BMCR 2009.07.75

Gregory of Nazianzus on the Trinity and the Knowledge of God: In Your Light We See Light. Oxford Studies in Historical Theology

, Gregory of Nazianzus on the Trinity and the Knowledge of God: In Your Light We See Light. Oxford Studies in Historical Theology. Oxford/New York: Oxford University Press, 2008. xvi, 396. ISBN 9780195313970. $49.95.

Preview

L’autore, osservando giustamente (p. 271 n. 1) che non esistono, a tutt’oggi, degli studi globali su molti scrittori del cristianesimo antico, come Origene, Atanasio, Didimo e altri, intende colmare questa lacuna con il presente lavoro, dedicato a Gregorio Nazianzeno. Il suo intento è riuscito, perché questo studio, molto attento e informato, ci presenta la teologia di Gregorio Nazianzeno mediante una interpretazione anch’essa strettamente teologica. Tuttavia Gregorio fu un pensatore di particolare versatilità e di molteplici interessi, tanto che la sua figura, nonostante la fama di teologo che egli ebbe a partire dal Concilio di Calcedonia, fu celebre anche per la retorica, la poesia e l’oratoria—e questo è asserito, in fondo, dall’autore stesso alla p. vii della prefazione.

Ciò premesso, l’interpretazione di Beeley intende prescindere, come egli spiega nel corso della Introduction (pp. viii – ix), da ogni lettura filosofica. A nostro parere, se l’approccio a Gregorio, come era stato eseguito negli ultimi anni del XIX secolo (in pieno positivismo e secondo i criteri della Quellenforschung) e nei primi decenni del XX secolo, era sicuramente angusto e non rendeva giustizia al teologo, negli ultimi decenni del XX secolo tale lettura era stata abbandonata, ed anche noi (ci sembrava) avevamo sempre osservato che l’etichetta di Gregorius Nazianzenus platonicus era inadeguata. Questo non significava che la elaborazione teologica non potesse servirsi anche delle categorie filosofiche, che erano quelle che Gregorio aveva appreso insieme alla istruzione fornitagli dalla tradizione cristiana. A p. 215 n. 89 Beeley afferma: ‘In any event, Gregory is not trying to establish a philosophical doctrine of a unified divine Triad. As Pinault comments, even if is making an allusion to Plotinus, this text does not indicate any serious Neoplatonic influence’. Ma se prescindiamo del tutto da ‘any serious Neoplatonic influence’, noi interpretiamo Gregorio in modo astratto e non riusciamo a collocarlo nel modo giusto nella cultura cristiana del quarto secolo; perché ci manca la definizione della sua realtà storica. L’importante è vedere in che modo la tradizione cristiana si è espressa mediante categorie (neo)platoniche: questo è, a nostro parere, il modo più equilibrato di intendere la teologia del cristianesimo antico. Come potremmo altrimenti comprendere Clemente, Origene, Basilio, Gregorio di Nissa e lo Pseudo Dionigi? Questa esigenza potrebbe essere adattata a tutti i teologi del cristianesimo antico.

Premessa questa osservazione di metodo, la interpretazione teologica di Beeley è caratterizzata dallo sforzo di unificare le tematiche cristologiche, pneumatologiche e trinitarie.

La prefazione è interessante anche per altri motivi. Beeley non è convinto che esista una omogeneità di pensiero tra i Padri Cappadoci, la quale sarebbe, a suo parere, una ricostruzione della critica della fine dell’Ottocento e dei decenni successivi (p. viii). Altri studiosi, in effetti (ad esempio Chr. Markschies), convergono su questa interpretazione, e non si può negare che le divergenze sul piano dottrinale all’interno del presunto gruppo dei Cappadoci siano notevoli. Lo stesso Beeley le mette in evidenza con molta precisione nel capitolo conclusivo (pp. 292-309). Eppure io aderisco alla opinione tradizionale, perché le diversità di opinioni, anche grandi, sono il prodotto inevitabile di grandi personalità. Non credo che l’attribuzione a Basilio del ruolo di maestro sia stata solo la conseguenza dell’encomio che Gregorio ne fece nell’orazione 43: questo ruolo è costantemente riconosciuto sia dal Nazianzeno (almeno fino al 372) sia dal Nisseno (almeno fino al Contra Eunomium e alla Vita Macrinae, cioè fino al periodo centrale della sua vita). Se il Nazianzeno non ricorda mai Basilio nel periodo cruciale di Costantinopoli (379-381), né il Nisseno negli ultimi anni della sua vita, il Nazianzeno può essere stato spinto da un certo risentimento nei confronti dell’amico per il ben noto affare di Sasima, ed il Nisseno da interessi divergenti da quelli della teologia trinitaria. Ma in ambito trinitario e per molti aspetti della cultura filosofica (che però Beeley, come abbiamo visto, non intende considerare), il Nazianzeno e il Nisseno rielaborano— anche distanziandosi— dottrine basiliane. Abbiamo cercato di dimostrarlo in un nostro studio ( I Padri Cappadoci, Città Nuova, Roma 2008), nel quale abbiamo inglobato nell’ambiente di Basilio, del Nazianzeno e del Nisseno anche due personalità che circolarono attorno ad essi: Amfilochio di Iconio ed Evagrio Pontico.

