BMCR 2008.07.64

Stephani Byzantii Ethnica. Volumen I: A-G. Corpus Fontium Historiae Byzantinae 43/1

, , , , , , , Stephani Byzantii Ethnica. Corpus fontium historiae Byzantinae. Series Berolinensis, v. XLIII/1-. Berlin/New York: Walter de Gruyter, 2006. volumes 1-4 ; 24 cm.. ISBN 3110174499. €148.00.

Le cifre, qualche volta, parlano da sole: se nel 1849 August Meineke aveva edito gli Ethnika di Stefano Bizantino —il principale lessico geografico della tarda antichità— in 818 pp., promettendo per il 1850 un secondo volume “quod […] nostros continebit commentarios”, mai uscito, Margarethe B(illerbeck) ne ha dedicate 515 all’introduzione e all’edizione, con traduzione tedesca, delle sole lettere αγ. Circa 2000 saranno dunque, prevedibilmente, quando l’opera si sarà conclusa, con i voll. II ( ΔΚ), III ( ΛΩ) e IV (Indici).

Presentato a oltre un secolo e mezzo di distanza dall’ultima edizione critica, quella meritoria, ma “freilich völlig überholt” (p. V), di Meineke,1 “der neue Stephanos” (p. VII) non mancherà di risvegliare l’interdisciplinare interesse che gli Ethnika, sia pure nella versione epitomata in cui sono sopravvissuti,2 hanno costantemente esercitato sugli studiosi, a partire dalla prima metà del Quattrocento, per le questioni di ordine linguistico-grammaticale (soprattutto per ethnika, topika e ktetika), storico-letterario (citazioni di storici e poeti ellenistici amanti dell’erudizione geografica), storico (leggende di fondazione), geografico, archeologico implicate in queste scarne glosse. E di riproporre i problemi da sempre connessi alle molteplici critiche mosse a queste pagine: scarse conoscenze geografiche, superficialità, carattere compilativo, contraddittorietà rispetto alle fonti epigrafiche e numismatiche, natura meramente grammaticale.3

Rispetto a quella di Meineke, la nuova edizione, che si è valsa delle attuali strumentazioni informatiche (soprattutto delle banche-dati epigrafiche) e dei progressi nello studio della storia della colonizzazione, offre una limpida introduzione (che chiarisce nel dettaglio le condizioni della tradizione del testo e i criteri editoriali); un testo critico affidabile, costruito sulla base di una revisione dell’intera tradizione diretta e indiretta, e ove le glosse sono ora numerate lettera per lettera (in margine, i rinvii ai numeri di pagina e riga nell’edizione di Meineke), secondo i criteri delle moderne edizioni di lessici; due apparati (dei paralleli geografici e lessicografici, e delle varianti testuali); un’utile traduzione tedesca a fronte; brevi annotazioni illustrative delle scelte testuali e dell’interpretazione, corredate di rimandi bibliografici per quando riguarda la storia della colonizzazione.

I “Prolegomena” (pp. 3*-64*) si aprono con brevi, ma puntuali ragguagli “Zu Person und Werk” (pp. 3*s.), che non si propongono peraltro di sostituire l’esaustiva trattazione di Honigmann, e che vanno letti parallelamente a una rapida raccolta di Testimonia (p. 3), per cui si sarebbe forse desiderato un ordinamento tematico, sul modello delle edizioni di testimonianze. Segue un’accuratissima sezione su “Die Überlieferung der Ethnika” (pp. 5*-49*), inaugurata da un doveroso omaggio ai lavori di A. Diller (ora raccolti in Studies in Greek Manuscript Tradition, Amsterdam 1983, 45-57 e soprattutto 183-198) e articolata in:

a) “Die Überlieferung von kurzen Teilen des ursprüngliches Textes” (pp. 5*-7*), limitata a poche glosse dalla lettera δ, tra Δυμᾶνες e Δώτιον, a una sorta di indice della lettera ε,4 e all’inizio dell’articolo ἔαρες sino a κατὰ φήμης, conservati nel cod. (XI sec.) Parisinus Coislinianus 228 (parte VI ff. 116r-122v), nonché a brevi accenni di Costantino Porfirogenito (Adm. imp. 23, 24, Them. 1,32-34, 2,1-12, 6,6-16, 9,11-20, 10,9-30, 12,4-33, 15,5-11, 16,1-4) e di Giovanni Tzetzes (Chil. 3,818-820);

b) “Die Überlieferung der Epitome” (pp. 7*-49*), con una rassegna completa dei manoscritti (pp. 7*-29*): 18 codici (rispetto ai 5 recensiti da Meineke) —di cui solo 3 “Primärhandschriften” (p. 25*) e solo 8 utili alla constitutio textus — le cui relazioni sono sintetizzate nello stemma codicum a p. 29*. Benché a rigore non riguardino necessariamente la sola Epitome, figurano in questa sezione un regesto della tradizione indiretta (pp. 29*-36*, con particolare riguardo per Eustazio: pp. 33*-35*), dei “Frühe Benutzer des Stephanos” (Ermolao Barbaro e Poliziano: pp. 36*-38*), delle edizioni (pp. 38*-42*) e delle traduzioni latine (pp. 43*s.), e un’esposizione dei principi editoriali adottati (pp. 44*-49*).

Chiude i Prolegomena un’aggiornata bibliografia (pp. 51*-64*).

“Textus et versio Germanica” (pp. 7-41), con il loro corredo di note, sono preceduti dalla raccolta dei “Testimonia” (p. 3) e dall’indispensabile “Tabula notarum in apparatibus adhibitarum” (pp. 5s.). Nuove proposte testuali riguardano le glosse α 1, 16, 25, 33, 55, 85, 89, 95, 96, 128, 146, 168, 176, 290, 357, 429, 476, 519, 565, β 57, 85, 134, 171, e γ 81, 105, 108, 116.

L’apparato, perlopiù positivo (ma negativo là dove l’economia non nuoce alla chiarezza), è costruito in modo chiaro, coerente e giudizioso, sulla base dei codici RQPN (con il contributo all’occorrenza di altri mss., dell’Aldina e della tradizione indiretta): penalizza un po’ la consultazione, se mai, la scelta di riportare lezioni e varianti non riga per riga, come d’uso, ma per gruppi di più righe.

Va da sé che una discussione punto per punto, e glossa per glossa, di un lavoro del genere, che ha già tutti i crismi della monumentalità, eccederebbe largamente sia i ragionevoli criteri di questa rivista, sia i modesti proponimenti (anche esistenziali) del recensore. Che si limiterà, pertanto, ad alcune osservazioni —rubricandole di volta in volta nel capitoletto appropriato e privilegiando i motivi di occasionale dissenso rispetto a quelli, largamente maggioritari, di plauso e consenso— per quanti volessero approfondire qualche aspetto di questo ricchissimo e benemerito volume.

