BMCR 2008.10.05

MEGALAI NESOI. Studi dedicati a Giovanni Rizza per il suo ottantesimo compleanno. 2 vols. Studi e Materiali di Archeologia Mediterranea, 2 and 3

, , Megalai Nēsoi : studi dedicati a Giovanni Rizza per il suo ottantesimo compleanno. Studi e materiali di archeologia mediterranea ; 2-3. Catania: Consiglio nazionale delle ricerche IBAM, 2005. 2 volumes (327, 394 pages) : illustrations ; 32 cm.. ISBN 8889375019. €280.00.

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Frutto di una collaborazione editoriale fra il Consiglio Nazionale delle Ricerche (C.N.R.) e l’Istituto per i Beni Archeologici e Monumentali (I.B.A.M.) di Catania con un comitato promotore formato da 18 accademici italiani, è dato alle stampe MEGALAI NESOI (Grandi Isole), omaggio scientifico dedicato per il suo ottantesimo compleanno a Giovanni Rizza, esploratore instancabile di quel “cemento liquido” che è il Mediterraneo. A Rossella Gigli è stato affidato il difficile compito di curare l’edizione dei due volumi (I-II) rispettivamente dedicati a Creta ed alla Sicilia, le due isole dove ha lasciato il suo indelebile segno l’attività scientifica di Rizza. Il primo volume contiene 26 articoli (gli ultimi tre dei quali dedicati alla Sicilia ed alla Sardegna) preceduti da una presentazione e dalla bibliografia di Giovanni Rizza, aggiornata al 2004. Il secondo volume contiene 30 articoli.

Volume I

La Presentazione della miscellanea è firmata da Antonino Di Vita, ex direttore della Scuola Archeologica Italiana di Atene, che testimone dei suoi esordi alle direttive di Doro Levi, traccia un breve profilo biografico del Rizza, non mancando di enumerare le importanti innovazioni che il Nostro ha apportato al mondo accademico siciliano, come la creazione (o meglio riapertura) della Scuola di Specializzazione in Archeologia di Siracusa e quella del Centro di Studi sull’Archeologia greca del C.N.R. o come le iniziative editoriali (fondazione della rivista Cronache di Archeologia e Storia dell’arte e della serie di monografie Studi e materiali di archeologia mediterranea).

La ricca bibliografia del Rizza è catalogata in base alle località studiate (Lentini, Catania, Sicilia Orientale in genere, Priniàs, Cipro)1 e alla tematica esaminata (Rapporti fra Sicilia ed Egeo, Arti figurative in Sicilia, Scultura greca di VII secolo a.C., Mosaici, pittura vascolare, iconografia, Storia dell’Archeologia, Beni Culturali, Edizioni e Varie).

Il principe dell’archeologia cipriota, Vassos Karagheorghis offre alcune riflessioni sulle relazioni fra Cipro e le altre grandi isole del Mediterraneo (Sardegna, Sicilia, Creta, Rodi) durante l’antichità. Durante l’età del Bronzo Tardo, le cinque isole indipendenti dal punto di vista politico e culturale, ebbero un ruolo di primo piano come tessuto interconnettivo fra loro e le altre parti del Mediterraneo.2 Questa prerogativa si mantenne fino alla prima età del Ferro quando i Fenici iniziarono la loro ascesa. All’alba del V secolo ormai, solo Cipro a causa della sua lontananza geografica dalla Grecia, mantenne quell’individualità politica e culturale che a tutt’ oggi la contraddistingue.

Massimo Cultraro analizza un vaso zoomorfo3 da Poliochni (Lemnos) proveniente dal vano 650 dell’Isolato VIII della tarda età del Bronzo che proprio il Rizza aveva portato alla luce nel 1953 in uno dei suoi saggi giovanili, su incarico di Luigi Bernabò Brea. L’autore presenta innanzitutto una nuova proposta di ricostruzione dell’askos a forma di porcellino a correzione del restauro effettuato nel Museo Archeologico Nazionale dove è esposto (inv. P7131). La figura del suino, rivestita di specifici attributi e di valori simbolici, è spesso associata nelle culture anatoliche ai riti della fertilità. Il vaso risulta essere strumento impiegato in rituali di propiziazione con pratiche magiche connesse alla sfera della sessualità. Appare ancora oscura la relazione fra l’askos (rinvenuto in un magazzino) e la tomba infantile attigua che sembra essere contemporanea. Rivestito di un carattere ctonio, il maiale sembrerebbe legato alla classe d’età degli infanti.

L’attento esame di una figurina antropomorfa in steatite verde d’età pre-palaziale proveniente da Fournou Koryfi a Myrtos e conservata nel Museo Archeologico dell’Università Nazionale Kapodistriana di Atene (inv. 2870), è offerto da Nota Kourou. La statuetta femminile che mostra caratteristiche simili alla classe heart-shaped di Sakellaraki,4 pur essendo un ritrovamento di superficie, non può cronologicamente andare oltre l’AM IIb, e risulta di certo di produzione locale.

Nel ricco panorama cretese, la percezione e la memoria dei palazzi minoici, quali centri di potere, gioca un ruolo determinante nella ricostruzione storica. Esse si mantengono per un lungo lasso di tempo, influenzando così non poco i modi di occupazione dell’area dei palazzi. Prendendo in esame i centri di Knossòs, Festòs, Zakros ed Haghia Triada, Nicola Cucuzza offre un’analisi accurata e suggestiva del travagliato periodo neo-palaziale nella Messarà, dove sotto l’influenza dell’elite cnossia,5 si abbandona il tentativo di ricostruzione del palazzo di Festòs e si sceglie d’edificare la Villa di Haghia Triada, spostandovi l’attività amministrativa e di immagazzinamento. L’autonomia successivamente ritrovata dell’elite locale, spiega il completamento del secondo palazzo di Festòs (seppur privo di alcune attività).

Il rinvenimento nel 1989 in strati sconvolti nella zona N-E della villa ad Haghia Triada,6 di un frammento di larnax pre-palaziale, databile non dopo il MM II, decorata con una figura schematizzata di un pesce, dàlo spunto di riflessione sulla rappresentazione della fauna marina nella ceramica pre- e proto-palaziale da parte di Filippo Maria Carinci. La decorazione all’interno ed il tema insolito lasciano supporre un suo uso rituale destinato forse a contenere dell’acqua o altro liquido trasparente.

Helly Anagnostou traccia un breve excursus sulla storia degli studi dedicata alla piccola ascia decorata di Voros, oggetto di valore cultuale, databile al TM e conservato al Museo Archeologico di Iraklion. Adottando la lettura generale della Small,7 interpreta le due facce incise come scene di culto: nella faccia A, la dea della guerra ricoperta dallo scudo ad otto tra due adoranti in armi, nella faccia B, la dea esce dalle porte del cielo (o del tempio), tenute aperte da due guardiani con lo scudo ad otto, visti di profilo.

Stylianos Alexiou da una rilettura del ciclo di affreschi nella stanza V della casa Occidentale di Akrotiri. In contrasto con le letture di Marinatos8 e di Doumas,9 ed in accordo in parte con quella della Televantou,10 l’autore vede l’illustrazione non realistica di quattro luoghi, noti al proprietario della casa, probabilmente un capitano di vascello: la città di Akrotiri, il Peloponneso miceneo, il Nilo egizio e la Creta Minoica (forse la stessa Knossòs).