A p. ix Beeley sostiene che ‘unique among modern studies, this book interprets Gregory’s doctrine on the basis of his entire corpus of orations, poems, and letters, rather than focusing primarily on the famous Theological Orations and Christological epistles, which have too easily been misunderstood when read in isolation from other texts’. In realtà, le epistole e le poesie non suscitano l’interesse di Beeley e sono raramente impiegate nella sua trattazione.

Due precisazioni terminologiche di p. ix e 10 n. 27 vogliono mettere in guardia da pericoli di falsa interpretazione; in realtà la precisazione è ovvia e i pericoli non sono così gravi. La prima è che l’aggettivo ‘trinitario’, impiegato in espressioni come ‘dottrina trinitaria’ o ‘teologia trinitaria’, non vuole indicare un particolare modello, teoria o struttura della Trinità, ma significa semplicemente qualcosa che riguarda la Trinità. Ma è ovvio che la dottrina trinitaria di Basilio è diversa da quella di Eunomio. La seconda è che i termini ‘nicene’ e ‘pro-Nicene’ sono usati soprattutto per riferirsi a figure e dottrine associate con il Credo e il Concilio di Nicea, piuttosto che con un significato tecnico, dottrinale, nel qual caso è usato (da Beeley) comunemente il termine ‘trinitario’.

L’introduzione (pp. 4-62) contiene la biografia di Gregorio ed un inquadramento storico della sua epoca e della sua vita: è, quindi, una introduzione alla trattazione teologica. La biografia si accosta molto a quella, di primaria importanza, scritta da Mc Guckin nel 2001. è, questa, una buona interpretazione della vita di Gregorio, nella quale la sintesi storica è sostenuta anche da testi di non frequente utilizzazione, come le epistole papali di Damaso e altri documenti occidentali in lingua latina. Altre interpretazioni di B:, che sono sicuramente da accogliere, riguardano lo scarso ruolo che Atanasio ebbe nella formazione del pensiero di Gregorio (p. 25 e 277-284) (e questo vale anche per Basilio). Beeley sottolinea, inoltre, il ruolo che ebbero gli Antiocheni (ed in particolare Diodoro) sia nella opposizione politica a Gregorio sia nella formulazione di una dottrina per lui inaccettabile (ad esempio per quello che riguarda la pneumatologia). La questione è molto difficile, perché i riferimenti di Gregorio agli Antiocheni non sono mai espliciti, e se avessimo trovato, in questo libro, maggiori spiegazioni a questo riguardo, sarebbe stato opportuno: la ostilità tra i Cappadoci e gli Antiocheni, invece, è data come ovvia. Non sono invece d’accordo su dei particolari, anche se non essenziali per la biografia di Gregorio, come a ritenere che l’idea della ‘tirannia’ subita da Gregorio ad opera del padre sia nella ordinazione sacerdotale sia in quella episcopale sia una invenzione di Gregorio stesso: le ordinazioni forzate erano comuni, e spesso si cercava di evitarle, con maggiore o minore successo, come mostrano i casi di Ambrogio, Gerolamo e Agostino. è giusta, infine, l’asserzione che troppo si è insistito, sulla base delle poesie, composte da Gregorio per la massima parte dopo il suo abbandono del Concilio, sulla accentuata malinconia che caratterizzava la sua personalità. Secondo Beeley e Mc Guckin, essa deriverebbe da una forma di ‘autoritratto’ voluto dal Nazianzeno stesso; secondo altri (ad esempio, Carmelo Crimi), il Nazianzeno fu un intellettuale autorevole nella Cappadocia del 380-390, come dimostrano soprattutto le sue poesie raggruppate alla fine della edizione di Patrologia Graeca, vol. 38. A parte alcuni altri dettagli della narrazione della vita di Gregorio, la conclusione di Beeley è sicuramente esatta, ma contrasta con quel rifiuto di impiegare la filosofia nell’interpretazione della teologia di Gregorio, a cui sopra abbiamo fatto riferimento. Gregorio, secondo Beeley, costruì una onnicomprensiva, classica paideia cristiana, centrata sulla confessione della Trinità. Il suo corpus è la più chiara dimostrazione dell’uso della letteratura classica al servizio della cultura cristiana e la risposta più chiara al tentativo di censura da parte dell’imperatore Giuliano (pp. 61-62).