PERSONALITÀ E CRONOLOGIA DI STEFANO

Per quanto riguarda la personalità storica di Stefano e la collocazione cronologica della sua opera, la B. si pone sulla scia di Honigmann (o.c. 2369-2375), che fissa gli Ethnika alla (prima) età di Giustiniano sulla base dei seguenti indizi:

a) In α 305 (92,15ss. M.) si ricorda il grammatico Eugenio — πρεσβύτης ἤδη ὤν ( Suda ε 3394 A.) sotto Anastasio I (491-518)— come ὁ πρὸ ἡμῶν τὰς ἐν τῇ βασιλίδι σχολὰς διακοσμήσας.5

b) In 309,9ss. s.v. Θεούπολις (… ἥτις ἐξ Ἀντιοχείας μετὰ τὸν σεισμὸν ὠνομάσθη ἀπὸ Ἰουστινιανοῦ) e in 590,12 s.v. Συκαί (… ἡ καθ’ ἡμᾶς Ἰουστινιαναὶ προσαγορευθεῖσα) si fa riferimento ai nuovi nomi impartiti rispettivamente ad Antiochia e a Sykai da Giustiniano dopo il 528 ( terminus post).

c) In 219,6ss. s.v. Δαραί è citato come ancora ὀχυρώτατον il fortilizio costruito nel 507 e definitivamente distrutto nel 573 ( terminus ante).

d) In α 163 s.v. Ἀκόναι, infine, l’epiteto Ἀκονῖτις offre lo spunto per citare una νῆσος διαφέρουσα μὲν τῷ πανευφήμῳ πατρικίῳ καὶ τὰ πάντα σοφωτάτῳ μαγίστρῳ Πέτρῳ, κειμένη δὲ καταντικρὺ τῆς εὐδαίμονος πόλεως Χαλκηδόνος, dove il riferimento a Pietro Patrizio (PLRE IIIB, 994 nr. 6), magister officiorum nel 539, potrebbe essere “eine ‘hommage’ an den Gönner des Stephanos”, il che collocherebbe “die Redaktion des Buchstabens α frühestens um 540″ (p. 3*), e anzi “zwischen 539 und 563” (Honigmann, o.c. 2370; il 563 è il presumibile anno di morte di Pietro Patrizio: cf. B.A. Müller, Hermes 53, 1918, 340), sia pure, magari, come “späterer Zusatz” di un’opera originatasi “zwischen 528 und 535” (o.c. 2373).

Ora, poiché la Suda ( ε 3048 A.) ricorda come autore dell’Epitome degli Ethnika (l’unica a tutt’oggi conservata, fatta eccezione per pochi brandelli di una versione più ampia) un certo Ermolao,6 γραμματικὸς Κωνσταντινουπόλεως: γράψας τὴν ἐπιτομὴν τῶν Ἐθνικῶν Στεφάνου γραμματικοῦ προσφωνηθεῖσαν Ἰουστινιανῷ τῷ βασιλεῖ —cui già Meineke attribuiva infatti le glosse ‘giustinianee’, e i riferimenti a Eugenio (“ceterum haec de Eugenio epitomatoris potius videntur quam Stephani”, p. 93) e a Pietro Patrizio (“sequentia epitomatoris sunt, nec scribi potuerunt a Stephano”, p. 61), e dunque la datazione alla prima età di Giustiniano— per non dover ammettere un’epitomazione di pochissimi anni successiva all’originale (cf. E. Stemplinger, Philologus 63, 1904, 619), Müller (o.c. 347s.), Honigmann (o.c. 2375) e la stessa B. (pp. 3*s.) hanno supposto che la dedica all’imperatore fosse propria dell’originale e non dell’Epitome e che Ermolao debba essere datato, di conseguenza, “zwischen dem 6. und 10. Jhdt.” (Honigmann, o.c. 2375). L’articolo della Suda d’altra parte, come molti dei biographica ivi contenuti, risale recta via, con ogni probabilità, a un’epitome dell’ Onomatologos di Esichio Milesio (cf. Adler, ad l.), e se pure non troverà molti sostenitori la tesi di F. Tinnefeld (NP 5, 1998, 516) per cui Esichio sarebbe morto intorno al 530 (ciò che porrebbe certo insormontabili “chronologische Schwierigkeiten”, come ammette la B., p. 4* n. 4), non ha neppure trovato seri oppositori la datazione proposta da H. Schultz (RE 8, 1913, 1322s.) e recepita da B. Baldwin (ODB 2, 1991, 924) per cui egli sarebbe vissuto sino a (poco) dopo il 582: ciò ripropone in sostanza —a prescindere dalla paternità della dedica— la problematica continuità tra Ethnika composti all’inizio dell’impero di Giustiniano e la loro precocissima Epitome7 da parte di un uomo già famoso, e proprio in virtù di essa, nell’ultimo quarto dello stesso secolo (il fatto che questa Epitome abbia rimpiazzato quasi ovunque l’originale e fruttato a Ermolao una citazione nell’ Onomatologos può forse scalfire lo scetticismo di Honigmann, o.c. 2375 sulla dedica a Giustiniano “eines fremden Werkes”8). Problemi del genere non avranno mai una risposta definitiva,9 ma vi è da chiedersi se non sia tutto sommato preferibile supporre uno Stefano pre-giustinianeo, poi epitomato (e integrato, e adattato, come ogni lessico) nell’età delle sintesi scolastiche e della canonizzazione della cultura: ciò spiegherebbe bene, forse, la molto parziale ‘giustinianizzazione’ della sua opera, mirabilmente studiata dallo stesso Honigmann (o.c. 2372-2374); i dubbi di Meineke circa le interpolazioni di età giustinianea, dunque (se pure l’edizione del Bizantino non costituì la punta di diamante tra molti capolavori filologici), mantengono a mio parere tutto il loro peso.

Tra i Testimonia di p. 3, al nr. 3, la B. registra la glossa β 84, dove si legge Βήθλεμα: πόλις Παλαιστίνης πρὸς τοῖς Ἰεροσολύμοις, οὐδετέρως, ἐν ᾗ γέγονεν ἡ κατὰ σάρκα γέννησις τοῦ θεοῦ καὶ σωτῆρος ἡμῶν. Ἰώσηπος δέ φησινἐκ Βηθλεεμῶν“. ἔστι δὲ πόλις τῆς Ἰούδα φυλῆς. ὁ πολίτης Βηθλεμίτης ὡς Ἱεροσολυμίτης, come prova della prevedibile (e in ogni caso probabile) cristianità di Stefano. Meineke tuttavia espungeva, come aggiunta dell’epitomatore, le parole ἐν, criticato in ciò da Honigmann (o.c. 2374, le cui parole sono riprese verbatim dalla B.), che tuttavia faceva notare la scarsità di citazioni ‘cristiane’ negli Ethnika : il fatto che, come mostra il parallelo di Socr. HE 1,17,51, Stefano ripeta “offenbar eine geläufige Titulatur der Stadt” (p. 3* n. 3), in ogni caso, è più un invito alla prudenza che una prova della sua fede. Lo stesso Honigmann, del resto, non includeva la glossa tra le “wichtigsten Stellen” sulla vita del Bizantino (o.c. 2369-2372).