Nel 1975 è stata rinvenuta una casa sulla collina di Profitis Ilias a 200 metri dall’acropoli di Micene. In una delle sue stanze (la VI) nell’angolo N-E sono stati trovati in situ frammenti di un affresco il cui valore artistico, dopo il restauro, secondo Spyros Iakovidis, non sembra affatto eccelso ma che risulta importante per la decorazione, non estranea al repertorio minoico ma rara in quello miceneo: una loggia lungo la facciata di una casa che termina a sinistra con una struttura in legno, probabilmente una porta. Il suo autore, privo di talento e senza alcun senso delle proporzioni, ci offre pur tuttavia la rappresentazione di colonne che trovano gli unici isolati confronti nella colonne della Porta dei Leoni ed in quelle dipinte nel luogo di culto di Sitopotnia nell’acropoli.11

Al centro degli scambi iconografici fra Egeo ed Oriente, l’isola di Cipro assume un ruolo di incontro delle varie tradizioni, che portarono alla costituzione del c.d. Stile Internazionale.12 Attraverso l’analisi di alcuni importanti manufatti (Coppa in agemina di Enkomi, Rhyton di Kition, Cratere di Kalavassos-Ayios Dimitrios) e di sigilli, Pietro Militello propone una diversa lettura dell’ iconografia cipriota, frutto non di imitazione e fraintendimento ma di assimilazione e rielaborazione dei modelli egei e levantini. Si percepisce inoltre una selettività dei prototipi in base al tipo di supporto ed alle tematiche materiale. Come luogo principale di provenienza dei motivi egei non può non essere indicata Creta, sia pur tramite l’arte micenea.

Athanasia Kanta presenta un rapporto preliminare della sua prossima monografia sui materiali ceramici TM III C di Tylissòs. Il sito, lungi dall’essere abbandonato alla fine dell’età del Bronzo Tardo, continua lungo il Sub-Minoico (la cui esistenza è ancora da dimostrare) ed arriva fino al Geometrico.13 I materiali ceramici esaminati appartengono a 11 classi distinte (Deep bowls, Kraters, Kylikes, Champagne glass cups, Amphoriskoi, Kalathoi, Jug-amphora, Tubs and basins, Cooking pots, Stirrup jars, Pithoi). I confronti fra materiali provenienti da altri siti cretesi (Sybrita, Festòs, Chalasmenos, Kavousi, Karphì), di recente pubblicazione, almeno in fase iniziale, permettono un’idea più ricca del fin qui oscuro TM III C.

Frutto della raccolta effettuata nell’estate del 1996 dalla locale Eforia di Iraklion in contrada Keratokampo Viannou su uno scavo abusivo dovuto alla costruzione di un vicino albergo, è la collezione di frammenti ceramici minoici e post-minoici (MM IIIb-TM Ia e VIII-VII secolo a.C.) e di 75 frammenti di idoletti antropomorfi e zoomorfi, databili dal TM IIIb al Geometrico. L’edizione del piccolo complesso, sebbene inficiato dalla frammentarietà e dalla assenza di dati stratigrafici, permette a Gheorgios Rethemiothakis di accertare l’esistenza di un sito minoico, fino ad allora solo ipotizzato, e di un santuario a carattere locale di Artemide-Ilizia, predecessore del più famoso e successivo (PG e G) santuario di Ilizia nella vicina grotta di Tsoutsouro.14

John Boardman evidenzia le particolarità dei tesori rinvenuti nella tomba di Khanniale Tekke a Knossòs, databile agli inizi dell’VIII secolo a.C.15 Essi non possono essere considerati come dei semplici depositi mai più recuperati ma probabilmente delle offerte votive tombali. Rimane ancora oscuro se il luogo di ritrovamento fosse una tomba di una ricca famiglia di gioiellieri oppure di ricchi immigrati orientali, non necessariamente artigiani.

Analizzando tre opere significative (testina fittile da Axòs, testina fittile da Sitia, e busto fittile da Praisòs), Dario Palermo smentisce categoricamente che durante il periodo che va dalla fine del VII alla metà del VI secolo a.C., l’isola di Creta possa essere affatto considerato un ambiente artisticamente arido ma al contrario ancora vivo e aperto al cambiamento nel quale prosegue quella propensione alle ricerche formali che aveva caratterizzato il periodo precedente. Il momentaneo “appannamento” politico e culturale di Knossòs e Gortyna, dovuto forse all’infausto esito di un evento bellico,16 favorisce l’estremo sviluppo dell’arte cretese in centri minori, soprattutto nella parte orientale dell’isola, e l’emigrazione delle maestranze in altri centri del mondo greco.

Antonella Pautasso illustra una piccola statuetta fittile rinvenuta in frammenti nell’area antistante al Tempio A sulla Patela di Priniàs nell’estate del 2003.17 Resti di superfici d’attacco sul lato sinistro fanno pensare ad una appartenenza ad un gruppo od a una coppia di figura. Databile in generale all’età geometrica, plasmata a mano e di modellato pieno, essa rappresenta probabilmente una divinità femminile come lascia supporre il diadema con quattro appendici corniformi, elemento simbolico che dall’età sub-minoica giunge in un lento processo di stilizzazione fino all’età geometrica.

Nel tentativo di ricalibrare la prospettiva di Vitruvio sulla nascita storica dell’ordine colonnato e sul ruolo proposito di Creta, Francesco Tomasello illustra quattro basi di colonna da Priniàs18 che documentando il coinvolgimento del piccolo centro cretese nel processo di formazione del linguaggio architettonico, offrono la possibilità di indagare il modo di innesto tra il fusto della colonna lignea ed il suo supporto litico. Le basi sono di cronologie diverse (dal sub-Minoico al Geometrico) e di morfologie non necessariamente frutto di maturazione tecnologica.

Rinvenuto nel 2003 in un saggio nell’area a Sud del Tempio B di Priniàs, il frammento bronzeo (inv. P.3929) grazie al confronto con l’elmo di Amburgo19 è attribuito da Rossella Gigli Patanè alla cresta di un elmo ad alto cimiero, di tipo cretese. Le ridotte dimensioni e la delicatezza della decorazione lasciano inoltre supporre che fosse un’arma da parata dedicata alla divinità poliade da un giovane in uno dei riti di passaggio all’età adulta.

Dopo la sua scoperta ad opera del Pernier agli inizi del secolo scorso, la fortezza di Priniàs è stata di nuovo oggetto di indagini nel 1996, 2000 e 2003.20 Sebbene siano ancora molti i quesiti irrisolti (p.es. l’organizzazione interna del forte) Salvatore Rizza analizza il progetto difensivo (forte, muro di sbarramento e torre di guardia) ed il ruolo della torre di S-E (porta della difesa attiva). Non accettandone le conclusioni di Pernier sulla datazione del forte al V secolo a.C.21 egli propone invece un abbassamento almeno fino al IV, se addirittura fra la seconda metà del III e la prima metà del II secolo a.C.

Un grande altare in marmo pentelico è stato recuperato in tre frammenti fra il 1987 ed il 1989 nella zona delle case bizantine a Gortina. La lettura delle quattro fronti decorate,22 fortemente danneggiate dall’incuria del tempo e degli uomini, permette ad Antonino Di Vita di datare l’altare all’età di Marco Aurelio (161-180 d.C.) e di associarlo, almeno come ipotesi di lavoro, al basamento in poros davanti al tempio (coevo) della Virtus imperiale nella zona orientale del Pretorio.

Raffaella Farioli Campanati aggiorna una sua precedente comunicazione sulla basilica di Mitropolis a Gortyna, oggetto di scavi congiunti da parte della locale Eforia bizantina e della S.A.I.A.23 Edificata probabilmente già nel V secolo d.C., l’edificio a cinque navate, destinato ad essere la Cattedrale di Creta, attraversa varie fasi edilizie, riguardanti soprattutto l’assetto liturgico della navata mediana che presenta un pavimento musivo rinnovato come c’informa l’iscrizione ritrovata dall’allora arcivescovo Vetranios, d’età giustinianea. Lo spazio della liturgia navata mediana) emerge anche grazie alla decorazione musiva, sulle navatelle laterali destinate ai fedeli, pavimentate da semplici lastre di marmo. Il rinvenimento di una parte del tetrastoon, con phiale, e la decorazione architettonica confermano le influenze architettoniche di Constantinopoli su Creta.

