BMCR 2008.09.60

L’impossibile giustificazione della storia; Virgilio

, L'impossibile giustificazione della storia. Un'interpretazione di Virgilio. Roma/Bari: Laterza, 2005. xii, 580 pages. ISBN 9788842076392.
, Virgilio. (Der Dichter und sein Werk, 2006. Edizione italiana a cura di Camillo Neri). Le vie della civiltà. Bologna: Il Mulino, 2008. 310 pages. ISBN 9788815120397.

L’esigenza di dare una sistemazione (nella duplice prospettiva della selezione e della sintesi) alla mole imponente ed eterogenea delle ricerche virgiliane è alla base di due monografie pubblicate quasi contemporaneamente: L’impossibile giustificazione della storia di Antonio La Penna (virgilianista di lungo corso, autore di contributi importanti su questo poeta) e Vergil. Der Dichter und sein Werk di Niklas Holzberg (al quale si deve, come lavoro preparatorio, un’ampia e accurata bibliografia virgiliana, pubblicata su internet). Quest’ultimo volume adesso è disponibile in italiano, a cura di Camillo Neri, con l’aggiunta di una breve presentazione e con qualche integrazione bibliografica: un servizio utile non tanto per i classicisti quanto per gli studenti e per un pubblico più vasto, a cui il libro si rivolge — pur non così vasto come vuole l’autore, che include i lettori “che non abbiano né frequentato un liceo classico né studiato latino” (p. 9 dell’edizione italiana, da cui attingerò tutte le citazioni).

Si tratta di due libri alquanto diversi nei presupposti e nello sviluppo: tradizionale e solidamente filologico il primo; innovativo il secondo, erede aggiornato di canoni e metodi strutturalisti e avanguardisti. Non sorprende dunque la divergenza in alcune conclusioni e implicazioni ideologiche. L’immagine del poeta è tratteggiata da angolazioni differenti, che consentono di coglierne aspetti distinti su uno sfondo psicologico e culturale comune. Ne sortiscono due ritratti per così dire sfalsati, ma compatibili e riconducibili a un profilo unitario.

Il libro di Antonio La Penna preannuncia il proprio approccio con Virgilio fin dal titolo, se non che mantiene più di quanto promette: il taglio saggistico-dimostrativo (riferito allo sforzo d’inquadrare il sangue e il dolore umano in un disegno positivo superiore, politico e religioso al tempo stesso) s’innesta infatti su un impianto sistematico di ampio respiro, che contempla un disegno d’insieme su Virgilio: dall’architettura delle opere alla loro finalità, dai contenuti ai rapporti con i modelli, dal significato ideologico ai principali orientamenti dello stile. Le prime due parti, dedicate rispettivamente alle Bucoliche (pp. 3-66) e alle Georgiche (pp. 67-112), sono state già pubblicate come pagine introduttive alle edizioni divulgative di queste opere con traduzione italiana a fronte nella Biblioteca Universale Rizzoli (Milano 1983). Entrambi i capitoli si concludono con un paragrafo di aggiornamento bibliografico, curato dal compianto Alessandro Perutelli (pp. 62-67, 109-112). La sezione sull’Eneide, di gran lunga più ampia e approfondita, (pp. 113-495: più di tre quarti dell’intero volume), anch’essa in parte già pubblicata come introduzione a un’edizione divulgativa della stessa collana (Milano 2002), è stata riveduta e cospicuamente ampliata.

