Il volume intende offrire una sintesi dei risultati più significativi conseguiti nei singoli ambiti disciplinari relativi alla storia di Arezzo nell’antichità, dalle origini pre- e protostoriche fino a tutto il VI secolo d.C. (pp. 237-253), indicando nel contempo le prospettive di un ulteriore allargamento e approfondimento degli studi.
Situata nel cuore dell’Etruria tra Cortona e Fiesole, la città non conserva le vestigia architettoniche del suo illustre passato etrusco, sebbene sia stato e continui ad essere uno dei centri su cui maggiormente si è appuntata l’attenzione degli studiosi in seguito ad eccezionali ritrovamenti quali le statue bronzee della Minerva e della Chimera, avvenuti nel 1541 e 1553.
In queste condizioni, disegnare un quadro omogeneo dei differenti aspetti della storia della città antica è reso praticamente impossibile dal carattere discontinuo delle testimonianze analizzate, sotto differenti prospettive, da una trentina di specialisti a volte in evidente disaccordo tra loro per quanto attiene all’interpretazione dei dati e archeologici e letterari a disposizione. Giovannangelo Camporeale e Luigi Firpo, i curatori del volume, dopo una premessa in cui chiariscono come esso rappresenti il risultato di un progetto che l’Accademia Petrarca di Lettere Arti e Scienze di Arezzo porta avanti dal 2007 (p. VII), hanno suddiviso i contributi in tre gruppi:
(1) Per una storia delle scoperte e delle ricerche su Arezzo antica (Giovannangelo Camporeale, L’antichità, il Medioevo, il Rinascimento, il Seicento, pp. 3-14; Cristina Cagianelli, Il Settecento, pp. 15-26; Sara Faralli, L’Ottocento, pp. 26-32);
(2) Una sezione, la più corposa del volume, comprendente una serie di contributi tematici, classificati in ordine cronologico e relativi ai differenti aspetti della storia e dell’archeologia di Arezzo (Giuseppe Tanelli, Storia geologica e antiche georisorse della terra d’Arezzo, pp. 33-38; Fabio Martini, Preistoria dell’aretino: documenti, problemi e ipotesi nel quadro dell’archeologia delle origini in Toscana, pp. 39-48; Alberto Nocentini, Il nome di Arezzo, pp. 49-54; Giovannangelo Camporeale, Arezzo in età etrusca: profilo storico, pp. 55-82; Giulio Firpo, La più antica attestazione del Casentino, 83-86; Stefano Bruni, Arezzo etrusca: l’artigianato artistico, pp. 87-104; Luigi Donati, Il ruolo di Chiusi nella cultura di Arezzo, pp. 105-112; Adriano Maggiani, La Chimera bronzea di Arezzo, pp. 113-124; Jean-Paul Morel, Le produzioni ceramiche a vernice nera di Arezzo, pp. 125-134; Luciano Agostiniani, Aspetti epigrafici e linguistici delle iscrizioni etrusche di Arezzo, pp. 135-142; Franca Maria Vanni, Una zecca ad Arezzo in epoca etrusca?, pp. 143-150; Armando Cherici, Genesi e sviluppo di Arezzo etrusca e romana, pp. 151-168; Marta Sordi, Roma, l’Etruria e Arretium nel I secolo a.C., pp. 169-176; Giulio Firpo, Lo status di Arretium in età tardorepubblicana e imperiale, pp. 177-186; Marco Buonocore, Istituzioni e famiglie di Arretium in età romana, pp. 187-196; Pierfrancesco Porena, Gaio Cilnio Mecenate, pp. 197-204; Francesca Paola Porten Palange, La ceramica aretina, pp. 205-216; Giusto Traina, Tigranus e Bargathes: due armeni ad Arretium, pp. 217-218; Giandomenico De Tommaso, Arte romana ad Arretium, pp. 219-226; Giovanni Uggeri, La viabilità romana nel territorio di Arretium, pp. 227-236; Pierluigi Licciardello, Le origini cristiane di Arretium, pp. 237-246; Alberto Fatucchi, La più antica documentazione della cristianizzazione nel territorio aretino, pp. 247-252);
(3) Un gruppo di contributi relativi alle Indagini archeologiche recenti nel territorio provinciale aretino (Silvia Vilucchi, Il Valdarno superiore. Arezzo e il suo territorio, pp. 255-260; Margherita Gilda Scarpellini, Castiglion Fiorentino, pp. 261-263; Monica Salvini, La Valtiberina, pp. 264-267; Luca Fedeli, Il Casentino e la Valdichiana orientale, pp. 268-271; Silvia Vilucchi, Il Museo Archeologico Nazionale «Gaio Cilnio Mecenate» di Arezzo, pp. 272-277).
L’opera è corredata, oltre che da un indice delle fonti (p. 279) e da un indispensabile indice dei nomi propri (pp. 281-293), da 28 tavole a colori e in bianco e nero (oltre a numerose illustrazioni inserite a corredo dei singoli testi, utile sussidio per una lettura più agevole degli stessi).
Tutti i contributi sono di elevato valore scientifico. All’interno della seconda sezione del volume, quella che come si è detto è la più corposa, trovano posto numerosi contributi relativi alla storia e all’archeologia di Arezzo.
