BMCR 2009.05.22

Freundschaft und Gefolgschaft in den auswärtigen Beziehungen der Römer (2. Jahrhundert v.Chr. – 1. Jahrhundert n. Chr.). Inklusion/Exklusion Bd. 9

, Freundschaft und Gefolgschaft in den auswärtigen Beziehungen der Römer (2. Jahrhundert v.Chr. - 1. Jahrhundert n. Chr.). Inklusion/Exklusion Bd. 9. Franfurt am Mein: Peter Lang, 2008. 261. ISBN 9783631584248. $65.95.

Table of Contents (PDF)

Il libro, contenente gli atti di un colloquio svoltosi presso l’Università di Trier dal 19 al 21 Ottobre 2007, fa seguito alla pubblicazione di un precedente volume miscellaneo, edito dallo stesso Coskun ed improntato al medesimo tema ( Roms auswärtige Freunde in der späten Republik und im frühen Prinzipat, in Zusammenarbeit mit Heinz Heinen und Manuel Tröster, Göttingen 2005).1 Il presente volume raccoglie 10 contributi, dei quali i tre dello stesso Coskun costituiscono una sorta di cornice concettuale all’insieme.

Dopo una breve prefazione (7-10) in merito al progetto da cui scaturisce la pubblicazione, nella introduzione lo stesso Coskun ritorna sulla definizione del concetto, in sé piuttosto elastico, di amicitia, con riferimento ai classici lavori di Gruen e Braund e rifacendosi anche al recente, vivo dibattito sulla valorizzazione dell’idea di συγγένεια in ambito diplomatico.2

Il contributo di C. Williams intende approfondire ulteriormente il concetto di amicitia attraverso una comparazione delle sfumate valenze che la traduzione della parola amicus assume nelle diverse lingue moderne. Secondo W. ad esempio il tedesco Freund risulta molto più impegnativo, sul piano dei valori, dell’italiano amico o dell’inglese friend. Il passo successivo è cercare lo specifico significato della parola in latino, che secondo W. è fortemente connotata dall’idea di uno scambio di favori, di una reciproca utilità delle parti contraenti amicitia.

Il saggio di L. Ballesteros Pastor3 ripercorre le intricate vicende del Ponto e della Cappadocia, fra la pace di Apamea (188 a.C.) e l’insurrezione di Mitridate (89 a.C.), con l’intento di individuare quali fossero gli interessi romani nel favorire l’uno o l’altro dei due regni oppure, nell’ambito di un singolo regno, nel favorire uno dei pretendenti alla successione dinastica. Per fare ciò B. tenta di determinare presso quali personalità o famiglie di Roma i vari sovrani cercassero di volta in volta appoggio, individuando, sulla scorta di precedenti speculazioni,4 gli Scipiones e gli Aemilii nel caso di Orophernes, i Sempronii nel caso di Ariarathes V ed i Metelli nel caso di Mithridates il Grande.

A. Niebergall considera gli aspetti sociali dell’adesione alla rivolta di Mitridate a cominciare dal caso emblematico e recentemente molto studiato del ribelle Damon di Cheronea, che venne giudicato da Lucullo. Altri figure canoniche di questa ricerca sono gli ateniesi Athenion ed Aristion, mentre poco in generale sappiamo sui ‘tiranni’ delle città asiatiche, quali i figli di Cratippo a Tralles, Epigonos di Colofone, Philopoimen di Efeso, Diodoros di Adramytteion. La tradizione è stata più generosa nel preservare la memoria di coloro che opposero resistenza all’avanzata del re pontico, come Chairemon di Nysa.

H. Prantl esamina il comportamento del re dell’Armenia, Artavasdes II, nel quadro delle relazioni romano-partiche, fra la spedizione orientale di Crasso e quella di Marco Antonio. Secondo P. Artavasdes è stato a torto caratterizzato come un traditore nella tradizione storica romana: nel corso della spedizione di Crasso, la subita invasione del territorio gli impedì di inviare i soccorsi promessi, costringendolo poi a divenire vassallo di Orodes. Marco Antonio, riguadagnata la supremazia in Oriente grazie ai successi di Ventidio (rimane incerto se la sottomissione dell’Armenia, al pari di quella di altri popoli caucasici, venisse da questi ottenuta grazie alla spedizione di Canidius Crassus), di nuovo ritenne di poter contare sull’appoggio dell’alleato armeno per la definitiva sottomissione del regno partico: Artavasdes però, allontantatosi troppo rapidamente dal campo per difendere le salmerie, venne giudicato a tutti gli effetti un traditore da parte di Antonio: questi, fatto prigioniero il re in una successiva spedizione punitiva, lo tenne in custodia per giustiziarlo alla vigilia della battaglia di Azio.

