BMCR 2010.02.39

Six Comic Poets: A Commentary on Selected Fragments of Middle Comedy. Drama: Studien zum antiken Drama und seiner Rezeption; N.S., 4

, Six Comic Poets: A Commentary on Selected Fragments of Middle Comedy. Drama: Studien zum antiken Drama und seiner Rezeption; N.S., 4. Tübingen: Gunter Narr Verlag, 2008. 303. ISBN 9783823363781. €58.00 (pb).

Come annunciato nel sottotitolo, il presente lavoro di Athina Papachrysostomou si situa tra gli studi sulla commedia di mezzo, affrontata in particolare attraverso l’indagine di una selezione dei frammenti di sei poeti comici: Anfide, Aristofonte, Dionisio, Mnesimaco, Filetero, Teofilo.

Dopo un abstract (p. 3), la premessa (p. 4) e la necessaria lista delle abbreviazioni (pp. 6-8), una sintetica introduzione (pp. 10-28) affronta le tematiche del lavoro e permette così al lettore di orientarsi nelle questioni generali e contestuali entro le quali operano le analisi dei testi. I poeti di cui sono commentati alcuni frammenti vanno di fatto ricondotti a quella problematica categoria che è la mese. Rispetto alla questione se sia effettivamente esistita una commedia di mezzo, Papachrysostomou segue in sostanza la condivisibile opinione di Nesselrath, secondo cui la nozione di mese è utile non solo per questioni cronologiche, ma, soprattutto, per ragioni ermeneutiche.1 Anche secondo tale prospettiva, si giustifica la selezione da lei compiuta all’interno della produzione dei sei poeti commentati. Non v’è dubbio che questa modalità di affrontare la commedia frammentaria non possa essere scissa dalla storia dei testi superstiti: si rivela dunque quanto mai opportuna la decisione presa da Papachrysostomou di dedicare alcune pagine almeno ad Ateneo, il principale testimone dei frammenti analizzati.2 Poiché ogni tentativo di tratteggiare una fenomenologia stilistica è condizionato dalla drastica riduzione dei testi disponibili, Papachrysostomou si attiene prudentemente a quello che si può rilevare dai dati in nostro possesso, valutandoli in relazione al materiale dell’ archaia : e così, si constata e si conferma una riduzione del ricorso all’elemento osceno (un fatto che, vorremmo dire, era segnalato già da Aristot. EN 1128 a 23s.), l’imporsi del ruolo del cuoco, una più ingombrante presenza della figura del filosofo come oggetto di derisione, e un incremento delle pièces in cui un’etera riveste un ruolo apparentemente centrale; lo stesso dovrà poi dirsi dei parassiti, mentre, per contro, si assiste a una riduzione dell’incidenza del coro nella complessiva struttura drammaturgica. Un discorso a parte merita poi la presenza dell’elemento mitologico nei plots delle commedie del IV secolo, a proposito del quale Papachrysostomou ripercorre i principali punti di vista degli studiosi moderni, mantenendosi su una posizione cauta dettata dalla penuria di materiali in nostro possesso. Di tutte queste tendenze, Papachrysostomou sottolinea i rapporti coi precedenti del V secolo, un fatto che dovrebbe indurre se non a un assoluto scetticismo, almeno a una ragionevole prudenza dinanzi a eccessive generalizzazioni.3 È dedicato un sottocapitolo (pp. 27s.), infine, ai metri dei frammenti commentati: l’impiego di trimetri giambici, di tetrametri trocaici, di dimetri anapestici fa concludere che “poets of Middle Comedy are considerably less adventurous in their use of metre than their predecessors of Old Comedy” (p. 28). Nell’introduzione, Papachrysostomou offre dunque al lettore una parabola della storia della commedia greca senz’altro condivisibile in linea di massima, sebbene molto uniforme.

Le successive sei parti del volume sono dedicate ai relativi poeti comici. Certo, di chi si tratti si reperisce solo nel sommario (p. 1), ed è un peccato che non si sia trovata una diversa collocazione, magari nel sottotitolo, che rendesse immediatamente chiaro al lettore chi siano i commediografi oggetto di attenzione. Tra i frammenti di ognuno di essi Papachrysostomou compie una selezione, ma, se si esclude ovviamente la pagina in cui si inizia la trattazione di ogni brano, non si reperisce quali siano i testi che vanno a definire la scelta. Per questo motivo, e per raccogliere le indicazioni degli altri passi portati a confronto (che spesso beneficiano peraltro di qualche riga di commento), sarebbe stato quanto mai utile approntare un indice dei luoghi discussi, se non di quelli citati.

