BMCR 2008.10.25

The impact of the Roman army (200 BC-AD 476)

, , , , The impact of the Roman army (200 BC-AD 476): economic, social, political, religious, and cultural aspects: proceedings of the Sixth Workshop of the International Network Impact of Empire (Roman Empire, 200 B.C.-A.D. 476), Capri, March 29-April 2, 2005. Impact of empire, v. 6. Leiden/Boston: Brill, 2007. 1 online resource (xxii, 589 pages): illustrations, maps. ISBN 9789047430391. €139.00; $195.00.

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In molti campi della nostra vita abbiamo a che fare con problemi di impatto — concetto che in sé suggerisce un accostamento nuovo e in qualche modo violento — e perciò appare assai suggestivo studiare l’effetto di una forza poderosa come l’esercito, disseminato nel territorio e fondamentale per la civiltà romana, uscendo dallo schema della storia militare iuxta propria principia.

Il sesto workshop del network internazionale “Impact of Empire” (Capri 2005) ha seguito vari incontri effettuati dal 2000, relativi ad amministrazione e prosopografia (atti editi nel 2001), alle trasformazioni della vita economica (2002), alla rappresentazione e alla percezione del potere imperiale (2004), all’impatto della Roma imperiale sulla religione, sui rituali e la vita religiosa nell’impero romano (2006). Il volume contiene trenta contributi, un Index rerum e un Index nominum : entrambi gli indici omettono peraltro alcune voci contenute nell’opera. Il titolo del volume promette uno studio cronologicamente esteso fino all’anno 476, anche se la maggior partè dei saggi, salvo quelli di Liebenschütz e di Lewin, si fermano alla fine del III sec. d.C.

Luuk de Ligt discute fonti antiche e interpretazioni moderne delle motivazioni della politica di Tiberio Gracco e soprattutto dell’eventuale calo della popolazione nella seconda metà del II sec. a. C. Opponendosi all’interpretazione tradizionale de Ligt suppone che gli storici antichi abbiano sottostimato l’importanza dell’affitto come strategia di sopravvivenza (p. 8) e conclude paradossalmente che la riduzione della manodopera percepita in antico — cosa che avrebbe spaventato molti politici dell’età dei Gracchi — sarebbe stata prodotta non dalla contrazione dei cittadini, bensì dal continuo processo di espansione demografica.

Guardano alla penisola iberica Frederik Vervaet e Tony Ñaco del Hoyo in un articolo composto di due parti nettamente separate, unite dal medesimo contesto cronologico. L’intervento romano in Spagna (“in outer space”) fu gravido di conseguenze per i due secoli a venire, in special modo con la creazione di una serie di proconsulatus extraordinarii, che, come dimostra l’esame analitico degli autori, influenzarono i rapporti tra senato e assemblea popolare ( comitia centuriata o concilium plebis). Gli interventi di politica economica dei comandanti militari nel teatro di guerra ebbero un enorme impatto sulla popolazione locale, cui si chiedevano esborsi in denaro, risorse minerarie, schiavi, cibo e altro, mentre la mobilità del fronte impedì la creazione di un sistema stabile di tassazione prima di M. Agrippa. Le necessità di approvvigionamento dell’esercito determinarono un’alta circolazione monetaria, supportata anche da moneta locale (41) con cui venivano pagati i soldati, che talora la portavano con sé dopo il congedo.

Per Polibio nelle guerre tra 218 e 168 a. C. il termine “Romani” vale anche per gli alleati che combatterono nell’esercito romano organizzato in maniera uniforme, osserva Paul Erdkamp. Questa visione, comune a Livio e a Sallustio, cambia nella prospettiva del I sec. a.C., dopo la guerra sociale. Nei passi in cui Livio si ispira all’opera di Valerio Anziate i dati sono del tutto inattendibili per la storia militare (73).

Nathan Rosenstein constata l’ampio dibattito sulla demografia del periodo repubblicano degli ultimi 12 anni (75) prima di indagare gli effetti dell’acquisizione di un impero nel II e I sec. a. C. sugli sviluppi demografici dell’Italia (78). Rosenstein opina che le terre confiscate non siano state occupate immediatamente dai coloni a breve termine, ma siano state adoperate dai vecchi proprietari. Venendo alle cifre, base della demografia, riconosce a p. 83 che da una pur ricca serie di calcoli non si può pretendere che un’impressione della vitalità militare.