La parte sulle Bucoliche muove dalla formazione giovanile del poeta (pp. 5-11), con le esperienze documentate dalle testimonianze antiche (specialmente la frequentazione della scuola epicurea partenopea) e le letture d’influenza più forte e duratura: il poema lucreziano e i carmi dei poetae noui. I rapporti con Teocrito sono vagliati nei contenuti e nel linguaggio, ma è messa in luce altresì la profonda frattura esistente nell’interpretazione della natura e nella psicologia dei personaggi (pp. 12-39). Con lucidità e moderazione sono affrontate le controverse relazioni della poesia con l’attualità storica, che si concretizza nell’espropriazione delle terre (Buc. I e ιχ ma anche nelle diffuse speranze di palingenesi e di pace (Buc. IV e V); nettamente ridimensionata, se non negata completamente, la presenza dell’allegoria vera e propria, fonte di “speculazioni e fantasticherie” (p. 50). Sintetica ed essenziale la trattazione dell’architettura della raccolta e della forma dell’espressione (pp. 53-61). Ne risulta un’immagine delle Bucoliche sospesa tra la rappresentazione fantastica e letteraria di ascendenza alessandrina e una concezione di vita più profonda, provata dalla forza tormentosa della passione amorosa e dall’irruzione distruttiva della storia. L’Arcadia come fuga dalla realtà e patria appartata dell’anima si rivela dunque impossibile.

L’idea di un’evoluzione coerente o di una “continuità organica” dalle Bucoliche alle Georgiche è decisamente rifiutata, alla luce della “rottura” segnata dall’opera didascalica, maturata in una presa di coscienza legata alla congiuntura storica: il conflitto tra Ottaviano e Antonio e il successo del primo come campione del mondo italico, da celebrare e insieme da ricostruire nei suoi antichi valori (pp. 69-73). Evidenti le conseguenze nella concezione di vita (più seria e sofferta), nel rapporto dell’uomo col mondo vegetale e animale, nella visione stessa della natura (dotata di una più vasta gamma fisica e psicologica, ma anche più concreta e autonoma), alimentata altresì dalla consistente influenza lucreziana (pp. 74-92). L’epillio di Aristeo e Orfeo nel finale del libro IV è oggetto di un esame raffinato, che rende conto dei diversi atteggiamenti stilistici dei due episodi: fiabesco il primo, esterno; tragico il secondo, interno (pp. 93-99). Se è giusta e ben argomentata la confutazione delle interpretazioni correnti (spunti soteriologici; contrasto tra Aristeo eroe positivo e Orfeo idolo polemico), si sente la mancanza di una proposta alternativa, che vada oltre le movenze estetiche e sentimentali per attingere motivazioni più profonde. Veloce ancor più che per le Bucoliche e ugualmente efficace la trattazione dell’architettura e della forma dell’espressione (pp. 100-108). L’immagine delle Georgiche proposta da La Penna è quella di una vigorosa sintesi letteraria e ideologica (non incrinata dalle dissonanze, pur presenti), lievitata sotto la spinta congiunta dell’attualità storica e della tradizione letteraria: Esiodo e Lucrezio sono infatti gli auctores principes, il primo per il messaggio etico-religioso (soprattutto per il concetto del lavoro), il secondo per il pathos ispiratore di toni intensi e quadri grandiosi (La Penna parla suggestivamente di “sublime”), per la vena pessimistica (acquisita solamente in parte), per la temperie alternata ad arte tra luci e ombre.