Paul Faure propone una lettura di due formule minoiche (una in scrittura geroglifica del AM III/MM I-II e l’altra in Lineare A del MM III/TM I-II) ritrovate ad Archanes e pubblicate rispettivamente da Evans e Xanthoudidis nel 1909.24 Attraverso il metodo comparativo ed associativo, il termine in geroglifico asásaraka è spiegato come “Santa Sovrana” oppure “Signora del mare, del cielo e della terra”. La formula ricorrente nelle tavolette più recenti indica le offerte fatte dai signori dei Nuovi Palazzi alla Ninfa, alla Madre e all’Astro solare così come al Titano.

Come si evince dal titolo, Charalambos Kritsas dà il “colpo di grazia” alla presunta iscrizione bilingue proveniente da Psychroò che dalla prima pubblicazione nel 1958 ad opera di Spyridon Marinatos25 divide la comunità scientifica sulla sua autenticità. Così come il Faure prima di lui, Kritsas crede che essa sia un falso moderno, adducendo come prova, la qualità della pietra su cui è incisa l’iscrizione, i caratteri usati e la patina aggiunta artificialmente per invecchiarla e ingannare così il collezionista Giamalakis.

Felice Costabile presenta due nuove iscrizioni latine rinvenute a Creta durante il suo breve soggiorno nell’estate del 2000. La prima, inedita, che si trova inserita come materiale di spoglio sotto l’architrave di una porta secondaria nella piccola chiesetta della Ζερβιώτισσα nelle campagne del villaggio di Stylos (nel nomos di Chanià), è il frammento di un architrave inscritto di un tempio dedicato forse ad Artemide Aptera, dove si ricorda la sua ricostruzione (o il restauro) ad opera di Gaius Arinius Modestus, proconsole di Creta e Cirenaica (dal 74 al 77 d.C.), sotto l’imperatore Vespasiano. L’ignoto dedicante potrebbe essere un’autorità sia superiore sia inferiore al proconsole. Si dà invece una nuova lettura della seconda iscrizione,26 conservata al Museo di Iraklion. Il segnacolo bronzeo di Zosimus, schiavo di Q. Rupilius Zosimus (anch’egli liberto, forse originario di Roma), attesta il sistema di produzione “a distanza” messo in atto dalle famiglie italiche per lo sfruttamento delle risorse provinciali tramite schiavi e liberti.

Attraversando la penisola italica da Sud a Nord, Vincenzo La Rosa traccia un profilo quanto mai suggestivo e completo della presenza di Creta in Italia, ovvero dell’interesse mostrato dal mondo accademico italiano per l’isola di Minosse. I ricchi e variegati campi di interesse scientifico coltivati da più generazioni di archeologi hanno dato risultati eccezionali, oggi conquiste imprescindibili del sapere sulla civiltà minoica-micenea e sui suoi rapporti con la Sicilia e l’Italia.

Nel 1990 è stato rinvenuto durante una ricognizione un riparo preistorico in territorio di Buseto Palizzolo, in provincia di Trapani. A quota 335 s.l.m. su una limitata spianata a ridosso di una delle creste rocciose più alte si trova il sito archeologico, costituito da un’area (mq. 300) di dispersione superficiale di schegge e strumenti litici in selce. Essa doveva accogliere, secondo Sebastiano Tusa, un abitato o accampamento non sedentario di cacciatori, probabilmente appartenente alla facies epigravettiana.

Le fortificazioni di Ustica recentemente datate all’Età del Bronzo Medio,27 insieme alle già note mura di Thapsòs e Melilli, sono, a detta di Ross Holloway, il riflesso della nuova condizione di allerta in cui viene a trovarsi la Sicilia con l’arrivo degli avventurieri Micenei. L’originalità dell’architettura di Ustica, lungi dall’essere copia di un prototipo straniero, riflette comunque conoscenze provenienti dal Vicino Oriente e sembra che Creta abbia avuto un ruolo importante in questa trasmissione.

Dopo aver passato in rassegna i c.d. Megara in Sardegna con riferimento all’architettura ed ai materiali ivi rinvenuti, Giovanni Lilliu trova conferma alla sua idea di importazione dall’Oriente, tramite i Micenei, del modello architettonico.28 Poco si può dire del rituale di tipo animistico celebrato nei tempietti, dove aveva un ruolo principale l’acqua. La divinità adorata potrebbe essere una dea ctonia, protettrice della fertilità e della natura.

Volume II

Vincenzo Tusa s’interroga sul rapporto fra gli indigeni ed i coloni greci che fondarono Selinunte intorno alla metà del VII secolo a.C.29 I Megaresi avevano ottimi rapporti con i Sicani della zona e ciò permise il veloce sviluppo della colonia e la ricca fioritura culturale che la contraddistinse.

L’Istituto di Archeologia dell’Università di Zurigo ha dal 1971 dato corso ad un programma di scavi e ricerche sul Monte Iato, condotto da Hans Peter Isler.30 Nella città indigena di Iaitas il processo di ellenizzazione culturale comincia presto all’indomani delle prime fondazioni coloniali greche. La convivenza pacifica fra indigeni e Greci, un gruppo dei quali già alla metà del VI secolo a.C. si sarebbe stabilito in città, è resa ancora più eccezionale dalla presenza di ottimi materiali attici e dal culto della dea greca Afrodite.

Rosalba Panvini, dopo aver riassunto la storia degli studi dedicati al sito indigeno di Sabucina nella riva destra dell’Himera,31 si sofferma sulla ricchezza dei corredi tombali delle tre necropoli dove si evidenzia l’adozione di forme vascolari attiche. I dati permettono di ricostruire la società indigena locale dove un’aristocrazia terriera, per dare sfoggio e prova del suo elevato stato sociale, s’arricchisce con il surplus di grano che trova in Gela la prima cliente e motore di questo processo di ellenizzazione del centro indigeno.

Le quotidiane difficoltà della locale Sovrintendenza di Catania sono tutte evidenziate nel contributo di Maria Grazia Branciforti che da una breve e preliminare relazione degli scavi condotti tra il 2001 ed il 2002 presso l’ex Reclusorio della Purità, in un’area fortemente alterata dallo sviluppo urbano. La scoperta di frammenti dell’antica Katane, con strutture e materiali per lo più ceramici, che vanno dall’età arcaica a quella tardo romana, non può che essere salutata con gioia dalla comunità scientifica. In particolare, il rinvenimento di una necropoli arcaica, interrotta da strutture classiche e l’eccezionale scoperta di una casa romana con affreschi in situ, sono i risultati più interessanti dello scavo. La preziosa appendice ceramografica di Susanna Amari completa il quadro del difficile scavo nel centro della città etnea.32

Marcella Barra Bagnasco riconosce un controllo dei due tiranni siracusani (Dionisio I e II) sulla città di Locri Epizefirii.33 In essa, pur mantenendosi inalterato l’aspetto urbanistico, si introdussero nuove forme di culto, tipicamente locali anche se d’influsso siracusano. La cacciata di Dionisio II ed il successivo regime democratico in città portarono ai successivi cambiamenti radicali.

Una delle zone in Sicilia ingiustamente negletta dalla ricerca storica è quella di Licata alla quale Gioacchino Francesco La Torre restituisce il dovuto interesse evidenziando la sua posizione strategica a cavallo delle due zone in cui era divisa l’isola. Attraverso un’attenta disamina delle fonti antiche e con una conoscenza diretta della topografia, l’autore ripercorre le tappe che portarono alla fondazione sul Monte Poliscia di Eknomos, uno dei phrouria voluti da Falaride, tiranno di Akragas in funzione anti-geloa negli anni attorno al secondo quarto del VI secolo, come ci attesta Diodoro Siculo (XIX, 108, 1). Poco più ad est, sulle pendice del Monte Sant’Angelo, un altro tiranno di Akragas, Finzia fonda nel 282 a.C. Finziade con gli abitanti superstiti di Gela, distrutta poco prima in circostanze non ancora chiarite (Diod. XXII, 2 et XXII, 7).34

Sulla scia dei suoi studi di topografia antica siciliana,35 Giovanni Uggeri propone delle nuove e convincenti identificazioni di località isolane citate in un passo di Appiano ( B.C., V, 110-117). Il promontorio Argennon è da localizzare a Capo Sant’Angelo, il centro di Phoinix in prossimità di Palma, il promontorio Kokkynos a Capo d’Alìo a quello di Scaletta, il monte Myconius, infine è da identificare con l’odierno monte Straveri o Scuderi.