Giustamente, invece, la B. esclude dal novero dei Testimonia la glossa Ταμίαθις (599,14-16), dove le parole οὕτω Γεώργιος ὁ Χοιροβοσκὸς ἐν τῷ ὀνοματικῷ sono certamente frutto di interpolazione (cf. già Honigmann, o.c. 2371s.).

TRADIZIONE MANOSCRITTA E RAPPORTI CODICOLOGICI

La datazione del cod. N (Neapolitanus III.AA.18) “um 1490” (p. 14* e cf. p. 5) —sulla base di quella (certa) di L (Laurentianus plut. IV.3), “der durch ein Zwischenglied von N abhängt”, al 31.3.1492— andrebbe forse sfumata in un più prudente “vor 1492”, così come quella di P (Vaticanus Palatinus gr. 57), di cui N è —secondo la B. attraverso un passaggio intermedio— una “Bearbeitung” (p. 13*).

Gli errori congiuntivi tra Q (Vaticanus Palatinus gr. 253) e V (Vossianus gr. F. 20) —tutti per la verità abbastanza banali— e le “Abweichungen” di quest’ultimo (che, come gli scambi tra η e κ, sono scarsamente utili a identificare una Vorlage precisa), registrate a p. 17*, rendono possibile, ma non del tutto sicura, una dipendenza diretta del secondo dal primo (piuttosto che da R, con cui pure condivide “supplementa et lacunas” [Meineke ιιι] e la sua conseguente eliminatio :10 casi come α 455, per esempio, dove V condivide con il solo N la lezione χωρίον in luogo di χώρα, sembrano suggerire che lo stemma sia meno lineare di quanto appare da p. 29*.

Di soluzione assai ardua è il problema dei rapporti tra P e la sua “Bearbeitung” in N, che Diller (o.c. 192) e Harlfinger (in E. Gamillscheg-D. H., Repertorium der griechischen Kopisten 800-1600, 1/A, Wien 1981, nr. 54) attribuivano a una sola mano, secondo Harlfinger quella del copista e professore di greco Georgios Alexandrou. Per la B. invece, “die von der bisher nicht identifizierten Hand P2 eingetragenen Lückenfüllungen, die zahlreichen Änderungen und die Konjekturen” presenti in N “sprechen für eine durchgängige, kritische Bearbeitung des in P überlieferten Textes, wie sie kaum von einem Schreiber currente calamo erwartet werden kann” (pp. 22*s.), ciò che presupporrebbe “ein Zwischenglied” tra i due manoscritti, “das die gelehrte Bearbeitung von P enthielt, aber nicht von dem Schreiber von P und N herrührte” (p. 22*): questo anello intermedio, da assegnare a un anonimo filologo “im Umkreis des Florentinen Studio” e da collegare forse agli studi sugli Ethnika di Angelo Poliziano (p. 23*), spiegherebbe alcune stranezze di N, che ora riproduce fedelmente persino le abbreviazioni di P, ora innova con congetture e correzioni che denotano intelligenza ed erudizione: l’ipotesi va tenuta nella massima considerazione, ma mal si accorda con le numerose correzioni in scribendo presenti in N, e che fanno pensare piuttosto a una copia tratta direttamente da P, sia pure con una maggiore consapevolezza critica e probabilmente con l’apporto di lezioni tratte orizzontalmente (e dunque con un processo di contaminazione) da altri rami della tradizione, e segnatamente da quello di R.

Anche la presenza di lacune comuni tra R e Q contro P (e ν sia pure di minor rilevanza di quelle che uniscono Q e P contro R, se non tolgono plausibilità allo stemma di p. 29* (per cui Q e P deriverebbero da un subarchetipo ψ, a sua volta rimontante all’archetipo ω, da cui, attraverso un subarchetipo ρ, il “Picos (verlorenes) Exemplar Demetrios Moschos” [p. 23*], deriverebbe ρ ne limitano tuttavia la portata operativa, e fanno pensare ad apporti extrastemmatici o a relazioni orizzontali di contaminazione con cui, di volta in volta, singoli codici potevano colmare lacune o sciogliere sequenze incomprensibili già presenti nell’archetipo.

In generale, per quanto la scelta della B. di limitare di fatto la recensio ai codd. R, Q e P, coerentemente con lo stemma di p. 29*, appaia operativamente pratica e produttiva, si ha talora l’impressione che la contaminazione sia più estesa del rapporto orizzontale tra un antigrafo di R ( ρ) e un apografo di P ( χ), da cui sarebbe derivato N (cf. p. 28*), che infatti è sistematicamente registrato in apparato: una prova di più del carattere assai relativo di questo come di altri stemmi, specie (ma non solo) in campo lessicografico.

TRADIZIONE INDIRETTA

Per quanto riguarda le Cronache bizantine, e in particolare la Storia imperiale di Genesio, le consonanze con gli Ethnika (più stringenti tra p. 40,26 Lesmüller-Werner – Thurn ~ St. Byz. 513,5, p. 41,45 ~ St. Byz. α 261, molto meno per p. 47,6 ~ St. Byz. 605,1-13 e per p. 83,66 ~ St. Byz. 592,17-593,8) non permettono, tuttavia, di ipotizzarne una dipendenza diretta e di includerle pertanto a pieno titolo tra le testimonianze della tradizione indiretta di Stefano.

Le citazioni degli Ethnika nel lessico di ‘Zonara’,11 accennate all’interno della rubrica sull’ Etymologicum Symeonis (pp. 31*s.), meritavano forse maggiore considerazione, specie là dove — α 252 e β 2— Zonara parrebbe aver utilizzato una redazione più ampia dell’Epitome rispetto a quella trasmessa dai mss.12

CRITERI EDITORIALI E REDAZIONE DEGLI APPARATI

L’obiettivo, del tutto ragionevole, di non perseguire “die Rekonstruktion der ursprünglichen Ethnika” ma di offrire “die Ausgabe der direkt überlieferten Epitome” (p. 46*) appare rispettato anche là dove, come nel caso delle glosse trasmesse da Costantino Porfirogenito —che conosceva senza dubbio una versione meno epitomata, se non quella originale, degli Ethnika — l’apparato dei paralleli ospita le testimonianze di una versione più ampia (contrassegnate da una lettera accanto al numero della glossa), e la traduzione le inserisce direttamente nel testo, sia pure in corpo minore (un solo caso in questo primo volume, quello della gl. β 130a, a p. 367). Ancora differente la scelta nel caso delle glosse di δ, conservate in una redazione più ampia, se non proprio in quella originaria, dal cod. Coislinianus 228, che saranno “parallel zur Epitome in den Haupttext gesetzt” (p. 46*). Tutto ciò ingenera piccole, ancorché controllabili, asimmetrie: da un lato la traduzione sembra fare, rispetto al testo, un passo in più verso “die ursprüngliche Ethnika”; dall’altro la tradizione diretta (il Coislinianus) e quella indiretta (Costantino) sono fatte oggetto —in nome di un (pre)giudizio assiologico— di trattamenti editoriali diversi.

