarse conoscenze geografiche di Stefano, quanto piuttosto di affrontare il problema che si propone allo studioso moderno in sede di edizione e di utilizzo di questa glossa. La menzione di Tucidide non ha indotto Billerbeck e Zubler a identificare il sito con Eione allo Strimone, come invece si è teso a fare precedentemente: lo storiografo in 1,97s. ricorda che Eione allo Strimone era stata strappata ai Persiani dagli Ateniesi, in 4,102 ribadisce come si tratti di un emporio. Una Eione tracica colonia dei Mendei è menzionata da Thuc. 4,7: come vide già Poppo I/2, 350 ( ed. maior, Lipsiae 1873), e in tempi più recenti la de Romilly ad l., essa non è identificabile con Eione allo Strimone, mentre la glossa di Stefano, ribadiva Poppo, andrà ricondotta proprio a Thuc. 4,7; e Poppo è stato seguito, sebbene non esplicitamente, anche da Billerbeck e Zubler. Se le cose stanno così, come appare plausibile, andrà segnalato anche Harp. 149,7 Dind. (η 20 K.): ᾘών· Δημοσθένης ἐν τῷ κατὰ Ἀριστοκράτους (23,199). ᾘὼν πόλις Θράκης, Μενδαίων ἀποικία, ὡς Θουκυδίδης· Θεόπομπος δ’ ἐν τῇ δʹ φησὶν ὡς Ἀθηναῖοι ἐκβαλόντες ἐξ ᾘόνος Ἀμφιπολίτας κατέσκαψαν τὸ χωρίον.6 Nella sezione delle note in tedesco dedicate a questa glossa (3 e 4) avremmo fatto menzione della proposta del tutto alternativa avanzata da Luciano Canfora ( RhM 128, 1985, 360-363, ora in Id., La storiografia greca, Milano 1999, 160-164) di individuare qui lo sfondo della battaglia di Abido descritta da quel Senofonte continuatore dell’esposizione tucididea (cfr. in particolare HG 1,1,5-7).

Quanto alla tradizione lessicografica, si può segnalare come per δ 41 (Δειράδες) si possa confrontare Lex. rhet. 240,26, e per δ 43 Lex. rhet. 240,25.

Alla glossa θ 69 (Θυμαιτάδαι) avremmo indicato che il demotico (come Θυμοιτάδαι) è stato registrato quale titolo comico adespoto (PCG VIII 3), ricavato da Phot. δ 762 (z) Th. e individuato da V. Tammaro, MCr 13/14 (1978/1979), 241.