Gino Vinicio Gentili (ri)propone una sua lettura36 della famosissima iscrizione dedicatoria sul crepidoma dell’Apollonion di Siracusa dove l’architetto Kleomenes si mostra orgoglioso della sua opera (“Kleomenes fece ad Apollo, il figlio di Knidieida, i colonnati interni e lo pteròn”).

Massimo Frasca rende nota la recente scoperta di un santuario extraurbano di Hera in località Scala Portazza a Lentini, dando così un notevole contributo alla conoscenza del pantheon locale ad oggi quasi del tutto sconosciuto.37 Al momento si riconoscono tre fasi del santuario, già in funzione nel VII secolo, sotto forma di altare-temenos, monumentalizzato ed ampliato alla metà del VI ed infine distrutto nel primo quarto del V ad opera probabilmente dei Dinomenidi.

Graziella Fiorentini da un resoconto preliminare degli scavi effettuati fra il 1996 ed il 2000 alle pendici sud-orientali della Rupe Atenea, identificata come l’acropoli di Akragas, allo scopo di contestualizzare il complesso monumentale del Persephoneion d’età arcaica ed il sistema di frtificazioni murarie nei pressi della Porta I. L’area sacra così individuata presenta una frequentazione che va dall’età preistorica al III secolo a.C. Delle tre fasi che interessarono l’area in questione è protagonista un edificio rettangolare (ἀ, databile alla fine del VI-inizi del V secolo, privo di ripartizioni interne.38 Nei primi decenni del V secolo fu regolarizzata l’area ad Est dell’edificio A che fu trasformato in semplice recinto monumentale appositamente lastricato a livello del nuovo calpestio esterno. La terza fase ha inizio con la distruzione dell’edificio A da parte dei Cartaginesi nel 406 a.C. durante la presa della città. Al suo interno fu realizzata una struttura forse a carattere religioso, che testimonia la persistenza d’uso cultuale dell’edificio stesso. I materiali restituiti, attribuibili sì al culto di Athena che per la prima volta trova conferma della notizia delle fonti del suo culto sull’acropoli akragantina, mostrano però una chiara impronta cretese simile a quelle dei materiali conservati nella stipe (o stipi?) del santuario di Athena Poliouchos sull’acropoli di Haghios Ioannis di Gortina.39 L’obliterazione del tempio e la quasi contemporanea costruzione del santuario di Demetra nel 490-480 a.C. sono indici di quel cambiamento di orientamento politico e religioso che il tiranno Therone volle intraprendere per cancellare anche il ricordo dei culti di origine cretese che tanto aveva favorito il suo predecessore Falaride, di etnia cretese.

Il tempio c.d. della Vittoria ad Himera,40 edificato subito dopo il 480 a.C. per celebrare il trionfo sui Cartaginesi, subì, secondo Nunzio Allegro, la chiusura degli intercolunni ad opera del successivo regime democratico della città per motivi ancora difficili da determinare, seguendo il modello di altri templi sicelioti e magno-greci.

Maria Trojani dà un breve resoconto dei risultati di alcune indagine sul c.d. Ginnasio Romano di Siracusa, effettuate negli anni 1991, 1992 e 1995 allo scopo di precisare la cronologia del monumento e le sue successive fasi edilizie.41 Il portico, in origine un quadriportico databile alla tarda età ellenistica, racchiudeva al suo interno un monumento funebre od un heroon. In età post tiberiana, la costruzione del teatro che si sovrappose in parte al lato occidentale del portico, ne modificò la forma, trasformandolo in un porticus post scaenam. Il tempio, in posizione anomala rispetto al portico, probabilmente riadattava una precedente struttura.

Patrizio Pensabene dà alle stampe un riassunto degli studi condotti sulla decorazione architettonica della fase medio imperiale del teatro antico di Catania.42 Dopo aver fatto un breve excursus sulle notizie antiche e la storia degli scavi, l’autore descrive il monumento (“La cavea e l’edificio scenico”) e la sua decorazione architettonica della scena. In appendice sono presentate le schede di 19 pezzi significativi conservati al Museo Civico di Castello Ursino.

Dopo un’attenta analisi stilistica, Malcolm Bell propone di identificare due sculture in marmo del tardo arcaismo rinvenute a Grammichele ed ad Agrigento tra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo, come due kouroi dedicati a due paides, vincitori dei giochi panellenici.43 Il primo sarebbe un giovane membro di una famiglia greca o protetta dal governatore di Ippocrate, vincitore in uno dei giochi fra il 496 ed il 492. Il secondo potrebbe essere Exainetos, figlio di Empedokles, vincitore ad Olimpia nella gara dello stadion nel 496 a.C.

Ernesto De Miro partendo dal contesto di ritrovamento della celebre statua che fa bella mostra di sé nella sala del Museo Archeologico, indaga l’origine dell’iconografica e identifica nelle fattezze dell’Efebo il dio-fiume Akragas, la datazione ai primi anni della tirannide di Therone non fa altro che confermare quella tendenza di modificare in senso rodio (ed antropomorfico) i culti della città che nel precedente periodo trovavano maggiore espressione nella maniera cretese, favorita dal tiranno Falaride. La dedica di una replica della statua in avorio nel santuario panellenico di Delfi ad opera proprio del tiranno emmenide porta proprio quella data.44 L’iscrizione che l’accompagna inoltre esplicita come donatori gli Akragantini, frutto questo della strumentalizzazione propagandistica del demos nella politica interna perseguita dal tiranno.

Nicola Bonacasa ritorna su un tema da lui già affrontato in altre sedi, ovvero sulla decorazione fittile del Tempio B di Himera. I 87 reperti rinvenuti nella c.d. colmata posteriore al 415 a.C. durante campagne di scavo fra il 1963 ed il 1981, e pubblicati dall’autore,45 propongono una serie ancora insoluta di quesiti. In attesa di un loro necessario restauro complessivo, la scoperta di cinque nuovi frammenti di sculture fittili, unita ai precedenti già editi, suggerisce l’ipotesi dell’esistenza di uno o due donari fittili con sculture a tuttotondo all’interno del temenos. In particolare, le raffigurazioni animali (bovini ed equini) potrebbero essere ricondotte a saghe locali o alle fatiche di Herakles, legate forse al tema delle sculture frontonali del tempio.

Al Museo Archeologico Nazionale di Napoli è conservata un’antefissa (inv. 141102) proveniente da Locri Epizefirii. Sebbene frammentaria, essa riproduce la figura di una leonté, piuttosto che un leone vero e proprio, incorniciata da serpentelli. Le sue dimensioni fanno credere al suo utilizzo come copertura di un piccolo naiskos o di un’edicola. Perduto il contesto di rinvenimento, sulla base di confronti stilistici con raffigurazioni simili su antefisse rinvenute a Locri e sulla monetazione zanclea, essa andrebbe datata alla seconda metà del V secolo a.C. Il motivo della leonté importato dai Samii all’inizi del V secolo, ed usato nelle monetazione cittadine (494-489 a.C.) e successivamente in quelle di Anassilao a Reggio, fu adattato e rielaborato dalle botteghe locali. Insieme ad un esemplare rinvenuto a Zancle,46 l’antefissa di Locri risulta un unicum nella decorazione delle terrecotte architettoniche.

