BMCR 2009.08.68

Diplomats and Diplomacy in the Roman World. Mnemosyne, Supplements 304

, Diplomats and Diplomacy in the Roman World. Mnemosyne, Supplements 304. Leiden/Boston: Brill, 2009. xi, 254. ISBN 9789004170988. $157.00.

Il libro contiene gli atti del V convegno intitolato alla memoria di E. Togo Salmon, che si è svolto ad Hamilton in Ontario (Canada), nel settembre del 2004. Per l’occasione Claude Eilers ha raccolto presso l’Università McMaster un gruppo di studiosi provenienti da varie parti del mondo.1

Il volume si apre con una introduzione di Eilers,2 tesa ad evidenziare alcune peculiarità della diplomazia antica, quali l’assenza di rappresentanze diplomatiche permanenti ed il frequente e necessario invio di delegazioni ad hoc. L’importanza di tale forma di comunicazione è dimostrata dal fatto che, in alcune occasioni anche personalità letterarie di spicco, quali Polibio, Filone, Giuseppe Flavio e Plutarco si fecero carico, a dispetto dei rischi, dell’espletamento delle missioni. Numerosi pericoli provenivano infatti dalla natura e dalle insidie degli uomini,3 e non è pertanto da meravigliarsi, come sottolinea Eilers, che le città riconoscenti tributassero onori straordinari ai loro rappresentanti, come evidenziato dalla crescente documentazione epigrafica. L’editore passa quindi ad illustrare, e noi con lui, i nuclei tematici trattati nei singoli contributi.

Ager rileva la pregiudiale ostilità di Roma all’interferenza di terze parti neutrali nella risoluzione dei suoi conflitti,4 e suppone che solo il contatto con il mondo greco le fece conoscere l’istituto della mediazione internazionale.5 Per l’autrice l’avversione di Roma alla mediazione sarebbe strettamente legata all’elaborazione del concetto di bellum iustum ac pium : è in base a questo che i Romani, nutrendo la convinzione di trovarsi sempre nel giusto diritto, rifiutavano di sottoporsi ad arbitrati, pur accettando forme minori di mediazione diplomatica, per le quali Ager suggerisce le denominazioni convenzionali di “good offices” e di “apologetic deprecation”.

Yakobson smentisce con abbondanza di esempi la diffusa convinzione che la politica estera romana fosse competenza esclusiva del senato,6 e convincentemente dimostra che la nozione di iustum bellum era profondamente radicata nel dibattito politico interno di Roma, come si può fra l’altro evincere sia dall’orazione di Catone il Vecchio in difesa dei Rodii, che dall’orazione pro lege Manilia di Cicerone: tale principio pertanto non può rispondere, come suggerito da alcuni studiosi,7 ad un semplice motivo di propaganda sbandierato nei confronti del mondo greco.

Battistoni,8 esplorando l’utilizzo a fini diplomatici del mito delle origini troiane condivise con Roma, inizia mostrando la persistenza di tale motivo (in un passo di Nicephorus Gregoras relativo ad Eraclea Pontica) sino in avanzata età bizantina. Benché già Demetrio Poliorcete si fosse rivolto ai Romani, probabilmente in relazione al culto dei Dioscuri, come a συγγενεῖς, lo sfruttamento del mito troiano dovrebbe risalire, secondo Battistoni, almeno all’inizio della prima guerra punica: allora Segesta, volgendosi all’alleanza con Roma,9 si dichiarò sua cognata, in quanto fondata da Enea di passaggio in Sicilia. L’autore, discostandosi da un recente studio di Erskine,10 individua un segno incontrovertibile dell’appropriazione del mito troiano da parte dei Romani nella traslazione sul Campidoglio, nel 217 a.C., del culto di Venere Erycina, pure legato al passaggio di Enea per la Sicilia. In seguito il mito troiano venne sfruttato per allacciare rapporti con Roma soprattutto da città e popolazioni dell’Asia minore (in particolare da Ilio, Lampsaco e i Licii), ma anche dalla popolazione greca degli Acarnani e da quella gallica degli Aedui.