Dato che il problema dei rapporti di Stefano con altri lessici è tuttora assai intricato, anziché raggruppare indistintamente “die indirekte Überlieferung”, i paralleli lessicografici e i testi classici (e cioè, principalmente, la tradizione geografica: Strabone, Dionigi Periegeta e Pausania) che forniscono notizie in materia in un unico apparato dei paralleli, prima dell’apparato critico vero e proprio, sarebbe stato forse consigliabile riservare a ciascuna categoria una sezione a parte: una rigorosa divisione tra ciò che sta a monte e ciò che sta a valle, e tra le due possibili tipologie di fonti, è infatti, in ogni caso, un primo passo per cercare di dare qualche pur provvisoria risposta all’annoso e tuttora irrisolto problema delle fonti (lessicografiche o solo geografiche?) di Stefano. Nella sezione lessicografica, per esempio, potevano almeno in qualche caso trovare posto quelle glosse che, pur senza paralleli nell’Epitome, ricalcano tuttavia da vicino la struttura degli Ethnika, e potrebbero pertanto gettare qualche lume sulla versione originale dell’opera: è il caso, e.g., di Ἀνεμούριον (Et. Sym. α 906 L.-L., cf. Zonar. 191) e soprattutto di Βόττεια (Et. Sym. β 160 L.-L. = 164 Berger, Et. M. β 239 L.-L., Zonar. 400, e cf. R. Reitzenstein, Geschichte der griechischen Etymologika, Leipzig 1897, 330), che E. Grumach aveva addirittura integrato nel testo nel suo velleitario (e mai pubblicato) tentativo di ricostruire lo Stefano originario,13 e che il pur ricco apparato dei paralleli della B., sulla scia delle concise note di Meineke, trascura. Quanto mai opportuna, invece, l’esclusione dei loci similes epigrafici, che avrebbero enormemente (e forse inutilmente) accresciuto le dimensioni dell’apparato.14

Irrituale, ancorché comprensibile e in definitiva non foriero di troppe ambiguità, l’uso delle parentesi uncinate —normalmente impiegate per segnalare le integrazioni congetturali di un editore— per indicare le integrazioni o i riempimenti delle cosiddette fenestrae da parte di seconde o terze mani nei vari manoscritti: l’alternativa, naturalmente, sarebbe stato l’uso di normali parentesi tonde, con diciture canoniche come “( αβγ add. alt. m. in fenestra)” vel similia. Singolare, poi, la presenza di “cancell.(avit)” (cf. p. 5), per un “del.(evit)” di copista, in alcune note di apparato (cf. e.g. α 1,10, 49,4, γ 118,6; inusuale, a p. 334 r. 12 d.b., anche la dicitura “haud sine dubio”, che sembra una sorta di ‘contaminazione polare’ di haud dubium e sine dubio).

SCELTE TESTUALI E NOVITÀ

Ovviamente non è possibile qui, come si è detto, dar conto di tutte le scelte testuali innovative (e spesso migliorative) che caratterizzano questa edizione rispetto a quella di Meineke. L’autopsia del Coislinianus per esempio, condotta da C. Zubler, ha permesso di accertare le letture ἐκατησία (f. 122r b 9: Ἐκατητία Meineke), ἐλβονθις [sine acc.] (b 22: Ἐλβοντίς Meineke), < ἑλλ > ὰς (f. 122v a 19: < Ἑλ > ὰς Meineke). In generale, molti sono i casi in cui la ricognizione dei mss. (per lo più su xerocopie) ha permesso di correggere e rettificare le letture di Meineke, specie per quanto riguarda i codd. R e P, per cui l’apparato della B. offre non di rado dati divergenti da quello del precedente editore (che aveva collazionato R ma traeva le lezioni di Q e P dal commento di L. Holstenius15).

Rispetto alle molte occasioni di plauso e consenso, dunque, ci si limiterà anche qui a minime integrazioni e ad alcuni sporadici casi di dissenso, selezionandoli —a titolo puramente esemplificativo— dalle novità testuali:

α 1: l’integrazione ἔστι δὲ ο( < Ἄβας > (B.) ποταμὸς Ἀλβανίας (susp. Meineke : Ἰταλίας fere codd.) appare superflua, visto che proprio Ἄβας è la forma studiata subito prima come κύριον (cf. e.g. 533,14s. *SA/KWN O)/NOMA κύριον. ἔστι δὲ ποταμὸς καὶ νῆσος τῆς Αἰολίδος); quanto all’uso del plurale Ἄβαι in Str. 9,3,13 (cf. Paus. 10,35,1), esso non è inficiato (“sed”, B., p. 8) dal singolare di 10,1,3, dove il geografo cita Aristotele (fr. 617 G.).

α 4: tra le attestazioni di Ἀβαρνίς, si veda anche Theophr. fr. 400A F. e AP 14,114,8, nonché, tra quelle lessicografiche, Suda α 19 A.

α 5: a favore della congettura Ἀδαρηνοί di Holstenius (per ἀδρηινοί e ἀδριηνοί dei codd.), giustamente preferita dalla B. all’ Ἀδανηνοί di Meineke (per cui cf. α 55), milita la maggiore frequenza di questo etnico nelle esemplificazioni del tipo ‘arabico’ in – ηνός : cf. quindi, più che α 56 (cui rimanda la B.), γ 3, 42 e 222,4s. M.

α 6: malgrado le argomentazioni contrarie della B. (p. 19 n. 15), la citazione di Eforo (FGrHist 70 F 154), “che avrebbe chiamato Abdero anche la città”, doveva comparire accanto all’illustrazione del toponimo, ben prima della trattazione degli etnici (non ha infatti alcun senso dopo Ὀξυρυγχίτης, nemmeno in “parenthetische Funktion”): meglio che prima di ὁ πολίτης (come voleva Meineke, in app.), essa andrà dislocata dopo φασίν, là dove si parla di Abdero figlio di Hermes, e le parole ἀφ’ οὗ τὰ Ἄβδηρα, che tutti gli editori espungono (e che difficilmente potranno essere considerate “die logische Brücke zu καὶ ἀπὸ τῶν εἰς α οὐδετέρων“), saranno il residuo mal tagliato di una redazione più ampia circa l’origine mitica del toponimo tracio.

α 7: l’unicità della sequenza ἐξ ἧς ἦν e la menzione di Diogene Abileno (di età certamente giustinianea) possono forse suggerire che la sequenza ἐξσοφιστής sia un altro degli inserti di Ermolao.

