BMCR 2010.08.47

Etruscan by Definition: The Culture, Regional and Personal Identity of the Etruscans. Papers in Honour of Sybille Haynes. The British Museum Research Publication no. 173

, , Etruscan by Definition: The Culture, Regional and Personal Identity of the Etruscans. Papers in Honour of Sybille Haynes. The British Museum Research Publication no. 173. London: British Museum, 2009. viii, 111. ISBN 9780861591732. $60.00 (pb).

[Authors and titles are listed at the end of the review.]

Il volume è il risultato di un convegno in omaggio a Sybille Haynes, importante figura della ricerca etruscologica europea: tedesca di formazione, ha lavorato a lungo presso il Greek and Roman Department del British Museum, che è l’istituzione che le ha reso omaggio con questa iniziativa. Il titolo, Etruscans by definition, è anche un ideale filo conduttore per i contributi (o almeno buona parte) del volume, legati alla questione, molto in voga in ambito anglosassone, dell’identità culturale.

Dopo una breve premessa del Direttore del British Museum Neil MacGregor, un profilo biografico della Haynes ed una bibliografia dei suoi lavori, il volume entra nel vivo con la prima sezione: “Establishing the Etruscans in the 18th century”. Essa contiene un contributo di David Ridgway dedicato a James Byres, notevole figura di antiquario scozzese vissuto nel XVIII secolo (1734-1817). Ridgway ne ricostruisce la biografia, valorizzandone il contributo allo sviluppo dell’interesse per gli Etruschi nell’Europa del suo tempo. Uno spazio importante è dedicato ai disegni effettuati da Byres a Tarquinia, pubblicati nel 1842, dunque dopo la morte dell’autore, da Frank Howard.

La seconda sezione, “Etruscan Production and Interpretation”, si apre con un lavoro di Dyfri Williams . L’oggetto è un vaso appartenuto alla collezione di Elizabeth Hamilton Gray (1801-1887), figura pionieristica dell’etruscologia ottocentesca al femminile, autrice del Tour to the Sepulchres of Etruria in 1839 (tre edizioni londinesi tra il 1840 ed il 1843). Dopo la morte della Hamilton, la sua collezione fu venduta all’asta e poi smembrata. Ma pochi anni fa uno dei pezzi più interessanti, un’anfora geometrica di produzione etrusca, è stata acquistata dal British Museum in un’asta da Sotheby’s. L’analisi del Williams porta a concludere che il pezzo sia di produzione etrusca meridionale della fine dell’VIII secolo a.C., dunque in un momento in cui i grandi centri dell’Etruria meridionale erano in piena formazione, e forgiavano la loro identità culturale anche grazie alle connessioni col mondo mediterraneo.

Williams, che dirige il Department of Greece and Rome del British Museum, firma anche una breve nota dedicata ad un altro recente acquisto (2008) del museo londinese. Il pezzo era parte di una collezione tedesca, prima di comparire sul mercato antiquario. Si tratta di una oinochoe col becco a forma di ariete e decorazione in stile italo-geometrico. Sembra però doveroso aggiungere all’analisi del Williams che il pezzo si inserisce più specificamente nel gruppo di esemplari noto come “del Pittore di Narce,” nel quale trova confronti che paiono stringenti.1

Di Laura Ambrosini è l’articolo che verte intorno ad alcune novità dagli scavi di Veio, ed in particolare ad una kylix a figure rosse di fine V secolo che trova stretto confronto in un esemplare da Spina, considerato in letteratura di produzione etrusca. L’indagine della Ambrosini rivela che entrambi i pezzi sono riconducibili ad una produzione attica, del cosiddetto “Zalamea Group”. Il contributo si chiude con interessanti riflessioni sulla circolazione di ceramica attica in Etruria ed in particolare a Veio.

Ancora dalle “viscere” del British Museum è estratta un’ importante novità, di cui rende conto Judith Swaddling in un ampio saggio dal titolo spiritoso. Al centro dell’articolo sono due esemplari di sistro: uno è parte delle collezioni del museo da più di cento anni, il secondo si è aggiunto di recente (2005) tramite un acquisto sul mercato antiquario. L’analisi e la comparazione tra i due esemplari, che sono simili, permette alla Swaddling di abbassare la datazione tradizionalmente accettata. Dopo una disamina del ruolo del sistro in antichità e degli esemplari noti in Italia, la conclusione è che i due pezzi del British Museum possono essere stati prodotti in Campania, area in cui è particolarmente diffuso il culto di Iside (ed è nota la connessione tra questi culti ed il sistro); la datazione proposta è agli ultimi due secoli a.C. L’articolo ha in appendice un dettagliato report sulle analisi scientifiche condotte sui due esemplari.

