La definizione “miscellanea” si adatta in senso stretto al volume presente: esso contiene lavori molto diversi, per metodo e qualità, uniti da un filo conduttore. L’idea sottostante la pubblicazione è dichiarata nella prefazione: “nella storia della cultura occidentale due fattori sembrano avere assunto un peso decisivo. Il primo è l’adozione, fino alla nostra più stretta contemporaneità, della lettura diretta degli autori – gli auctores – all’interno della scuola, accanto, e qualche volta addirittura al posto, dei «manuali» nati per le specifiche esigenze didattiche. Il secondo è la mancata sostituzione del canone degli autori.” (p. 9). Nella prefazione Gioseffi spiega che questo lavoro indaga il rapporto col classico, partendo dal presupposto che la storia dello sviluppo della scuola e dell’impiego della cultura classica in essa comprende tre periodi fondamentali, e cioè il tardo antico; il Cinquecento; il Novecento). In conseguenza di tale periodizzazione sono individuati alcuni “casi esemplari di diversi, possibili rapporti e tipologie di rapporto” coi testi classici (p. 9). Gioseffi non omette che “naturalmente si potevano individuare molti altri casi, di pari valore ed importanza” e nemmeno che “la selezione proposta non pretende di esaurire l’argomento e le sue infinite possibilità, né dal punto di vista degli autori e dei periodi prescelti, né da quello delle riprese messe in luce”(p. 9).
La prefazione del curatore è seguita da tre sezioni, diseguali per estensione. La prima ( Dal tardo antico all’età moderna) comprende il maggior numero di lavori; la seconda sezione ( il Cinquecento) e la terza ( il Novecento) hanno all’incirca la stessa consistenza, contenendo ciascuna 4 contributi.
Il primo contributo è opera di Luigi Pirovano e si occupa di un testo ennodiano (dictio 28, conosciuta anche col titolo – rifiutato da Pirovano – Didonis morientis ad Aeneam verba), cercando in primo luogo di indicarne la corretta collocazione all’intermo del sistema dei generi letterari progimnasmatici. Benché sia evidente nel testo un legame col modello virgiliano, tuttavia Pirovano propone che si tratti di un tipo di etopea detta patetica ( pathopoeia). Dopo l’inquadramento letterario, Pirovano commenta puntualmente il testo, mettendo in luce il rapporto tra testo virgiliano, commenti di Servio e Donato, creazione di Ennodio.
Il secondo contributo è incentrato sul commento serviano a Virgilio: il commentario mette in luce le fonti del poeta mantovano, ma non tutte e non sempre con criteri attualmente perspicui. Discutendo il commento di Servio ad Aen. 2.486-490, Isabella Canetta insiste sul fatto che Servio indica come fonte un Albanum excidium di cui non si serba alcuna memoria (secondo il Norden, potrebbe trattarsi di una parte degli Annales di Ennio) e tace invece sui possibili loci di tragediografia attica (che pur potrebbero essere indicati). Il commentatore non cita neppure Lucrezio 4.1177-1179 (che presenta analogie strutturali e lessicali) e Canetta ne conclude che, fatto salvo il principio della diversità della selezione delle fonti fra commento antico e moderno, Servio indica le fonti virgiliane in modi sbrigativi e talvolta parziali e tuttavia, non essendo nota la destinazione del commento serviano, la studiosa correttamente indica che la questione rimane aperta (e controversa).
Nel terzo contributo Martina Venuti parte dalle fonti della fabula Bellerophontis nelle Mythologiae di Fulgenzio (Fulg. myth. 59.2), tra le quali individua Hom. Il. 6.155-195, Hes. Theog. 319-325, Pind. Olymp. 13, Pseudo-Ap. Bibl. 2.3.1, per mettere in luce lo scopo di Fulgenzio: la possibilità di riflettere sul etimologie “morali” dei nomi parlanti dei protagonisti. Infatti, i nomi propri “Bellerofonte”, “Pegaso” e “Chimera” vengono spiegati da Fulgenzio con delle etimologie “morali” (rispettivamente “Consigliere di Saggezza”, “Fonte Eterna” e “Onda d’Amore”), piuttosto che con etimologie “fisiche”. Tale peculiarità è connessa all’esegesi del mito mediante categorie morali, un procedimento noto per Fulgenzio.
Il lavoro di Alessia Fassina prende le mosse dal centone Alcesta ( Anth. Lat. 15 R. 2), realizzato per giustapposizione di versi o emistichi di Bucoliche, Georgiche ed Eneide virgiliana ed appartenente ad un complesso di 16 composizioni realizzate tra il III ed il VI d.C. Il centone tratta la figura di Alcesti con originalità rispetto al dramma euripideo e, secondo la studiosa, va rimarcato il fatto che a dispetto delle interpretazioni negative della figura di Didone, caratteristiche dell’esegesi virgiliana, nel centone la regina cartaginese viene restituita alla sua fama prior, mediante l’identificazione con un personaggio che possiede tutte le tradizionali virtù matronali.