Il contributo di Rives prende spunto dal titolo dell’apologia di Atenagora, πρεσβεία, che individua la tipologia di un discorso rivolto all’imperatore dall’ambasciatore di una comunità, in genere per sollecitare qualche favore.11 L’autore passa ad esaminare lo sviluppo delle forme diplomatiche della comunicazione fra la nascente chiesa cristiana e l’autorità imperiale: secondo Rives, che forse sottovaluta il fatto che tutto l’apostolato cristiano si configura in genere come una πρεσβεία indirizzata alle genti,12 i Cristiani si potevano qualificare collettivamente alla stessa stregua della ‘comunità mondiale degli atleti’ o della ‘gilda dei tecniti di Dioniso’, associazioni che pure inviavano delegati al cospetto dell’imperatore.13 Un altro termine di confronto è costituito dall’ ethnos giudaico che spesso, ma solo fino alla distruzione di Gerusalemme nel 70 d.C., agì in maniera corporativa per la concessione di privilegi da parte delle autorità romane.

Il contributo di Ferrary,14 riprendendo e portando avanti una trattazione svolta in altri studi recenti,15 si occupa delle concrete modalità di svolgimento del traffico diplomatico fra il mondo greco e Roma, soffermandosi in questa occasione sulle procedure di esecuzione (“implementation”) delle decisioni prese a Roma dal senato. La notifica dei provvedimenti, a quanto risulta dall’analisi comparata di una serie di documenti, era per lo più affidata dal senato agli stessi ambasciatori che li avevano sollecitati, lasciandoli però in tal modo esposti alla indifferenza, resistenza ed ostilità della controparte,16 salvo poi intervenire per sanare i casi più gravi.

Il contributo di Jehne è dedicato ai rapporti diplomatici fra Roma e le città dell’Italia.17 Benché gli storici e in particolare Tito Livio registrino l’arrivo al senato di un certo numero di ambascerie di popoli e di città della penisola, spesso in relazione ai problemi nella fornitura del prescritto contingente militare, nel II secolo a.C. andò progressivamente maturando, secondo Jehne, una incomprensione fra Roma e gli alleati italici, che avrà come esito lo scoppio della guerra sociale. In maniera originale ma anche piuttosto speculativa, l’argomentazione ha come Leitmotiv il caso dei Prenestini, i quali nel 173 a.C. avevano subito, apparentemente senza poter reagire, una vessazione ad opera del console L. Postumio Albino. È mia opinione che il racconto di Livio e l’indignazione per il comportamento del console potrebbero in ultima istanza risalire ad una orazione di Catone il Vecchio, come in altri casi poi confluita nelle Origines : quindi è possibile che i Prenestini, grazie al patrocinio di Catone, avessero infine la loro rivalsa sull’arroganza del console.

Il saggio di Corey Brennan è arditamente costruito sulla testimonianza di una sola iscrizione,18 il decreto di Pergamo in onore di Diodoro Pasparo,19 opposto alla massiccia tradizione storica rappresentata dagli excerpta de legationibus, opera compilata nel X secolo per iniziativa dell’imperatore Costantino VII Porfirogenito. Se dalla iscrizione Corey Brennan, forse eccessivamente generalizzando, deduce che nelle epigrafi gli ambasciatori vengano invariabilmente ricordati per i loro successi,20 dall’indagine sugli autori a cui gli excerpta attingono egli può constatare il fallimento di una buona percentuale delle missioni diplomatiche descritte.

Il saggio di Eck concerne l’utilizzo della diplomazia in funzione burocratico-amministrativa:21 questo avviene in età imperiale quando le città, per ottenere la concessione di privilegi, o il permesso di introdurre innovazioni sul territorio,22 si rivolgono direttamente all’imperatore oppure ai suoi rappresentanti, proconsoli, legati imperiali o procuratori che siano. Una differenza fra Oriente e Occidente è da riscontrare nella documentazione, in quanto la diversa cultura epigrafica prevalente ha fatto sì che i documenti iscritti su pietra si siano salvati in considerevole misura nella parte orientale dell’impero, mentre quelli della parte occidentale, perlopiù iscritti su bronzo, siano andati perduti.