Nel 1998 durante l’XI campagna di scavi, condotta da G. Di Stefano47 è stata rivenuta a Camarina, la testa in pietra locale forse di un anonimo filosofo. Essa proviene dal livello di crollo della stoà sud (metà del III secolo a.C.) e, forse, era in origine collocata nel vicino ekklesiasterion. L’archetipo va certamente ricercato in ambito peloponnesiaco tra il IV ed il I secolo a.C. Prodotto locale, essa risente di due modelli ampiamente attestati da repliche e varianti. In particolare, il ritratto camarinense si avvicina all’Omero da Olbia ed al Sofocle da Argo.

Bernard Andreae riconosce nel piccolo gruppo bronzeo conservato al Museo di Gerusalemme un originale ellenistico, forse di officina rodia, degli inizi del II secolo a.C. Esso è la trasposizione diretta della metafora poetica utilizzata da Apollonio Rodio nelle sue Argonautiche (IV, 1602-1612). Il dio Tritone, dopo aver ricevuto un sacrificio, traina verso il mare aperto la nave Argo chiusa nel lago Tritonio all’interno del deserto libico. Al posto della nave, troppo lunga da rappresentare nel gruppo, l’artista ha raffigurato un cavallo marino. Tale accostamento ritorna in altre due famose opere bronzee di scuola rodia, di cui oggi si conservano sole delle copie in marmo: il gruppo di Scilla da Sperlonga e il Laocoonte trovato nel monte Oppio a Roma.

La revisione dell’esposizione del Museo Civico di Centuripe ha dato modo a Rosario Patanè di riesaminare quattro sculture inedite conservate nella collezione comunale. La testa virile barbata (KA 794), probabilmente appartenete ad una statua di grandi dimensioni, databile al II secolo a.C. rappresenterebbe a detta dell’autore Zeus Ourios il cui culto è attestato a Centuripe da un’iscrizione e dal dritto di alcune monete.48 La statua femminile (KA 789) in marmo, acefala, riproduce il tipo di musa o ninfa, appartenente anch’esso a scuola rodia, così come la statua femminile in arenaria (KA 879). Entrambe andrebbero datate ai primi decenni del I secolo a.C., quando la cittaàera al massimo del suo splendore. Ad età imperiale infine è collocabile un torso in marmo, raffigurante Herakles (KA 798) che risenti di modelli lisippei.

Un ritrovamento fortuito nelle campagne di Barrafranca, a 100 km a Sud di Enna, ha suscitato l’interesse di Sebastiana Lagona. Si tratta della tazza-attingitoio con protome taurina, attribuibile a fabbrica indigena. La forte connotazione “naturalistica” del manufatto sottintende la sua particolare destinazione (rituale?). La forma vascolare, presente in ambito indigeno anche prima della colonizzazione greca, ed i motivi decorativi (protome taurina, motivo a Y) dipendono da modelli di ispirazione egea-cipriota.49 La tazza-attingitoio risulta dunque importante testimonianza del periodo di ellenizzazione della comunità indigena sotto la spinta espansionistica di Gela arcaica. Da un breve esame delle località limitrofe, l’autrice indica come probabile provenienza la contrada Gerace, ricca di testimonianze archeologiche (purtroppo mal note ed inedite) che vanno dalla preistoria alla tarda romanità.

Un frammento di anfora a rilievo rinvenuto nella necropoli arcaica di Villa Garibaldi a Gela da Piero Orlandini e Dinu Adamesteanu nel lontano 195650 e conservato al Museo Archeologico di Gela (inv. 8602) dà spunto a Maria Costanza Lentini per alcune interessanti osservazioni. Forte del recente lavoro di Eva Simantoni-Bournià,51 l’autrice s’interroga sulla funzione (ossario?) dell’anfora che, attribuibile alla fase iniziale dell’atelier di Lindos I, è databile al decennio 710-700 a.C. La probabile provenienza dalla zona meridionale dell’isola di Rodi (Lindos-Vroulià) del vaso è rafforzata dalle sue modeste dimensioni, tipiche della produzione lindia. Vista la provenienza ed il generico contesto di ritrovamento (necropoli), l’anfora potrebbe essere stata usata come ossario (o segnacolo funebre) per un membro dell’elite locale, magari appartenente alla ristretta cerchia dei fondatori.

Avendo la stessa funzione (ricettacolo per i resti del defunto) e provenendo dalla stessa necropoli arcaica di Gela, il pithos orientalizzante conservato al Museo Archeologico (inv. 8620) è attribuito da Giacomo Biondi, senza ombra di dubbio, ai laboratori della Creta centro-meridionale. I primi editori (Orlandini e Adamesteanu)52 del vaso lo avevano interpretato come un prodotto gelese, frutto di quella commistione di elementi strutturali (forma) e motivo decorativo (c.d. Capra selvatica) che all’epoca si attribuivano rispettivamente alle due isole di Creta e Rodi. Oggi, alla luce delle più recenti analisi delle argille sui c.d. vasi rodii, sembra ormai appurato che Rodi non producesse ma solamente importasse tali vasi.53 Forma del pithos, motivo decorativo primario e secondario, colore dell’argilla, tutto fa protendere per l’attribuzione proposta dall’autore.

Nel vecchio allestimento del Museo Archeologico di Lentini erano esposti alcuni frammenti di bucchero etrusco, rinvenuti da Giovanni Rizza, e qui oggetto del contributo di Rosa Maria Albanese Procelli. Sebbene sia difficile proporre per loro una cronologia esatta, sulla base degli studi di Rasmussen,54 si possono attribuire a kantharoi di tipo 3e, la forma più comune nella produzione del bucchero etrusco tra la fine del VII e la prima metà del VI secolo a.C. Sulla base della carta di distribuzione di questa ceramica in Sicilia, appare al momento chiaro che fossero interessate alla sua importazione le colonie e non il mondo indigeno. Si auspica inoltre l’avvio di analisi petrografiche che consentano di distinguere le produzioni di Cerveteri e Vulci con i loro vari atelier.

Gioconda Lamagna, ripercorrendo la strada tracciata anni prima da Giovanni Rizza,55 prende in esame una selezione di ceramiche greche d’importazione e di imitazione locale, conservate al Museo di Adrano e provenienti dal sito indigeno di Mendolito. I materiali, essendo tutti ritrovamenti sporadici, sono stati suddivisi in base al centro di produzione: ceramica corinzia e d’imitazione (11), ceramica attica figurata (1), ceramica attica a vernice nera e d’imitazione (12), ceramica coloniale decorata a bande (12) e ceramica coloniale a vernice nera (1). Il lotto comprende un’ampia scelta delle forme diffuse nei centri indigeni d’età arcaica e classica, così come l’arco cronologico (ultimo quarto del VII secolo – V secolo a.C.) conferma. I centri coloniali che si ipotizzi possano aver importato queste ceramiche sono in primis le colonie calcidesi di Naxos, di Katane e, forse di Himera. La presenza di questi materiali in un sito che ha mantenuto per molti secoli un’economia tradizionale, agricola, immune dal commercio marittimo (come l’assenza di anfore da trasporto lascia supporre) e geloso della propria cultura, possono non essere necessariamente considerati rivelatori archeologici del processo di acculturazione ma al contrario, “beni di prestigio” che non hanno alterato le struttura della comunità indigena.

