BMCR 2009.08.55

Magische Sprachverwendung in vulgärlateinischen Fluchtafeln (defixiones). ScriptOralia; 135

, Magische Sprachverwendung in vulgärlateinischen Fluchtafeln (defixiones). ScriptOralia; 135. Tübingen: Gunter Narr Verlag, 2008. 450. ISBN 9783823364368. €98.00.

Il lettore tradizionae, abituato a sfogliare i corpora per conoscere l’elenco completo dei testi e la loro riproduzione grafica, cercherebbe invano in questo volume la rispondenza a un modello consolidato, che trovò la sua massima espressione nella tradizione ottocentesca. Non che nell’opera manchi del tutto l’analisi dei problemi testuali, storici e archeologici presentati dalle tabulae defixionum, ma il quadro è organizzato diversamente. Infatti il volume, che pubblica la tesi di dottorato all’università di Heidelberg dell’A., si differenzia dalle tradizionali trattazioni storico-filologico-archeologiche perch inquadra il materiale analizzato nell’ambito delle teorie strutturaliste, qui applicate sia al linguaggio sia all’aspetto antropologico. Perciò le tabulae defixionum sono intese come fatti sociali, da cui dedurre messaggi e sistemi di comunicazione, per comprenderne la logica interna ai modelli culturali. Sicuramente ciò comporta qualche vantaggio interpretativo, ove il lettore si lasci accompagnare in una selva di definizioni, formule, etc. non sempre agevoli e ove soprattutto voglia privilegiare l’aspetto analitico-descrittivo rispetto a quello esegetico tradizionale. Peraltro, come onestamente si riconosce, la qualità del materiale analizzato, in cui nella maggior parte dei casi compare solo il nome del defixus (p. 140), è d’ostacolo all’applicazione sistematica su larga scala di queste teorie.

Il volume di Amina Kropp appare di particolare interesse anche alla luce di straordinari rinvenimenti, entrambi avvenuti nel 1999, precisamente le 34 tabulae defixionum trovate a Mainz tra i santuari di Magna Mater e di Iside1 e i contenitori in piombo dalla fontana di Anna Perenna a Roma—rinvenimenti che hanno fatto meglio conoscere i contesti, la datazione e la modalità deposizionale di questi testi. Occorre tenere presente che le tabulae non sono solo dei piombi iscritti, ma, come l’A. riconosce (p. 67), sono il risultato di una pratica rituale che coinvolgeva la scelta dei luoghi, i tempi, e i modi della deposizione. Esse potevano essere accompagnate anche dal sacrificio di un cane o di un pollo o eccezionalmente dalla deposizione di parti del corpo, capelli o veste del maledicendo (p. 87). La rassegna dei concetti della ritualità viene qui condotta secondo tendenze antropologiche che, a partire dagli anni sessanta del secolo scorso, si occupano della vita quotidiana non meno che della sfera religiosa. Questo è un punto forte del volume (pp. 68 segg.), che succintamente indica le azioni magiche come elementi di interazione tra individuo e società o come una forma specifica di comunicazione (p. 69) costituita anche da particolari gesti e parole. Anche la deposizione ai margini della topografia sociale, in uno spazio intermedio dedicato agli dei inferi, talora con gesti illeciti come l’apertura notturna di una tomba, comportava importanti risvolti rituali di comunicazione (p. 90). L’analisi testuale condotta secondo i principi della linguistica strutturale (pp. 122-134) costituisce una parte notevole e originale del volume e produce un’ampia casistica presentata con estrema accuratezza, ad es. dei verbi, delle formule usate, delle loro combinazioni.

Le tabulae defixionum in lingua latina sono meno numerose rispetto al migliaio in lingua greca (p. 29). Secondo l’A. sono 579 le epigrafi romane che possono venir intese come defixiones (p. 37, ma 578 a p. 247). Le più antiche tabulae (in greco) risalgono al VI-V sec. a. C. (p. 38), mentre la parola stessa defixio pare attestata solo dal VI sec. d. C. (p. 39). L’attestazione greca più antica viene dal mondo occidentale, da Selinunte, alla fine del VI sec. a. C. (p. 45). La più antica tabula latina proviene da una tomba di Pompei datata al II sec. a. C. (pp. 39 e 45). Delle 21 anteriori alla nascita di Cristo la maggior parte è stata rinvenuta in Italia, cui fa seguito la sola Spagna, mentre nei secoli successivi l’uso si diffonde in altre regioni (Nordafrica, Germania, Britannia). Le 39 di Mainz, che costituiscono la gran parte di tutto il patrimonio della Germania (49 exx.), mostrano quanto esse fossero comuni in luoghi considerati particolarmente adatti. In generale tra II e IV sec. sembra aversi il massimo delle loro attestazioni. Dall’insieme si ricavano elementi che superano il ristretto ambito considerato: tale ad es. l’indicazione della madre del defigendus, che si riscontra quasi esclusivamente nel Nordafrica (pp. 171-172) e che fa riferimento a un sistema onomastico locale, o l’utilizzo di ephesia grammata e del termine abrasax (pp. 140-141) che permetterebbe di ampliare l’analisi anche ad altri ambiti, come ad es. quello delle gemme magiche.