Nella seconda parte Olivier J. Hekster studia il legame tra l’imperatore e l’esercito, ovvero immagini (di cui era responsabile l’ imaginifer), monete destinate alla truppa (eventualmente diversificate a seconda delle varie regioni) e diplomi. Per il pubblico urbano il messaggio era veicolato attraverso le rappresentazioni dei fora, i trionfi con i soldati in equipaggiamento di battaglia, e le esequie imperiali. Alcuni cerimoniali degli imperatori soldati (ad es. il trionfo) furono adottati anche da quelli provenienti dalla vita civile (Claudio, Nerone).

Armin Eich osserva che per Augusto un esercito professionale di trecentomila unità comportava un esborso annuo di circa 370 milioni di sesterzi, salito a 600 milioni con Domiziano per aumentare poi al 280 % all’inizio del III sec. (113). Le crisi monetarie del III secolo e l’aumento dei prezzi portano a riflettere sull’eventuale progressivo impoverimento della “Zentrale” imperiale.

Vincenzo Giuffré tocca un argomento scarsamente studiato, ovvero il commune ius privatorum relativo ai soldati. Per la vita privata dei militari si introdussero a partire da Cesare iura poi estesi a tutti i cittadini, in particolare il testamentum militis, nel tempo semplificato al massimo, considerato valido in caso di morte in prigionia del testatore, scritto in qualunque forma e anche solo orale, quindi il peculium castrense e i collegia militum. Il contributo, molto tecnico, analizza pensieri e comportamenti del mondo militare che appariva un corpus separatum da quello civile.

Ségolène Demougin sulla base dei dati disponibili fino al 2005, arricchiti da nuovi diplomi militari, ricava 237 ufficiali di ordine equestre. Una ricca messe di dati riguarda i procuratori, incrementati per la Demougin da 144 attestazioni, che menzionano anche otto personaggi finora sconosciuti (161). ‘Marines and Mariners’ sono studiati da Jasper Oorthuijs anche per la possibilità che la ciurma di ogni nave fosse equiparata a una centuria. Oorthuijs distingue tra marinai (eventualmente parte della cohors nautarum) e soldati imbarcati solo in vista di azioni di guerra (ad es. cohors I classica). Solo questi ultimi potevano essere organizzati in una centuria o in suddivisioni inferiori e comandati da un centurione.

Dal confronto tra un passo di Onesandro e uno di Senofonte, che descrivono soldati armati di bastoni e di grumi di terra, Hans Michel Schellenberg ricava la necessità di analizzare lo Strategikos di Onesandro. Quest’opera, dedicata al romano Quintus Veranius (forse il console del 49 d. C.), èvolta a presentare la figura ideale del comandante, e si fonda non sull’esperienza militare ma sulla tradizione letteraria, accessibile all’autore in quanto privato cittadino.

La terza parte inizia con un saggio di Elio Lo Cascio, che osserva come dalla documentazione egiziana e dalla tavolette di Vindolanda lo scenario mercantile risulti prevalente (p. 201). Queste ultime rivelano l’ampio spettro dei beni, anche carni, venduti ai militari da fornitori civili. Spesso erano probabilmente beni voluttuari, disponibili grazie alla paga dei soldati e non componenti fondamentali del vitto, cui doveva provvedere l’organizzazione. Le vie di distribuzione di certi prodotti (ad es. l’olio della Betica) nulla dicono sull’organizzazione del commercio, poiché rivelano semplicemente le direttrici della domanda. La raccolta degli approvvigionamenti era dunque gestita dalle singole unità, talora con il coinvolgimento degli stessi soldati.

Karl Strobel, con grande attenzione ai dati archeologici aggiornati al 2004, disegna il ruolo dell’esercito nella ristrutturazione demografica, insediativa ed economica delle province romane nella prima e media età imperiale (riduzione a coltura, con effetti sulla fauna e la flora, creazione di nuovi insediamenti, effetti sullo sviluppo urbano per la presenza dei soldati etc.). Esempio chiarissimo dei programmati insediamenti sulla riva destra del Reno è Waldgirmes ove si costruì secondo il modello romano la città dei Chatti con foro, basilica e monumenti del culto imperiale. Fenomeni come questi portarono alla concentrazione delle “élites” e all’organizzazione di strutture di autogestione del territorio. Il passo successivo fu la costruzione di una rete stradale, cui si aggiunse il rinnovato peso del Reno come linea di comunicazione e zona di traffici di frontiera. Nel caso del Titelberg un luogo centrale fu rimpiazzato da una serie di piccoli pagi (217), ma soprattutto dalla costruzione di Augusta Treverorum, orientata secondo la disposizione del sole il 23 settembre, data di nascita di Augusto (p. 219).