Il capitolo finale, di Haensch,23 è dedicato alla illustrazione di alcune realtà marginali dell’impero romano, non per questo meno interessanti e significative: la trattazione prende le mosse da un decreto con il quale la città di Chersonesus Taurica onora T. Aurelius Calpurnianus Apollonides, un procuratore imperiale il cui cursus, già noto da altre iscrizioni, sembra arricchirsi dell’esercizio di una funzione militare sino ad ora sconosciuta. Haensch passa quindi a considerare il fortuito incontro dello scrittore Luciano con ambasciatori del Regno del Bosforo: non è chiaro se il tributo che essi portavano con loro fosse destinato all’imperatore (così Haensch), oppure fosse un sussidio da essi ricevuto, secondo una consuetudine attestata da Zosimo. Nella parte finale Haensch confronta il dato letterario e quello archeologico-epigrafico per evidenziare come dei semplici liberti imperiali, nella fattispecie tali Lykormas ed Aurelius Hypsaeus (Hapsay), esercitassero una notevole autorità rispettivamente presso il regno del Bosforo e presso le tribù arabe del deserto: trova così piena attuazione quel modello di sovranità a due livelli teorizzato dal Millar.

Considerando il libro nel suo assieme si può dire che, in relazione alla genericità del titolo, siano stati lasciati del tutto in secondo piano i rapporti diplomatici relativamente ai primi cinque secoli dalla fondazione di Roma (753-264 a.C.). Si tratta di circa quattrocento atti, ambascerie di popoli stranieri e legazioni inviate dal senato,24 che in alcuni casi possono risultare illuminanti anche sulle successive vicende. Ad esempio, quando Ager nel primo saggio afferma (p. 13) che ‘i Romani non avevano alcuna familiarità con l’affidamento della risoluzione di un conflitto internazionale ad una terza parte neutrale prima di conoscere tale istituto presso i Greci’, non tiene conto di una serie di episodi della storia arcaica di Roma,25 e in particolare di una vicenda che giustifica la successiva diffidenza dei Romani per l’arbitrato.26 Anche il saggio di Yakobson rimane privo dell’apporto di una serie di episodi che esaltano le dinamiche di relazione fra popolo e senato in questioni di politica estera anche per l’età più antica.27 Critiche si possono muovere nel dettaglio ad altri singoli contributi: ad esempio Battistoni, affermando che l’iscrizione di Alabanda “had defied any attempt to date it with certainty” (p. 91), mostra di ignorare le argomentazioni addotte nel recente dibattito;28 analogamente Corey Brennan, quando conclude affermando che: “it would take some effort to make a comprehensive collection of the evidence on all embassies of the Republic and high Empire”, sembra del tutto ignaro degli sforzi compiuti per colmare tale vuoto.29 In questo, come in altri casi, sembra deficitare l’opera del curatore, il quale sarebbe dovuto intervenire per adeguare il livello dei contributi allo stato della ricerca, o anche solo per coordinare e mettere in relazione fra loro i vari saggi.30 Ad Eilers, che con zelo si è prodigato per far tradurre in inglese un certo numero di contributi,31 si può anche rimproverare una certa timidezza nel presentare e far valere in questa sede le proprie specifiche competenze, che pure hanno stretta attinenza con il tema dibattuto.32 Nella redazione finale del libro, elegantemente confezionato, si poteva utilmente aggiungere un indice delle fonti.33

Per concludere, il volume, pur con le riserve espresse, rappresenta una utile messa a punto su numerosi aspetti relativi alla diplomazia nel mondo romano. Bisogna essere grati all’editore per aver scelto questo tema ed averlo condiviso con un gruppo tanto qualificato di studiosi.

