BMCR 2010.02.37

I misteri di Pompei: Antichità pompeiane nell’immaginario della modernità

, , , , I misteri di Pompei: Antichità pompeiane nell'immaginario della modernità. Pompei: Flavius, 2008. 201. ISBN 9788888419466. €16.00 (pb).

Il volume pubblica gli atti della giornata di studi tenutasi a Pavia, presso il Collegio Ghislieri, il primo marzo del 2007. Elisa Romano, nella premessa, spiega lo scopo del consesso: comprendere le ragioni della fortuna di cui gode ed ha goduto Pompei dal momento della sua riscoperta, argomento che recentemente sta conoscendo notevole interesse critico, come dimostrano volumi quali Antiquity Recovered. The Legacy of Pompeii and Herculaneum. V. C. Gardner Coates e J. L. Seydl ed., The J.Paul Getty Museum, Los Angeles. Singapore 2005. La Romano ricorda che il titolo scelto per la giornata pavese è una sorta di gioco intellettuale tra il nome attribuito a celebri pitture pompeiane, il genere del giallo, che nelle sue diverse forme ritorna più volte nei contributi, e le oniriche visioni che alcuni scrittori ambientano nella città sepolta. Ma rimanda anche al mistero del suo successo. Purtroppo non spiega cosa si debba intendere per modernità: e quindi, a seconda di quale accezione gli si vuol attribuire, si può restare stupiti per la presenza di contributi che trattano ampliamente della contemporaneità (Melotti e Cremante ad esempio) oppure dell’assenza di spunti di riflessione connessi ai nuovi e nuovissimi media, quali fotografia, cinema ecc… I saggi sono organizzati in due sezioni concettuali, la prima contenente contributi di vario argomento, ed la seconda incentrata sul romanzo giallo che rientra negli elementi formanti il titolo della giornata di studi. Ovviamente la giornata di studi non arriva a rispondere al quesito intono al quale era stata ideata, come la Romano stessa sottolinea, ma è indubbio che alcuni articoli portano contributi interessanti per una migliore comprensione del fenomeno.

Marxiano Melotti, con “Amore e morte a Pompei. L’immaginario collettivo e la formazione del mito” (pp. 9-32) entra nel vivo del tema analizzando1 le ragioni della creazione e del successo del mito di Pompei specialmente dal punto di vista della sua affermazione turistica. Mito che, con alla base il binomio amore e morte, restituisce un’immagine tanto consolidata presso il turista, quanto lontana dalla verosimiglianza storica. Amore, morte ed il loro intreccio vengono analizzati grazie ad esempi d’uso, o di abuso, della città particolarmente disparati, quali il concerto dei Pink Floyd, il viaggio di Giovanni Paolo II ed i souvenirs. Non sappiamo se amore e morte fossero fondanti la Pompei antica, ma, secondo Melotti, è certo che essi siano alla base dell’immagine moderna della città vesuviana.

“‘Destare a nuova vita la città dei morti’. Gli ultimi giorni di Pompei di Edward Bulwer (1834)”, pp. 33-52 è il contributo che John Meddemmen dedica a Edward Bulwer autore del libro che diffuse l’immagine di Pompei anche negli strati sociali più umili e sancì l’inizio della sua fama “globale” -_ ed al suo amico Richard Chenevix Trench, all’ambiente della loro formazione e al clima culturale della colonia inglese di Napoli, nella quale i due si inserirono durante i loro viaggi nella capitale borbonica. Il celebre romanzo di Bulwer rimane sullo sfondo, ricettacolo delle impressioni, delle suggestioni e degli avvenimenti capitati durante il soggiorno campano, tra le quali fondamentali quelle provenienti dal ricco studio di William Gell Pompeiana : Meddemmen identifica e discute proprio i meccanismi di “assorbimento” e di trasformazione in raccolto di tale vissuto, meccanismi che a suo avviso sono universali, anche perché si possono riscontrare nei racconti del viaggio a Napoli del padre e del nonno agli inizi del XIX secolo. Lo stile paratattico del testo riprende in larga parte la struttura retorica di un intervento orale.

Luciana Jacobelli presenta nuovamente2 il romanzo di Théophile Gautier Arria Marcella, nel saggio dal titolo “Arria Marcella e il gothic novel pompeiano”, e lo inquadra nell’ambito del “romanzo gotico”, confrontandolo specialmente con il romanzo di Bulwer. A riguardo, il giudizio di Meddemmen, che considera “Gli ultimi giorni di Pompei” un testo corretto dal punto di vista archeologico, diverge da quello di Jacobelli che ne denuncia, invece, l'”inconsistenza archeologica e (….) ignoranza archeologica”. Ritornando ad Arria Marcella, dopo averne riassunta criticamente la trama, inserendo brani scelti, Jacobelli osserva come, nel romanzo, l’interruzione del “ponte temporale” che collega la pompeiana Arria con l’ottocentesco Octavien, assuma una valenza negativa, perché pone termine a quanto di positivo, come la forza dei sentimenti e della passione, si stava trasmettendo dal passato al presente grazie al legame che una labile, per quanto affascinante, traccia (l’impronta di un seno di fanciulla conservata dalle ceneri dell’eruzione), aveva creato. D’altra parte Arria che rivive è metafora di Pompei che si va scoprendo.