Ricche di feconde osservazioni sono le pagine dedicate da Fabio Caruso al mito di Medea. Dopo un’attenta rassegna del breve corpus vascolare dove appare il mito, l’autore rilegge un frammento ceramico rinvenuto fra i materiali fuori contesto nella necropoli di Giardino Spagna a Siracusa e già edito da Cultrera nel 1943.56 Il frammento di skyphos attico (conservato al Museo Archeologico di Siracusa sotto il num. di inv. 51114) mostra una versione pre-euripidea del filicidio di Medea: la figura femminile (Medea) che indossa il mantello, prerogativa degli addetti al sacrificio, sferra il colpo mortale verso un giovane nudo (uno dei suoi figli), alla presenza di un vecchio (pedagogo). Ciò basterebbe sì senz’ altro a togliere al tragediografo ateniese l’onore di aver introdotto questo episodio nel teatro. Ciononostante è difficile confermare l’attribuzione dell’intera tragedia a Neofrone di Sicione, prolifico autore (ben 120 drammi gli sono attribuiti nella Suda), sulla base anche dei tre unici frammenti pervenuti, tutti riferiti ad un’opera con Medea come protagonista e dove il personaggio del pedagogo è presente sulla scena del delitto.

Sulla scorta dei risultati di Morel sulla ceramica campana,57 Lorenza Grasso ci offre una panoramica sulla ceramica a vernice nera rinvenuta a Lentini. Divide questa produzione, ancora per lo più ignota sia per il centro di produzione che per la reale diffusione, in tre fasi cronologiche: Fase A (375-300 circa a.C.) corrispondente ai materiali rinvenuti nel III e II strato della necropoli di Lentini esplorate da Rizza,58 Fase B (300-250 a.C.) con i materiali editi dal centro rupestre di Caracausi59 e Fase C (250-150 a.C.) con quelli provenienti dal I strato della necropoli. I modelli da cui derivano i tipi vascolari sono esclusivamente attici per il IV e la prima metà del III secolo a.C. quando si riscontra una certa affinità con i modelli di produzione Campana A (ciò nonostante quasi del tutto assente nell’area lentinese). Poco rappresentata è invece la ceramica di Gnathia.

Nell’ambito del lavoro di revisione e d’edizione definitiva del ripostiglio monetale ( IGCH 2066) rinvenuto nell’ex-scalo ferroviario di Gela e conservato al locale Museo Archeologico, Salvatore Garraffo presenta un quinto statere corinzio a doppio rilievo, appartenente alle prime serie del secondo periodo Ravel,60 riconiato dalla zecca di Akragas all’inizi del V secolo a.C. Pur non aggiungendo molto al problema della cronologia della zecca di Corinto e di Akragas, la nuova riconiazione testimonia l’importanza della presenza monetale corinzia nella Sicilia tardo-arcaica.

Con l’instancabile e certosina cura che lo contraddistingue, Giacomo Manganaro prende in esame alcuni materiali, per lo più provenienti da collezioni private che testimoniano la circolazione di beni e di uomini nel tormentato periodo tra il VII ed il XV secolo d.C. in Sicilia. Placchette decorate con l’immagine dei Santi (dove forte è ancora l’influsso della tradizione artigianale bizantina) e ampolle di piombo testimoniano rispettivamente la rete dei pellegrinaggi religiosi a Roma, per le tombe dei santi Pietro e Paolo, ed a Santiago di Compostela, per il santuario di San Giacomo.

L’immagine di una Lentini ancora in auge nel 1584 mostra il breve articolo di Antonio Giuliano che chiude il volume. Proprio in occasione della visita del frate agostiniano, Angelo Rocca,61 avvenuta il 16 giugno di quell’anno, il disegnatore locale, Domenico Rosa, realizzò una veduta assonometria della città, caratterizzata da una lunga didascalia dove venivano indicate le chiese e i luoghi più importanti.

***

Dalla lunga disamina precedente risulta chiaro come il contributo di Giovanni Rizza all’archeologia vada al di là del limitato e limitativo confine delle sue ricerche nelle due isole. Fra coloro che lo hanno degnamente onorato con un contributo sono presenti amici, colleghi ed allievi di prima e seconda generazione.

Per quanto riguarda la veste tipografica dei due volumi, essa risulta molto buona anche se non avrebbe nuociuto la presenza di qualche tavola illustrata in più in alcuni contributi. La mancanza di estratti in una seconda lingua è in parte bilanciata dall’uso delle maggiori lingue “archeologiche”, fatta salva l’ovvia preponderanza dell’italiano.

Per concludere, questa miscellanea risulta un’opera indispensabile per gli studiosi delle due isole mediterranee, ancor più perché in essa sono presentate ricerche (dolorosamente) inedite e relazioni (preliminari) di importanti scavi ancora lontane dalla loro definitiva pubblicazione.

Indice del Primo Volume A. DI VITA, Presentazione (9-11)
Scritti di Giovanni Rizza (13-19)
V. KARAGEORGHIS, Some reflections on the relations between Cyprus and the other MEGALAI NESOI of the Mediterranean in antiquity (21-26)
M. CULTRARO, Spazi di culto e luoghi di stoccaggio: una nota su un vaso zoomorfo da Poliochni, Lemnos (27-41)
N. KOUROU, A pre-palatial stone & figurine from Myrtos, Crete (43-50)
N. CUCUZZA, Percezione e memoria dei palazzi minoici: qualche osservazione (51-63)
F. M. CARINCI, Un frammento di larnax da Haghia Triada e le raffigurazioni di pesci nella ceramica medio-minoica (65-77)
H. ANAGNOSTOU, A proposito di un’ascia di Voros (79-88)
S. ALEXIOU, Η ναυτική τοιχογραφία της Θέρας (89-95)
S. E. IAKOVIDIS, An architectural fresco from Mycenae (97-101)
P. MILITELLO, Rielaborazioni, imitazioni, fraintendimenti: considerazioni sui rapporti iconografici tra Creta e Cipro nel Bronzo tardo (103-117)
A. KANTA, The settlement of Tylissos and the Cretan Dark Ages (119-141)
G. RETHEMIOTAKIS, Ειδώλια μετανακτορικών και πρώιμων ελληνικών χρόνων από τον Κερατόκαμπο Βιάννου (143-161)
J. BOARDMAN, The Knossos Tekke jewellery hoards (163-166)
D. PALERMO, Cessavit ars ? Coroplastica e coroplasti a Creta tra la fine del VII e gli inizi del VI secolo a. C. (167-175)
A. PAUTASSO, Una statuetta in terracotta dai recenti scavi di Priniàs (177-182)
F. TOMASELLO, Quattro basi di colonna dalla Patela di Priniàs (183-203)
R. GIGLI PATANÈ, Un frammento di lamina bronzea decorata a incisione da Priniàs (205-210)
S. RIZZA, Osservazioni sulla fortezza di Priniàs (211-231)
A. DI VITA, Un nuovo altare da Gortina e la base davanti al tempio al Pretorio (233-241)
R. FARIOLI CAMPANATI, Considerazioni sull’articolazione dell’impianto liturgico d’epoca giustinianea nella basilica di Mitropolis a Gortyna (243-247)
P. FAURE, Deux formules minoennes, dites d’Arkhanes (249-253)
Ch. B. KRITZAS, The “Bilingual” inscription from Psychro (Crete). A coup de grâce (255-261)
F. COSTABILE, Inscriptiones Creticae Latinae Iohanni Rizza Octuagenario Oblatae (263-272)
V. LA ROSA, Creta in Italia (273-290)
S. TUSA, Il Riparo epigravettiano di Baglio Casale (Buseto Palizzolo) (291-298)
R. ROSS HOLLOWAY, Fortifications with towers in Bronze Age Sicily (299-305)
G. LILLIU, I templi a “Megaron” in Sardegna (307-327)