Pierre Cosme misura l’impatto delle forniture di armi sulla vita economica dell’impero. Nel periodo arcaico i cittadini-soldati dovevano procurarsi anche le armi, mentre nel tardo impero la Notitia dignitatum informa dell’esistenza di officine centralizzate specializzate. La fornitura era necessaria per un insieme di tre-quattrocentomila soldati, divisi nelle varie unità. All’inizio del principato i soldati non avevano uniforme e forse la sola distinzione era tra legionari e ausiliari. In seguito vi fu una trattenuta per le armi, una sorta di cauzione, che poteva essere restituita al termine del servizio (244), pari al soldo di un’intera annata per un fante. Secondo le loro abitudini, certi ausiliari potevano rinunciare alla cauzione e farsi seppellire con le proprie armi. La fornitura aveva ritmi diversi in tempo di pace e di guerra ed era fenomeno assai complesso in cui si riflettevano diverse tradizioni regionali. Nelle fabricae dei campi militari lavoravano operai specializzati, esentati ( immunes) da gravose prestazioni. Officine private, talora sotto controllo dell’autorità militare romana o gestite da veterani, fabbricavano dell’equipaggiamento “sportivo” (o “da parata”) fuori ordinanza oppure ovviavano all’eventuale scarsità di forniture. Le province ben presto organizzarono una produzione propria di armi, che esportarono nel III sec. La situazione cambia con l’età dioclezianea, per l’aumentato numero dei soldati e dei conflitti, spesso improvvisi. Per questi i fornitori privati, pagati in moneta svalutata, non furono in grado di provvedere ai rifornimenti, cui si accinse lo stato, impiantando fabbriche in luoghi tradizionalmente deputati a tali attività. Per quanto possibile, la pratica del riciclaggio rese meno acuto il bisogno di rinnovo delle forniture: in ogni tempo, infine, l’attività metallurgica di cui una parte consistente era indirizzata alla produzione di armi per l’esercito, contribuì in maniera notevole al disboscamento di intere regioni.

Salvatore Martino, dopo aver ricordato i benefici moderni dalla ricerca applicata alle forniture militari (dal Goretex a Internet) si chiede se in antico si possa indicare un fenomeno equivalente: molti tecnici e specialisti riversarono la loro esperienza militare nella vita civile, come risulta dalle tecniche antincendio e dalle possibili attrezzature dei vigiles, tra cui spiccano i centones che, imbevuti di aceto, potevano schermare il calore del fuoco. Talora la tecnologia militare semplicemente perfezionò attrezzature già usate per scopi civili, come la ruota calcatoia o il cabestano, entrambi forse usati per far avanzare le torri mobili durante gli assedi. Ampia discussione riguarda poi il possibile uso delle ballistae (da parte dei vigiles ? o dei pretoriani?) per creare una zona libera intorno a un’area urbana in preda a un incendio, sulla scorta di quanto attesta Tacito per l’incendio neroniano.

Colin Adams ricava da uno studio dei papiri egiziani che appena il 2% della tassazione locale serviva al pagamento dei soldati. Di particolare interesse il papiro Beatty 1, da Panopoli, del 298, che contiene uno scambio di lettere tra ufficiali dell’esercito e autorità locali (presidente del consiglio cittadino) per una fornitura straordinaria in occasione della visita dell’imperatore Diocleziano. Essa riguarda carne, vino, pane, animali, vegetali, lenticchie, orzo e biancheria (285), della cui quantità peraltro si dispone di dati solo parziali, tali da far supporre che nel seguito di Diocleziano ci fossero non più di 5000 uomini (o meno se il suo soggiorno a Panopoli fosse durato più di un giorno). Da ciò deriva un accrescimento di oltre il 50% delle imposte straordinarie per il soggiorno di un anno in Egitto dello stesso Diocleziano. Altra imposizione straordinaria riguardava il giro annuale del prefetto per il conventus. Se tutto ciò era fonte di spesa per l’erario, le risorse erano reimmesse in circolo, anche se i pagamenti ufficiali (provenienti dalla regolare tassazione) potevano ritardare.