Il quinto articolo riguarda le funzioni digressive nella didattica medievale. Il contributo di Sandra Carapezza è incentrato sulla Psychomachia, l’ Anticlaudianus e l’ Intelligenza, tre opere che sono esempi paradigmatici dello sviluppo del poema didascalico nel Medioevo. Per la loro comprensione un punto di riferimento costante resta l’ Eneide.
La prima sezione si chiude con un’indagine semantica di Cristina Zampese. La studiosa presenta un saggio allo scopo di illuminare le ricorrenze di una parola/simbolo ( nebbia) in Petrarca e nel tentativo di individuarne le sue radici antiche in Lucrezio e Virgilio.
Il primo lavoro della seconda sezione è di Davide Colombo, che illustra le posizioni di Giraldi detto il Cinzio e del Minturno in relazione ai modelli della classicità greco-latina: il primo è un rappresentante del classicismo modernista, il secondo dell’osservanza dei modelli. Tuttavia, a metà del Cinquecento il teatro e il poema non offrono modelli ugualmente rappresentativi e da qui nasce la polemica che vede impegnati i due. Colombo mette in risalto il cuore di tale polemica: per il Minturno è giusto sempre mantenere come punto di riferimento il pubblico antico e perciò il riuso dei testi classici deve essere rigoroso e teoricamente documentato; invece per il Cinzio l’infrazione del canone degli scrittori classici di cui è consentito il riuso è da considerarsi come una finestra verso la modernità.
Nel saggio di Guglielmo Barucci, districandosi tra un lessico ispirato al preziosismo linguistico ed una sintassi orientata alla magniloquenza, il lettore segue un percorso che mette in relazione l’immagine della “villa” consegnata alla tradizione letteraria da Plinio e Seneca nelle loro epistole con quella che emerge da due testi cinquecenteschi ( Lettera in laude della villa di Lollio e Venti giornate dell’agricoltura di Gallo). Con acume lo studioso trae una conseguenza diretta sul piano letterario: nonostante i numerosi punti di contatto, la nuova normativa cortese lascia intravedere un’esigenza di fuga dalla città, anticipando il clima culturale tridentino.
Marianna Villa si interessa al variare dell’immagine di un personaggio antico. Nel fare questo si distacca in parte dal metodo prettamente filologico seguito dagli altri contributori del volume: il suo lavoro, più che interessarsi del rapporto tra un preciso testo e il Cortegiano di Baldassar Castiglione, si concentra sulla figura di Alessandro Magno che Castiglione inserisce nella sua opera come risultato della fruizione dei testi del Cheronese. Pertanto il suo lavoro insiste su un tema, più che su un testo inteso come fonte. A parere della Villa, l’immagine del Macedone che Castiglione delinea è una sorta di modello tratto dall’antichità che (insieme ad altri) svolge la funzione di conciliare il progetto pedagogico proposto con la costruzione dell’immagine sociale.
Nell’ultimo contributo della seconda sezione Michele Comelli analizza con sicuro metodo filologico e solidità d’impianto due passi di due differenti poemi, rispettivamente da L’Italia liberata dai Goti di Trissino e dall’ Avarchide di Alamanni. Analizzando puntualmente le sortite militari notturne dei libri XIII e XIX dell’ Italia liberata dai Goti, lo studioso mette in risalto la peculiarità con cui Trissino intende l’omerismo, cioè come rigorosa impersonalità autoriale e narrazione particolareggiata ma asciutta. Nei passi analizzati si evince che Trissino rimuove da ogni intento lirico-patetico (a suo giudizio) presente nel modello omerico, la Doloneia. Studiando l’ Avarchide (libri V e XV), Comelli dimostra convincentemente che l’omerismo di Alamanni consiste nel lavoro morale e formale sulla favola omerica. Pur basandosi su evidenti richiami omerici, virgiliani e staziani, il poema di Alamanni si attiene ai precetti della Poetica di Aristotele, riutilizzando della fonte omerica solo la fabula e sostanzialmente distanziandosi dalle fonti.
Nel primo lavoro della terza parte, Marco Ferrandelli in un ottimo contributo mette in luce il rapporto tra quattro poeti dotti (Virgilio, Milton, Keats, Th.S. Eliot) in una prospettiva comparatistica. Lo studioso ricostruisce con metodo solido e limpida chiarezza i modelli di Eliot, mettendo in rilievo la sua cifra di poeta doctus con ipotesi interpretative ottimamente documentate.