Indice del Secondo Volume V. TUSA, Sulle più lontane origini di Selinunte (7-9)
H.P. ISLER, Mondo indigeno e mondo greco: il caso di Monte Iato (11-28)
R. PANVINI, Ricchezza e società in un centro indigeno dell’entroterra della Sicilia: l’esempio di Sabucina (29-45)
M.G. BRANCIFORTI, Gli scavi archeologici nell’ex Reclusorio della Purità di Catania (con un’appendice di S. AMARI) (47-77)
M. BARRA BAGNASCO, Locri Epizefirii tra i due Dionigi (79-89)
G.F. LA TORRE, Dall’Eknomos a Phintias: considerazioni sulla topografia del territorio di Licata in epoca storica (91-114)
G. UGGERI, Note sulla topografia della Sicilia antica (ad Appian. B.C. V, 110-117) (115-125)
G.V. GENTILI, L’Apollonion di Ortigia e la sua iscrizione arcaica (127-135)
M. FRASCA, Hera a Leontini (137-145)
G. FIORENTINI, Agrigento. La nuova area sacra sulle pendici dell’Acropoli (147-165)
N. ALLEGRO, La chiusura degli intercolumni nel Tempio della Vittoria (167-176)
M. TROJANI, Il c.d. Ginnasio Romano di Siracusa (177-186)
P. PENSABENE, La decorazione architettonica del teatro di Catania (187-212)
M. BELL, The Marble Youths from Grammichele and Agrigento (213-226)
E. DE MIRO, L’Efebo di Agrigento. Immagine e significato (227-240)
N. BONACASA, Donari fittili nel temenos di Athena a Himera? (241-253)
G. GRECO, Un’antefissa da Locri nelle collezioni del Museo Archeologico di Napoli (255-269)
G. DI STEFANO, Un ritratto di filosofo dall’Agorà di Camarina (271-275)
B. ANDREAE, Tritone e Scilla. L’immagine di una metafora dagli Argonauti di Apollonio Rodio in un piccolo gruppo bronzeo a Gerusalemme ed il Gruppo di Scilla a Sperlonga (277-282)
R.P.A. PATANÈ, Quattro sculture nel Museo Civico di Centuripe (283-294)
S. LAGONA, Una tazza-attingitoio con protome taurina dal cuore della Sicilia (295-299)
M.C. LENTINI, Un’anfora a rilievo di Lindos dalla necropoli arcaica di Gela (301-306)
G. BIONDI, Cretese o siceliota? Il caso di un pithos orientalizzante di Gela (307-311)
R.M. ALBANESE PROCELLI, Bucchero etrusco da Leontinoi (313-316)
G. LAMAGNA, Ceramiche greche d’importazione e d’imitazione dal centro indigeno del Mendolito: i materiali del Museo d’Adrano (317-339)
F. CARUSO, Medea senza Euripide. Un frammento attico da Siracusa e la questione della Medea di Neofrone (341-354)
L. GRASSO, Osservazioni sulla ceramica a vernice nera di Leontini (355-374)
S. GARRAFFO, Un nuovo statere corinzio riconiato ad Akragas (375-380)
G. MANGANARO, Pellegrini di ritorno da Roma e da Compostela in Sicilia in epoca medievale (381-390)
A. GIULIANO, Lentini: 1584 (391-394)

Notes

1. In particolare, sono così distribuiti: Lentini (19 scritti), Catania (16), Sicilia Orientale (20), Priniàs (22), Cipro (1), Rapporti fra Sicilia ed Egeo (5), Arti figurative in Sicilia (10), Scultura greca di VII secolo a.C. (3), Mosaici, Pittura vascolare e Iconografia (10), Storia dell’archeologia (12), Beni Culturali (6), Edizioni (14), Varie (3) per un totale di 141 scritti che vanno dal 1949 al 2004.

2. V. Karageorghis – N. Chr. Stampolidis (eds.), Eastern Mediterranean Cyprus-Dodecanese-Crete 16th-6th century B.C. Proceedings of the International Symposium held at Rethymno-Crete in May 1997, Athens 1998. L. Bonfante – V. Karageorghis (eds.), Italy and Cyprus in Antiquity: 1500-450 B.C. Proceedings of an International Symposium held at the Italian Academy for Advanced Studies in America and Columbia University, November 16-18, 2000, Nicosia 2001.

3. Il vaso esposto al Museo Nazionale Archeologico di Atene (inv. 6044/45), è pubblicato in L. Bernabò Brea, Poliochni. Città preistorica nell’isola di Lemnos, II, Roma 1976, p. 202, tav. CCXX, c-d.

4. E. Sakellaraki, ” Το ειδώλιο του Σαμπά και τα άμορφα λίθινα ειδώλια της Πρώιμης εποχής του Χαλκού στην Κρήτη”, in AEphem, CXXII, (1983), pp. 44-74.

5. Cfr. da ultimo, V. La Rosa, “La civiltà cretese dal MM III al Miceneo”, in E. De Miro, L. Godart, Anna Sacconi (acd), Atti e Memorie del Secondo Congresso Internazionale di Micenologia (Roma-Napoli, 14-20/10/1991), in InG, XCVIII, 1-3, (1996), pp. 1063-1089.

6. V. La Rosa, “La c.d. Tomba degli Ori e il nuovo settore nord-est dell’insediamento di Haghia Triada”, in ASAtene, λχχ (1992-1993), pp. 121-174.

7. Per la prima interpretazione dell’ascia, cfr. H.G. Buchholz, “Eine Kultaxt aus der Messara”, in Kadmos, I, (1962), pp. 166-170. Per l’interpretazione della dea guerriera, cfr. T.E. Small, “A Possible Shield Goddess from Crete”, in Kadmos, V, (1966), pp. 103-107.

8. S. Marinatos, *Anaskafh/ *Qh/ras, VI, Atene 1974.

9. Ch. Doumas, *Oi toixografi/es ths *Qh/ras, Atene 1992.

10. Ch. Televantou, *Oi toixografi/es ths dutikh/s *Oiki/as, Atene 1994.

11. W. Taylor, “Mycenae, 1968”, in Antiquity, (1969), p. 95, fig. 2.

12. W.S. Smith, Interconnections in the Ancient Near East, New Haven-London 1965.

13. A. Kanta, The Late Minoan Pottery in Crete. Sites, Pottery and their distribution, Goteborg 1980.

14. S. Pingiatoglou, Eilithyia, Würzburg 1981, p. 50.

15. J. Boardman, “The Khaniale Tekke Tombs, II”, in BSA, LXII, (1967), pp. 57-75.

16. D. Palermo, “L’officina dei pithoi di Festòs: un contributo alla conoscenza della città in età arcaica”, in CronA, XXXI, (1992), p. 32.

17. Per le recenti campagne di scavo, cfr. A. Pautasso, in AA.VV., “Lo scavo del 2003 sulla Patela di Priniàs. Relazione preliminare”, in Creta Antica, V, (2004), pp. 249-254.

18. Base a disco su plinto dal Tempio A (n.1), Base con fusto scanalato dal Tempio B (n. 2), Base da un vano del Quartiere Nord (n. 3), Base sporadica dal Quartiere centrale (n. 4).

19. Cfr. H. Hoffmann, Early Cretan Armorers, Mainz on Rhine 1972.

20. Per i risultati dei recenti scavi del 2003, cfr. G. Biondi, in AA.VV., “Lo scavo del 2003 sulla Patela di Priniàs. Relazione preliminare”, in Creta Antica, V, (2004), pp. 264-267.

21. Sulla datazione del forte al V secolo a.C. da parte di Pernier, cfr. L. Pernier, “Di una città ellenica arcaica scoperta a Creta dalla Missione Italiana”, in BdA, II, (1908), pp. 444-449.

22. La decorazione delle quattro fronti: Gorgoneion con ghirlande di melograni e viti (ἀ, uccello con ghirlande (β aquila ad ali spiegate appoggiata sul fulmine di Zeus (ξ Nike (D).

23. R. Farioli Campanati, “La basilica di Mitropolis a Gortyna: campagne di scavo 1991-1997”, in XLIV Corso di cultura sull’arte ravennate e bizantina – 1998, Ravenna 2001, pp. 83-121.

24. A.J. Evans, Scripta Minoa I. Hieroglyphic and Primitive Linear Classes, Oxford 1909. S. Xanthoudidis, ” Εκ Κρήτης Μινωικόν σκέυος ενεπίγραφον“, in AEphem, (1909), cc. 179-196.