Una parte dell’analisi di Koenraad S. Verboven è dedicata ai negotiatores, alla loro origine e alla loro diffusione, come risulta dalle attestazioni epigrafiche. Già l’accesso alla testimonianza scritta certifica il loro pieno inserimento nella maniera romana di vita. Sotto l’aspetto demografico l’esercito portò nelle province occidentali centinaia di migliaia di persone, per le quali venne ben presto a crearsi un mercato per i generi non compresi nella dotazione o di provenienza esotica o anche per le materie prime necessarie per far funzionare le fabricae dei vari campi. L’impatto economico fu determinato dalla grande disponibilità di denaro dei soldati: per le spese degli accampamenti — anche se in parte solo figurative — occorrevano annualmente molti milioni di sesterzi. Grazie a questa disponibilità molti divennero alla fine del loro servizio imprenditori in proprio e contribuirono a trasferire la tecnologia in uso per fini militari al campo civile.

Alexandra Wilhelmine Busch evidenzia come i soldati a Roma, specialmente delle cohortes praetorianae, prima acquartierati al di fuori delle mura serviane, dal I e all’inizio del II sec. d. C. furono inseriti nel pieno centro urbano. Naturalmente i vigiles si trovavano sempre nelle aree più intensamente abitate. I castra praetoria solo al tempo di Aureliano vennero inclusi nella cinta fortificata. Sepolture di militari, senza specifici emblemi, furono inizialmente quasi nascoste nelle necropoli civili. Dal II sec. d. C. nelle necropoli specifiche per i militari (es. equites singulare Augusti) i monumenti funerari tendono a uniformarsi ai gusti borghesi; con Traiano acquista sempre più importanza l’elemento militare, anche nella decorazione di monumenti ufficiali. Settimio Severo quadruplicò le presenze militari in o presso la città: dal suo tempo i soldati sui loro monumenti appaiono equipaggiati di tutto punto, a dimostrazione di un rango sociale ormai saldamente acquisito, tuttavia non senza conflitti nell’area urbana. Lo stesso Settimio Severo non si fece scrupolo di presentarsi in senato in abito militare.

Salvatore Ortisi studia la funzione dei militari in un centro eminentemente civile quale Pompei. Fuori della Porta di Nola si trova la necropoli dei pretoriani; sono inoltre ben note le armi rinvenute nel Settecento nella caserma dei gladiatori. Tra queste figurano due elmi “pseudoattici” che non trovano confronti diretti. Ortisi suppone che appartenessero a due soldati per qualche motivo presenti nell’area, forse appartenenti alla flotta, come attesterebbe un confronto con un rinvenimento di Ercolano ove un alto ufficiale (con chiusura in argento del cingulum e due aurei) morì mentre raccoglieva strumenti di falegname. La presenza di militari è indicata, oltre che dai graffiti, dai diplomi che si scaglionano tutti tra il 52 e il 71 d. C. Rinvenimenti del solo gladius nella Villa dei Misteri (insieme con attrezzi agricoli) e nella villa di Livia a Oplontis oltre che a Bottaro, alla foce del Sarno, fanno pensare che siano appartenuti a veterani in servizio come guardie del corpo.

Anthony R. Birley ricostruisce le fasi di costruzione e i rapporti tra il vallo di Adriano e quello di Antonino e attraverso questi riesamina le vicende dell’area e i personaggi che sono attestati dalle fonti al comando di quella regione.