Il primo capitolo (‘God and the Theologian’, pp. 63-113) è nel complesso giusto, ma non particolarmente nuovo. Esso è incentrato sul significato della purificazione quale propedeutica alla conoscenza e allo studio della teologia e alla concomitanza purificazione— illuminazione. La purificazione, in sostanza, per Gregorio significa la rinuncia al peccato o la sua cancellazione, non implica una particolare forma di ascesi, tanto più se paragonata a quella di Macrina o di Basilio (p. 74). La sua fu un’ascesi moderata e culturale (‘scholarly’), che fece di Gregorio il pioniere della forma urbana del monachesimo bizantino e per questo motivo pari, per influenza, a quello di Basilio. Quando noi abbiamo sottolineato il parallelismo tra l’ascesi di Gregorio e quella di Platone o di Plotino non abbiamo affatto ipotizzato precipitosamente il predominio della dottrina platonica sulla cristianità di origine biblica, in Gregorio, ma esattamente il contrario, cioè che Gregorio si servì di espressioni e di concetti platonici per esprimere la sua concezione della ascesi cristiana. La purificazione, quindi, riguarda non solamente il corpo, ma anche l’anima. In questo Gregorio fu, più degli altri due Cappadoci, fedele discepolo di Origene (p. 75)— e l’influsso di Origene sulla teologia di Gregorio è sottolineato molte altre volte da Beeley Il Nazianzeno intende distogliere il cristiano dalla convinzione che la ragione da sola sia sufficiente per la conoscenza di Dio e convincerlo che la fede è il compimento della ragione, come intitola un ottimo saggio di Norris. In questo modo il cristiano può accedere alla teologia trinitaria (p. 113).

Con il capitolo secondo, dedicato a ‘Jesus Christ, the Son of God’ (pp. 115-151), si entra nel cuore della interpretazione teologica di Gregorio. Cristo è, secondo il Nazianzeno, non tanto un problema della controversia trinitaria, ma il Figlio di Dio, la cui divinità è essenziale per il cristiano, perché gli procura la divinizzazione, rende il cristiano divinizzato. Questo è avvenuto in quanto il Figlio di Dio ha assunto la natura umana. Su questa esigenza della divinizzazione del cristiano, causata specificamente della realtà teandrica di Cristo, si basa uno degli elementi della polemica di Gregorio contro gli Antiocheni e contro la loro umanizzazione del Cristo incarnato. Beeley è mosso da una forte esigenza unitaria nella interpretazione della Persona del Figlio di Dio, considerata indivisa, divina e umana nella sua essenza. Bisogna comprendere il Figlio di Dio nella sua unità economica (p. 143) (l’esigenza di comprendere Dio nella sua economia è ribadita anche a proposito del Padre), che fa di lui contemporaneamente il Figlio di Dio e Gesù Cristo, come avevano creduto gli Apostoli. Il ruolo fondamentale della cristologia di Gregorio è quello di confessare l’identità di Cristo in quanto eterno Figlio di Dio fatto uomo, non separatamente, come intendevano gli Antiocheni e gli Apollinaristi.