25. S. Marinatos, ” Γραμμάτων διδασκαλία“, in Minoica. Feschrift Johannes Sundwall, Berlin 1958, pp. 226-231.

26. M. Baldwin Bowsky, “The Prosopographical Evidence”, in A. Chaniotis (ed.), From Minoan Farmers to Roma Traders. Sidelights on the Economy of Ancient Crete, Stuttgart 1999, pp. 305-347. La scheda riguardante l’iscrizione di Zosimus si trova al n. 56 del catalogo a p. 322 e segg.

27. R. Ross Holloway – S.S. Lukesh, Ustica I, Providence-Louvain la Neuve 1995. R. Ross Holloway – S.S. Lukesh, Ustica II, Providence 2001.

28. G. Lilliu, La civiltà dei Sardi dal neolitico all’età dei nuraghi, Torino 1963.

29. La tradizione storica ci ha tramandato due date della fondazione di Selinunte da parte dei coloni di Megara Hyblaia, guidati da Pammilo: la prima (628 a.C.) ci è fornita da Tucidide (VI, 4, 2), la seconda, più alta (651-50 a.C.), da Diodoro Siculo (XIII, 59, 4).

30. Per la bibliografia relativa alla città, cfr. H.P. Isler, Monte Iato. Guida archeologica, Palermo 2002.

31. Cfr. R. Panvini – C. Guzzone, “Sabucina”, in R. Panvini (acd), Caltanissetta. Il Museo archeologico, Caltanissetta 2003, pp. 39-47.

32. In un questo catalogo trovano posto i 35 materiali più significativi delle sei fasi cronologiche (I-VI) individuate, dalla tarda età del Rame a quella tardo romana.

33. Per i rapporti dei due Dionisii con la Magna Grecia e la Sicilia, cfr. N. Bonacasa – L. Braccesi – E. De Miro (acd), La Sicilia dei due Dionisii, Roma 2002.

34. Per il problema dei Geloti di Finziade, cfr. da ultimo G. Manganaro, “Metoikismos-metaphorà di polis in Sicilia: il caso dei geloi di Phintias e la documentazione epigrafica dei medesimi”, in Storia e archeologia della media e bassa Valle dell’Himera. Atti della III giornata di studi sull’archeologia licatese, Palermo 1993, pp. 33-34.

35. G. Uggeri, “Adolfo Holm e la geografia della Sicilia antica”, in JAT, X, (2000), p. 278.

36. G.V. Gentili, “La firma dell’architetto dell’Apollonion-Artemision di Siracusa”, in ArchStorSicOr, s. IV, VII, 1-3, (1954), pp. 51-57, tavv. VII-VIII.

37. Lo scavo, condotto tra il 1999 ed il 2001 dalla Sovrintendenza ai BB. CC. AA. di Siracusa e dalla cattedra di Archeologia della Magna Grecia dell’Università di Catania, è stato diretto dalla dott.ssa Beatrice Basile e dal prof. Massimo Frasca.

38. L’area esattamente a est dell’edificio A oltre a presentare flebili tracce di un gemello parallelo, ha restituito materiali tipici delle aree sacre akragantine: frammenti di statuette di Athena Lindia, e divinità di tipo rodio ed altro materiale di uso rituale o votivo, tutto databile dalla seconda metà del VI secolo fino agli inizi del V.

39. G. Rizza – M- Scrivani, Il santuario sull’acropoli di Gortina, Roma 1966.

40. L’attribuzione del tempio ad Athena, proposta da Nicola Bonacasa, è accettata anche da Gras e Van Compernolle. Cfr. N. Bonacasa, “Dei e culti di Himera”, in Philias Charin. Miscellanea di studi classici in onore di Eugenio Manni, I, Roma 1980, pp. 264-267. M. Gras, “Gélon et les temples de Sicile après la bataille d’Himère”, in AION, XII, (1990), p. 62. T. Van Compernolle, L’influence de la politique des Deinoménides et des Emmémides sur l’architecture et sur l’urbanisme sicéliotes, Louvain 1992, p. 74.

41. Per una recente disamina del monumento, cfr. R.J.A. Wilson, Sicily under the Roman Empire. The archaeology of a Roman province 36 a.C.-535 d.C., Warminster 1990, pp. 106-111.

42. Per una sintesi dei risultati, cfr. P. Pensabene, “Edilizia pubblica e committenza. Marmi ed officine in Italia meridionale e Sicilia durante il II e III secolo d.C.”, in RendPontAcc, LXIX, (1996-1997), pp. 3-88.

43. Per una lista dei vincitori ai Giochi olimpici, cfr. L. Moretti, “Olympionikai. I vincitori negli antichi agoni olimpici”, in MemLinc, s. VIII, VIII, (1957).

44. Cfr. J. De Waele, “Das Felsheiligtum under S. Biagio in Agrigento”, in BABesch, LV, 2, (1980), pp. 39-40, n. 8.

45. AA.VV., Himera, I, Roma 1970.

46. U. Spigo, “Nuovi contributi allo studio di forme e tipi della coroplastica delle città greche della Sicilia ionica e della Calabria meridionale”, in Lo stretto crocevia di culture. Atti del XXVI Convegno di Studi sulla Magna Grecia (Taranto, 1986), Taranto 1987, p. 281, tav. XXI.

47. Per le prime notizie sulla campagna di scavo, cfr. G. Di Stefano, “L’attività della Soprintendenza a Camarina e nella provincia di Ragusa fra il 1996 ed il 2000”, in Atti del X Convegno Internazionale di studi sulla Sicilia Antica, in Kokalos, in c.d.s.

48. IG XIV, 574. cfr. G. Manganaro, “Nuove ricerche di epigrafia siceliota”, in SicGymn, n.s., XVI, (1963), pp. 51-53.

49. Cfr. V. La Rosa, “Un frammento fittile da Capodarso e il problema delle sopravvivenze micenee in Sicilia”, in CronA, VIII, (1969), p. 44.

50. Cfr. P. Orlandini, “Gela. Ritrovamenti vari”, in NSc, (1956), p. 315, fig. 30.

51. E. Simantoni-Bournià, La céramique grecque à reliefs. Ateliers insulaires du VIIIème et Vième siècle avant J.-C., Genève 2004.

52. Cfr. P. Orlandini, “Gela. Ritrovamenti vari”, in NSc, (1956), pp. 307-308, figg. 15 e 23. D. Adamesteanu, “Vasi gelesi arcaici di produzione locale”, in ArchCl, V, (1953), pp. 246-247, tav. CVIII.

53. Cfr. R.M. Cook – P. Dupont, East Greek Pottery, London – New York 1998, p. 32.

54. T.B. Rasmussen, Bucchero Pottery from Southern Etruria, Cambridge 1979.

55. G. Rizza, “Motivi unitari nell’arte sicula”, in CronA, IV, (1965), pp. 7-29.

56. G. Cultrera, “Siracusa. Scoperte nel Giardino Spagna”, in NSc, LXVIII, (1943), pp. 103-104, fig. 66.

57. J.-P. Morel, Céramique campanienne: les formes, Roma 1981.

58. Cfr. G. Rizza, “Leontini. Campagne di scavo 1950-51 e 1951-52: la necropoli della Valle San Mauro, le fortificazioni meridionali e la porta di Siracusa”, in NSc, (1955), pp. 281-376.

59. Cfr. L. Grasso, A. Musumeci, U. Spigo, M. Ursino, “Caracausi. Un insediamento rupestre nel territorio di Lentini”, in CronA, XXVIII, (1989), pp. 3-172.

60. Per la classificazione della monetazione corinzia, cfr. O. Ravel, Les Poulains de Corinthe, I, Paris 1936.

61. Per la figura di Angelo Rocca e la Biblioteca Angelica di Roma da lui rifondata, cfr. P. Munafò – N. Muratore, La biblioteca Angelica, Roma 1989.