Dopo una breve premessa di Horst Bredekamp, Tatjana Bartsch, Marcus Becker e Charlotte Schreiter presentano il volume, esito di un convegno con il medesimo titolo svoltosi a Berlino nel 2007; la riflessione è sulla possibile “originalità delle copie”, ribaltando quell’idea di “copia” che, nella storia della cultura, ha avuto una valenza prevalentemente negativa. Emerge così che il concetto di “copia” comprende fenomeni tra loro diversi (riproduzioni, repliche, adattamenti, varianti) realizzati con tecniche e modalità differenti; ma una più libera e approfondita riconsiderazione delle copie porta con sé anche una revisione del concetto di originale (particolarmente interessanti le riflessioni sulla metodologia della Kopienkritik) e, più in generale, del processo di imitazione artistica. L’articolo presenta i vari saggi del volume e giustifica l’articolazione del libro in tre sezioni diverse, aggiungendo materiali particolarmente calzanti come le copie dall’antico scoperte presso la fonderia di Lauchhammer (inizi del XIX secolo) oppure la statua di Apollo di Paul Egell (1691-1752). A conferma della ricchezza del concetto di copia e dell’articolata relazione tra opere antiche e moderne, vorrei aggiungere un passo di una lettera di Goethe da Roma (1786): “Lo scultore [Alexander] Trippel ha eseguito in marmo una piccola Nemesi sul modello di una più grande nel museo, e uno può dire che è meglio dell’originale senza esagerazione, poiché molti artisti mediocri o anche artigiani nell’antichità erano soliti copiare buoni originali, e a volte copie erano ricavate da copie, così che in una statua un’idea può essere bella ma proporzioni ed esecuzione cattive, e un artista moderno può restituire ad essa i meriti dei suoi originali perduti”.
La prima sezione (“Kopien bewegen Originale”) inizia con un lavoro di Stefanie Klamm in cui si analizza l’uso delle riproduzioni in gesso di statue antiche, l’uso delle fotografie e della combinazione di entrambe nell’archeologia classica della seconda metà dell’Ottocento. Particolarmente interessanti le osservazioni sulla persistente importanza delle copie in gesso, la cui concretezza tridimensionale contrastava con l’astrattezza dell’idea di originale come si era andata configurando nella Kopienkritik del tempo.
Ariane Mensger presenta una panoramica degli studi, delle scoperte e delle collezioni di antichità nel nord Europa, in particolare nel corso del Cinquecento. Tra le copie si segnala quella in bronzo del cosiddetto Efebo di Magdalensberg (fig. 1); certamente degno di nota è anche il ms. 3324 della Österreichische Nationalbibliothek di Vienna, che contiene le illustrazioni degli oggetti venuti alla luce nel 1507 in uno scavo presso Bruxelles.
Johannes Myssok affronta l’atteggiamento di Canova a proposito delle copie di statue antiche: a differenza di altri scultori del tempo, come Pacetti o Cavaceppi, Canova non intendeva realizzare repliche dell’antico, ma opere che con esso potessero istituire un confronto e un dialogo. L’autore si sofferma in particolare sul Perseo e sulla Venere Italica e sul periodo in cui servirono come sostituti dell’Apollo del Belvedere e della Venere Medici portati dai Francesi a Parigi.
Anita Rieche torna su un tema da lei già affrontato in passato, la Leda di Timotheos; grazie anche a un’utile tavola riassuntiva, l’autrice fa un quadro delle copie, della loro scoperta e delle loro caratteristiche formali e iconografiche. Il saggio riflette da un lato sulle modalità con cui in epoca romana è stato ripreso e interpretato l’originale greco, dall’altro sulla ricezione moderna dell’opera, fino all’avvio del dibattito scientifico per opera di Carlo Fea (1801).