Per quanto attiene alla storia, certamente degno di rilievo è quello che reca la firma di Alberto Nocerini (pp. 49-54), che sviscera in modo chiaro ed esaustivo il problema tuttora irrisolto dell’origine del nome latino di Arezzo (quello etrusco non si conosce); molto utile ai fini della ricostruzione del sistema viario del territorio aretino l’indagine effettuata da Giovanni Uggeri (p. 227-236); di grande interesse sono anche le nutrite sintesi relative alla storia della città etrusca e romana curate da Giovannangelo Camporeale, Armando Cherici, Marta Sordi – in quello che fu probabilmente il suo ultimo lavoro – Giulio Firpo, Marco Buonocore e Pierfrancesco Porena (pp. 55-82; 151-168; 169-176; 177-186; 187-196; 197-204). L’aspetto linguistico delle iscrizioni aretine, le più antiche delle quali risalgono alla metà del VI secolo a.C., è indagato da Luciano Agostiniani e da Giulio Firpo (pp. 135-142; 83-86), il quale analizza in modo esaustivo il testo inciso su una lamina bronzea, ascrivibile all’inizio del III secolo a.C. e menzionante quasi certamente un comandante marso di nome Caso Cantovio.
Ma Arezzo in epoca antica deve la propria fama anche e soprattutto alle opere di artigianato artistico recuperate nel corso dei secoli dal suolo aretino, che testimoniano della ricchezza e della vitalità culturali della sua élite municipale (pp. 219-225).
Le prime testimonianze relative alla presenza di santuari e di un impianto proto urbano nel suo territorio sembrano risalire al VII secolo a.C., secolo in cui risulta già fiorente l’industria metallurgica, che diverrà molto presto una delle basi dell’economia aretina, come testimonia l’abbondanza di ritrovamenti di armi, attrezzi agricoli e soprattutto di statue in bronzo, come la famosa Chimera (pp. 87-104 e 113-124), opera collocabile cronologicamente all’inizio del IV secolo a.C., che si può ritenere il prodotto di una bottega di coroplasti e bronzieri etruschi e magnogreci, formatasi probabilmente in qualche area del medio corso del Tevere e spintasi nell’Etruria del nord al servizio della ricca clientela locale (pp. 87-104). Di questa ricca committenza doveva far parte anche la gens Cilnia, la gens di Caio Cilnio Mecenate, il grande patrono di poeti e letterati, amico di Augusto (pp. 197-204). L’industria metallurgica aretina dovette avere anche le capacità materiali (materie prime e manodopera specializzata) per produrre monete: è questa l’ipotesi formulata da Franca Maria Vanni che accenna alla probabile presenza nel territorio cittadino, di un atelier monetario a cui andrebbe fatto risalire il cosiddetto gruppo della “ruota” attivo nel III secolo a.C. (pp. 143-149).
Restando sempre nell’ambito della produzione artistica aretina, una posizione di primo piano la occupano la ceramica a vernice nera, di cui la città iniziò ad essere produttrice a partire dal IV secolo a.C. (pp. 125-133) e quella a vernice rossa, collocabile cronologicamente intorno alla prima metà del I secolo a.C. Arezzo fu rinomata anche per la produzione di vasi cosiddetti a rilievo i cui precedenti vanno ricercati nelle officine ceramiche ellenistiche e in quella italo-megarese e che si fa convenzionalmente iniziare intorno al 30 a.C. (pp. 205-216; cfr. pp. 217-218, in cui Giusto Traina affronta il problema della possibile origine armena dei due ceramografi Tigranus e Bargathes).
Fu solo verso la fine del Rinascimento che nacque un vero e proprio interesse per la storia della città antica, al tempo dei primi eccezionali ritrovamenti di iscrizioni, sculture e mosaici, che colpirono non solo la nobiltà fiorentina ma lo stesso Cosimo I de’ Medici che s’improvvisò lui stesso restauratore di metalli, sotto l’occhio vigile di Benvenuto Cellini (pp. 9, 113). Si dovrà tuttavia attendere l’inizio del secolo successivo perché Cosimo II de’ Medici inviti l’erudito scozzese Thomas Dempster a scrivere la prima opera interamente dedicata all’Etruria che riserva un posto significativo alle antichità di Arezzo, dal titolo ‘De Etruria regali libri VII’, rimasta inedita fino al 1723 (p. 11). Il XVIII secolo è dominato dalla personalità del fiorentino Anton Francesco Gori, l’autore di un imponente corpus di iscrizioni etrusche. Ma è nel diciannovesimo secolo che cominciano a prendere corpo ad Arezzo iniziative quali, nel 1823, la creazione del museo archeologico e di storia naturale della città (Silvia Vilucchi, pp. 272-277), grazie anche alla presenza di Gian Francesco Gamurrini, grande protagonista dell’archeologia ottocentesca (pp. 30-31).
Indubbiamente questo ambizioso volume curato da Camporeale e da Firpo costituirà d’ora in avanti uno strumento imprescindibile per chiunque si accinga ad affrontare lo studio dell’Etruria in generale e di Arezzo in particolare, considerato anche l’indubbio valore scientifico dei contributi che recano tutti la firma di studiosi di chiara e riconosciuta fama internazionale in questo ambito di studi.