Gabriele Weiler nota come il trionfo di Tiberio del 1 gennaio del 7 a. C. fece considerare conclusa la prima fase dell’occupazione romana della Germania. Qui non esistevano città o centri protourbani, prima che su concetto romano e su progetto di M. Agrippa si fondasse il capoluogo degli Ubii, ove nel 9 a. C. esisteva già l’ ara Romae et Augusti. Fondazioni augustee furono le attuali Nijmegen, Xanten, Tongeren, Haltern e Waldgirmes, anche se non tutte raggiunsero lo stato di città completamente romana. La sconfitta di Varo fermò l’espansione urbana a est del Reno, ma sono note poleis o novae coloniae, come ad Haltern, avviato a divenire da accampamento militare centro civile. Per questa trasformazione occorsero specialisti, molti dei quali forniti dal mondo militare. Costoro dal 10 a. C. costruirono un luogo centrale per i Tungri, Tongeren, ove i resti di pasto mostrano la differente dieta di soldati e indigeni. Waldgirmes, città concepita secondo il modello romano per i Chatti, dopo l’abbandono dell’insediamento su altura intorno al 30 a. C., è nota appena da pochi anni. Essa, sorta lontano dall’abitato precedente secondo una griglia ortogonale, possiede gli elementi per essere definita città, ovvero cinta (di legno e terra), un foro, spazi pubblici, anche absidati secondo una prassi augustea, un acquedotto, la statua di Augusto in bronzo dorato. La fondazione di Colonia viene ora ricondotta sulla base delle monete al 19/18 a. C. mentre l’edificio più antico, il cosiddetto monumento degli Ubii, è datato dendrocronologicamente al 4/5 d. C. Scavi effettuati nel centro di Colonia hanno permesso di scaglionare almeno tre fasi di insediamento in età augustea, intorno al 7 a. c., al volgere del millennio e intorno al 7 d. C. Sembra che qui i militari siano stati presenti a lungo, sia per determinare i fondamentali elementi urbani sia per provvedere alla precoce monumentalizzazione.

Hannah M. Cotton ci porta in Giudea, area in cui forse i Romani non previdero una situazione diversa da quella di altre province. Quando nel 6 d. C. la Giudea divenne provincia, il prefetto ereditò l’esercito di Erode, reclutato tra la popolazione non ebraica di Caesarea e Sebaste e furono stanziate in vari luoghi truppe romane, ricordate durante la ribellione. Da un diploma del 90 possiamo calcolare la presenza di circa 5000 soldati nella provincia. Nella prima rivolta per cinque mesi furono impiegate quattro legioni, vari distaccamenti, alae, cohortes e 18 mila uomini forniti da quattro re clienti. La vittoria romana — da cui deriva anche il Colosseo — fu monumentalizzata e lasciò un segno indelebile nella città di Roma, al contrario della rivolta di Bat Kokhba per cui Adriano accettò per la prima volta il titolo di imperator per una vittoria militare e la provincia cambiò nome, divenendo Syria Palaestina. Si ebbero effetti demografici terribili e la Giudea cessò di essere popolata da ebrei; tuttavia non va sottovalutato il fatto che le due province possono non coincidere esattamente e che il territorio nel corso del tempo modificò i suoi limiti. Nella sua visita del 130 Adriano fu ricevuto con tutti gli onori nelle città greche, mentre gli ebrei, che speravano da lui la ricostruzione del tempio, videro la fondazione di Aelia Capitolina. Al di là delle enfatizzazioni dei moderni (vedi Luttwak) l’episodio di Masada di cui ci parla il solo Giuseppe non lasciò traccia nelle iscrizioni e non produsse trionfi. Né da esso si può ricavare che la lunga sopravvivenza dell’impero romano fu dovuta solo all’uso della forza.

Jonathan P. Roth analizza con ampiezza di dettaglio le fonti da cui possiamo recuperare presenze di ebrei nell’esercito romano (per cui i nomi semitici ovviamente non bastano). Dal tempo di Erode vi furono ebrei nell’esercito, peraltro solo come volontari. Da Giuseppe Flavio conosciamo poi l’ambigua posizione dei Samaritani, di cui 3000 militavano tra le file di Erode, per una percentuale calcolabile tra il 5 e il 10% di tutti i soldati romani presenti nel territorio. Forze ebraiche presero poi parte, in misura minore ma non insignificante, alle azioni contro la rivolta ebraica del 66-70. Appena all’inizio del V sec. ai Giudei fu proibito di servire nell’esercito.