Dato che la conoscenza della scrittura implica un certo grado di cultura, l’A. si domanda se gli autori dei testi fossero specialisti o dilettanti (pp. 52-53). In alcuni casi l’indagine paleografica rivela l’attività di un non-specialista (p. 54). Ma l’evoluzione del genere sembra aver richiesto la conoscenza specifica di una precisa demonologia e una prassi più raffinata, che non possono essere patrimonio comune. Di ciò esistono prove testuali e contenutistiche nei testi che implicano la collaborazione di esperti e l’esistenza di formulari già predisposti, alcuni dei quali non furono trascritti correttamente o completamente (p. 55). Se nella quasi totalità dei casi ci sfugge l’origine sociale dei defigentes (p. 57), risulta invece evidente il carattere di “lettera” dei testi stessi, in massima parte scritti su lamine in piombo, o lega di piombo; molto più rari gli altri materiali, come terracotta, pietra, rame, stagno, bronzo etc.(p. 80). Il carattere di lettera è indicato oltre che dal testo anche da alcuni fattori contestuali, come la deposizione nelle tombe che assegna al defunto la funzione di latore del messaggio (p. 83). Si tratta peraltro di lettere particolari, quasi “antilettere” non destinate alla lettura, punite dalle leggi vigenti, e di per sé malvage, la cui eccezionalità è indicata anche dalla scrittura bustrofedica o rovescia (p. 86)

Una cinquantina di pagine sono dedicate all’analisi linguistica delle tavolette latine (pp. 253-299). Pur non essendo destinate alla lettura a motivo della loro manipolazione, le tabulae sono importanti documenti di lingua non letteraria e contengono significativi elementi relativi alla pronuncia, alla morfologia e al lessico della lingua latina—ossia costituiscono un corpus più vicino al parlato, che di norma appare omogeneo nelle varie parti dell’impero (p. 255). Va considerato, d’altro lato, che la conoscenza della scrittura significa già un certo grado di istruzione (p. 257) per cui il valore documentario di questi testi si riferisce a un livello culturale relativamente alto. Dalla dettagliatissima analisi di carattere linguistico, di grande interesse specialmente per lo studio delle trasformazioni della lingua, emerge ad es. l’uso accentuato dell’accusativo, spesso preceduto da ad, insieme a molte altre particolarità che sono indicate con grande esattezza. Sorprende, tuttavia, in esse un atteggiamento conservativo sul piano lessicale ancora nel III sec. d. C., il che forse si spiega con l’uso protratto nel tempo di formulari. Si nota infine l’uso innovativo di alcuni termini, ad es. latro con significato di ladro, o paganus contrapposto a miles (nel senso di civile) (p. 293).

La ricchissima bibliografia (532 titoli) conclude la parte cartacea: gli studi più recenti sono datati al 2007 (Adam). Stranamente non è ricordato il volume miscellaneo di Brodersen e della stessa Amina Kropp su questa stessa tematica,2 mentre nel CD sono riportati, talvolta nel campo “weitere Publikationen,” altri studi più recenti e specifici che nella bibliografia generale non compaiono.

Data la complessità della materia, un indice analitico sarebbe stato oltremodo utile.

Nel testo Defixionum tabellae compare ora maiuscolo ora minuscolo ora semplicemente DT (pp. 30-31).

Lo studio di questo materiale, iniziato a partire dalla pubblicazione di padre Nicolò Ignarra a Napoli nel 1796, raggiunse un elevatissimo grado di analisi alla fine dell’Ottocento e all’inizio del Novecento, confluendo nell’opus magnum dell’Audollent, cui ancora oggi si riferiscono gli specialisti, sul modello del CIL. Oggi purtroppo il materiale edito più di un secolo fa e e di cui non sia stata pubblicata la riproduzione fotografica non è più controllabile, per cui è difficile verificare (o modificare) la lettura corrente. Per questo motivo appare estremamente utile—e in linea con gli attuali sistemi di consultazione—il database allegato al volume e contenuto in un CD. Esso comprende 404 schede relative ad altrettante tabulae defixionum. Ognuna è articolata in più sezioni: contesto, bibliografia specifica, informazioni sulla tavoletta (per es., materiale, forme di manipolazione), e infine testo. Per quest’ultimo in alcuni casi si forniscono nuove letture. Questa scelta, che si fa sempre più frequente, permette di consultare agevolmente l’ampio materiale nel proprio pc.

Notes

1. Su queste da ultimo J. Blaensdorf, Die Defixionum tabellae des Mainzer Isis-und Mater Magna-Heiligtums, in M. Hainzmann-R. Wedenig (Hrsg.), Instrumenta Inscripta Latina II, Klagenfurt, Verlag des Geschichtsvereines fuer Kaernten, 47-70.

2. Fluchtafeln: neue Funde und neue Deutungen zum antiken Schadenzauber / herausgegeben von Kai Brodersen und Amina Kropp, Frankfurt am Main, Verlag Antike, 2004.