Notes

1. Dedico questa recensione alla memoria di mio padre Carlo, venuto a mancare il 9 luglio 2009.

2. C. Eilers, Introduction, 1-13.

3. Una significativa elencazione di tali pericoli in Paolo, 2 Cor. 11, 26: “Viaggi innumerevoli, pericoli di fiumi, pericoli di briganti, pericoli dai miei connazionali, pericoli dai pagani, pericoli nella città, pericoli nel deserto, pericoli sul mare, pericoli da parte di falsi fratelli”.

4. Paradigmatica in questo senso fu la reazione del senato alla proposta dei Rodii nel 167 a.C., contrapposta alla cordiale accoglienza di Prusia, re della Bitinia, che pure aveva tentato di intercedere in favore del giovane Perseo.

5. S.L. Ager, Roman Perspectives on Greek Diplomacy, 15-43.

6. A. Yakobson, Public Opinion, Foreign Policy and ‘Just War’ in the Late Republic, 45-72.

7. Ad esempio W.V. Harris, War and Imperialism in Republican Rome, 327-70 BC, Oxford 1979, alle cui posizioni è invece piuttosto vicino il contributo di Ager.

8. F. Battistoni, Rome, Kinship and Diplomacy, 73-97.

9. F. Canali De Rossi, Le Relazioni Diplomatiche di Roma, vol. II, Roma 2007, nr. 405.

10. A. Erskine, Troy between Greece and Rome, Oxford 2001.

11. J.B. Rives, Diplomacy and Identity among Jews and Christians, 99-126.

12. Per tale interpretazione cfr. A. Bash, Ambassadors for Christ, Tübingen 1997.

13. Ad un simile genere di ambasceria fanno riferimento le lettere di Adriano recentemente pubblicate da G. Petzl ed E. Schwertheim, Hadrian und die dionysischen Künstler, Bonn 2006, con le osservazioni di C.P. Jones, Three New Letters of the Emperor Hadrian, “ZPE” 161, 2007, 145-156, e la mia recensione in “Sehepunkte” 8, 2008, nr. 3.

14. J.-L. Ferrary, After the Embassy to Rome: Publication and Implementation, 127-142.

15. Mi riferisco in particolare agli articoli di M. Bonnefond-Coudry, Contrôle et traitement des ambassadeurs étrangers sous la république romaine, in C. Moatti (ed.), La Mobilité des personnes en Mediterranée de l’Antiquité à l’époque moderne, Roma 2004, pp. 529-565 e dello stesso J.-L. Ferrary, Les ambassadeurs grecs au Sénat romain, in J.P. Caillet – M. Sot (edd.), L’Audience: Rituels et cadres spatiaux, Parigi 2007, pp. 113-122.

16. Le reazioni ostili alla notifica, come ho tentato di mostrare nell’articolo Morte di un ambasciatore di Alabanda, in “Scienze dell’Antichità” 6-7, 1992 [ma 1996], pp. 35-40, si potevano spingere sino all’omicidio. Sono dispiaciuto che questa mia proposta, che implica una datazione del documento di Alabanda di poco successiva alla caduta in disgrazia di Eumene (166 a.C.), non sia stata adeguatamente considerata da Ferrary. La datazione da lui accolta (80 ca. a.C.) comporta l’insostenibile conseguenza di una notifica al cospetto di Mitridate, il quale — a differenza di Eumene — non era certamente interessato alla immunità concessa dal senato ad Alabanda.

17. M. Jehne, Diplomacy in Italy in the Second Century BC, 143-170. Cfr. ora anche il volume edito dallo stesso e da R. Pfeilschifter, Herrschaft ohne Integration? Rom und Italien in republikanischer Zeit, Frankfurt a.M. 2006.