Quindi Wolfgang Liebeschütz studia l’impatto del dominio romano in diverse aree della Siria settentrionale, all’inizio solo indiretto tramite i re clienti, finché dopo le invasioni persiane della metà del III sec. Diocleziano riorganizzò il limes, per cui la presenza militare romana — pari a circa 10.000 uomini — fu un fattore di stabilità anche per le popolazioni locali (agricoltori e pastori nomadi). Il mutato quadro sociale ed economico risulta dalle iscrizioni della Siria settentrionale, più numerose nel quinto rispetto al IV sec d. C. probabilmente in relazione a un’estesa cristianizzazione. Attestazioni epigrafiche o monumentali di militari sono invece assai scarse. Dal patrimonio epigrafico si potrebbe ricavare l’idea di un progressivo incremento della popolazione, ma la fonte si ferma intorno al 600 d. C. Il caso di Palmira, integrata dal regno di Vespasiano nel sistema delle strade militari romane, mostra come l’influsso greco-romano sia stato parziale: ad es. nelle iscrizioni si adotta la lingua semitica, mentre templi, forma urbana etc. mantengono tradizioni locali. Tuttavia l’analisi della tecnica edilizia mostra come l’attività costruttiva sia intensa nel II e nell’iniziale III sec. d. C. Per quel poco che si sa della popolazione dei villaggi, pare di notare, dalle iscrizioni, che i veterani facevano parte dell’élite locale. Di grande interesse le divisioni agrarie nell’area montuosa, forse in parte dovute all’amministrazione romana: i villaggi non coerenti con esse potrebbero essersi spopolati dopo la peste del 542 e le successive invasioni persiane, e ripopolati successivamente. Nel primo impero il limite tra agricoltori e pastori era a est di Emesa e di Apamea, ma alla fine del V sec. l’area sfruttata dall’agricoltura si era estesa verso est da cinquanta a cento chilometri, fino al limite delle piogge e oltre, con chiese, monasteri e sistemi di irrigazione. Molti siti già ritenuti militari nulla ebbero a che fare con i soldati. La localizzazione delle iscrizioni suggerisce che gli insediamenti si svilupparono lungo il sistema stradale e che molti di essi inizialmente fossero stazioni di tappa. Come anche in altre aree, il popolamento della Siria settentrionali conobbe fin dal III millennio a. C. fasi di intensificazione e di abbandono. Il maggiore popolamento si ebbe in epoca romana, a partire dalla riorganizzazione dioclezianea, e toccò l’apice intorno al 550.

Per Oliver Stoll l’elemento militare sembra destinato a creare processi di acculturazione e a farceli riconoscere, anche perché la mobilità dell’esercito certo contribuì al trasferimento dei culti (es. Mitra e Dolicheno). In campo religioso, infatti, si rivela falso il pregiudizio che i militari siano stati una società chiusa.

Le aree marginali predesertiche si svilupparono grazie alla presenza dei soldati romani o all’intraprendenza delle popolazioni indigene? Probabilmente, ritiene Ariel Lewin, nelle diverse zone vi furono esiti diversi: in seguito alla pacificazione romana i Garamanti passarono dall’economia pastorale a quella agricola, mentre nella Mauretania Caesariensis Settimio Severo trasferì populi novi dall’Africa proconsolare. Nel Negev centrale e settentrionale Diocleziano costruì una strada e forti militari, abbandonati già 20-30 anni dopo o, se danneggiati dal terremoto del 363, non più ricostruiti. La Notitia dignitatum non elenca soldati nell’area, ove essi ritornano solo nel VI secolo, come attestano iscrizioni (da Sobota) e papiri (da Nessana). La storia del rapimento di Theodulo, narrata dal padre Nilo, vera o falsa che sia, mostra che a Sobota arrivavano i beduini, ma non vi erano soldati a garantire l’ordine pubblico. L’autorità imperiale protesse regioni in precedenza neglette, ove agricoltura e commercio erano in espansione. Diocleziano realizzò un forte anche a Umm-al-Rasas, abbandonato nel V sec., mentre il villaggio ebbe nel secolo successivo — quando qui probabilmente abitavano i Gassanidi — uno sviluppo impressionante con ben dieci chiese. Gli interventi dell’età tetrarchica permisero l’espansione del commercio locale: allora i soldati erano collocati in forti fuori del centro abitato, mentre nel VI sec. essi, inseriti nel villaggio, divennero parte della società civile. Anche se l’afflusso dei pellegrini poté avere positive, benché non determinanti, conseguenze economiche, la ricchezza dell’area si basò sulla produzione del vino, smerciato dal porto di Gaza a partire dalla prima metà del V sec. d. C.

Arbia Hilali considera la serie di divinità venerate entro e all’intorno dei campi militari africani. Solo Lambesi ha tra castra e civitas ben 105 iscrizioni (486). Il confronto con Bu Djem mostra che i soldati veneravano tanto le divinità ubiquitarie loro care quanto quelle locali, rispettandone le forme architettoniche del culto. Mancò forse la deliberata volontà di romanizzare le zone predesertiche, poiché i Romani sembrano essersi limitati a controllare le strade carovaniere. A Lambesi, invece, la legione nell’ambito dello spazio urbano, riuscì a esportare le divinità greco-romane con cui la comunità locale poteva identificarsi.