La parte sull’Eneide è così ampia e approfondita che in questa sede se ne possono tracciare appena le linee generali: la genesi dell’opera, a partire dall’idea originaria di un’epica storica celebrativa, felicemente abbandonata per abbordare una prospettiva più universale e feconda (pp. 115-120); l’introduzione della leggenda di Enea in Italia e la sua rielaborazione in funzione della storia romana (pp. 121-135); la fusione di mitologia e storia, sorretta dall’ideologia augustea (pp. 136-140); i rapporti con Omero (pp. 141-151), anche con l’eventuale mediazione dell’esegesi omerica antica (pp. 152-162); le relazioni con l’epica ciclica (pp. 162-163), con la tragedia greca (pp. 164-172), con l’epica e con la tragedia romana arcaica (pp. 196-217), con Lucrezio (pp. 218-224); l’influenza della poetica e della letteratura alessandrina e neoterica (pp. 173-195), ma pure della storiografia e dell’antiquaria (pp. 232-241); la religione come concezione e come ritualità, feconda di poesia (pp. 225-231, 242-250); la configurazione e le funzioni delle singole divinità (pp. 283-293); la cultura filosofica (pp. 258-265); la visione ambivalente della guerra, oscillante tra attrazione (sotto la suggestione epica) e repulsione, sulla scorta della condanna morale (pp. 251-257); l’ispirazione ideologica augustea, sincera e solida, centrale nella struttura dell’opera, ma non tale da esaurirne la significazione e da assorbirne le contraddizioni (pp. 270-282); il carattere di Enea e dei suoi antagonisti, con speciale riguardo al loro ruolo di vinti nel sistema ideologico del poema (pp. 294-320); la bipartizione dell’architettura in esade odissiaca ed esade iliadica, legate da alcune corrispondenze di figure e vicende (per esempio, tra Didone e Amata), ma con accentuazione delle tinte cupe nella seconda parte (pp. 321-325); il disegno dei singoli libri (pp. 326-364) e i loro collegamenti, spesso sopravvalutati dai critici e investiti di presunti significati segreti, in termini di simbolismo (pp. 365-374); la cronologia della composizione delle singole parti, che rimane comunque oscura (pp. 375-383). Il libro si chiude con diversi paragrafi sullo stile: dagli elementi propriamente epici ai discorsi, dal pathos all’espressionismo, dalle similitudini alla sensibilità auditiva e cromatica, per arrivare alla metrica nella sua “ingegneria” e nella sua espressività (pp. 383-495). Un’appendice ricostruisce infine la biografia virgiliana, con informazioni topografiche e fini considerazioni psicologiche (pp. 497-505). Le note (collocate scomodamente alla fine dell’opera) sono seguite da una bibliografia essenziale, senza pretese di esaustività.

Un discorso a sé, che purtroppo deve essere molto breve, merita il paragrafo XVII, incentrato sui “tre piani non coerenti” del poema (pp. 266-269): questo mi sembra il cuore del libro sotto il rispetto saggistico-dimostrativo, che del resto s’inserisce docilmente nel più ampio schema monografico, per emergere di tanto in tanto (a seconda della tematica in questione), portando un considerevole arricchimento. Il nucleo ideologico del poema si trova nel discorso di Giove (I, 257-296), che profetizza il governo di Augusto come trionfo dei valori positivi (ragione, civiltà, concordia, etc.) sul Furor impius, al culmine del lungo e difficile percorso storico avviato da Enea. Sul piano cosmico si delinea quindi “un contrasto irriducibile tra il bene e il male, affine a quello fra Augusto e i suoi nemici”, che trova un riscontro paradigmatico nell’episodio di Ercole e Caco (VIII, 185-272). Questo conflitto cosmico si rispecchia, sul piano divino, nella contrapposizione tra Venere e Giunone, “divinità passionale, ma mai ripugnante o esecrabile”, che alla fine cede alla superiore necessità e accetta la conciliazione: perciò nel mondo degli dei “il contrasto non è mai tragico”. Il dualismo cosmico tra bene e male si rifrange però, sul piano umano, nel conflitto di Enea con i suoi antagonisti (soprattutto Turno, ma anche Didone), che “non sono personaggi negativi”: al contrario, sono portatori di valori positivi, pur inconciliabili col fato e destinati per questo motivo a essere schiacciati. Il contrasto sul piano umano è irriducibile, come quello cosmico e diversamente da quello divino: “il mondo degli uomini e degli eroi resta, quindi, un mondo tragico”. Il sovrapporsi di questi tre piani non coerenti (ma interdipendenti e non isolabili) determina e nel contempo illumina l’approccio complesso e perfino enigmatico di Virgilio col nerbo ideologico del poema e con gli antagonisti di Enea, i “vinti”, la cui sorte ingiusta e infelice è partecipata con profonda compassione.

