Nel 1973 Papathomopoulos pubblicò un articolo in cui presentava il risultato di una ricollazione dei codici O ( Bodleianus Laudianus gr. 55, sec. XV), R ( Parisinus gr. 2722) e, per la prima volta, di M ( Monacensis gr. 182), che contiene excerpta greco-latini di mano del Poliziano.1 A distanza di circa quarant’anni da quel lavoro preparatorio, nel 2010 vede la luce l’ennesima fatica del prolifico studioso, editore nel giro di pochi anni di numerosi testi di età classica e bizantina, ricordati nella terza di copertina, tra cui le Metamorphoses di Ovidio (2002), i Cynegetica di Oppiano (2003), la tzetziana Exegesis in Iliadem (2007), le traduzioni planudee di Ovidio ( Met. 2002) e dei Dicta Catonis (2009).
Questa nuova edizione di Apollodoro si apre con un’introduzione in greco moderno (pp. 13-18), che a detta di Papathomopoulos è volutamente breve e concepita solo per fornire le informazioni strettamente necessarie all’utilizzo dell’edizione (p. 18). Per un quadro più completo dei problemi l’editore rimanda ai due studi bibliografici del compianto M. Huys.2 Nell’introduzione l’editore accenna ai problemi riguardanti l’identità dell’autore, all’impossibilità di vedervi il famoso Apollodoro di Atene, del cui Περὶ θεῶν possediamo una nutrita schiera di frammenti grazie anche a fortunati ritrovamenti papiracei, e all’ipotesi secondo cui l’opera sarebbe stata ricollegata al grammatico solo per renderla più attraente (p. 13). Vengono poi passate in rassegna le fonti espressamente citate nel testo, di cui però non si sa se l’autore avesse sempre una conoscenza diretta: Omero, Esiodo, i poemi del Ciclo, alcuni componimenti orfici, Stesicoro, i mitografi del quinto secolo a.C., i tragici e alcuni dei poeti ellenistici (tra i quali include anche Dionisio Scitobrachione che però è un prosatore), Dionisio Periegeta. Limitata è la fortuna della Bibliotheca : i contatti fra il testo apollodoreo da una parte e gli Scholia minora a Omero, i proverbi zenobiani e il quarto libro di Diodoro Siculo dall’altra dipenderebbero dall’uso di fonti comuni. Dell’opuscolo si trova invece traccia in Fozio, negli scoli del codice A di Platone (scritto in ambiente foziano) e in alcuni commenti della silloge paremiografica attribuita a Zenobio, contenuta nel Paris. gr. 3070 (XII sec.). Due estratti del manualetto furono utilizzati nel decimo secolo come hypothesis alle Trachiniae di Sofocle ( Laur. gr. 30.9) e in uno scolio all’ Antigone (v. 981), mentre nel dodicesimo secolo Giovanni Tzetze si servì della Bibliotheca per il suo commento all’ Alexandra di Licofrone. Allo stesso dotto bizantino si deve probabilmente l’ Epitome contenuta nel Vat. gr. 950. A p. 15 l’editore si sofferma sulla tradizione indiretta del testo, limitata a uno scritto sulle dodici fatiche di Eracle e a un poemetto in 211 trimetri giambici, entrambi forse opera di Giovanni Pediasimo.