Secondo la visione tradizionale il III sec. fu un’età di crisi generale, benché molti studiosi abbiamo dimostrato come alcune aree, nonostante la forte tassazione, abbiano goduto di notevole prosperità. Lukas de Blois preferisce parlare di crisi regionali. Uno dei fattori di accentuazione delle crisi fu la naturale violenza e rapacità dei soldati, non solo nelle zone di guerra, ma anche in quelle di passaggio, come apprendiamo da Cassio Dione e da Erodiano. Un passo di Tacito, riferito alle truppe di Vitellio, comandate da Valente e Cecina, può farci comprendere il comportamento in situazioni di turbolenza come quelle che si manifestarono contemporaneamente in tutto l’impero dopo il 253, quando numerose vexillationes furono trasferite su fronti diversi. Secondo Tacito i soldati vessarono la popolazione e ne umiliarono i notabili, mentre i magistrati locali non poterono opporsi alle loro richieste, così Valente divenne molto ricco grazie alle transazioni forzose effettuate in quel frangente. Lo stesso capitò forse agli Aponii in Egitto, discendenti da un centurione e noti da un papiro. La rapacità non era esclusiva dei soldati, ma venne applicata anche dallo stesso imperatore, come dimostra il caso di Massimino il Trace nel 238 (505). Anche questo fu un fattore di erosione dell’autorità imperiale.

Peter Eich constata quanto poco la moderna ricerca ami il III sec., che alcuni “allungano dal tempo di Marco Aurelio a quello di Costantino” (511). Il concetto di militarizzazione nel periodo considerato implica due presupposti, secondo l’autore entrambi falsi: il primo, che in precedenza i militari avessero scarso peso; il secondo, che accanto alla società militare esistesse quella che oggi si definisce “società civile”. In realtà la militarizzazione sta in stretta correlazione con altri due fenomeni, ovvero la progressiva smilitarizzazione, ad es. di alcune funzioni pubbliche (ad es. del prefetto del pretorio) e la progressiva burocratizzazione del sistema amministrativo.

Jon Coulston si sofferma su alcune cifre, come la netta prevalenza delle raffigurazioni militari sulla colonna traiana (= 1732 su un totale di 2640, pari a due terzi) o l’insieme delle 740 immagini di soldati su un totale prevedibile di circa 5.250.000 soldati che avrebbero prestato servizio nell’arco di più di 350 anni (senza contare quelli morti in battaglia) (pp. 544-545). Il corpus di Apamea, che da solo raggiunge il 10% del totale, dimostra quanto queste cifre dipendano dalla casualità dei rinvenimenti e delle attestazioni giunte fino a noi.

Per Fernando López Sánchez la “cavalleria da battaglia” sarebbe stata creata da Aureliano nel 274 con sede a Lione, quindi usata da Probo per le azioni nell’area renana del periodo 277-278, come sembrano indicare le serie monetali con la legenda Virtus Probi emesse a Lione per commemorare quanto da lui promosso come responsabile dell’impero centrale, anche per accreditarsi come imperatore della regione gallica (564).

Il volume è stampato con grande cura e le imperfezioni sono minime. Qualche menda delle note (p. 181 technica; p. 186 miliatri e non militari; p. 252 gegenstücke minuscolo; p. 274 chimca alla nota 82; p. 298 rovinces al posto di provinces; p. 324 Giudobaldi al posto di Guidobaldi alla nota 33; p. 374, nota 15, virgola ripetuta; p. 437, nota 96 il rimando corretto è alla nota 54, non 55; p. 498, nota 4 penultima riga, virgola ripetuta; p. 503, nota 19 I maiuscolo; p. 565, nota 4 minuscolo per i sostantivi tedeschi).

