BMCR 2008.07.61

Der Philosoph in der Stadt. Untersuchungen zur öffentlichen Rede über Philosophen und Philosophie in den hellenistischen Poleis. Vestigia, 56

, Der Philosoph in der Stadt : Untersuchungen zur öffentlichen Rede über Philosophen und Philosophie in der hellenistischen Poleis. Vestigia ; Bd. 56. Muenchen: Beck, 2007. x, 386 pages ; 24 cm.. ISBN 9783406558566. €70.00.

La storia della filosofia reinterpreta le precedenti dottrine sulla base di successive acquisizioni del pensiero. L’opera di Haake [d’ora in poi H.], rompendo con tale uso, studia il periodo ellenistico, cruciale nella definizione del concetto stesso di filosofia e del ruolo sociale dei filosofi, attraverso la testimonianza delle iscrizioni. La ricerca si muove pertanto nel solco di quella (pure basata sulla documentazione epigrafica) dedicata alla storiografia da Chaniotis1 e ne condivide il risultato di evidenziare la considerazione sociale dell’intellettuale (in questo caso del filosofo) nell’ambito cittadino. Questo infatti, più della corte monarchica che pure è luogo di esercizio dell’attività storiografica e filosofica, registra in forma epigrafica, cioè democratica e pubblica, i suoi atti.

Nella introduzione H. mostra che l’ideale di vita filosofica, secondo il modello socratico, è suscettibile di sviluppi diametralmente opposti, o nel senso di un totale estraniamento del filosofo dal corpo cittadino (come nel caso del cinico Diogene) o nella totale assimilazione al potere politico (Demetrio di Falero): sulle varianti di tale polarità si innestò il genere letterario (di derivazione peripatetica) delle ‘vite dei filosofi’, spesso pregiudizialmente favorevoli o negative a seconda delle inclinazioni personali o di scuola dell’autore. Al fine di recuperare un riscontro oggettivo sul rapporto tra il filosofo e la città l’autore esamina pertanto sistematicamente la testimonianza delle iscrizioni, includendo non solo i decreti civici ma anche le iscrizioni funerarie e le dediche private, che fanno comunque parte della ‘cultura epigrafica’ relativa all’ambito cittadino. Il materiale è ordinato secondo capitoli relativi alle singole città, in cui una larga parte della discussione è riservata alla identificazione dei personaggi menzionati, non sempre espressamente individuati come ‘filosofi’.

Il fatto che Atene sia stata in seguito considerata ‘città dei filosofi’ per antonomasia nasconde il fatto che essa manifestò una altrettanto forte avversione alla filosofia, avversione che si manifestò tanto in occasione della ‘esemplare’ condanna di Socrate, quanto alla caduta di Demetrio Falereo (307 a.C.) attraverso un provvedimento (c.d. ‘legge di Sofocle’), che ordinava l’espulsione dei filosofi dalla città (in alcune fonti la legge è presentata, con termine ambiguo, come un editto diretto contro i ‘sofisti’). In seguito a questo editto Teofrasto, ma anche esponenti dell’Accademia dovettero lasciare Atene. Il provvedimento fu comunque di breve durata, perché nel 306/5 a.C. Philon di Alopeke, uomo politico vicino all’ambiente peripatetico, fece invalidare il decreto di espulsione e ne mise allo stesso tempo sotto accusa il firmatario Sofocle, la cui difesa venne assunta dal nipote di Demostene, Democare.

Attraverso i frammenti di tale discorso2 veniamo a conoscenza dello spregiudicato comportamento in ambito pubblico di alcuni filosofi: tra costoro gli accademici Euphraios di Oreo e Callippo di Atene, così come Euaion di Lampsaco, Timolao di Cizico e l’olimpionico Chairon di Pellene avevano tentato di mettere in atto l’ideale dei filosofi al potere attraverso l’instaurazione di una tirannide. Gli strali di Democare si estendevano anche ad Aristotele, accusato di tradimento plurimo della patria Calcidica e di Atene a favore della Macedonia, ed allo stesso Socrate. Nonostante la difesa di Democare tuttavia il fautore dell’espulsione Sofocle venne condannato ed i filosofi platonici e peripatetici poterono ritornare ad Atene, dove poco dopo si aggiunsero le scuole epicurea e stoica, fondate rispettivamente nel 305/4 a.C. (presso il Giardino) e nel 301/0 a.C. (da Zenone di Cizio).

Un segno del mutato rapporto (in senso positivo) fra la città e le scuole filosofiche è poi rappresentato dalle iscrizioni in cui la città, lodando gli efebi, ne ricorda la partecipazione alle varie attività formative. In seguito infatti ad una riforma in senso educativo dell’efebia, un istituto originariamente di carattere militare, che comportò la ammissione alla frequenza di giovani non Ateniesi — fra cui numerosi Romani —, per la prima volta nel 122/1 a.C. risulta la partecipazione degli efebi a lezioni tenute da filosofi (fra questi lo stoico Zenodoto è l’unico ad essere espressamente menzionato), che ebbero luogo nel Liceo, nell’Accademia e nel Ptolemaion. All’insegnamento della filosofia (con probabile esclusione di quella epicurea) si aggiunse poco dopo quello della grammatica e della retorica.