Con “Fra archeologia e poesia nazionalistica”, Lorenzo Braccesi rilegge dal punto di vista di Pompei la poetica “dei grandi vati dell’Italia unita: Carducci, Pascoli e d’Annunzio”, per osservare come in effetti essi evitino di trattare non solo della città vesuviana ma delle antichità della Campania in generale, perché l’esaltazione di Roma doveva servire a costituire l’Italia, mentre esaltare la rinascita di Pompei, avrebbe potuto alludere a ben altre rinascite, quello dello stato borbonico, in particolare, contro la quale i Savoia combattevano. Di diverso avviso Giorgio Zanetti, secondo il quale d’Annunzio abbandona Pompei per il rifiuto, da parte del pescarese, dell’eccessivo realismo e del romanzo storico, generi con i quali Pompei sarebbe troppo compromessa. Infatti, Zanetti in “Archeologia dell’estetismo”, ricorda come il Pescarese abbia introdotto inizialmente nelle proprie opere diverse presenze di luoghi e di particolari pompeiani, compreso il progetto di un romanzo, che avrebbe dovuto intitolarsi, Madonna di Pompei ed essere incentrato sulla storia d’amore tra un giovane archeologo protestante ed una ragazza cattolica, per poi abbandonarli e spostare il propri interessi archeologici a Micene, con il dramma La città morta. L’analisi di tale opera dannunziana costituisce il fulcro del saggio, che mantiene inalterata la struttura dell’intervento orale ed è privo di note: Zanetti illustra il rapporto tra l’artista e la sua fonte principale, Schliemann e di come l’idea iniziale della Madonna di Pompei venga ripresa, forse, e modificata dall’interesse per la ricerca di altre passioni estreme, e soprattutto il lento costruirsi del tema dell’annullamento del tempo, la sua messa in scena ecc. Si torna a parlare di Pompei e d’Annunzio verso la fine degli anni ’20, quando il “teatro pompeiano” diviene modello per il “Teatro di Feste” e, a giudicare dalle testimonianze lasciate dagli angoli piegati in alcuni libri conservati al Vittoriale, il patrimonio di scene erotiche provenienti dalla città, e la sagacia di alcune epigrafi murali, continuano a nutrire l’immaginario dell’ormai anziano vate. In questo periodo la città morta è al centro dell’interesse di numerosi altri artisti (cfr. il saggio di Campiglio).

Renzo Cremante presenta Luigi Conforti: ne ricorda i dati della vita e delle opere e si concentra sul poema Pompei nell’intervento, “Gli ultimi giorni di Pompei in un dimenticato poema di Luigi Conforti”. Il poema, inquadrato in un sommario panorama delle opere letterarie con Pompei quale argomento, viene osservato per quanto concerne il genere e la forma letteraria, le scelte metriche e retoriche, la fonte dell’ispirazione poetica, in un’analisi critico-letteraria, esemplificata da brani selezionati vari. Cremante introduce stralci selezionati a dimostrazione dei diversi aspetti trattati. Sebbene egli accenni a come Conforti impieghi gli studi archeologici, specie quelli di Giuseppe Fiorelli, descrivendo correttamente l’ambiente principale del poema, la casa di Cornelio Rufo, tuttavia non si addentra ad analizzare il rapporto tra Pompei e Conforti e di come il “mistero” o il fascino della città vesuviana, oggetto del dibattito della giornata di studi, emerga da questo poema, a lei dedicato.

Paolo Campiglio, “Arturo Martini e Pompei: tra mito del quotidiano e indagine sul corpo”, presenta l’influenza che Pompei ebbe sullo scultore Arturo Martini, che la visitò nel 1931: un caso in cui il fascino di Pompei, o meglio dei morti di Pompei, contribuì a definire un linguaggio scultoreo del tutto nuovo. D’altro lato, nella sua costante ricerca artistica, Martini è aperto all’influsso dell’antico e la visita a Pompei venne effettuata in una fase di produzione artistica fortemente influenzata dalla cultura etrusco-italica, iniziata già dagli anni ’20. Al mondo antico in generale e pompeiano in particolare si rifacevano altri artisti, in contatto con Martini, quali Margherita Sarfatti o Achille Funi, e Campiglio ricostruisce una serie di giudizi sulle antichità romane in generale e pompeiane in particolare espressi da artisti a lui contemporanei, il giudizio dei quali spesso sfugge agli archeologi contemporanei. Un ruolo importante nella poetica di Martini, l’ebbero gli affreschi della Villa dei Misteri, che Campiglio è convinto essere stata scavata il 1929 ed il 1930: in realtà la villa, già villa Item, venne scavata una prima volta tra 1909 ed 19103 ed esistevano già degli acquarelli dell’affresco realizzati da Maria Barosso per F. Kelsey, che vennero esposti a Roma nel novembre del 1926 nella Galleria Borghese nel 1925;4 la villa fu poi definitivamente liberata dalle macerie tra il 1929 ed il 1930. Forse, quindi Arturo Martini avrebbe potuto conoscere anche per altre vie i famosi affreschi. Comunque sia, emerge chiaro dal contributo del Campiglio l’enorme fascino che Pompei esercitò su Martini, oltre che sugli artisti a lui contemporanei, compreso l’anziano d’Annunzio di cui riferisce Zanetti, e di come esso si sia materializzato in numerose opere dello scultore.