18. T. Corey Brennan, Embassies Gone Wrong: Roman Diplomacy in the Constantinian Excerpta De Legationibus, 171-191.

19. Alla bibliografia addotta a p. 171, note 1-2 aggiungi F. Canali De Rossi, Attalo III e la fine della dinastia pergamena, “EA” 31, 1999, 83-93 (spec. 83-86), ove si dimostra che IGR IV 294 = OGIS 764 non è pertinente al dossier di Diodoro Pasparo. I testi rilevanti per l’ambasceria di Diodoro a Roma sono riprodotti in F. Canali De Rossi, Iscrizioni Storiche Ellenistiche [d’ora in poi ισε] ιιι, nr. 190 e 191.

20. Tale convinzione sembra limitata da una serie di esempi che non sono stati presi in considerazione (l’esito del caso di Abdera, ISE III 183, è notoriamente incerto; gli inviati di Centuripe che ottennero una sanzione della ‘parentela’ da Lanuvium, ISE III 163, tornavano da Roma a mani vuote; e in molti altri casi, quand’anche non letale, cfr. ad es. ISE III 153, 185, l’esito sembra tutt’altro che trionfale); lo stesso Corey Brennan del resto è consapevole del fatto che the most basic physical hardships of performing diplomacy are … fully attested … in the epigraphic evidence (p. 183).

21. W. Eck, Diplomacy as Part of the Administrative Process in the Roman Empire, 193-207.

22. Quali ad esempio la creazione e la denominazione di un nuovo centro urbano ( Sabora in Spagna) o l’istituzione di un mercato (gli Harillenoi in Asia minore), o l’indizione di giochi sportivi ( Thyateira pure in Asia minore).

23. R. Haensch, Not Official, but Permanent: Roman Presence in Allied States—The Examples of Chersonesus Taurica, the Bosporan Kingdom and Sumatar Harabesi, 209-225.

24. Ho raccolto le fonti relative a tali atti, introducendole con una succinta narrazione, in Le Relazioni Diplomatiche di Roma [d’ora in poi RDR], vol. I, Roma 2005 (ristampa 2009). In occasione del convegno, per gentile concessione di Eilers, che ringrazio, ho potuto fare una breve presentazione di una versione preliminare del volume.

25. I Romani invitano Porsenna a farsi giudice della contesa fra loro e Tarquinio, e si sottopongono al suo arbitrato: dopo aver rischiato di compromettere il giudizio a causa della fuga di Clelia, riescono vincitori in virtù di una scorrettezza commessa da Tarquinio, RDR I 60-61; i Rutuli invitano i Romani a sottoporsi alla loro mediazione nel conflitto che li oppone ai Latini, RDR I 76; Roma invita i Napoletani a risolvere le loro contese con Capua per mezzo di un arbitrato, RDR I 269; le fazioni in Sagunto richiedono l’arbitrato dei Romani, RDR II 468.

26. L’episodio è quello della richiesta ai Romani di un arbitrato da parte delle città di Aricia ed Ardea, RDR I 140 e 141: dopo che gli ambasciatori delle due parti ebbero parlato dinanzi al popolo romano riunito per giudicare la questione, un anziano plebeo, P. Scaptius, che molti anni prima aveva contribuito alla conquista di Corioli, asserì che il territorio conteso era appartenuto a quella città, e che pertanto era stato acquisito al dominio romano. I senatori, pur vergognandosi, dovettero accettare il giudizio del popolo, e solo con un escamotage furono poi in grado di restituire agli Ardeati il maltolto nell’arbitrato. Da qui la fondata convinzione, ritengo, che sotto la nobile veste di un arbitrato si potessero compiere infami abusi.

27. Al popolo romano è rimessa la decisione di restituire o meno i beni al re Tarquinio, RDR I 53; il popolo esercita l’arbitrato fra Aricia e Ardea, RDR I 140-141 (nota precedente); il popolo eleggendo i Fabii alla carica di tribuni militum consulari potestate ne impedisce la consegna ai Galli, già decisa dal senato, RDR I 184; l’udienza dei legati di Caere, che si discolpavano dell’aiuto fornito ai Tarquiniesi, viene delegata al popolo dal senato, RDR I 213; ambasciatori Sanniti in merito al rinnovo del trattato di alleanza convincono il senato, ma non il popolo e, dopo avere supplicato i singoli senatori, ottengono solo una tregua biennale, RDR I 282; la legge per la guerra contro i Lucani è fatta votare al popolo dal tribuno C. Aelius, RDR I 346, etc.

