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Il volume, curato e introdotto da Sergio Audano, raccoglie gli Atti della V Giornata di Studi del Centro di Studi sulla Fortuna dell’Antico di Sestri Levante e comprende una serie di contributi, i quali, nel segno della multidisciplinarità e sorretti da rigore metodologico, tendono a ravvisare la sopravvivenza e l’importanza dell’eredità greco-latina nell’evoluzione della cultura occidentale. Non a caso la Giornata si è svolta nel ricordo di Emanuele Narducci, che aveva fatto dell’osmosi tra antico e moderno uno dei capisaldi della sua intensa attività di studioso e di promotore culturale.
Il primo contributo, curato da Elisa Romano e intitolato Emanuele Narducci fra antichità e mondo moderno, è dedicato proprio alla figura dell’eminente studioso prematuramente scomparso: sono ricordate le sue principali linee di ricerca, indirizzate soprattutto allo studio approfondito della Pharsalia di Lucano e del corpus di Cicerone e all’individuazione dei diversi momenti di ricezione di tali autori in testi di età moderna. Lontano da facili attualizzazioni e alla luce di un rapporto dialettico con il passato, che si rivela capace di interrogare il presente e non viceversa, Narducci, continuatore della lezione del Pasquali, ha il merito di aver letto opere di autori contemporanei, cogliendo in esse nuove chiavi di lettura: significativo dell’interesse per i grandi temi è il suo saggio Max Weber fra antichità e mondo moderno (1981), dove lo studioso indaga l’interpretazione dell’antichità nel contesto della sociologia weberiana, mentre altrettanto emblematiche sono le suggestioni che gli studi di sociologia culturale di Norbert Elias hanno prodotto sulla sua rilettura del de officiis contenuta nella monografia Modelli etici e società (1989).
Già nel saggio su Weber, Narducci mostra viva attenzione per un tema, quale la storia del ritratto storiografico di Cicerone e l’evoluzione delle interpretazioni del suo ruolo storico, che troverà sviluppo in successivi contributi:1 la famosa svalutazione di Cicerone e del suo secolo, operata, per esempio, da Theodor Mommsen nell’Ottocento, è spiegata alla luce della non sempre obiettiva proiezione sul passato di vicende appartenenti al mondo moderno e contemporaneo. L’interesse per la fortuna dell’opera ciceroniana, che induce Narducci a ripercorrere le tappe della ricezione dei suoi scritti, favorisce l’esplorazione di gran parte della letteratura, fino a quella novecentesca: basti pensare alla sua indagine sull’eredità del de officiis, che arriva ad includere autori come Calvino e Gadda.2
Il secondo studio, dal titolo Un ambiguo esempio di ‘sfortuna’ dell’Antico: I miei ricordi di Massimo D’Azeglio, curato da Sergio Audano, prende l’avvio da alcune riflessioni di Narducci, il quale, contrario ad un’accettazione acritica dell”antico’ come categoria positiva, riconosce la polivalenza e la contraddittorietà degli stimoli prodotti dalla civiltà greco-latina su quella europea.3 In effetti, non sempre la nozione di ‘antico’ coincide con quella di ‘classico’ e la storia della ricezione della cultura antica è ricca di celebrazioni distorte o di denigrazioni del passato spesso improntate a fini ideologici. Audano considera l’atteggiamento talvolta ambiguo di Massimo D’Azeglio nei confronti della tradizione classica e, partendo dall’analisi delle sue memorie pubblicate postume nel 1867, distingue tre linee tematiche nel pensiero del celebre uomo politico: il rifiuto del sistema educativo di stampo gesuitico, giudicato inutile e inadeguato per la vita pratica; la condanna della letteratura classicistica, rappresentata, per esempio dall’opera teatrale dell’Alfieri; le considerazioni sul ruolo di Roma antica anche in relazione al Risorgimento italiano. In particolare lo studioso con fine intuito riconosce l’influsso esercitato sul D’Azeglio dalle vicende a lui contemporanee: la condanna dell’espansionismo romano e del ruolo egemone dell’ Urbe sembrano riecheggiare, pur nel riconoscimento del fascino sempiterno della civiltà romana, la sua personale battaglia politica contro l’annessione del Regno d’Italia e contro l’ideale di Roma come capitale.
Il terzo contributo, a cura di Luca Fezzi, si intitola Sarà vera fortuna? James S. Fishkin e la democrazia ateniese e tratta degli studi dell’americano Fishkin: il politologo ha ideato il sistema di “sondaggio deliberativo”, che, basato sul modello della democrazia ateniese del IV sec. a. C., può essere considerato, anche per il successo mondiale ottenuto, un caso di fortuna dell’antico. Il disinteresse dei cittadini per la politica nasce dalla loro esclusione dalle decisioni più importanti e dal fatto che non ne sono adeguatamente informati: il ‘Deliberate Polling’ di Fishkin prevede la scelta di un campione di individui, il quale, rappresentativo di un’intera popolazione e munito di materiale informativo, è chiamato a dibattere e a deliberare su un determinato argomento, orientando le stesse scelte dei politici.