Con il saggio di Maurizio Harari, “Il delitto e lo scavo”, prende il via quella che possiamo considerare la seconda sezione degli atti, dedicata ai rapporti tra il romanzo giallo, l’archeologia e Pompei. Harari non parla di Pompei che incidentalmente, ma confronta la figura dell’archeologo, con la sua consueta acribia, a quella del detective, dello iettatore e dello psicoanalista. A questo riguardo, il lavoro maieutico dello psicanalista è per molti versi simile allo studio dell’archeologo che strappa alla terra le informazioni e Freud stesso era un appassionato collezionista di opere antiche, compreso un “frammento di muro pompeiano”. D’altro lato l’interesse per l’antico di Freud pare andare oltre questo aspetto “metodologico”, come ricorda Harari, ma coinvolgere profondamente i suoi studi, ed a questo riguardo sono significativi la copia della Gradiva conservata ad Hampstead e il saggio sulla novella omonima di W. Jensen.

Ai “Gialli storici ambientati a Pompei” è dedicato il contributo di Stefano Rocchi, che comincia tracciando brevemente la storia del genere nato dalla fusione tra il romanzo storico e il detective novel, che prese l’avvio nel terzo decennio del XIX secolo, per poi focalizzare l’attenzione su quanti tra essi sono ambientati a Pompei. Rocchi elenca con diligenza le opere, gli autori, gli elementi costitutivi, soggetto e trama (ad esempio il periodo storico in cui sono ambientati, se repubblica romana, oppure impero, quanti citano espressamente Pompei nel titolo, ecc…); evidenzia l’uso corretto della topografia pompeiana ad opera degli autori nello svolgimento delle trame e quello meno attento alla scansione cronologica delle epigrafi e della prosopografia pompeiana. Egli evidenzia anche curiosi usi onomastici, come M. Olconio Rufo che, a seconda degli autori moderni, può essere un galantuomo oppure un delinquente. Una nota è anche dedicata al linguaggio impiegato, infarcito di latinismi tecnici, senza però tentare di spiegarne le origini o le ragioni: al riguardo occorre ricordare che per Meddemmen, nel saggio sopra citato, questo stile è derivato dall’opera di Edward Bulwer, che rese popolare e diffuse nella lingua inglese un uso che egli aveva a sua volta ripreso da Grell; infine Rocchi elenca le differenze tra questo genere e il detective novel. Anche se, secondo Rocchi, la presenza del Vesuvio costituisce uno degli elementi che rendono unici i romanzi d’ambiente pompeiano, la città non assume una fisionomia precisa, e resta abbastanza opaca sullo sfondo.

Al contrario, il saggio di Danila Comastri Montanari è incentrato sul modo di trattare Pompei e di illustrare le sue notevoli particolarità di città di provincia e differenze rispetto a Roma ed in genere di rendere la verosimiglianza storica, che, in “Fiction e verosimiglianza storica: il punto di vista di un’autrice di genere”, narra delle sue scelte di autrice di gialli ambientati nell’antica Roma. Uno di essi, Ars Moriendi, è ambientato proprio a Pompei e le scelte operate, divengono punto di partenza per un’analisi della verosimiglianza storica in numerosi romanzi e films.

Il volume “I Misteri di Pompei. Antichità pompeiane nell’immaginario della modernità”, quindi, raccoglie precipuamente esempi di come grandi personalità operanti in diversi settori, quali pittori o scrittori, ma anche medici come Freud, si siano misurati con Pompei e la sua particolarissima vicenda storica, e di come la città li abbia influenzati. Al lettore viene offerta la possibilità di trovare uniti, in un’unica sede, contributi che, in una visione più settoriale del sapere, sarebbero variamente dispersi e di continuare ad analizzare l’affascinante problema dell’immagine di Pompei, disponendo di un pratico ausilio bibliografico.

Notes

1. L’autore tratta lo stesso tema anche in: “La città immaginata: turismo a Pompei tra amore e morte”, in: L. Jacobelli (a cura di), Pompei. la costruzione di un mito. Arte, letteratura aneddotica di un’icona turistica. Bardi editore. Roma 2008.

2. Ne ha curato la nuova edizione italiana, T. Gautier, Arria Marcella (introduzione e note di L. Jacobelli). Flavius Editore. Pompei, 2007.

3. B. Bergmann, “Seeing Women in the Villa of the Mysteries: a Modern Excavation of the Dionysiac Murals”, in Antiquity recovered cit., (pp.239-244).

4. E. K. Gazda, “Replicating Roman Murals in Pompeii: Archaeology, Art, and Politics in Italy of the 1920s”, in Antiquity recovered cit., pp.207-229.