Giovanna Bagnasco Gianni è autrice di un saggio dal titolo “wildiano.” Umaele appare su diversi specchi, che già altri in precedenza avevano studiato; la Bagnasco inserisce l’analisi in un contesto più ampio, prendendo in considerazione tutti gli elementi presenti sugli specchi e rivedendoli alla luce della mitologia greca. La conclusione, supportata da dati linguistici ed iconografici, è che l’Umaele etrusco possa essere l’Eumalos greco, semileggendario cantore corinzio. Questa ipotesi era stata ancora di recente esclusa dagli studiosi; l’analisi della Bagnasco conduce invece a ritenerla ammissibile, e ne rivela diversi interessanti risvolti, non da ultimo sui meccanismi attraverso i quali gli Etruschi elaboravano la loro identità culturale adattando apporti culturali esterni alla loro “architecture of concepts” (p. 51).

Una breve nota di Antonella Romualdi, funzionario della Soprintendenza di Firenze, è dedicata alla manifattura di bronzi tardo-Orientalizzanti a Chiusi. Al centro del contributo è una protome bronzea di grifone, di produzione samia, attualmente conservata al Museo Nazionale di Firenze. Sullo sfondo rimane la questione dei modelli e delle trasmissioni tra Grecia ed Etruria tra VII e VI secolo.

La sezione “Houses, Tombs and Temples” si apre con un interessante lavoro di Friedhelm Prayon, che parte da una considerazione: influenze greche sono ben visibili in diversi ambiti dell’arte e dell’architettura etrusca, tranne che nel tipo di casa “ad atrio”— e ciò per motivi di tipo religioso e sociale. Innanzitutto, la casa ad atrio ha una struttura che è espressione di un concetto religioso tipico del mondo etrusco e poi romano, ed estraneo alla grecità; inoltre, la disposizione della casa ad atrio è legata ad una particolare struttura sociale di tipo gentilizio. Risulta estremamente interessante la proposta di individuare in tombe ed edifici pubblici e privati una pars antica, destinata alla clientela, al ricevimento, alla vita pubblica, ed una pars postica, privata. Questa divisione funzionale troverebbe un riscontro in una concezione celeste, secondo un ragionamento di cui qui non si può rendere conto per esteso. La difficoltà che si incontra in alcuni passaggi è forse, tutto sommato, intrinseca alla documentazione etrusca: infatti in diverse occasioni appare difficile intendere appieno le divergenze e le sovrapponibilità tra le sfere del politico e del sacro.

Stephan Steingräber affronta il tema delle necropoli rupestri— una realtà archeologica ricca di fascino. L’autore opportunamente apre il suo lavoro rievocando la storia degli studi, da cui emerge che questo fascino ha colpito già nel XIX secolo. Eppure, finora l’attenzione degli studiosi si è rivolta prevalentemente all’aspetto esteriore delle tombe ruperstri, mentre risultano poco indagati gli interni ed i corredi. L’autore svolge dunque un’ utile rassegna delle necropoli rupestri etrusche, sottolineando con particolare efficacia i confronti con l’Asia minore.

Nancy Winter, che ha da poco pubblicato un voluminoso libro sulle decorazioni architettoniche in Italia centrale tra VII e VI secolo a.C.2, vuole risolvere l’enigma della sfinge sul tetto. La Winter passa in rassegna i casi di sfingi collocate sui tetti di templi in Grecia, Sicilia, Etruria ed Italia centrale, sottolineando la particolare importanza della sfinge in ambito corinzio. Da ciò discende la proposta che la scelta fosse un preciso richiamo corinzio, e che di conseguenza l’esemplare che troneggiava sul tempio di S. Omobono a Roma fosse una voluta allusione da parte di Tarquinio il Superbo alle sue origini bacchiadi (idea già accennata nella sua monografia a p. 581). La proposta non sembra in verità del tutto convincente. La Winter fa un accenno forse troppo cursorio alla parallela produzione etrusca di sfingi in pietra: queste non erano collocate solo all’ingresso delle tombe (p. 69) ma a volte anche sul tetto, come nei casi di Vulci e di Tuscania; peraltro la produzione lapidea di sfingi offre confronti anche per altre anomalie, come la presenza di sfingi di sesso maschile.3

La sezione “Funerary Practice” è aperta da un lavoro di Stefano Bruni. Il tema è un tumulo monumentale scoperto ed indagato a Pisa, databile tra la fine dell’VIII e gli inizi del VII secolo. L’assenza dei resti del defunto nella tomba induce a formulare l’ipotesi che si trattasse di un cenotafio. La presenza di un tridente bronzeo, oggetto piuttosto raro in Etruria, suggerisce inoltre l’idea che il titolare della tomba avesse incontrato la morte mentre impegnato in attività marinare. Entrambe le ipotesi risultano convincenti e sono formulate con dovizia di argomenti, al punto che appaiono, tutto sommato, superflui i richiami al funus imaginarium e ad un anomalo cerimoniale funebre estense del 1559.