Alle pp. 15-17 Papathomopoulos si occupa della tradizione manoscritta che consiste in 15 codici. L’archetipo è stato identificato da R. Wagner nel 1891 nel putroppo mutilo Paris. gr. 2722 (R), datato da N. Wilson al XII secolo (Wagner pensava fosse del XIV), di cui l’editore fornisce una sommaria descrizione. Per le sezioni in cui R è incompleto è possibile ricorrere al Bodl. Laud. gr. 55 (O), ricopiato da R quando questo era ancora integro e a sua volta possibile antigrafo dei codici recentiores. Utile per la recensio è anche M, per il quale sembra che Poliziano abbia utilizzato proprio R. A p. 17 Papathomopoulos offre uno stemma codicum, che tiene conto delle conclusioni di Diller sulla Textüberlieferung di Apollodoro e delle novità emerse dalle sue collazioni. Purtroppo però non fornisce la chiave per decifrare molte delle abbreviazioni: per comprendere a quali codici corrispondano le sigle Rb, Rc, V, N, T bisognerà fare ricorso alle edizioni di Wagner e di Scarpi.3 È necessario inoltre notare che il codice P in questo stemma compare due volte, la prima come discendente di O, la seconda come filiazione di B (a sua volta copia di O). A p. 18 l’editore informa di aver collazionato il codice R sull’originale, gli altri quattro manoscritti sui quali si basa l’edizione (E, S, O, M) su microfilm. Le lezioni dei codici Ra, P e L, che, come si legge nel conspectus siglorum (p. 28), raro citantur, proverranno dagli apparati delle edizioni precedenti. Le pp. 19-23 sono occupate da una bibliografia selettiva, divisa in edizioni (pp. 19-20) e studi (pp. 20-23).
A p. 27 viene riportato come testimonium il cod. 186 della Bibliotheca di Fozio e, a p. 29, ha inizio il testo di Apollodoro munito di un ricco apparato. L’editore ha scelto di inserire nel testo in corpo minore, distanziati da paragraphoi, estesi brani tratti da Zenobio e dagli scoli iliadici che avrebbero potuto più opportunamente trovare posto in un apparato dei loci similes (come aveva fatto già Wagner) o ancor meglio in un’appendice, evitando così di interrompere il naturale fluire della narrazione. Il testo presenta in più luoghi una facies diversa rispetto alla canonica edizione ottocentesca, ma si deve rilevare che, nonostante le nuove collazioni dell’editore, non siamo ancora in possesso di una descrizione fedele di ciò che è trasmesso dai manoscritti, soprattutto per quanto riguarda R, il codice principale. Ecco alcuni esempi. In Bibl. 3.3.17 (rigo 87) Papathomopulos stampa Δευκαλίωνι δὲ ἐγένοντο Ἰδομενεύς τε καὶ Κρήτη καὶ νόθος Μόλος. Nell’apparato ad loc. Papathomopulos scrive: «Μόλος Meursius: καὶ Μῶλος R Μῶλος M.». La correzione Μόλος di Meursius è chiaramente segnalata; dalle altre indicazioni sembrerebbe possibile desumere che, mentre in R si legge καὶ Νόθος καὶ Μῶλος (dove Νόθος è inteso come nome di un figlio di Deucalione), in M sarebbe tramandato καὶ νόθος Μῶλος (in cui νόθος è un semplice attributo di Μῶλος). L’esame del manoscritto dimostra però che la situazione è diversa. In M Poliziano scrive « Deucalioni filii fuerunt: Idomeneus Creta Nothus Μῶλος»: pur eliminando tutte le congiunzioni si allinea dunque perfettamente con R. In 3.4.23 (rr. 121-122) si legge οὗτοι δὲ ἀπέκτειναν ἀλλήλους, οἱ μὲν εἰς ἔριν ἑκούσιον ἐλθόντες, οἱ δὲ ἀγνοοῦντες. Tutta la tradizione manoscritta in questo luogo ha però οἱ δὲ ἀλλήλους ἀγνοοῦντες, informazione non presente in apparato.4 In 3.4.26 (rr. 133-134) Papathomopoulos stampa γίγνονται, ma tutti i codici, compreso R, hanno γίνονται, secondo l’uso apollodoreo.