α 16: la problematica sequenza οἱ δὲ τὴν ἐν Μιλήτῳ Ἄβυδον οἰκοῦντες ( ἐκ Μιλήτου Holstenius : Μιλησίαν Meineke), con cui Stefano sembra riservare ai soli Abideni milesi l’accusa di sicofantia e di effeminatezza, viene risistemata dalla B. con l’espunzione di ἐν Μιλήτῳ, considerata “die Glosse eines Epitomators, der angesichts des verkürzten Textes sowie des Hinweises auf μαλακία präzisieren wollte, dass das Sprichwort nicht auf die unmittelbar zuvor genannte Stadt in Italien abzielt, sondern auf Abydos am Hellespont” (B., p. 27 n. 27); tuttavia, a parte il fatto che anche Eustazio (Il. 357,1-3 = 1,559s. V.) sembra confermare che l’Abido da cui guardarsi era la colonia milesia dell’Ellesponto (l’unica di cui ivi si parla), la sua “Umformulierung” del testo degli Ethnika in Dion. 513 ( I)STE/ON DE O(/TI KATA TON GRA/YANTA TA *)EQNIKA H( *)ITALIKH PO/LIS LE/GETAI OU)DETE/RWS TO *)/ABUDON, KAI O(/TI E)PI SUKOFANTI/A| KAI μαλακία| DIEBA/LLONTO OI( *MILH/SIOI *)ABUDHNOI οὗτοι, dove la contiguità delle notizie sull’Abido italica e sui vizi proverbiali non deve ingannare —come pure οὗτοι — e riflette semplicemente la loro immediata successione nel testo di Stefano) è sì un “Indiz der Klärung”, ma nulla vieta di pensare che tale spiegazione fosse corretta e antica, e l’articolo τὴν (a meno di non espungere anch’esso), di uso non frequente in casi come questo, pare un elemento a favore di una già originaria specificazione dell’Abido interessata dai deprecati fenomeni: poiché tale specificazione non può riguardare l’origine milesia di Abido (che accomuna quella ellespontica e quella egizia), quindi, più che espungere, si potrebbe forse correggere ἐν Μιλήτῳ in ἐν Ἑλλεσπόντῳ (oppure, sulla linea di Meineke, in ἐν Ἑλλεσπόντῳ Μιλησίαν, ciò che spiegherebbe ancor meglio, forse, la genesi dell’errore).

α 33: la B. non segnala nemmeno in apparato l’integrazione τοῦ δὲ δευτέρου (proposta da Berkel, accolta da Meineke e in effetti necessaria) prima della serie introdotta da πάριον κτλ., che costituisce effettivamente una seconda “Mustergruppe” dopo quella introdotta poco prima da τοῦ μὲν προτέρου παραδείγματος e iniziante con Ἀσιανός κτλ..

α 89 Αἰανῖτις : né l’indicazione di una lacuna prima delle parole διὰ διφθόγγου (che possono avere autonomia sintattica in Stefano: cf. e.g. 283,6), né la risistemazione dell’ultima parte della glossa, Σοφοκλῆς δὲ Αἰαντία γράφει διὰ (B. : δίχα codd.) τοῦ ι (Salmasius, B. : ν codd.), dove le due correzioni si implicano a vicenda, sembrano davvero necessarie: la soluzione più economica è forse ancora quella (non registrata in apparato) di Westermann, *SOFOKLH=S DE *AI)ANTI/S GRA/FEI δίχα τοῦ ι. Se mai, si poteva forse rilevare come la quasi identità tra gli incipit di questa glossa e di α 87 Αἰαμηνή dia l’impressione di una Doppelglosse,16 anche se la formularità delle indicazioni di Stefano (almeno nella forma in cui esse compaiono nell’Epitome) non permette di avere troppe certezze, in materia.

α 146: la testimonianza di Eustazio (Il. 311,13-16 = 1,483,15-19) induce effettivamente nella tentazione di correggere (con la B.) in Ὕαντες ἐκαλοῦντο il concordemente tradito Ὑάντις ( Ὑαντίς Meineke) ἐκαλεῖτο, ma una ragione per resistere sta forse nel fatto che in Eustazio il soggetto psicologico della frase sono gli Αἰτωλοί, che ἀπὸ Αἰτωλοῦ καλοῦνται, mentre qui si parla solo di Αἰτωλία, ciò che rende il passaggio all’etnico e al plurale in qualche modo innaturale.

α 168 Ἀκραιφία: πόλις Βοιωτίας. οἱ δὲ Ἀκραίφιον, Παυσανίας δὲ < Ἀκραίφνιον (suppl. Xylander) λέγεται καὶ θηλυκῶς > (suppl. B.) καὶ οὐδετέρως : se l’integrazione di Xylander, alla luce dei passi di Pausania ove figura l’etnico (9,23,5, 24,1, 40,2), appare sicura, quella della B. è certo molto attraente, ma forse non indispensabile se si interpreta come un’unica frase la sequenza οἱ δὲοὐδετέρως, “alcuni (scrivono) Akraiphion, e Pausania Akraiphnion, anche al neutro” (per καὶ οὐδετέρως senza l’antecedente ‘femminile’ cf. 463,13, 606,18).

α 176: che l’ Ἀκτίτου πέτρα ἐν τῃ dei codd. vada emendato (con la B.) in Ἀκτίτης λίθος κτλ. e ricondotto a Soph. fr. 68 R., è possibile, ma tutt’altro che certo: né Radt, né Snell-Kannicht (che stampano la citazione di Stefano come Trag. adesp. fr. 467, nella forma Ἀκτῖτις πέτρα suggerita da Nauck), in effetti, azzardano una proposta d’identificazione, che anche qui poteva, forse meglio, trovare posto in apparato.

α 290: καὶ ( γὰρ) ὁ τύπος è espressione ricorrente in Stefano (cf. α 66, 448), e καὶ (secl. B.) andrà dunque preservato.

α 331: su Ἀντικυραῖος (che l’Epitome registra in ogni caso come etnico, non come “adjective applied to hellebore”) si veda Whitehead, o.c. 103s.

α 357: se l’altrimenti ignoto Ἀπιδανός della Troade (certo da distinguere dal più famoso omonimo tessalico —cf. G. Hirschfeld, RE 1/2, 1894, 2802 e la stessa B., p. 227 n. 525— la cui mancata menzione, qui, sarà dovuta al processo di epitomazione) sfocia nel “mare occidentale”, l’espressione —più che “den Hellespont” (così Hirschfeld, l.c.)— potrà forse designare l’Egeo orientale per contrapposizione rispetto al mare a nord, la Propontide (cf. Dt. 11,24, dove hayyam ha’akharon, che i LXX traducono con τῆς θαλάσσης τῆς ἐπὶ δυσμῶν e la Vulg. con mare occidentale, indica il Mediterraneo orientale, a ovvia conferma della relatività del concetto). In ogni caso, la notizia si giustifica, dopo una trattazione sugli etnici tratti da Ἀπία, anche senza bisogno di pensare alla conflazione di due glosse, “eine über Apia […] andere über die Flüsse Apidanos” (B., l.c.). Quanto alla normalizzazione sintattica del periodo successivo proposta dalla B. ( Ἴστρος δὲ φησὶ κτλ. in luogo di φησὶ δὲἼστρος), essa è invitante, ma forse non obbligata, poiché casi di φησί incipitario (con soggetto posposto o addirittura mancante) non mancano nell’Epitome (cf. e.g. α 167, nonché 593,21, 597,3): un’alternativa forse più economica potrebbe essere φησὶ δὲ Ἴστρος KTL.