Un bel lavoro di J.-R. Jannot passa in esame le raffigurazioni di piante di edera, melagrana, alloro, loto e papavero in ambito funerario etrusco, sottolineandone di volta in volta le funzioni decorative ma soprattutto gli aspetti religiosi e culturali. Il lavoro è interessante, anche se in qualche caso mancano riferimenti precisi o indicazioni bibliografiche.4

L’ultima sezione, “Defining the Etruscans: Language and DNA”, ospita due contributi la cui valutazione è difficile per chi scrive, perché riguardano ambiti molto specifici come la linguistica e lo studio del DNA applicato all’archeologia. John Penney presenta una rassegna sulla lingua etrusca e il suo contesto italico che offre diversi spunti interessanti su questioni dibattute da molto tempo, e dà idea di quanto ci sia ancora da indagare in questo campo.

Philip Perkins, che ha un curriculum da archeologo classico, affronta il tema molto delicato dell’identità etrusca, riprendendo le analisi condotte da diversi gruppi di ricerca DNA che sembrano suggerire legami tra il patrimonio genetico etrusco e quello di determinate aree orientali. Il punto cruciale, e certamente sottoscrivibile, del suo ampio articolo è la necessità di una maggiore collaborazione tra archeologi e genetisti.

In conclusione, si tratta di un volume che raccoglie contributi di varia natura, diversi dei quali sono molto interessanti. Il libro è curato e piacevole, con qualche refuso, soprattutto nel contributo di Bruni (dove ad es. per due volte è ripetuto un “Thyrrennian”). Gli articoli sono ben illustrati, con molte foto a colori, anche se purtroppo alcune fotografie sono stranamente di qualità insufficiente (ad es. nel contributo della Bagnasco). E’ curioso invece che l’indice del volume sul sito internet del British Museum contenga diverse inesattezze.

Infine, visto che in questo volume si presentano alcuni importanti materiali acquistati sul mercato antiquario, non si può chiudere la recensione senza fare cenno alla spinosa questione delle acquisizioni di materiale archeologico da parte dei grandi musei internazionali. Sarebbe forse il caso di chiedersi se il fenomeno degli scavi clandestini e dell’esportazione illecita di reperti, ancora molto forte in paesi come Italia e Grecia, non sia in qualche modo stimolato dalla disponibilità di acquisto da parte dei musei, secondo la più banale legge economica della domanda e dell’offerta: fintanto che c’è richiesta, ci sarà qualcuno che proverà a soddisfarla, senza farsi scrupolo di ricorrere a mezzi illeciti. Ma questo è evidentemente un argomento che esula dagli scopi di una recensione.

James Byres and the Definition of the Etruscans (David Ridgway)
The Hamilton Gray Vase (Dyfri Williams)
The Ridgway Ram Vase (Dyfri Williams)
An Attic Red-figure Kylix from Veii and the Distribution of the Zalamea Group in Etruria (Laura Ambrosini)
Shake, Rattle and Role? Sistra in Etruria (Judith Swaddling)
The Importance of Being Umaele (Giovanna Bagnasco Gianni)
The Late Orientalising Bronze Workshops at Chiusi (Antonella Romualdi)
Houses, Tombs and Temples (Friedhelm Prayon)
Etruscan Rock-cut Chamber tombs (Stephan Steingräber)
Solving the Riddle of the Sphinx on the Roof (Nancy A. Winter)
Funerary Practice, Rituals and Ideology of the Orientalising Aristocracies (Stefano Bruni)
The Lotus and Poppies in Etruscan Funerary Contexts (Jean-René Jannot)
The Etruscan Language in its Italic Context (J.H.W. Penney)
Etruscan by Definition (Phil Perkins)

Notes

1. Cfr. J. Szilágyi, “Dall’Attica a Narce, via Pitecusa”, in Mediterranea II, 2005 (con bibliografia precedente). Anche altri esemplari attribuiti a questo Pittore sono passati sul mercato antiquario.

2. Symbols of Wealth and Power (MAAR Suppl. 9), 2009.

3. I. van Kampen, “Stone sculpture in the context of Etruscan tombs. A note on its position,” in M. Gleba (ed.), Votives, places and rituals in etruscan religion, Leiden 2009, pp. 135-155.

4. Ad esempio sulla questione dei profumi e dei loro contenitori sono importanti i lavori di D. Frére, come “Parfums, huiles et crèmes parfumées en Etrurie orientalisante”, in Mediterranea III, 2006.