Come già accennato, questo secondo volume, in quanto conserva le glosse del Coisliniano, si rivela particolarmente utile per cogliere le modalità di citazione del lessicografo. Ci chiediamo se il confronto tra le due versioni non possa suggerire qualcosa anche sulle modalità di epitomazione (cfr. già Billerbeck 2008, cit. in n. 1). Ad esempio, in δ 109 (Δόλοπες) si può ipotizzare, sulla scorta di Eust. 2,768,23 V., alle prese con Hom. Il. 9,484, la presenza nello Stefano plenior del passo omerico corrispondente? Oppure il fatto che in δ 146 (Δωδώνη) si citino, nella versione plenior, passi di Omero diversi da quello che sta commentando Eustazio allorché riprende Stefano, deve ridimensionare una simile meccanicistica ipotesi? Proprio questa glossa potrebbe tornare utile per riesaminare la questione di quale testo di Stefano Eustazio avesse utilizzato. L’Arcivescovo si confrontava con la versione integra di Stefano, oppure con un testo epitomato, benché non così drasticamente quale appare quello che ci conserva tutte le glosse (cfr. vol. I p. *35). Nella menzionata glossa δ 146, che è attestata nella tradizione diretta dal Coisliniano oltre che dall’epitome, e che è rifluita pure in Eustazio, la situazione appare quanto mai problematica. L’esistenza di due luoghi di nome Δωδώνη, noti tramite Filosseno (fr. 402 Th.), sembrerebbe essere messa in dubbio nel Coisliniano. La medesima questione riappare nell’epitome conservata e in Eustazio. Sempre in Eustazio si trova, all’interno della sezione che riprende informazioni di Stefano, la menzione di un verso delle Trachinie sofoclee (1168) assente tanto nell’epitome quanto e soprattutto nel Coisliniano. Ci si potrebbe chiedere da dove Eustazio abbia tratto la menzione sofoclea, per cui van der Valk ipotizza una scheda dell’Arcivescovo anche se la situazione potrebbe essere diversa. L’apparato potrà essere integrato da schol. TW Plat. Phaedr. 224b (85 C.), che S. Valente ha convincentemente dimostrato dipendere da una «redazione del lessico di Stefano più ampia rispetto all’epitome pervenuta» ( Eikasmós 20, 2009, 285-292: 288). La voce ι 19 (Ἰβηρίαι) gode del confronto con il capitolo 23 del De administrando imperio, ovviamente ben indicato da Billerbeck e Zubler: il passo dell’opera, che, come ha ricordato di recente Canfora (cit. in n. 3, 250), fu concepita «come strumento di istruzione e di orientamento per il figlio dell’imperatore Costantino VII Porfirogenito, e certo non fu pensata per la pubblicazione», è molto significativo per le fonti dello stesso Stefano. Proprio il capitolo 23 di Costantino, oltre a fornire importantissimi elementi per la questione del papiro cosiddetto di Artemidoro, conserva il frammento 21 Stiehle del geografo, ciò che permette di tornare nuovamente alla questione delle fonti di Stefano. Sulla problematica del frammento e del rapporto con Stefano, e di questi con Marciano, gli editori di Stefano rimandano alle puntuali osservazioni di Canfora (cit. in n. 3, 249-275; si veda anche ibid. 221-242),7 e ai lavori della stessa Billerbeck 2008 e 2009.8

In definitiva, questo volume è talmente ben riuscito che ci si augura sia presto seguito dai successivi, così da ultimare un’edizione che dalla prima metà si annuncia imprescindibile per completezza e per acribia.

Notes

1. Eikasmos 19 (2008) 301-322.

2. Si vedano K. Alpers, ‘Zonarae’ Lexicon, in RE 10/A (1972) 748, nonché le puntuali osservazioni di C. Neri nella citata recensione su questa rivista.

3. Stefano, verisimilmente, si sarà servito di lavori enciclopedici e compendiari altrui, «essendo altamente improbabile che avesse proceduto a una schedatura di prima mano di oltre 270 autori»: L. Canfora (ed.), Il papiro di Artemidoro, Roma-Bari 2008, 247.

4. Si vedano almeno i testi citati da Neri, cit. sopra alla n. 2, n. 17: R. Tosi, Recenti acquisizioni sulle metodologie lessicografiche, in Paola Volpe Cacciatore (cur.), L’erudizione scolastico-grammaticale a Bisanzio, Napoli 2003, 139-156: 152s., S. Valente, Eikasmos 18 (2007) 509-511; per ulteriori tipi di corruzioni penetrate nei lessici si veda K. Alpers, in Hesychii Alexandrini Lexicon, III, Berlin-New York 2005, XXII.

5. Cf. in merito Neri, cit. sopra alla n. 2.

6. Sulla questione delle varie città di nome Eione si veda anche W. Dindorf, Harpocrationis Lexicon in decem oratores, Oxonii 1853, 270.

7. Per una sintesi e un orientamento bibliografico sulla linea di Canfora si veda ora F. Condello, Quaderni di storia, 74 (2011) 161-256.

8. Cfr. nota 2 e Ead., Artemidorus’ Geographoumena in the Ethnika of Stephanus of Byzantium: Source and Transmission, in K. Brodersen-J. Elsner (Hrgb.), Images and Texts on the “Artemidorus Papyrus”: Working Papers on P.Artemid. (St. John’s College Oxford, 2008), Stuttgart 2009, 65-87.