Il quarto saggio è intitolato Modi oraziani di pensare il tempo: tratti della fortuna moderna del carpe diem e di altri spunti delle Odi. L’autore, Alessandro Fo, ripercorre le più recenti tappe letterarie della ricezione della fortunata ode a Leuconoe, dopo aver dato uno sguardo alle traduzioni e averne proposta una propria. Le numerose rivisitazioni in chiave moderna del carme oraziano, e di altri carmi ad esso collegati, si sviluppano intorno al recupero di alcuni motivi comuni, investendo autori noti e meno noti, italiani e stranieri, e alternando spunti tematici a riscontri più puntuali: il riferimento al cliché della domanda proibita e a quello dell’astrologia babilonese rivive nella poesia 2000 di P. Levi; il richiamo allo scorrere del tempo durante il colloquio è presente in una lirica della raccolta Giorni abitati del poeta P. Lanaro;4 chiari rimandi oraziani ricorrono nella poesia Carpe diem di Valery Larbaud, in una serie di liriche che Pessoa riunì sotto il nome dell’eteronimo Ricardo Reis5 o nella singolare Orazio al bordello basco di Fortini, mentre ‘diffrazioni’ oraziane sembrano permeare L’orologio di Baudelaire, alcune liriche di T. Hardy6 o quelle del latinista A. E. Housman;7 nei ritratti del Venosino contenuti nelle liriche intitolate Orazio, composte da Canali, Andriuoli e Traina, ricorre il tema della sublimazione dell’ hodie, che si intreccia con quello della poesia eternatrice. Proprio Traina, tra l’altro, aveva dato un’interpretazione efficace di carpere inteso come ‘prendere a spizzico’, strappare dies alla precaria fugacità dell’ invida aetas 8 e il motivo dell’ora che va goduta e ‘rubata’ è un tratto caratteristico delle poesie Non vogliamo dolcezze rubate e Non chiedere della raccolta di L. Romano Giovane è il tempo. Il lungo viaggio letterario condotto da Fo è ricco di suggestioni imperniate su motivi oraziani, ma sorgono spontanee alcune considerazioni, in parte, forse, già anticipate dall’autore stesso (pp. 76-77). Di fronte al tema, notevolmente diffuso in letteratura e così vicino all’umano sentire, come quello dell’inesorabile trascorrere del tempo, si rivela alquanto difficile distinguere elementi identificativi di una chiara matrice oraziana in ogni passo esaminato. Inoltre, accanto alla perdita della storicizzazione, che inevitabilmente accompagna lo studio della ricezione e dell’evoluzione di un motivo, ci si può interrogare sul livello di consapevolezza ed intenzionalità mostrato da autori recenti, e soprattutto stranieri, nel misurarsi con un testo latino, con il quale resta spesso imprecisato il rapporto di familiarità.
Nel quinto contributo, dal titolo Nostalgia di Medea: Pier Paolo Pasolini, lo studioso Francesco De Martino esamina il rapporto nostalgico-sentimentale, non archeologico o filologico, di Pasolini con il teatro greco e, in generale, con la mitologia classica. Il film, realizzato nel 1969 e girato tra la Cappadocia e l’Italia, conosce ben cinque successive scritture, di cui De Martino evidenzia le principali modifiche fino alla versione definitiva, nella quale, accanto alla preponderante presenza dell’antecedente euripideo, è riconoscibile, per esempio, l’influenza esercitata da La lunga notte di Medea di Alvaro, dalla Medea di Cherubini, nonché dalle opere di etnologia e antropologia di Eliade, Frazer, Lévi-Brhul. Quella di Pasolini è un’eroina lacerata psicologicamente, la quale, interpretata paradossalmente dalla Callas, famosa per la sua voce, preferisce alla parola un doloroso e opprimente silenzio, mentre assiste, a causa dell’amore disorientante per uno straniero, alla perdita della sua regale identità e delle sue antiche certezze: è la donna appartenente al mondo barbaro che si scontra con il cinismo del mondo civilizzato, di cui Giasone, con le sue smanie di potere e ricchezza, è il più autentico rappresentante. La Medea, sunto del “realismo mitico” di Pasolini, è un’opera che preferisce il non detto alle parole, il silenzio degli sguardi al dialogo: un film fatto di sceneggiature analogiche, di ambientazioni e costumi moderni che suggeriscono e interpretano quelli del passato, dove la Piazza dei miracoli di Pisa diviene l’antica Corinto e la greca Maria Callas, di origini umili e vissuta in un paese diverso dal proprio, interpreta il ruolo di Medea.