Anche il capitolo su ‘The Holy Spirit’ (pp. 153-186) è mosso dalla stessa esigenza unitaria. Dopo avere ripercorso la storia della pneumatologia, sia quella anteriore a Gregorio sia in Gregorio, e avere illustrato la novità del contributo del Nazianzeno ad una retta pneumatologia trinitaria, Beeley sottolinea l’importanza che lo Spirito Santo possiede, secondo Gregorio, proprio perché il cristiano possa comprendere la sua fede. Beeley mette in evidenza l’interconnessione tra divinizzazione (procurata dal Figlio di Dio), esegesi spirituale (procurata dallo Spirito) e dottrina cristiana: essa costituisce il nucleo centrale del pensiero di Gregorio. Anche in questo Gregorio si mostra fedele discepolo di Origene, il quale aveva insegnato che la retta interpretazione delle Scritture si raggiunge solamente grazie alla illuminazione e alla santificazione procurata al cristiano da quel medesimo Spirito Santo che era stato l’ispiratore delle Scritture.

Il capitolo sul Padre manca, e non è un caso. Seguendo le tendenze esegetiche della ‘scuola’ (se posso usare questo termine) di Crestwood, e asserite anche da altri studiosi, come Mc Guckin, anche Beeley ritiene che la Trinità si risolve nella Persona del Padre, perché il Padre è la fonte da cui hanno origine le altre due Persone divine, ed in questo Beeley si mostra fortemente convinto della giustezza di certe interpretazioni della teologia ‘greca’, cioè di quella che in occidente si suole chiamare ‘ortodossa’ per distinguerla da quella ‘romana’. Nel Padre, infatti, Beeley vede riassunta la ‘Theology of the Divine Economy’, ed egli tende a ‘unire’, più che a ‘distinguere’ le ipostasi (questo, del resto, fu sempre il problema che preoccupò i Padri Cappadoci, i quali oscillarono tra un polo, quello della distinzione, con Basilio, e quello della unione, con i due Gregori, sia pure in modi differenti). Per cui ‘tra i Cappadoci, è Gregorio di Nazianzo quello che fa della teologia il suo interesse principale. Sebbene egli non si riferisca alla economia divina più di Basilio e di Gregorio di Nissa, egli parla di teologia e di quello che le è imparentato molto più degli altri due’ (p. 196). Perciò Beeley afferma (p. 195) che ‘la dottrina trinitaria di Gregorio sostanzialmente non riguarda la metafisica della consustanzialità, né è una soluzione quasi matematica del problema di come possano tre entità essere solamente una, come spesso si concepisce nella immaginazione popolare. Ma piuttosto, tale teologia rappresenta l’economia divina nel suo significato più profondo, non in quanto sintesi delle dottrine su Dio— ancora una volta, non ‘il Padre’— Cristo e lo Spirito Santo, fatta dopo che essi sono ‘complete’, ma come la piena chiarificazione, approfondimento ed estensione del significato della economia divina’. Giustamente Beeley asserisce che non si può intendere in modo troppo angusto il significato della economia divina, come se essa fosse rivolta solamente ad extra). La distinzione tra teologia ed economia ha prodotto in passato risultati negativi ed impedito la piena comprensione del pensiero trinitario di Gregorio (pp. 198-199). In conclusione, è grazie all’economia divina, cioè alla economia del Padre, che la realtà divina si dispone nelle altre due Persone, del Figlio e dello Spirito— ma è solo in questo modo, cioè vedendo nel Padre il soggetto che ‘opera’ l’economia che si può conservare la Trinità non come problema matematico, ma come il Dio al quale è rivolta la fede dei Cristiani. A questo proposito anche Beeley prende in considerazione il passo relativo al triteismo, polemizzando con le opinioni di Cross e di Ayres, secondo i quali ‘la monarchia e la causalità divina sono collocate non esclusivamente nel Padre, ma nella natura divina, indipendentemente dal fatto che essa abbia avuto origine dal Padre’ (p. 209). Di conseguenza Beeley rimprovera a p. 190 la critica recente di basarsi in larga misura sulle cosiddette ‘orazioni teologiche’, le quali non darebbero una visione completa della teologia gregoriana e si basa più su or. 25, 15-18 che non su or. 31, 14-15. Per inciso, anche senza far riferimento al problema qui trattato da Beeley, non so se sia vero che la critica abbia sempre privilegiato le cosiddette ‘orazioni teologiche’; per quello che ci riguarda, ci è parso di avere sempre preso in considerazione, anche se non in un discorso strettamente teologico, anche le altre orazioni più significative per conoscere il pensiero di Gregorio, come le tre orazioni liturgiche sul Natale e sull’Epifania, quelle dedicate alla professione di fede davanti a Massimo (n. 25) o quella dell’addio ai Padri conciliari del 381 (n. 42) (naturalmente, non affrontiamo qui il problema della rielaborazione letteraria di queste orazioni e la loro effettiva corrispondenza alla realtà occasionale).