α 476: poiché la forma βικώδης di alcuni κεράμια (cf. Phot. 634,3 P.) rende forse non così implausibile un loro accostamento ai κρόμμυα e diverse designazioni geografiche dei κεράμια sono attestate in Hesych. κ 2339 L., Phot. 534,18 P., non è prudente risolvere per via di espunzione (così B.-Zubler) il problematico accostamento ad Ἀσκαλωναῖα del termine, forse epitomato residuo di una spiegazione più ampia.

α 540: nell’apparato dei paralleli, a proposito di αὔλια, la B. rimanda, tra gli altri, ad “AB 463,16”: trattandosi della Synagoge, occorreva segnalare An. Gr. 1,164,1-3 Bachm. e soprattutto Syn. (vers. ant.) α 1092 e Syn. (vers. cod. B.) 2406 Cunn.

α 565: il fatto che le indicazioni di baritonesi, in Stefano, siano sempre altrove accompagnate dalle forme che la documentano (cf. α 105, nonché 221,6, 433,7, 545,17, 586,2ss., 611,22, 654,17s., 696,15) depone contro l’espunzione di Ἀχάρνης (B.) e a favore della correzione Ἀχάρνας di Meineke.

β 2 Βαβύλη: πόλις ἐν Ὀδρύσαις <***> γ. < ὁ πολίτης Βαβυλίτης >: alla fine di questa glossa di ascendenza straboniana (cf. 7 fr. 20f Radt), frammentaria (il numerale è verosimilmente “ein Überbleibsel aus einem Polybioszitat”, cf. 346,1 ΚαβύληΠολύβιος ιγ, sempre che non sia invece il residuo di un γράφεται che segnalava, per esempio, la variante ἐν Ὀδρύσῃ τῆς Θρᾳ che si legge in Zonar. 372) e —come pure Καλύβη (350,4s., cf. già Str. 7,6,2)— esito di una corruzione da Καβύλη (346,1-3), la B. integra l’etnico sulla base di Zonara, il quale —come ha persuasivamente mostrato K. Alpers, ‘Zonarae’ Lexicon cit. 748)— dipende qui proprio da Stefano, ancorché forse da un testo “noch vollständiger als der Archetypos unserer Hss.” (Alpers, l.c.). L’integrazione, dato anche il contesto frammentario, è certamente legittima, ma contrasta con la scelta fatta per Ἄμανον ( α 252), dove Zonara (153), che offre un testo più ricco ma più vicino a Stefano di quello, scorciato, di Et. Sym. α 661s. L.-L. (che non può esserne, dunque, l’intermediario: cf. Alpers, l.c.), non è registrato né nel testo (il che è corretto, se egli attingeva a uno Stefano più ampio), né nell’apparato dei paralleli o nel commento (il che è meno corretto, se egli attingeva, pur tuttavia, direttamente a Stefano).

β 5: in luogo di Βήλου (congettura di Salmasius, accolta da Meineke e supportata da Et. Gen. β 2 L.-L.; Hdn. GG 3/1,31,6s. è invece ricostruito sulla base di Stefano, malgrado il silenzio di Lentz in apparato), per il nome del padre dell’eroe eponimo di Babilonia (cf. K. Tümpel, RE 3/1, 1897, 261), la B. preferisce stampare Μήδου, con tutti i codd. e con Eustazio (Dion. 1005), la cui testimonianza, tuttavia, conferma solo l’antichità della (banalizzante) lezione: che il personaggio in questione si chiamasse Belo e non Medo è fuori discussione, ma che il nome corretto potesse trovarsi ancora nell’Epitome può forse suggerire il passo del Genuinum; la scelta, per altro, resta incerta.

β 8: la frequenza degli etnici in – ανεύς e in – ανηνός (questi ultimi soprattutto nelle regioni vicino-orientali: cf. e.g. α 28, 55, nonché 263,8, 340,20, 542,2, 602,7) rende assai verosimile, anche se tutt’altro che certa, la correzione Βαγιστανηνός (di Berkel) in luogo del Βαγιστανός dei codd. (accolto dalla B.) per l’etnico di Βαγίστανα.

β 9: da una parte l’ampia attestazione in Stefano di lemmatizzazioni al genitivo, con l’ellissi di un sostantivo come πόλις (cf. B., p. 31 n. 36), e dall’altra la frequentissima presenza dell'”Ortsbezeichnung” nel lemma, soprattutto quando nella glossa compaiono etnici in – πολίτης, – νησίτης, – τειχίτης, etc. (si vedano, tra i tanti, i casi elencati in α 35 e B., p. 43 n. 59; fanno però eccezione, e.g., Εἰληθυίας in 261,15s., e Λητοῦς in 414,1-5), dall’altro, non permettono di prendere una posizione netta tra la scelta di Meineke, che poneva a lemma Βάδεως πόλις (lasciando pendente, da un πόλις sottinteso, il genitivo che apre l’ interpretamentum) e quella della B. (che pone a lemma il solo genitivo); l’etnico Βαδεωπολίτης (che induce anche a resistere alla tentazione di emendare l’isolatissimo genitivo Βάδεως nell’attestato nominativo Βαδεώ, per cui cf. Ptol. Geog. 6,7,6, 8,22,4) sembra in ogni caso gettare qualche luce sull’interrogativo circa “welche Nominativform Stephanos voraussetzt” (B., p. 323 n. 6), confermando la forma Βαδεώ (cf., per non fare che un solo esempio, Ἀδαροπολίτης da Ἀδαρούπολις in α 56), che presupporrebbe un genitivo * Βαδεοῦς; non si può forse escludere che in una di queste due forme vada emendato il βάδεως del lemma, sempre che —rettificandone tutt’al più il solo accento— non lo si debba interpretare come il genitivo di un etnico * Βαδεύς (come Πυθεύς da Πυθώ, cf. 539,15-18), “Città del Badeo”.

β 57: giustamente la B. contesta l’atteggiamento ‘analogista’ di Berkel e Meineke, che ricostruiscono la problematica glossa (l’etnico Βατναῖος, commentato da διὰ τὸν χαρακτῆρα e illustrato dai paralleli Ἐδεσσαῖος e Καρραῖος, è infatti analogico e non “caratteristico del luogo”) sulla base di quella, corredata di esempi analoghi, in 700,12-16: ma se l’omissione degli esempi epicorici e la simultanea, e dunque contraddittoria, conservazione di διὰ τὸν χαρακτῆρα sono da addebitare all’epitomatore (come anche la B. crede, p. 333 n. 34), l’espressione —divenuta erronea dopo il taglio— dovrà essere crocifissa (con un’estensione dell’uso delle cruces che Theodoridis ha fatto per Fozio, e che già Latte aveva occasionalmente fatto per Esichio) o in qualche modo segnalata, anche solo in apparato, ma non espunta.17

γ 50: se un riferimento all’Italia (come voleva Cluverius, seguito da Meineke) è davvero “müssig” (B., p. 417 n. 59) dopo τῶν Λιγύρων, il corrotto Σταλία potrà forse essere un residuo di παραλία (cf. 309,7) o, forse meglio, di ἐν τῇ παραλία| (cf. e.g. β 9, nonché 348,19, 365,14, 378,6s., 453,22, 500,12); quanto all’inusuale (in Stefano) “Wortstellung” καλουμένη νῦν (cf. B., l.c.), cui non sarà troppo innaturale integrare Ἰάνουα (con Berkel), essa potrebbe appartenere ad Artemidoro ( ὡς Ἀρτεμίδωρος si legge subito di seguito: cf. inoltre 226,8-10, da cui pure emerge l’interesse di Artemidoro per la metonomasia di toponimi liguri).