La sezione “Kopien konstituieren Originale” inizia con un saggio di Christina Ferando su Canova; lo scultore sistemò nel suo studio il “Perseo trionfante” e un gesso dell’Apollo del Belvedere, stabilendo così un confronto diretto. La situazione sollecitava quindi prese di posizione a favore o contro la statua, come quella dell’anonimo autore (forse Alessandro Verri) della “Lettera di un amatore delle arti sopra una statua rappresentante Perseo” (1801) o quella di Carl Ludwig Fernow (1806). In effetti quando l’Apollo venne portato a Parigi dai Francesi, il Perseo andò ad occupare la sua base nel Cortile del Belvedere. L’autrice si sofferma sulla vicenda che portò la scultura ad entrare nei Musei Vaticani e pubblica una lettera anonima nell’Archivio di Stato di Roma in cui si sostiene che il papa l’acquistò anche per riparare “la perdita immensa degli oggetti di arte” subita dalla città di Roma, tanto più che l’opera “interessava anche il bene ed il decoro pubblico”. Anche nei Musei Vaticani il confronto tra il Perseo e l’Apollo si ripropose, perché nel Cortile del Belvedere venne sistemata una copia in gesso della statua antica.
In modo minuzioso e puntuale Astrid Fendt analizza quattro statue, attualmente nell’Antikensammlung di Berlino, restaurate negli anni Venti del XIX secolo presso l’atelier di Christian Daniel Rauch; a tale atelier, a cui collaborò a un certo punto anche Friedrich Tieck, si devono molti interventi sulle sculture antiche allora destinate al Königliche Museum. L’autrice illustra con grande chiarezza come i restauratori dovessero da un lato confrontarsi con precedenti interventi di epoca barocca – in particolare con quelli di Lambert-Sigisbert Adam quando alcuni pezzi appartenevano alla collezione Polignac – dall’altro con il gusto neoclassico nel frattempo impostosi in Europa; nello stesso tempo diventa sempre più impellente misurarsi con l’impostazione filologica che caratterizzava ormai l’archeologia classica del tempo, in particolare con un saggio di Konrad Levezow (“Familie des Lykomedes”, 1804).
Marcel Baumgartner, Astrid Dostert e Sabine Heiser prendono in esame, da angolazioni diverse, le incisioni che Giovanni Battista Piranesi dedicò alla pianta e ai monumenti di Roma antica all’interno delle Antichità Romane (1756) e del Campo Marzio dell’antica Roma (1762). Il saggio, minuzioso e approfondito, consente di osservare da un lato come Piranesi si servisse dei materiali a disposizione (in particolare la Forma Urbis marmorea e la sua edizione da parte di Giovan Pietro Bellori), dall’altro con quali modalità risolvesse il problema della ricostruzione della città antica sia sul versante topografico che su quello monumentale.
Jerzy Miziolek illustra gli studi sulla villa Laurentina di Plinio il Giovane compiuti nel terzo quarto del Settecento dal conte polacco Stanislaus Potocki; Miziolek esamina la ricostruzione dell’ heliocaminus, in un disegno di Vincenzo Brenna, influenzata certamente dallo studio della Villa Adriana. È notevole come Potocki e i suoi disegnatori, nel tentativo di ricostruire la decorazione dei diversi ambienti, riprendano e adattino le statue e i dipinti antichi allora più celebri. Molto interessante il disegno di Giuseppe Manocchi col progetto di una galleria di statue classiche risalente al 1780 circa (fig. 14); agli inizi dell’Ottocento il conte realizzò effettivamente a Varsavia una vastissima raccolta di copie in gesso di sculture antiche provenienti da Roma (fig. 15).
La sezione “Kopien werden Originale” si apre con un saggio di Victoria Sancho Lobis che, in un primo tempo, concentra l’attenzione sull’uso del termine “originale” da parte di Rubens in relazione ad opere pittoriche proprie o altrui. Più avanti l’autrice esamina alcuni disegni dall’antico del pittore osservando come talora il movente sia un semplice intento documentario, talora, invece, lo studio della scultura classica sia il momento di un più complesso processo di imitazione e di rielaborazione. Particolarmente significativo, in questo senso, il foglio con il doppio studio dello Spinario capitolino (fig. 3): il primo una vera e propria riproduzione, il secondo decisamente modificato nella posizione del collo e del volto.