La struttura del commento è molto chiara: si comincia con una trattazione del testimone, quindi con la presentazione del frammento comico, raramente corredato di apparato critico (e comunque ridotto rispetto all’edizione Kassel-Austin); si procede con la traduzione inglese e si conclude con un dettagliato commento, in cui si affrontano questioni di varia natura. L’attenzione maggiore è tendenzialmente conferita all’elemento letterario, sicché si avverte talora la necessità di un maggior approfondimento del dato propriamente drammatico, ovviamente laddove ricostruibile con una discreto margine di probabilità.

Il primo poeta comico affrontato è Anfide (pp. 30-100), della cui personalità poco si conosce e di cui, ribadisce opportunamente Papachrysostomou, è dubbia l’origine, visto che contro la testimonianza della voce biografica della Suda, che lo vuole di Atene (avremmo specificato che la fonte è Esichio di Mileto), sembra congiurare IG II 2 347 che menziona un Ἄνφις di Andro. Di Anfide sono esaminati i frr. 1, 3, 6, 8-10, 13-15, 17, 20-23, 26, 27, 30, 33, 34 K.-A., quelli cioè che presentano una porzione di testo più ampia e che, al contempo, sembrano più agevolmente prestarsi a un’analisi che ne metta in luce alcune peculiarità stilistiche. Non sono affrontati frammenti di cui è ignota la commedia di appartenenza, così che si rivela molto utile l’analisi dei vari titoli: vi si evidenziano consonanze con altri poeti comici e se ne ricavano tutti i possibili indizi che portino, se non a una ricostruzione della trama (operazione giudicata impossibile per la scarsità di materiale), almeno a una possibile serie di ipotesi tematiche.4 In relazione al fr. 23 K.-A., in cui Pluto è definito cieco perché se ne sta a casa delle etere Lica, Sinope e Nannio, Papachrysostomou istituisce un confronto con Timocl. fr. 27 K.-A. (dove sono menzionate Lica e Nannio), parallelo utile per la datazione reciproca delle due commedie. Sembra necessitare di maggiori spiegazioni l’affermazione “Plutos is left speechless and paralysed at the sight of them, and he would not leave their places” (p. 80), visto che nel frammento si sottolinea come Pluto sia cieco.

Ad Anfide segue l’analisi dei frr. 4-13 K.-A. di Aristofonte (pp. 101-149), fra cui spiccano le indagini su quei testi che presentano un bersaglio del mondo filosofico contemporaneo. Sembrerebbe ricavarsene un’inclinazione abbastanza generalizzata della commedia di mezzo, e per certi aspetti anche della commedia ellenistica (si pensi a Batone), a individuare nei filosofi e nei loro discepoli (a tal proposito si vedano le opportune osservazioni di Papachrysostomou al titolo πυθαγοριστής alle pp. 123-125) i più facili oggetti di scherno dei commediografi. Interessante la discussione del titolo πλάτων, in cui, oltre ai problemi di datazione, si affronta anche la questione della parodia delle teorie platoniche e del grado di conoscenza che di queste aveva il pubblico ateniese. Si tratta, ci pare, di una questione che in un certo senso potrebbe essere accostata a quella della paratragedia di cui si sostanzia parte della commedia di fine V secolo.5 Vorremmo aggiungere che un titolo quale questo di Aristofonte dovrebbe indurre a una maggior misura, laddove si parla di riduzione dell’attacco nominale nella commedia di mezzo.

Alla personalità e ai frr. 1-3 K.-A. di Dionisio sono dedicate le pp. 150-182. I lunghi brani che costituiscono ora i frr. 2 e 3 K.-A. sono significativi per l’analisi condotta sulla figura del cuoco. Particolare attenzione andrà conferita, dunque, all’ ἀλαζονεία del cuoco quale tratto che ne caratterizza l’ ethos : in tale direzione si rivela apprezzabile l’analisi del lessico militare che caratterizza i vv. 11-14 del fr. 2 K.-A. (p. 165).6

Di Mnesimaco sono presi in considerazione i frr. 3, 4, 7-10 K.-A. (pp. 183-220). A proposito del lungo fr. 4 K.-A., Papachrysostomou osserva: “both the language and the metre (anapaestic dimeter) are reminiscent of the opening anapaests of Euripides’ Iphigenia at Aulis” (p. 193): un’osservazione che, se convalidata, appare importante per la datazione reciproca dei due brani, visto che, come noto e come Papachrysostomou opportunamente non manca di sottolineare, l’autenticità di questi versi tragici è fortemente sospetta. Se questa commedia di Mnesimaco, l’ Ἱπποτρόφος, fu composta attorno alla metà del IV secolo, come secondo Papachrysostomou suggerirebbe la menzione di Fidone (v. 7 PA 14178), allora l’interpolazione nel dramma euripideo è senz’altro precedente, a meno che, suggerisce Papachrysostomou, tanto il prologo tragico quanto questi anapesti comici non abbiano a monte una comune fonte perduta.