γ 105: l’etnico Γουναι+/της è un indizio, benché non una prova (cf. α 393, nonché 336,1s., 406,7s., 445,3-6, 478,22-479,2, 675,20-23), di un lemma Γουναι, ma non dà nessuna indicazione sulla posizione dell’accento, perispomeno (così la B., con gli esempi a p. 435 n. 98) o ossitono (cf. e.g. 461,6s., 590,12-591,5, 658,3-7).

TRADUZIONE E COMMENTO

Potrà stupire i fruitori dell’edizione di un lessico la presenza di una traduzione a fronte del testo greco, e già il vecchio G. Xylander, nella Praefatio alla sua edizione del 1568, rilevava le particolarità di opere come questa, difficilmente traducibili in altra lingua e pertanto “et edenda, et legenda” soltanto in greco. Ancorché inusuale,18 tale versione, condotta con metodo rigoroso (a partire dalla resa delle variegate “Ableitungsformen der Ethnika”, cf. pp. 47*s.)19 e corredata di frequenti integrazioni di senso (tra parentesi uncinate) e altre “Verständnishilfen” (tra parentesi tonde) che facilitano senza dubbio la comprensione del succinto dettato dell’Epitome, appare tuttavia decisamente utile e costituisce —come ogni traduzione filologica— una sorta di primo commento al testo. Il commento vero e proprio, necessariamente sintetico, compare nelle note in calce alla traduzione, e chiarisce scelte testuali o problemi onomastici e/o topografici.

BIBLIOGRAFIA

La bibliografia appare completa. Solo minime integrazioni: per gli Anecdota Graeca ( Synagoge), accanto a quella di Bekker, si veda l’edizione di L. Bachmann, I-II (Leipzig 1828); per l’ Anthologia Graeca, occorreva specificare che quella di H. Beckby, ι München 1965-1967 è una seconda edizione (la prima è del 1957-1958); per il primo libro Apollonio Rodio, vd. ora G. Basilaros (Athenai 2004); per Callimaco, vd. M. Asper (Darmstadt 2004); per Nicandro, vd. J.-M. Jacques, II-III (Paris 2002-2007) e, per gli Alexipharmaca, K. Oikonomakos (Athenai 2002). Tra i “Nachschlagewerke” andava forse integrato il Lexicon of Greek Personal Names di P.M. Fraser-E. Matthews et al. (edd.), ι Oxford 1987-2005, e poteva poi essere inserita qui qualche opera registrata nella “Sekundärliteratur”, come e.g. il Dizionario dei nomi geografici e topografici dell’Egitto greco-romano di A. Calderini o il Lexicon of Greek and Roman Cities and Place Names in Antiquity di A.M. Hakkert e M. Zahariade.

REFUSI E INCONGRUENZE

Scarsi, e quasi sempre facilmente correggibili a prima vista, i refusi (si veda e.g. a p. 40* r. 9: “Theodor Rycke”; n. 78 r. 1: “Theodor Ryckes”; p. 6 c. 2 r. 5 d.b.: “suspicatus est”; p. 176 rr. 9s. d.b.: “sig-/nificatum”; p. 435 n. 98 r. 3: ” Μυλαί“), pressoché irrilevanti le incongruenze: si rilevi solo che nel registrare, in apparato, la collocazione delle note indicanti la partizione in lettere e in libri delle varie glosse, la B. utilizza ora il numero della glossa prima della quale tale nota compare (e.g. p. 128 r. 7 d.b.: “ante 184 titulus μετὰ τοῦ λ Q”), ora il lemma (e.g. p. 352 r. 1 d.b.: “ante Βοαύλεια titulum μετὰ τοῦ ο Q”).

In conclusione, di fronte a questo “Stefano di Friburgo”, sorvegliatissimo in ogni suo aspetto, dalla raccolta dei testimoni, all’edizione, sino alla qualità della stampa, non resta che esprimere gratitudine all’editrice e ai suoi validi collaboratori, e augurarsi una pronta prosecuzione dell’opera, con i tre volumi che ospiteranno le glosse restanti e —sperabilmente— un robusto apparato di indici.

Notes

1. A cui fece seguito soltanto un lavoro preparatorio di F. Jacoby, correlato all’edizione dei FGrHist, nel cui Index fontium [1999] gli Ethnika occupano ben 14 pagine a doppia colonna.

2. Poiché nel codice Rehdigerianus 47 (ρ in corrispondenza di alcune glosse, è rimasta l’indicazione numerica dei libri dell’opera originale che con tali glosse cominciavano, E. Honigmann (Stephanos [12], in RE 3/A, 1929, 2378) ha potuto calcolare che la versione originaria constava di circa 50-55 libri. Di “a work on toponyms in over fifty books” parla anche R.A. Kaster, Guardians of Language: The Grammarian and Society in Late Antiquity, Berkeley-Los Angeles 1988, 362.

3. D. Whitehead, Site-Classification and reliability in Stephanus of Byzantium, in Id. [ed.], From Political Architecture to Stephanus Byzantius. Sources for the Ancient Greek Polis, Stuttgart 1994, 99-124 ha peraltro mostrato che nel 60% dei casi Stefano si attiene correttamente alle sue fonti, nel 33% interviene con congetture e considerazioni proprie, e solo nel 7% ne riproduce scorrettamente i dati.

4. Nel f. 122v col. b, l”indice’ è completato da tre esametri dello scriba Teofilo ( σφάλματα καλλιγράφων πολυώδυνα μυρία φεύγων / χερσὶν ἑαῖς Θεόφιλος ὅλας ἐγράψατο βίβλους / τῶν ἐθνικῶν Στεφάνοιο σοφῆς στάζοντα μελίσσης, in cui fanno spicco la scansione lunga di ι in Θεόφιλος al v. 2 e il valore monoconsonantico di θν in ἐθνικῶν al v. 3, tratti prosodici peraltro non isolati già nell’esametro (‘non nonniano’) di età tardoantica e protobizantina (cf. G. Agosti-F. Gonnelli, in M. Fantuzzi-R. Pretagostini [curr.], Struttura e storia dell’esametro greco, II, Roma 1995, 336-349, 399-403), mentre l’ultima clausola (con l’immagine topica dell’ape come art-symbol), in un verso caratterizzato da un’insistita allitterazione in |s|, ricorda analoghi Versende cristodorei (cf. AP 2,110 e 392).