La conclusione è che ‘la priorità del Padre all’interno della Trinità non confligge con l’unità e l’uguaglianza delle tre Persone, ma è piuttosto quello che le causa e le permette. Il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo sono un solo Dio, condividendo esattamente la stessa natura divina, solo perché il Padre distribuisce quella natura al Figlio e allo Spirito, mentre la consustanzialità del Figlio e dello Spirito con il Padre è il corollario e l’eterno risultato della monarchia del Padre’. In questa asserzione non vi è niente da contestare, ma l’affermazione, frequente nel Nazianzeno ed anche nel Nisseno, che il Padre è la causa ed il Figlio e lo Spirito sono coloro che sono prodotti dalla causa, non contrasta con quanto afferma Beeley A questa concezione del Padre come origine della natura divina il Beeley riconduce, a nostro parere giustamente, il fatto—anche questo già osservato dagli studiosi— che il Nazianzeno adopera assai raramente il termine homoousios, e spesso come risposta agli argomenti avanzati da altri, in quanto esso sarebbe un prodotto secondario, piuttosto che un elemento fondamentale della sua dottrina trinitaria (p. 213). Allo stesso modo è stato osservato che Gregorio si serve quasi esclusivamente del linguaggio biblico, ed evita il termine ousia, al quale egli preferisce normalmente ‘divinità’ (p. 218). Questo capitolo dedicato al Padre conclude adeguatamente il notevole sforzo intellettuale con il quale il Beeley ha cercato di mettere in evidenza la dottrina trinitaria di Gregorio.

Il capitolo successivo (‘Pastoral Ministry’, pp. 235-270) è un po’ secondario rispetto ai tre di contenuto fortemente teologico, che abbiamo esaminato. Esso intende mettere in evidenza le conseguenze pratiche, secondo Gregorio, dello sforzo intellettuale con cui si è giunti a definire la vera dottrina trinitaria. Tale dottrina, evidentemente, non deve rimanere un patrimonio del teologo, quasi una dottrina esoterica, a cui la massa dei fedeli non può pervenire. Partendo dalla ben nota seconda orazione, che presenta l’ideale del sacerdote agli occhi di Gregorio, Beeley esamina la scienza pastorale, che sarebbe la più elevata di tutte le arti (pp. 241-247), l’esperienza pastorale e la virtù pastorale (pp. 247-254), per concludere (p. 269) che, secondo Gregorio, il ministero della parola (e in modo particolare, l’amministrazione della Trinità) costituisce il nucleo centrale del ministero pastorale e che la dottrina della Trinità ha rappresentato il vero significato della vita cristiana, l’essenza e l’elemento unificante del mistero pastorale (p. 269).

La conclusione (pp. 271 ss.) è soprattutto di carattere storico, e vuole considerare la posizione di Gregorio ‘among the Fathers’. I rapporti tra il Nazianzeno e Gregorio Taumaturgo rimangono, a mio parere, molto incerti e ipotetici; quelli con Atanasio sono, giustamente, ridimensionati: pure all’interno dell’encomio pronunciato nel 379, sembra che Gregorio non abbia conosciuto le Epistole a Serapione, che pure erano essenziali per la pneumatologia, ma solo le opere minori. Conforme alla sua interpretazione della posizione polemica con gli Antiocheni, Beeley attribuisce minor peso alla opposizione di Gregorio ad Apollinario (persino nelle epistole 101- 102). Delle somiglianze e dissomiglianze tra Gregorio, da una parte, e Basilio e il Nisseno, dall’altra, abbiamo già accennato sopra: la lettura di Beeley è, comunque, esatta. Alcune altre notizie relative al Nazianzeno vengono presentate alla fine di questo capitolo, ma l’essenziale su Gregorio era già stato detto.

Uno studio, quindi, molto teorico e profondo, soprattutto teologico; anche se specifica, si tratta comunque di un’ottima interpretazione complessiva di Gregorio di Nazianzo. ​