J. Engels si occupa delle relazioni fra Tarso e Roma in età cesariana, triumvirale ed augustea attraverso una messa a fuoco su tre esponenti della élite cittadina, Athenodoros, Boethos e Nestor, per i quali nostra fonte principale è la Geografia di Strabone.5 Risalente ad una mitica fondazione argiva, la città fu di volta in volta sotto l’influenza di illustri Romani, da Pompeo a Giulio Cesare, da Marco Antonio ad Augusto: quest’ultimo ne accrebbe il territorio. Dei tre uomini menzionati, Boethos, distintosi per la composizione di un poema epico sulla battaglia di Filippi, venne insediato da Antonio come rettore della città, ma come amministratore si macchiò dell’appropriazione indebita dell’olio destinato al ginnasio: per tale misfatto venne chiamato in giudizio davanti ad Antonio, e si salvò facendo ricorso alle adulazioni più servili. Alla caduta di Antonio prese il suo posto come rettore della città il filosofo di formazione stoica Athenodoros detto Kananites il quale, trattenutosi per alcuni anni a Roma, ove era stato conoscente di Cicerone e maestro del giovane Ottaviano, faceva ora ritorno alla città nativa. Il trapasso di poteri fu tuttavia contrassegnato da alcune contestazioni, che si tradussero nella comparsa di scritte inguriose sulla casa dell’ormai anziano filosofo. Alla sua morte ne rilevò il posto alla guida di Tarso il filosofo accademico Nestore, che a sua volta a Roma era stato maestro di Claudio Marcello e di Tiberio.

Ancora Coskun si occupa del problema della avvenuta provincializzazione della Galazia alla morte del sovrano Aminta: a tal fine egli ripercorre le vicende le stirpi galatiche (Trocmi, Tectosagi, Tolistobogi) fino al riconoscimento della sovranità di Deiotaro da parte di Pompeo e la successiva divisione fra i nipoti Castor e Brigatos: a quest’ultimo successe Aminta che, pur godendo dell’appoggio di Antonio, fu sufficientemente rapido a cambiare schieramento in occasione della battaglia di Azio: essendo poi questi morto nel corso della campagna contro gli Omonadensi, Augusto diede incarico al legato Lollio di ridurne in provincia il regno, ignorando le legittime aspirazioni degli eredi alla successione. Le vicende imperiali vedono la progressiva accessione di territori alla nuova provincia, che sotto Vespasiano venne unita alla Cappadocia, mentre sotto Traiano ritornò ad essere provincia autonoma e del tutto demilitarizzata. Nel resto del saggio Coskun analizza le possibili cause che erano state alla base della decisione di Augusto.

J. Wilker si occupa della presenza in Roma di esponenti delle dinastie straniere e delle loro personali relazioni con i principi. Un caso sul quale siamo particolarmente bene informati è quello di Agrippa I di Giudea, il quale venne allevato dalla madre Berenice a Roma, ove fra l’altro strinse amicizia con il giovane Druso. Tornato in Roma dopo varie peripezie, venne imprigionato da Tiberio per avere auspicato la rapida successione al trono di Caligola, ma fu poi da questi liberato ed insediato come re della Giudea. Decisivo, secondo Flavio Giuseppe, sarebbe stato anche il ruolo da lui esercitato alla morte di Caligola per favorire l’accessione di Claudio. Un altro momento particolarmente significativo è costituito per W. dalle relazioni intercorrenti tra i Flavi ed il sovrano Agrippa II, ed in particolare la affettuosa amicizia insorta fra la sorella di questi Berenice ed il principe Tito.