5. Cf. Kaster, o.c. 282 nr. 56.

6. Cf. Kaster, o.c. 291s. nr. 72. Va rilevato, peraltro, che l’Epitome predisposta da Ermolao non coincide necessariamente con quella, vieppiù decurtata, oggi nota e che E. Stemplinger (o.c. 622, cf. Studien zu den Ἐθνικά des Stephanos von Byzanz, Progr. München 1902, 8-14) ha definito, con buoni argomenti, “nicht das Werk eines Epitomators ist, sondern aus mehreren —mindestens zwei— zusammengeschmolzen”, il che è del tutto naturale nelle opere strumentali in genere, e in ambito lessicografico in particolare: la maldestra nota che apre l’articolo sulla propontica Perinto (303,16ss. M. Ἡράκλεια: πόλις Θρᾴκης ἐν τῷ Πόντῳ διάσημος), per esempio, forse innescata da un fraintendimento di Tz. Chil. 3,819s. Στέφανος ὁ Βυζάντιος οὐ γράφει περὶ ταύτης [scil. Περίνθου = Eraclea Tracica] / περὶ τῆς Ἡρακλείας δὲ γράφει τῆς ἐν τῷ Πόντῳ) potrebbe essere un esempio di aggiunta (peraltro erronea) molto seriore.

7. “Es ist kein Fall bekannt, in dem ein antiker Autor so rasch nach seinem Ableben in den Rang eines ‘zu anthologisierenden Klassikers’ erhoben wurde”, commentano L. Bossina e L. Canfora, Wie kann das ein Artemidor-Papyrus sein?, Bari 2008, 23 (a proposito di una presunta epitome dei γεωγραφούμενα“schon etwa 30 Jahre nach dem Tod Artemidors”; cf. anche p. 34: “una ‘promozione’ che tarda a sopraggiungere persino per grandi classici”; andrà tuttavia precisato che i testi tecnici venivano epitomati più di frequente e più rapidamente dei testi classici, e non si trattava propriamente di una “promozione”).

8. “If one could dedicate an anthology to an empress (cf. s.v. Orion no. 110), one could presumably dedicate an epitome to an emperor; for the dedication of epitomes or extracts of grammatical works, cf. s.vv. Aristodemus, Ioannes Charax, Theododoretus, nos. 188, 199, 265”, ha opportunamente osservato Kaster, o.c. 291, rigettando altresì i tentativi di staccare Ermolao dall’età di Giustiniano.

9. Un prudente riserbo mantiene anche Kaster, o.c. 291s. nr. 72 e soprattutto 362s. nr. 144: “the problem scarcely allows a certain solution”.

10. Con la spiacevole conseguenza —per la verità, forse, non inevitabile— che le lezioni di V accolte nel testo o discusse in apparato sono attribuite a Meineke là dove lo studioso le aveva adottate: cf. e.g. in α 1 l’omissione di ὡς prima di καὶ Ἄλβη, o in α 101 ὏πλητες (e non ὁπλῆτες, come afferma la B. a p. 17* r. 7 d.b.).

11. Sul valore dell’edizione di J.A.H. Tittmann, spesso misconosciuto, restano imprescindibili le osservazioni di K. Alpers, ‘Zonarae’ Lexicon, in RE 10/A (1972) 735s.; Das attizistische Lexikon des Oros, Berlin-New York 1981, 47-55.

12. Cf. K. Alpers, ‘Zonarae’ Lexicon cit. 748.

13. Cf. Gnomon 14 (1938) 336. Su integrazioni come Ἀλβανοί (sulla base di Zonar. 117 = An. Par. 4,106,33-35, cf. Suda α 1090 A.), come su molte altre di provenienza eustaziana, pare del tutto giustificato, invece, lo scetticismo che la B. (p. 45*) eredita da H. Erbse (Beiträge zur Überlieferung der Iliasscholien, München 1960, 263 n. 1).

14. A p. 48* n. 88, a proposito della ‘creatività toponomastica’ di Stefano, la B. riconosce in effetti “den literarischen Charakter der Ethnika und die grammatisch-lexicographische Tradition, in welche sie sich einordnen”. Sull’incomparabilità delle notizie fornite da Stefano con i dati epigrafici si veda già L. Robert, Hellenika 2 (1946) 65-93, e da ultimo Whitehead, o.c. 104s.

15. Cioè Holste, come scrive sempre la B., sulla scia di F. Jacoby, ovvero Holstein, secondo la forma del nome dello studioso amburghese (1596-1661) riportata da F.A. Eckstein, Nomenclator philologorum, Leipzig 1871, 255 e da W. Pökel, Philologisches Schriftsteller-Lexikon, Leipzig 1882, 125.

16. Debbo questa osservazione a S. Valente.

17. Per la cornice metodologica della questione, vd. R. Tosi, Recenti acquisizioni sulle metodologie lessicografiche, in Paola Volpe Cacciatore (cur.), L’erudizione scolastico-grammaticale a Bisanzio, Napoli 2003, 139-156: 152s. e da ultimo S. Valente, Eikasmos 18 (2007) 509-511. Sull’uso peculiare delle cruces per ‘corruzioni d’autore’ si veda da ultimo K. Alpers, in Hesychii Alexandrini Lexicon, III, Berlin-New York 2005, XXII (restano peraltro attuali le considerazioni critiche di E. Degani, Gnomon 59, 1987, 588s., ora in Filologia e storia. Scritti di E. Degani, Hildesheim 2004, 772s.); sull’opportunità di ricorrere a segni diacritici ad hoc (che dovrebbero però variare a seconda delle tradizioni) cf. F. Bossi, Gnomon 77 (2005) 17; R. Tosi, in G. Avezzù-P. Scattolin, I classici greci e i loro commentatori. Dai papiri ai marginalia rinascimentali. Atti del convegno. Rovereto, 20 ottobre 2006, Rovereto 2006, 179; Valente, o.c. 510. Qualche dubbio analogo suscitano le espunzioni in α 33, 95, 128, β 134 (dove il fatto che “Stephanos das Femininum zu ὁ πολίτης nie gebraucht”, B., p. 369 n. 123, è parzialmente smentito da 453,9 Μιλητοπολῖτις), alcune indicazioni di lacuna (cf. e.g. α 89) o correzioni come quella in γ 81. Il problema è sempre lo stesso: si sta correggendo l’Epitome o Stefano?

18. “In primo luogo sono intraducibili i lessici”, aveva sentenziato G. Pasquali (Filologia e storia, 2a ed. Firenze 1964, 31), che menzionava Esichio, Festo, l’ Etymologicum Magnum, Erodiano, e persino Ateneo.

19. Fanno eccezione gli etnici in – ια, che in traduzione presentano -ia (“der lexicographischen Fachsprache folgend”) nel lemma, mentre “im Fliesstext gleichen sie sich mit der Endung -ien der deutschen Sprache an”, forme già “fest eingebürgerte” in lingua tedesca, e altri casi in cui la necessità di illustrare un’etimologia o una derivazione fonologica ha consigliato di ricorrere a prestiti. Nel caso delle “Ortsbezeichnungen” come πόλις etc., tuttavia, i dati riportati da Whitehead (o.c. 120-123), da cui emerge —persino, talora, malgré lui! — un certo tasso di ‘fluidità’ nelle classificazioni di Stefano, possono forse valere come monito a evitare ogni rigido meccanicismo traduttivo (e interpretativo).