Questa di Antonio La Penna è insomma un’opera di vasta portata, sorretta da lucida intelligenza, cospicua cultura e viva sensibilità. Marginali le critiche. Per esempio, si poteva concedere più spazio (e magari meno scetticismo) ai rapporti di Virgilio col ciclo epico, specialmente alla luce della grande attenzione accordata all’influenza della filologia omerica antica (anch’essa più ipotetica che solidamente dimostrata). Forse anche le relazioni dell’Eneide con la tragedia greca meritavano una discussione più spregiudicata: l’influsso di Eschilo è liquidato in poche righe (pp. 165-166), con esclusivo riferimento al commento di Aen. II curato da V. Ussani nel 1952. Si poteva considerare (quanto meno, per confutarne gli argomenti) il pregevole contributo di Ph. Hardie, The Aeneid and the Oresteia (“PVS” 20, 1991, 29-45). In generale sarebbe stato interessante il confronto con altri lavori, come quelli di A. Wlosok (Vergils Didotragödie, nel volume miscellaneo Studien zum antiken Epos, Mannheim am Glan 1976, 228-250) ed E. Lefèvre (Dido und Aias, Wiesbaden 1978).

Il libro di Niklas Holzberg non è rigorosamente metodico, ma fluidamente dinamico. La premessa (pp. 9-12) ne mette in luce le linee-guida: i rapporti di Virgilio con Augusto, la rappresentazione di Roma, il “sottile gioco intellettuale” intrattenuto con i modelli, l’introspezione psicologica. Colpisce l’interesse per un aspetto spesso trascurato, l’humour del poeta. L’impostazione divulgativa preclude tuttavia la possibilità di prestare attenzione alla lingua e alla forma dell’espressione.

Il discorso si sviluppa in quattro capitoli, il primo dei quali (pp. 13-91) affronta problemi di ordine generale. Dal “personaggio” di Virgilio (sapiente, mago, profeta cristiano), costruito fin dal periodo tardoantico e soprattutto nel Medioevo, si tenta di risalire al suo profilo storico (pp. 13-29). Gli elementi forniti da Donato (ovvero da Svetonio) sono sottoposti a un attento vaglio critico, sconfinante in uno scetticismo sistematico (anche su notizie generalmente condivise, come la confisca delle terre o la volontà di bruciare l’Eneide). Ragionevole la diffidenza per l’ Appendix Vergiliana e per la ricostruzione della cronologia relativa delle Bucoliche e delle parti dell’Eneide, necessariamente arbitraria, in mancanza di prove cogenti. Sgombrata la strada dalle pretese infondate, l’attenzione si sposta sull’intertestualità e sulla polifonia della scrittura virgiliana, a partire dalla “grammatica” delle forme letterarie, rivisitata trasgressivamente mediante una relazione costante (anche nell’epica) con la poesia minore (pp. 37-44). Il rischio di ridurre il rapporto di Virgilio con i modelli a un gioco tecnico-formale di stampo alessandrino è stornato dal peso attribuito a buon diritto all’impegno politico: l’ordine cosmico governato da Giove si rispecchia nel sistema politico instaurato da Augusto, che trova riscontro nel lavoro ordinatore del contadino nei campi (pp. 45-57, 65-79). Elemento di disturbo nel mondo rurale come in quello storico-politico è l’amore, che suscita gli scontri tra gli animali per l’accoppiamento non meno che i conflitti tra i popoli (cf. la follia passionale di Didone o la seduzione insidiosa di Cleopatra). Il corso storico, considerato un progressivo superamento del male e del disordine (pur al costo carissimo di lutto e dolore), culmina col trionfo di Augusto. La cifra dell’Eneide tuttavia è l’empatia, l’immedesimazione del poeta nelle sofferenze umane, a prescindere dal ruolo positivo o negativo dei personaggi rispetto a Enea e al destino. Ma la manifestazione della sensibilità virgiliana, della sua umanità, non autorizza un’interpretazione antiaugustea dell’Eneide, che comunque è alimentata dalla sincera condivisione della politica augustea (pp. 79-87). Il profilo storico di Virgilio quindi è il fondo comune dei diversi ruoli da lui assunti: “quello di poeta doctus, di Romano nel suo cosmo, di augusteo e di osservatore degli uomini capace di immedesimarsi in essi” (p. 90).

