Non può che essere accolta con favore la raccolta degli scritti minori di un Maestro della filologia classica, quale è stato Carlo Prato (1920-2004). Il volume comprende ben 45 contributi, opportunamente raggruppati dai curatori in sei principali aree tematiche, che rispecchiano i campi d’indagine privilegiati dello studioso: Tirteo (1), i poeti tragici (2) ed in particolare Euripide (3), Aristofane (4), Giuliano Imperatore (5) e lo Pseudo-Seneca (6). Una settima ed ultima sezione (‘Varia’) comprende tre puntuali note filologiche — la prima ad Ach. Tat. 2,2s., la seconda a Sen. Apoc. 3,1, la terza a diversi luoghi del Dyskolos di Menandro — seguite da un interessante saggio sulla proprietà letteraria nella Grecia antica e una nota lessicale sul verbo
All’accurato lavoro di P. Giannini e S. Delle Donne si deve la buona fruibilità degli scritti, privati dei refusi1 e uniformati a livello redazionale — sia per quanto riguarda le citazioni degli autori antichi, sia per quanto concerne i riferimenti bibliografici — e ancora la nota biografica iniziale (p. vii) e la bibliografia completa di Prato (pp. ix-xix). Manca purtroppo l’apparato di indici — in particolare l’indice dei luoghi citati e delle cose notevoli — che avrebbe costituito un importante ausilio alla consultazione del ricco volume.
La cifra dominante del libro è sicuramente la puntuale attenzione ai problemi esegetico-testuali, testimoniata dalle numerose note critiche al testo degli autori sopra menzionati (da Tirteo a Giuliano Imperatore), in più di un caso preparatorie di nuove edizioni allestite da Prato.2 Da tali contributi traspare un metodo filologico fondato sulla salda conoscenza della lingua e dello stile dei diversi autori, nonché sull’attenta valutazione dei testimoni della tradizione testuale. Emblematico è l’ampio articolo intitolato ‘Il contributo dei papiri al testo dei tragici greci’ (pp. 125-195), nel quale Prato passa in rassegna e discute le variae lectiones attestate dai papiri, nella convinzione che “il confronto della tradizione medievale con i papiri deve essere condotta con metodica cautela”,3 sulla base del ricorso “a puri criteri interni” (p. 136), senza alcuna affrettata svalutazione di un testimone nel suo complesso.4
Tra i saggi migliori della raccolta sono da annoverare quelli in cui Prato si concentra sullo stile euripideo, ed in particolare sulla sintassi (‘Note sulla lingua di Euripide’, pp. 241-244), sul lessico (‘Lingua e ritmo nel verso recitativo di Euripide’, pp. 245) e sulla versificazione (‘La tecnica versificatoria euripidea’, pp. 263-289; ‘L’oralità della versificazione euripidea’, pp. 291-309). Da tali saggi emerge concretamente come la maniera compositiva euripidea sia basata, almeno in parte, sul riuso di materiale tradizionale (nessi nome proprio + epiteto, locuzioni di supplica o di dubbio, frasi idiomatiche) in precise sedi metriche, ciò che al contempo doveva agevolare il lavoro del poeta e rispondere alle attese dell’uditorio. Ovviamente, sottolinea lo studioso, “sarebbe azzardato voler riconoscere all’opera di Euripide i caratteri propri dello stile ‘formulare’ epico (oltretutto lo impedisce la stessa varietà di temi e di personaggi presenti nella tragedia)”, ma sarebbe altrettanto erroneo e contrario all’evidenza “negare l’importanza di questo materiale linguistico e di questo stile che Havelock chiama ‘funzionale’, il quale … è senza dubbio il retaggio di un’attività orale che si svolgeva da secoli in Grecia e che trova la sua naturale applicazione in un poeta più interessato al significato del complesso espressivo che all’eleganza della dizione” (p. 294). La tesi non solo ha il pregio di essere sostenuta da un’abbondante esemplificazione, ma trova un’importante conferma nella parodia aristofanea ( Ran. 1202ss.), laddove Eschilo mostra che più di un trimetro euripideo può essere completato dalla stessa formula (
Un altro importante filone di indagine ampiamente rappresentato nel volume è quello propriamente metrico: come è ben noto, Prato ha condotto importanti studi sul trimetro tragico, in particolare sull’impiego dell’anapesto in luogo del giambo.6 Nell’articolo ‘Restauri testuali euripidei (ammesso l’anapesto nel trimetro tragico)’ (pp. 217-232) si dimostra — sulla base dell’esplicita testimonianza dei metricisti antichi e sulla scorta di un’ampia casistica — che anche in caso di nomi comuni l’anapesto è del tutto ammissibile in Euripide anche al di fuori della prima sede metrica, contro la celebre e recisa formulazione di R. Porson: “tantum scilicet abest, mea sententia, ut anapaestus pro secundo aut quarto pede ponatur, ut ne pro tertio quidem aut quinto substitui possit.” 7 La portata dell’indagine è stata in seguito estesa anche agli altri due grandi tragici attici (‘L’anapesto nel trimetro tragico’, pp. 113-123), mostrando che anche in Eschilo e in Sofocle vi sono casi di anapesto in sedi diverse dalla prima, con nomi propri, e giungendo a individuare anche possibili occorrenze nelle sedi pari del trimetro e con nomi comuni (ad es. Aesch. Prom. 265; Soph. El. 1022, Trach. 292). Questi ultimi casi, tuttavia, non appaiono del tutto sicuri, e sono stati contestati da R.M. D’Angelo, Fra trimetro e senario giambico, Roma 1983, 65-71.8 Ma al di là della persuasività dei singoli casi, rimane intatta l’importante lezione di metodo: la necessità di non costruire vincolanti dogmi metrici che portino a normalizzare pervasivamente uno o più testi poetici, ancora prima di avere analizzato i singoli casi nella loro specificità, e di avere e valutato se vi sia una reale necessità di intervenire sulle lezioni tràdite. Si rischia altrimenti di oscurare particolari effetti stilistici che l’autore intendeva conferire ad un certo brano — nel caso del trimetro, l’impressione di vicinanza al sermo cotidianus, come attesta ad es. Efestione nel suo Enchiridion (p. 15 Consbruch).