L’ultimo saggio, letto nel 2009 a Sestri Levante ma aggiunto a chiusa significativa di questo volume, si intitola Emanuele Narducci: Cicerone. La parola e la politica ed è curato da Arnaldo Marcone. Lo studioso rileva gli aspetti fondamentali dell’ultimo libro di Narducci, la summa di trent’anni di studi ciceroniani, riconoscendone i pregi nella scelta costante di analizzare le tematiche alla luce del tormentato contesto storico: l’Arpinate è il testimone chiave della crisi della Repubblica romana, irrimediabilmente segnata dalla dittatura sillana, e mostra già dalla sua giovanile pro Roscio il totale coinvolgimento nella scena pubblica. L’evoluzione del pensiero politico di Cicerone è caratterizzata da alcune tappe, che Marcone riassume negli aspetti essenziali, considerando lo studio di Narducci: dal progetto di una concordia tra il senato e l’ordine equestre, ambito durante il consolato, alla ricerca, rafforzata dall’esperienza dell’esilio e perseguibile grazie all’eloquenza, del consensus omnium bonorum, insieme all’idea utopica, influenzata da Platone e desunta dagli scritti della maturità, del governante super partes, capace di tutelare gli interessi collettivi della cittadinanza. Alla fine del suo contributo Marcone, alludendo alla mancanza di revisione dell’ultimo libro di Narducci e cercando di ravvisarne una riflessione conclusiva, si interroga sull’ipotesi di un ripiegamento morale e politico dell’ultimo Cicerone, forse precedentemente considerata dallo studioso prematuramente scomparso.
Quanto all’aspetto grafico del volume, segnalo la presenza nel secondo contributo di qualche refuso di scarsa entità.
Tavola dei contenuti
Sergio Audano: Premessa, pp. 9-11
Elisa Romano: Emanuele Narducci fra antichità e mondo moderno, pp. 13-30
Sergio Audano: Un ambiguo esempio di ‘sfortuna’ dell’Antico: I miei ricordi di Massimo D’Azeglio, pp. 31-53
Luca Fezzi: Sarà vera fortuna? James S. Fishkin e la democrazia ateniese, pp. 55-59
Alessandro Fo: Modi oraziani di pensare il tempo: tratti della fortuna moderna del carpe diem e di altri spunti delle Odi, pp. 61-107
Francesco De Martino: Nostalgia di Medea: Pier Paolo Pasolini, pp. 109-153
Arnaldo Marcone: Emanuele Narducci: Cicerone. La parola e la politica, pp. 155-161
Indice: p. 163
Notes
1. E. Narducci, Cicerone nel ‘secolo breve’, in Cicerone prospettiva 2000, Atti del I Symposium Ciceronianum Arpinas (Arpino 5 maggio 2000), Firenze 2001, pp. 3-15; Idem, Cicerone e i suoi interpreti, Pisa 2004, pp. 294 ss. e 365-388.
2. E. Narducci, La gallina Cicerone. Carlo Emilio Gadda e gli scrittori antichi, Firenze 2003.
3. E. Narducci, ‘Classico’ e ‘Antico’ in G. G. Contessa (cur.), La civiltà del testo. IV Convegno Nazionale sulla Didattica delle Lingue Classiche (Liceo Scientifico Statale “C. Cavour”), Roma-11 e 12 ottobre 2006), Roma 2007, pp. 105-115 (soprattutto le pp. 113-114).
4. In particolare, P. Lanaro, Giorni abitati, Poesie 1997-2001, Salerno 2001, p. 37.
5. Soprattutto F. Pessoa, Una sola moltitudine, testo portoghese a fronte, a cura di A. Tabucchi con la collaborazione di M. J. de Lancastre, vol. II, Milano 1984, pp. 58-59; Idem, Odi di Ricardo Reis, a cura di M. Parreira da Silva, trad. it. di L. Panarese, L. Naldini e V. Caporali, Firenze 2005, 136 ss. e 140 ss.
6. In particolare, M. Stella, Momenti di visione. Identità poetica e forme della poesia in Thomas Hardy, ottanta liriche con testo a fronte, Milano 1992, pp. 182-183 e 206-207.
7. In particolare, A. E. Housman, Un ragazzo dello Shropshire e altre poesie, con testo a fronte a cura di B. Tarozzi, Firenze 2005, pp. 90 ss.
8. A. Traina, Semantica del carpe diem, ora in Id., Poeti latini (e neolatini), Note e saggi filologici [prima serie], Bologna, seconda edizione riveduta e aggiornata 1986, p. 237 e 244.