Il secondo capitolo (pp. 93-118) riguarda i carmi bucolici, i cui principali temi sono individuati nel canto (specialmente in forma di competizione), nell’amore (spesso foriero di dolore) e nel lavoro del pastore, paradossalmente marginale rispetto ai primi due. Il quadro d’insieme (struttura della raccolta, richiami tra i componimenti, posto d’onore per Ottaviano, etc.) presto lascia spazio a tre elementi di spicco: “variazione tematica, teoria del genere e intertestualità”, con speciale riguardo a Teocrito. In questa prospettiva si colloca la lettura sia della Bucolica II, in cui è messa in luce anche l’influenza elegiaca (pp. 107-111), sia della X, considerata una fusione di Sicilia e Arcadia, per il collegamento con Teocrito e Cornelio Gallo (pp. 112-118). Nondimeno il caloroso elogio rivolto a quest’ultimo ispira un commento azzardato e bizzarro: Virgilio (o meglio, il pastore-poeta da lui impersonato) trova Gallo “attraente non solo come poeta elegiaco, ma anche come uomo”, tanto da proporsi come suo “partner erotico” ( sic p. 118).

Il terzo capitolo (pp. 119-169) verte sul poema didascalico, inquadrato fin dall’inizio nel sistema ideologico augusteo: protagonista è infatti il contadino, che lotta per sottomettere il campo come l’esercito romano combatte per assoggettare il mondo e come il principe stesso si cimenta nell’esercizio del potere, sconfiggendo i nemici e ripristinando l’ordine. La sottomissione della natura in forma di coltivazione della terra non deve avvenire esclusivamente con la forza, ma pure con l’educazione, che anzi diviene gradualmente la via privilegiata. Il poeta si fa maestro del contadino, il quale da allievo assurge poi lui stesso a maestro degli elementi naturali da “educare”. Il contadino-soldato, discepolo del poeta didascalico, costituisce un modello morale per Ottaviano, a cui Virgilio non si limita a tributare elogi e incoraggiamenti, ma ardisce impartire insegnamenti (pur indirettamente, con la mediazione della poesia): questo mi sembra il punto più importante del libro. L’epillio di Aristeo e Orfeo è oggetto di un esame articolato (pp. 163-169), che muove dagli elementi intertestuali per arrivare al significato ideologico e sentimentale: Virgilio partecipa emotivamente al destino di Orfeo e, come poeta, s’identifica con lui; non disapprova però Aristeo, che “simboleggia contemporaneamente i contadini… e Ottaviano” (p. 166): con gli uni e con l’altro infatti egli ha in comune l’impegno nel lavoro, teso a ripristinare l’ordine nel campo da coltivare come nell’impero da governare.