Non solo di versi recitati si è occupato Prato: come si sa, a lui si deve una monografia dedicata ai canti lirici di Aristofane (Roma 1962),9 con una sistematica analisi metrica e utili note di commento. Un articolato quadro di insieme della produzione lirica del commediografo è ben delineato nell’articolo ‘I metri lirici di Aristofane’ (pp. 29-61), ove, sulla base di un’imponente documentazione, si mostra l’impiego dei diversi metri-ritmi e si pone in evidenza il carattere prevalentemente semplice ed omogeneo della lirica aristofanea, spesso ispirata ai canti (cultuali e non) tradizionali, i cosiddetti carmina popularia.10 Il saggio mette bene in luce anche l’evoluzione dell’impiego di metri lirici cui si assiste a partire dagli Uccelli, verosimilmente in seguito all’influenza esercitata dalla coeva ‘nuova musica’: vd. ad es. la monodia dell’Upupa, “con la molteplicità dei ritmi, le repentine
Non è possibile, in questa sede, e sarebbe forse inutile, procedere ad una rassegna completa dei contributi raccolti nel volume. I lettori potranno utilmente confrontarsi con questa raccolta: gli studiosi vi ritroveranno comodamente riuniti lavori a loro per lo più già noti; gli studenti impareranno senz’altro molto dai contributi istruttivi e stimolanti in essa inclusi.
Notes
1. Nonostante l’accurato lavoro, alcuni refusi sono inevitabilmente rimasti. Ne segnalo alcuni, ad uso dei lettori: p. 22 riga 16 dal basso “scolio metrico”; p. 23 r. 5 ” Av. 1206″, r. 6 d. b. “contatto”; p. 71 titolo “371”; p. 250 s.v.
2. Del 1968 è l’edizione dei frammenti di Tirteo, pubblicata nella collana Lyricorum Graecorum quae extant diretta da B. Gentili; al periodo tra 1979 e 1986 risalgono le edizioni del Misopogon, dell’ Epistola a Temistio e dei discorsi di Giuliano Imperatore; del 2001 è l’edizione delle Tesmoforiazuse di Aristofane. Merita poi di essere ricordata l’edizione teubneriana dei poeti elegiaci, compiuta in collaborazione con B. Gentili (I: 1979, 1988 2; II: 1985, 2002 2).
3. Così scriveva G. Pasquali, Storia della tradizione e critica del testo, Firenze 1952 2, 190.
4. Sull’approccio di Prato alla papirologia, vd. P. Giannini, ‘Carlo Prato e la papirologia’, Papyrologica Lupiensia 13 (2004) 7-10.
5. Vd., tra gli altri, l’apprezzamento del lavoro di Prato espresso da uno studioso di dizione formulare quale M. Cantilena, Ricerche sulla dizione epica. I, Roma 1982, 53.
6. Meritano di essere ricordati i volumi Ricerche sul trimetro dei tragici greci: metro e verso (Roma 1975) e Ricerche sul trimetro di Menandro: metro e verso (Roma 1983), curati dallo stesso C. Prato e da una équipe composta da A. Filippo, P. Giannini, L. Marzotta, E. Pallara e R. Sardiello.
7. R. Porson, Euripidis Hecuba, Lipsiae 1807, vi.
8. Vd. inoltre B. Gentili-L. Lomiento, Metrica e ritmica. Storia delle forme poetiche nella Grecia antica, Milano 2003, 254 e n. 36.
9. Ora affiancata da L. P. E. Parker, The Songs of Aristophanes, Oxford 1997.
10. Ma, sia detto per inciso, non possono considerarsi ‘canti popolari’ i