Una collazione più accurata avrebbe potuto anche aiutare nella comprensione di una serie di undici esametri sui cani di Atteone, trasmessi insieme con la Bibliotheca, ma con ogni probabilità a essa estranei. In tutte le edizioni a 3.4.32 (r. 168) viene stampato τὰ ὀνόματα τῶν Ἀκταίωνος κυνῶν ἐκ τῶν < > οὕτω, frase alle quale seguono appunto i versi. In base a questo testo Casanova aveva assegnato il frammento epico a Esiodo e proposto di integrare ἐκ τῶν <Ἠοίων> οὕτω, supplemento accolto da Papathomopoulos. οὕτω è presente in tutti i manoscritti più recenti, mentre in R si legge chiaramente sormontanto da un τ legato a un accento circonflesso. Tale grafia, riprodotta anche da Poliziano nel Monacensis, in R viene utilizzata dal copista per vergare τοῦ, per cui bisognerebbe scrivere τὰ ὀνόματα τῶν Ἀκταίωνος κυνῶν ἐκ τῶν τοῦ < >, sottintendendo ἐπῶν. Al r. 170 R (seguito da M) ha τῆς δάσαντο κύνες κρατεροῦ e non τοῦ δάσαντο κύνες κρατεροί. Al r. 172 M ha sicuramente ἀνετός e non αἰνετός come si legge nell’apparato di Papathomopoulos. Al r. 174 viene stampato κτεῖναι, lezione dei codici recentiores, ma R ha κτεῖναν confermato da M e già congetturato da Bergk. Al r. 175 viene stampato πρῶτοι γάρ, ma R e M hanno πρῶτοι καί; gli altri codici vaticani hanno πρῶτος in luogo di πρῶτοι.
La situazione non è molto diversa per quanto riguarda l’epitome vaticana (contenuta nel codice E), per la quale l’editore tra l’altro riproduce, almeno in parte, gli errori di lettura presenti in Wagner (e in Scarpi): in 1.15 (r. 98) E ha δ᾽ ἐξάψας, non δὲ ἐξάψας; a 2.7 (r. 208) in luogo dell’erroneo ἀπιβουλήν si legga ἐπιβουλήν; si legge che la sezione 3.1 (rr. 250-254) è trasmessa da entrambe le epitomi (Vaticana e Sabbaitica), ma il testo in E non è presente; nell’apparato a 3.18 (rr. 378-379) si dice che ἀναχωρήσαντας e μεταστραφέντας sono correzioni di Wagner, mentre si tratta delle lezioni (corrette) di E, al quale vengono attribuiti gli inesistenti ἀναχωρήσαντες e μεταστραφέντες; in 6.1 (rr. 798-799) deve essere segnalato in apparato che E (così come S) ha ἀπολλομένων e non ἀπολομένων.
L’edizione si conclude con utili indici dei nomi propri e delle cose notevoli (pp. 233-292), oltre che delle fonti antiche citate (pp. 293-294).
Malgrado i problemi evidenziati, l’Apollodoro di Papathomopoulos è uno strumento apprezzabile, poiché tiene in considerazione e sfrutta adeguatamente i contributi filologici ed esegetici proposti prima e dopo Wagner. Ci si augura dunque che il nostro editore pubblichi presto una revisione del suo lavoro che, con le opportune rettifiche, costituirà un’utile acquisizione per gli studiosi della Bibliotheca.
Notes
1. M. Papathomopoulos, Pour une nouvelle édition de la “Bibliothèque” d’Apollodore, ΕΛΛΗΝΙΚΑ 26, 1973, 18-40.
2. M. Huys, 125 Years of Scholarship on Apollodoros the Mythographer: A Bibliographical Survey, AC 66, 1997, 319-351; M. Huys – D. Colomo, Bibliographical Survey on Apollodoros the Mythographer: A Supplement, AC 73, 2004, 219-237.
3. Apollodoro, I miti greci (Biblioteca), a cura di Paolo Scarpi; traduzione di Maria Grazia Ciani, Milano 1996.
4. Nel Vat. gr. 1017 si legge solamente οὗτοι δὲ ἀπέκτειναν ἀγνοοῦντες, con un chiaro salto du même au même.