Petra Rau descrive cinque opere che Friedrich Wilhelm Doells eseguì per il Pantheon di Wörlitz (Sachsen-Anhalt) verso la fine del XVIII secolo, un capitolo interessante della fortuna dell’Egitto in epoca neoclassica. Le sculture, realizzate in gesso, sono rielaborazioni di opere che lo scultore vide in opere a stampa, in particolare l’ Antiquité expliquée di Bernard de Montfaucon. Nella seconda parte dell’articolo l’autrice esamina la statua-ritratto di Fritz von Stein all’età di sette anni eseguita da Martin Gottlieb Klauer, artista attivo a Weimar e vicino a Goethe, delineandone le possibili relazioni con modelli classici.
Malcolm Baker discute alcuni esempi di busti-ritratto del XVIII secolo, specialmente di ambito inglese. Si tratta della ripresa e della riappropriazione, in forme e gradi differenti, di un genere tipico della scultura del mondo classico e ben attestato nelle collezioni di antichità europee dell’epoca.
Uno dei saggi più interessanti e pertinenti del volume è senz’altro quello di Christoph Zuschlag sulle trasformazioni dell’antico nell’arte contemporanea. L’autore presenta quattro opere realizzate nell’ultimo quarantennio: Mimesi di Giulio Paolini (1975-1976), Senza titolo di Jannis Kounellis (1978), Fifa Fucky (1995) di Marc Weis e Martin de Mattia, The Faun di Liane Lang (2007). Si tratta di opere in cui la riflessione sull’antico varia in modo consistente, ma con un elemento ricorrente: il ricorso a riproduzioni in gesso di esemplari antichi che vengono presentate nella condizione di frammento (Kounellis), ma anche raddoppiate (Paolini), connesse a una videoscultura (Weis e de Mattia) o addirittura “rianimate” attraverso l’aggiunta di altri elementi corporei (Lang).
Le solide premesse teoriche esplicitate dai curatori fanno sì che il volume, nel suo complesso, sia ricco di interventi anche molto vari, ma sempre coerenti, pertinenti e stimolanti. Nell’indice dei nomi mancano Giacomo Quarenghi (p. 108 nota) e Andrea Sacchi (p. 97 nota).
TAVOLA DEI CONTENUTI
Horst Bredekamp, Vorwort, p. VII-VIII
T. Bartsch, M. Becker, Ch. Schreiter, Das Originale der Kopie. Eine Einführung, p. 1-26
T. Bartsch, M. Becker, Ch. Schreiter (trad. D. Cohen), The Originality of Copies. An Introduction, p. 27-43
S. Klamm, Neue Originale. Medienpluralität in der Klassischen Archäologie des 19. Jahrhunderts, p. 47-67
A. Mensger, “Figures d’anticquaiges”. Frühe Antikenkopien nördlich der Alpen, p. 69-90
J. Myssok, Die “tröstende” Kopie. Antonio Canovas “Neue Klassiker” und der Napoleonische Kunstraub, p. 91-116
A. Rieche, Verweigerte Rezeption. Zur Wirkungsgeschichte der “Leda des Timotheos”, p. 117-136
C. Ferando, Staging Neoclassicism. Antonio Canova’s Exhibition Strategies for “Triumphant Perseus”, p. 139-163
A. Fendt, Alte und neue “Originale”. Zu den Marmorergänzungen der Rauch-Werkstatt in der Berliner Antikensammlung, p. 165-190
M. Baumgartner, A. Dostert, S. Heiser, Original Rom? Das Originale der Rekonstruktion in Piranesis Antichità Romane, p. 191-222
J. Miziolek, Reconstructing Antiquity in the 1770s: The Decoration of Pliny the Younger’s Villa Maritima in Count Stanislaus K. Potocki’s Vision, p. 223-245
V. Sancho Lobis, Rubens, the Antique, and Originality Redrawn, p. 249-268
P. Rau, Kopiert und eigenständig. Friedrich Wilhelm Doells Aegyptiaca für das Wörlitzer Pantheon und Martin Gottlieb Klauers Portraitstatue des Fritz von Stein, p. 269-288
M. Baker, A Genre of Copies and Copying? The Eighteenth-Century Portrait Bust and Eighteenth-Century Responses to Antique Sculpture, p. 289-311
Ch. Zuschlag, Transformationen der Antike in der zeitgenössischen Kunst, p. 313-328.
Autorenverzeichnis, p. 329-334.