28. Cfr. supra, nota 16.

29. L’esigenza di a full collection of all references to foreign embassies to Rome era già stata espressa come un “burning desideratum” da J. Linderski, Ambassadors Go to Rome, in Éd. Frézouls – A. Jacquemin, Les Relations Internationales, Parigi 1995, 453-478, p. 454, n. 5. Lo stesso, nel ripubblicare l’articolo in Roman Questions II. Selected Papers, Stuttgart 2007, 40-60, ha aggiunto (p. 41): “this call has now been amply answered: a full collection of sources on Greek embassies to Rome has been offered by F. Canali De Rossi, Le ambascerie dal mondo greco a Roma in età repubblicana, Roma 1997”: è pertanto un peccato che Corey Brennan, senza utilizzare il mio lavoro, abbia preferito ricorrere a citazioni dirette dal De legationibus gentium.

30. Ad esempio le posizioni espresse da Ager e di Yakobson in relazione al concetto di iustum bellum appaiono fra di loro inconciliabili: questo può capitare, ma il convegno sarebbe dovuto anche servire ad appianarle.

31. Per tale motivo Eilers viene ringraziato da Battistoni, Ferrary, Eck ed Haensch; il testo inglese di Jehne è stato invece rivisto da Frank X. Ryan. Avendo personalmente assistito al convegno ho il ricordo della presenza di alcuni relatori (C. Ando, C.P. Jones, J. Bodel) i cui contributi non figurano nel presente volume, mentre non ricordo di avere ascoltato il paper di Battistoni: ma non ho potuto verificare il programma originario della conferenza che non è incluso nel volume né è più disponibile on line.

32. Il tema del patronato, su cui Eilers ha prodotto la monografia Roman Patrons of Greek Cities, Oxford 2002, è praticamente assente dal libro, benché l’apporto dei patroni fosse fondamentale nell’assicurare udienza e appoggio agli ambasciatori presso il senato: cfr. F. Canali De Rossi, Il ruolo dei patroni nelle relazioni politiche fra Roma e il mondo greco, Lipsia / Monaco 2001. Rispetto ai lavori citati la lista dei patroni si è ora arricchita di un congruo numero di attestazioni dalla città di Cauno: cfr. Chr. Marek, Die Inschriften von Kaunos, Monaco 2006, nrr. 106, 109, 110, 114, 129. Una ulteriore attestazione, da Tralles, è stata pubblicata da M. Aydas, in “EA” 37, 2004, 121-122, nr. 2 (SEG 54, 1171).

33. Segue un elenco di errori riscontrati nella lettura del volume: p. 57, ottava riga dal basso: “to be [to be] a matter”; p. 67, dodicesima riga dal basso: “from [the] their alleged display”; decima riga dal basso: “let as grant” per “let us grant”; p. 82, nota 32, linea 4: l’autore di Ein Vertrag zwischen Rom und den Lykiern non è S. Mitchell ma Chr. Schuler; pp. 84-86, passim : “Lampsacans” deve essere inteso come “Lampsacenes”; p. 89, l’episodio di Sulpicius Rufus non avviene “later on”, ma è anteriore di alcuni anni a quello dei Lici; p. 172, linea 15: non si tratta della Terza Guerra Macedonica, bensì Mitridatica; p. 175, linea 13: non si tratta di “managers of the Isthmian games” ma di “managers of the Isthmian guild”; p. 211: “Constantinus Porphyrogentes” mi sembra una grafia scorretta; infine la collocazione nella raccolta del contributo del Rives, pertinente all’età imperiale, sembra anacronistica.