Non tutti i contributi trattano propriamente di ‘impatto’: alcuni sviluppano temi tradizionali, altri hanno un taglio più propriamente statistico. Di particolare interesse la presenza di numerosi rimandi da contributo a contributo, in modo che lo stesso problema o territorio appare talora visto da angolature diverse. Specialmente interessante è poi tutta la serie di saggi riguardanti l’Africa e il medio oriente. L’analisi degli “impatti” economici, sociali, politici, religiosi e culturali delle armate romane è un campo in cui finora mancano opere di confronto e si auspica che questo genere di studi possa continuare. In alcuni saggi che trattano analiticamente la situazione di ampi territori, come quello di Strobel e quello di Liebeschütz, l’aggiunta di qualche pianta o immagine sarebbe risultata utile e avrebbe facilitato la lettura.

Table of contents

Part one. The Impact of the Roman Republican Army
Luuk de Ligt, Roman Manpower Resources and the Proletarization of the Roman Army in the Second Century BC, 3-20
Frederik Vervaet e Tony Ñaco del Hoyo, War in Outer Space: Nature and Impact of the Roman War Effort in Spain, 218-197 BCE, 21-46
Paul Erdkamp, Polybius and Livy on the Allies in the Roman Army, 47-74
Nathan Rosenstein, War, Sex and Death: From Republic to Empire, 75-88

Part two. The Emperor and his Forces. General Issues
Olivier J. Hekster, Fighting for Rome: The Emperor as a Military Leader, 91-105
Armin Eich, Das Berufsheer der frühen und hohen Kaiserzeit und die Verarmung der kaiserlichen Zentrale, 107-127
Vincenzo Giuffré, I ‘milites’ ed il ‘commune ius privatorum’, 129-147
Ségolène Demougin, De nouveaux officier équestres, 149-167
Jasper Oorthuijs, Marines and Mariners in the Roman Imperial Fleets, 169-180
Hans Michel Schellenberg, Einige Bemerkungen zum Strategikos des Onasandros, 181-191

Part three. The Economic Impact of the Roman Imperial Army
Elio Lo Cascio, L’approvvigionamento dell’esercito romano: mercato libero o “commercio amministrato”? 195-206
Karl Strobel, Vom marginalem Grenzraum zum Kernraum Europas. Das römisches Heer als Motor der Neustrukturierung historische Landschaften und Wirtschaftsräume, 207-237
Pierre Cosme, Les fournitures d’armes aux soldats romains, 239-260
Salvatore Martino, Dinamiche di interscambio fra tecnologia militare e civile a Roma, 261-280
Colin Adams, Irregular Levies and the Impact of the Roman Army in Egypt, 281-291

Part four. The Impact of the Roman Imperial Army: Italy and the West
Koenraad S. Verboven, Good for Business. The Roman Army and the Emergence of a “Business class” in the Northwestern Provinces of the Roman Empire (1st century BCE-3rd century ξἐ, 295-313
Alexandra Wilhelmine Busch, “Militia in urbe”. The Military Presence in Rome, 315-353
Salvatore Ortisi, Roman Military in the Vesuvius Area, 343-353
Anthony R. Birley, The Frontier Zone in Britain: Hadrian to Caracalla, 355-370
Gabriele Weiler, Römisches Militär und die Gründung niedergermanischer Städte, 371-390

Part five. The Impact of the Roman Imperial Army: the Eastern and African Provinces
Hannah M. Cotton, The Impact of the Roman Army in the Province of Judaeá Syria Palaestina, 393-407
Jonathan P. Roth, Jews and the Roman Army: Perception and Realities, 409-420
Wolfgang Liebeschütz, The Impact of the Imposition of Roman Rule on Northern Syria, 421-438
Oliver Stoll, “Städte Arabiens mit herrlichen Tempeln.”-oder von Ägypten in die Provinz Arabia. Der Kulturtransfer eines Regimentsgottes nach Bostra durch römisches Militär und seine Folgen, 439-461
Ariel S. Lewin, The Impact of the Late Roman Army in Palestina and Arabia, 464-480
Arbia Hilali, L’impact de la legio IIIa Augusta dans les provinces romaines d’Afrique. L’aspect religieux, 481-493

Part six. The Third Century AD
Lukas de Blois, The Military Factor in the Onset of Crises in the Roman Empire in the Third Century AD, 497-507
Peter Eich, Militarisierung-und Demilitarisierungstendenzen im dritten Jahrhundert n. Chr., 509-528
Jon Coulston, Art, Culture and Service: the Depiction of Soldiers on Funerary Monuments of the Third Century AD, 529-561
Fernando López Sánchez, Virtus Probi: Payments for the Battle Cavalry during the Rule of Probus (A. D. 277-278), 563-582