Nel suo contributo il curatore del volume Massimo Gioseffi, con la consueta acribia e acume, mette a fuoco la permanenza dei testi classici in tre autori italiani contemporanei: Elsa Morante, Franco Fortini, Stefano Benni. Della prima viene analizzato Prima della classe, un racconto giovanile dal quale si evincono interessanti parallelismi con le Metamorfosi di Apuleio. Del secondo Gioseffi analizza La morte del cherubino, un racconto giovanile nel quale emerge una concezione del “classico” come mondo ormai del tutto estinto, erroneamente recuperato da taluni solo sotto la forma della vanità, dell’ostentazione e della vanagloria. Purtroppo, a differenza delle analisi precedenti, nel caso di Benni la forte disistima per la sua poetica non permette allo studioso di trarre una valutazione equanime riguardo il tema dell’impiego del latino nelle tre opere analizzate [il racconto Un uomo tranquillo dalla raccolta L’ultima lacrima (1994); il romanzo Comici spaventati guerrieri (1986); il racconto Oleron della raccolta Il bar sotto il mare (1987)].
L’articolo di Luigi Ernesto Arrigoni è una puntuale analisi delle due differenti traduzioni del carme 31 di Catullo effettuate da Quasimodo, prima nel 1939 e poi nel 1955. Lo studioso mette in risalto la contiguità fra le varie opere di revisione del testo nel periodo intercorrente tra le due traduzioni e la redazione di Vento a Tìndari. In particolare, Arrigoni incentra il suo studio sul ruolo giocato dalla riflessione sui problemi metrici e fonici che Quasimodo ha affrontato nella traduzione e che hanno influenzato la nascita della musicalità della sua nuova poetica.
Il volume si chiude con uno scritto di Giuliano Cenati che, su un piano più generale, tenta di illuminare il rapporto tra Gadda e la cultura classica. Quest’ultima è il bersaglio della violenta contestazione dello scrittore, sia in riferimento alla cultura latina sia per le sue ricadute in ambito politico-sociale.
Il presente volume contiene contributi di studiosi giovanissimi, giovani (dottori o dottorandi di ricerca) e meno giovani provenienti da Milano, Trieste e Venezia, che operano in settori disciplinari contigui quali la latinistica, l’italianistica e la contemporaneistica ed è il terzo di una serie di lavori realizzati nell’arco di un decennio. Esso si presenta come un frutto interessante della situazione accademica italiana, delineatasi progressivamente con la modifica dell’assetto universitario. Il lavoro appare un tentativo di continuare, nonostante l’effettivo restringimento delle condizioni attuali, la ricerca con un approccio multidisciplinare in ambito umanistico. Perciò è un lavoro coraggioso e che contiene interessanti stimoli grazie alla varietà di approcci adottati in un unico volume. Senza dubbio, è da augurarsi la prosecuzione di una serie di questo tipo. Mette conto rilevare che, oltre all’indice dei nomi presente a fine volume, sarebbe stato opportuno, piuttosto che relegarla nelle note, fornire una bibliografia per i singoli contributi.
INDICE
1. Massimo Gioseffi: Prefazione
PARTE PRIMA Dal tardoantico all’età moderna
2. Luigi Pirovano: La Dictio 28 di Ennodio. Un’etopea parafrastica
3.Isabella Canetta: Diversos secutus poetas. Riuso e modelli nel commento di Servio all’Eneide
4. Martina Venuti: La materia mitica nelle Mythologiae di Fulgenzio. La Fabula Bellerofontis (Fulg. myth. 59.2)
5. Alessia Fassina: II ritorno alla fama prior. Didone nel centone Alcesta (Anth. Lat. 15 R.2)
6. Sandra Carapezza: Funzioni digressive nella didattica medievale. Psychomachia, Anticlaudianus e l’Intelligenza
7. Cristina Zampese: «Nebbia» nei Rerum Vulgarium Fragmenta. Appunti per un’indagine semantica
PARTE SECONDA Cinquecento
8. Davide Colombo: «Aristarchi nuovi ripresi». Giraldi, Minturno e il riuso dell’antico nella trattatistica del Cinquecento
9. Guglielmo Barucci: Plinio, e Seneca, in due lettere rinascimentali fittizie dalla villeggiatura
10. Marianna Villa: Plutarco e Castiglione: il personaggio di Alessandro Magno
11. Michele Comelli: Sortite notturne cinquecentesche. I casi di Trissino e Alamanni
PARTE TERZA Il Novecento
12. Marco Ferrandelli: «Inviolabile voice»; studio su quattro poeti dotti (Virgilio, Milton, Keats, Th.S. Eliot)
13. Massimo Gioseffi: Dalla parte del latino. Citazioni classiche in tre autori del Novecento
14. Luigi Ernesto Arrigoni: Il carme 31 da Catullo a Quasimodo sotto il segno di Vento a Tìndari
15. Giuliano Cenati: Carlo Emilio Gadda e i «cattivi maestri» latini