H. Heinen opportunamente valorizza alcuni testi epigrafici di Phanagoreia:6 una lastra di marmo, rinvenuta nel rimpiego su base di statua, contiene l’allocuzione funeraria χαῖρε rivolta ad ‘Hypsikrates, moglie del re Mitridate Eupatore Dioniso’. Questa figura trova un riscontro sin troppo preciso in una fonte letteraria, da cui apprendiamo che il re Mitridate fosse solito rivolgersi alla coraggiosa donna, in realtà chiamata Hypsikrateia, proprio con la forma maschile del nome qui registrata.7 Il secondo testo è costituito da una dedica ad Afrodite del re Aspurgos philorhomaios, personaggio già noto da altre iscrizioni, che presentano leggere varianti nella titolatura: in relazione ad esse H. in particolare si sofferma sulla relazione fra il semplice epiteto ‘philorhomaios’ e la sua iterazione nella formula ‘philokaisar kai philorhomaios’, entrambi probabilmente guadagnati nel corso di successive missioni diplomatiche condotte presso l’imperatore. L’ultimo testo è iscritto su una base di marmo alta circa 145 cm, con la rappresentazione di un toro a rilievo. Nella iscrizione Ioulios Menestratos ἀρχικοιτωνείτης onora il proprio re Ti. Iulios Sauromates, figlio del re Remetalce.8

Infine ancora Coskun si occupa del concetto di amicitia in una recensione critica ad un recente lavoro di A. Zack.9

Il valore del libro ovviamente varia in relazione all’apporto dei singoli contributi: il mio interesse è stato catturato in misura maggiore dai saggi che valorizzano situazioni marginali (la figura del re Artavasdes, le iscrizioni di Phanagoreia, solo per citare due esempi) piuttosto che da quelli che si sforzano di fornire un inquadramento teorico generale alla varietà delle forme diplomatiche, anche perché in questo secondo caso l’astrazione è spesso accompagnata da una certa oscurità linguistica, che ne rende ostica la lettura. In appendice al saggio di Coskun sulla Galazia il libro presenta alcune carte geografiche a colori piuttosto nitide, di un certo valore per la ricostruzione della topografia storica dell’Asia minore.

Notes

1. Vorrei dedicare questa recensione a Gennarina (1992-2009), dolcissima compagna del soggiorno presso il CHS di Washington.

2. E. S. Gruen, The Hellenistic World and the Coming of Rome, Berkeley 1984. D. Braund, Rome and the Friendly King, London 1984. In aggiunta ai lavori utilizzati dal Coskun si veda ora il saggio di F. Battistoni in C. Eilers (ed.), Diplomats and Diplomacy in the Roman World, Leiden 2009.

3. A p. 51 il riferimento a un presunto re Mithridates IV merita almeno una considerazione critica: cfr. F. Canali De Rossi, Dedica di Mithridates a Giove Capitolino, “Epigraphica” 61, 1999, 37-46.

4. Il riferimento è in particolare agli studi di E. Badian, Foreign Clientelae (264-70 a.C.), Oxford 1958 e di R.F. Rossi, Dai Gracchi a Silla, Roma 1945.

5. Correttamente E. evidenzia l’esistenza di un altro recente studio sul medesimo tema, quello di C. Franco in “Rudiae” 18, 2006, 311-339.

6. Originariamente pubblicati da D. Kuznecov, “VDI” 2006, 155-172 e “VDI” 2007, 227-243.

7. A mio modesto parere la perfetta rispondenza del testo epigrafico alla notizia tramandata da Plut. Pomp. 32, 13-16 potrebbe far insorgere qualche dubbio sulla effettiva autenticità dell’iscrizione.

8. In questo caso la presenza di un duplice gentilizio Iulios e l’apparente mancanza di gentilizio del padre del re, Rhoemetalces, potrebbero ostacolare la identificazione, suggerita da H., del re Iulios Sauromates con Sauromates II, re del Bosforo dal 173/4 al 210/11 d.C.

9. Si tratta di A. Zack, Studien zum ‘Römischen Völkerrecht’. Kriegserklärung, Kriegsbeschluss, Beeidung und Ratifikation zwischenstaatlicher Verträge, internationale Freundschaft und Feindschaft während der römischen Republik bis zum Beginn des Prinzipats, Göttingen 2001.