Di Filetero, che le fonti vogliono figlio di Aristofane e la cui prima vittoria risale agli anni compresi fra il 372 e il 366 a.C., sono studiati i frr. 6-9, 13, 14, 17 K.-A. (pp. 221-247): si tratta di una selezione costruita sul motivo dell’ ἡδέως ζῆν (così a p. 221). Appare interessante soprattutto l’esegesi del fr. 9 K.-A. (pp. 228-236), in cui sono menzionate varie etere. Per quanto sintetica, appare giustamente cauta la posizione assunta su Laide, o, meglio, sulle diverse figure di etere che vanno sotto il nome di Laide. Papachrysostomou si limita ragionevolmente a riportare i dati in nostro possesso senza esprimere giudizi e senza addentrarsi nel tentativo di dirimere la questione cronologica. A proposito della patria corinzia, si sarebbe però potuto dar rilievo al fatto che a Corinto esisteva un antico μνῆμα di Laide raffigurante una leonessa con un ariete fra le zampe anteriori (Paus. II 2,4), notizia che, se associata all’etimologia che spiega il nome di Laide con quello che identifica la leonessa in semitico,7 rafforza l’ipotesi del soprannome dato a un personaggio legato ad Afrodite.8

Teofilo è l’ultimo commediografo preso in considerazione: sono presentati i frr. 1, 2, 4-8, 11, 12 K.-A. (pp. 248-281). È interessante l’analisi del titolo Ἀπόδημοι e del relativo fr. 1 K.-A. (pp. 248-253), verisimilmente pronunciato da uno schiavo, o forse un ex schiavo (come suggeriva già Meineke III 626), non greco e però ellenizzato. In merito al fr. 5 K.-A., dove della musica si dice μέγας | θησαυρός ἐστι καὶ βέβαιος, Papachrysostomou ricorda Pindaro ( P. 6, 7s. ὕμνων θησαυρός … τετείχισται), che tuttavia sembra essere più decisamente apparentato alla sfera architettonica di quanto non sia questo passo comico (p. 262).

Il volume si conclude con la bibliografia suddivisa in due parti, la prima dedicata alle edizioni (pp. 282-284) e la seconda agli studi, dove sono ospitate anche le edizioni con commento (pp. 285-303): un buon compromesso fra l’aspirazione alla maggior completezza possibile e l’esigenza di selezione nel vasto mare degli studi sui problemi di volta in volta posti dai testi scelti.

In definitiva, siamo dinanzi a un testo utile soprattutto per l’approfondimento di questi poeti comici. Si gioveranno senz’altro dello studio di Papachrysostomou eventuali commenti all’intera produzione superstite di Anfide, Aristofonte, Dionisio, Mnesimaco, Filetero, Teofilo, perché potranno contare sul fatto che parte del lavoro è stata compiuta con cura in questo volume.

Notes

1. H.-G. Nesselrath, Die attische Mittlere Komödie. Ihre Stellung in der antiken Literaturkritik und Literaturgeschichte, Berlin-New York 1990, pp. 1-28.

2. La studiosa ritiene l’Epitome derivata non esclusivamente dal Marciano. Come è noto, il problema dei rapporti fra l’Epitome e la versione plenior, per quanto mutila, è quanto mai delicato. Si vedano ad esempio P. Maas, Verschiedenes zu Eusthatios, “BZ” 45 (1952) 1-3: 1; C. Collard, Athenaeus, the Epitome, Eustathius and quotations from tragedy, “RFIC” 97 (1969) 157-179; W.G. Arnott, Alexis: the fragments. A Commentary, Cambridge 1996: 38s.

3. A proposito dell’impiego dei titoli per definire i temi di una pièce basterebbe ricordare, per esempio, come il Pluto di Aristofane gareggiò contro i Laconi di Nicocare, l’ Admeto di Aristomene, l’ Adone di Nicofonte, la Pasifae di Alceo: si può ritenere che almeno alcuni dei rivali di Aristofane abbiano affrontato tematiche mitologiche con una naturale detorsio in comicum. E si potrebbe essere indotti al medesimo sospetto per la commedia aristofanea se ne possedessimo solo alcuni frammenti e, ovviamente, nessuna hypothesis : l’evidenza dei fatti ci fa però escludere rigorosamente una simile prospettiva.

4. Si vedano, a titolo di esempio, le ipotesi condotte sulla commedia Ὀδυσσεύς e sul relativo fr. 27 K.-A.

5. Si veda K.J. Dover, rec. P. Rau, Paratragodia. Untersuchung einer komischen Form des Aristophanes, München 1967, “Gnomon” 40 (1968) 826-828.

6. Per cui si veda E. Degani, Filosseno di Leucade e Platone comico (fr. 189 K.-A.), “Eikasmos” 9 (1998) 81-99: 85s.

7. Un’informazione di cui Papachrysostomou rende conto a p. 232.

8. Si vedano ad esempio HHVen. 70, Plin. NH VIII 42.