Il quarto capitolo (pp. 171-278) concerne l’epos, in cui “il protagonista gioca un ruolo così eminente come in quasi nessun altro poema” (p. 171). L’Eneide è considerata “continuazione” sia dell’Iliade che dell’Odissea, come dimostra un’accurata rassegna dei fenomeni intertestuali (pp. 173-183). Analogamente all’Odissea, l’Eneide è divisa in tre tetradi, corrispondenti alle fasi di un’evoluzione psicologica (Enea rivolto al passato; Enea eroe-fondatore; Enea guerriero vittorioso) e simultaneamente di un’evoluzione storica, in una sorta d’interpretazione figurale della materia mitica (le guerre puniche; l’ascesa di Roma a potenza mondiale; il conflitto tra Ottaviano e Antonio). In questa prospettiva dunque la tempesta scatenata da Giunone è prefigurazione sia della trama dell’Eneide sia della storia romana (specificamente della guerra civile); i dipinti del tempio cartaginese, nonostante commuovano Enea non meno che i lettori moderni, rappresentano il compiacimento di quel popolo bellicoso per i mali commessi dagli Achei “nei confronti degli antenati dei Romani” (p. 190). Tra i commenti dedicati ai singoli libri spiccano il IV, definito “dramma elegiaco in tre atti” (pp. 199-203); il V, denso di elementi figurali, come il rapporto di Enea con Anchise, corrispondente a quello di Augusto con Cesare (pp. 217-221); l’VIII, in cui le tradizioni romane sono anticipate mediante l’eziologia, una tecnica attinta dalla poesia minore, ma anche da Apollonio Rodio (pp. 230-234). Non mancano osservazioni sottili e sofisticate, non sempre condivisibili: il collegamento di un intertesto catulliano (nell’episodio di Didone nell’Averno) con Cesare e col suo figlio adottivo Augusto, per mezzo di un gioco etimologico legato a fenomeni astrali (pp. 234-238), rivela un cerebralismo difficile da prendere sul serio. Suggestive, seppure anch’esse da maneggiare con prudenza, le considerazioni psicoanalitiche, come l’analisi della morte prematura (Eurialo, Niso, Pallante, Lauso), che “evoca ogni volta l’associazione con una deflorazione”, specialmente mediante l’interterstualità (pp. 248-251); ancora più densa di implicazioni la morte di Camilla, che richiama la fine della verginità dell’amazzone e “la sua evoluzione in sposa e madre allattante” (p. 259). Notevole infine la discussione della scena conclusiva dell’Eneide (pp. 270-278). Virgilio è critico nei confronti di Enea, che uccide Turno in un accesso di furor (invece che lucidamente, per ragioni di convenienza politica)? Ed è critico verso Augusto, rappresentato in qualche modo da Enea? Holzberg risponde di no: infatti il poeta s’immedesima negli antagonisti (come Didone e lo stesso Turno), ma la sua umana comprensione è lontana dalla condivisione e ancor più dalla celebrazione; così nel punto culminante del poema egli “invita il lettore a identificarsi tanto col supplice Turno quanto con l’infuriato Enea” (p. 277). Nella scena finale come nell’intera Eneide dunque la cifra virgiliana è la uox umana, non disgiunta da una “pregevolissima e ambiziosa arte poetica” (p. 278).

Pur nell’evidente diversità d’impostazione e di metodologia, La Penna e Holzberg si trovano d’accordo su un punto importante: il superamento del dualismo manicheo vigente negli studi virgiliani da mezzo secolo, tra approccio augusteo e antiaugusteo o, in termini più generali, tra ottimismo e pessimismo. La dicotomia tra la scuola europea e quella di Harvard, già di per sè riduttiva (cf. La Penna, pp. 319-320), continuerà a conservare una valenza storica (cioè per la storia della critica e della fortuna virgiliana), ma si deve evolvere (come tuttora avviene) in una visione più complessa e articolata, più densa di implicazioni e sfumature non necessariamente coerenti. Mentre sembrano convergere nell’elaborazione di una tale prospettiva, le due monografie si distaccano nuovamente nella percezione della dialettica tra l’adesione all’ideologia augustea (non negata né sminuita da nessuna delle due parti) e le riserve morali, generatrici di dissonanze pur sempre presenti nell’Eneide. La Penna scorge in Virgilio un travaglio interiore, che preclude un abbandono fiduciosamente incondizionato, un’accettazione piena e serena della storia con la sua logica crudele: la giustificazione in chiave morale in definitiva si rivela impossibile. Di contro, Holzberg non ridimensiona gli atteggiamenti solidali del poeta nei confronti dei personaggi sconfitti, ne contesta però il presunto significato ideologico in contrasto con i principi fondanti del poema: la sensibilità tesa alla compassione è una risorsa preziosa dell’Eneide, ma non ne sfalda e neppure ne intacca la compattezza ideologica, consistente nella teodicea e nella concezione teleologica della storia. Anche in questa circostanza dunque emerge la diversità delle due monografie, che vale a rendere l’idea della complessità della personalità e dell’opera virgiliana. Il mutare del chiaroscuro da un volume all’altro illumina alternamente i tratti del poeta in modo da offrirne un quadro sfaccettato e, nel contempo, più completo.