Di seguito viene esaminato il rapporto con la città dalle singole scuole filosofiche: cominciando dal Peripato si discute l’autenticità di un decreto civico in onore di Aristotele, tramandato attraverso una fonte araba, risalente alla vita di Aristotele composta da Tolemeo. Si esamina quindi la figura di Demetrio di Falero per evidenziare eventuali connotazioni filosofiche della sua attività di governo in Atene (317-307 a.C.). Una dedica proveniente da Eleusi viene eliminata in quanto pertinente ad un omonimo nipote del Falereo: decisiva in questo, come in altri casi, è la messa a frutto delle indagini paleografiche del Tracy.3 Né vi è alcun riferimento alla formazione filosofica di Demetrio in un decreto del demo di Axone (IG II-III 1201), o sulla base che reggeva una statua equestre nel demo di Sfetto (“BCH” 94, 1969, 56 ss.), né tantomeno in una defixio formulata nel corso dell’assedio posto alla città da Cassandro nel 304 a.C., a cui verosimilmente prese parte lo stesso Demetrio Falereo (“MDAIA” 95, 1980, 225 ss.). Demetrio, rimasto in esilio a Tebe fino alla morte di Cassandro (297 a.C.), solo in seguito si recò presso la corte di Tolemeo I ad Alessandria, cadendo però in disgrazia presso il figlio Tolemeo II (contro il quale si era espresso nel merito della successione), e perì per il morso di un serpente nel luogo egiziano del suo esilio.

Un altro peripatetico attestato epigraficamente è lo scolarca Lykon di Alessandria Troas, il quale nell’anno 248/7 a.C. venne registrato fra i contribuenti di una epidosis per la difesa di Atene, con una somma di 200 dracme (Agora XVI, 213). Particolarmente significativo è il fatto che Lykon, onorato anche in una iscrizione delfica, sia ricordato in questa lista con l’esplicito appellativo di philosophos, che nel suo caso assume evidentemente una connotazione positiva. Infine, in un decreto rinvenuto nell’Agorà di Atene nel 1933, databile al 226/5 a.C., viene onorato Prytanys di Caristo, il quale servì la città come ambasciatore esercitando, al cospetto di Antigono Dosone, la virtù filosofica della parrhesia (Agora XVI, 224). A lui è probabilmente da attribuire, in base alla cronologia stabilita dal Tracy, anche una corona onorifica (IG II-III 443).

Per quanto riguarda l’Accademia in un altro decreto ateniese (IG II-III 886), ora databile con certezza al 193/2 a.C., viene fatta menzione dello scolarca Evandro, del quale il personaggio onorato era stato allievo; il nome di questi è perduto, ma dal fatto che si era distinto perorando la causa di Atene presso il re Attalo I deduciamo che potrebbe trattarsi del pergameno Hegesinos, che sarà il successore di Evandro a capo dell’Accademia. Un problema relativo alla successione degli scolarchi è dato dalla figura di Telekles, ricordato in un epigramma funerario (IG II-III 12764): avendo Telekles ricevuto la direzione della scuola assieme ad Evandro alla morte di Lacide, nel 207/6 a.C., H. ipotizza che per un quarantennio i due abbiano continuato a dirigerla congiuntamente: Evandro poi, rimasto solo, ne avrebbe lasciato la direzione ad Hegesinos.

Alla morte di quest’ultimo successe alla direzione della scuola Carneade di Cirene, che poco dopo venne scelto assieme al peripatetico Critolao ed allo stoico Diogene per rappresentare la città di Atene al cospetto del senato di Roma. Oggetto della ambasceria era la riduzione della multa di 500 talenti comminata da Sicione (città in precedenza designata ad arbitro dal senato) per l’invasione compiuta dagli Ateniesi ai danni di Oropo. L’ambasceria ebbe successo, ottenendo una riduzione della multa a soli 100 talenti: è probabilmente in premio di tale servizio che Carneade ebbe la cittadinanza ateniese,4 a quanto risulta dal demotico presente su una base di statua eretta in suo onore (Syll. 3a ed. 666), che lo ritraeva seduto, secondo l’iconografia conveniente ai filosofi. H. mostra che i dedicanti della statua, Attalo ed Ariarate, non possono essere identificati con i rispettivi sovrani di Pergamo e di Cappadocia, bensì con due cittadini ateniesi del demo di Sypalettos, forse riconoscenti per la formazione ricevuta.

Lo stesso fondatore della Stoà, Zenone di Cizio, è menzionato in due decreti ateniesi preservati nel testo di Diogene Laerzio (VII, 10-12): si tratta nel primo caso di una lista di epidosis 5 per la costruzione di un bagno, nella quale Zenone si sarebbe lasciato iscrivere con l’appellativo di philosophos e con l’etnico originario Kitieús, mostrando così di non avere alcun imbarazzo a dichiarare le sue origine cipriote. Nel secondo caso si tratta di un decreto ateniese, datato dall’arconte Arrheneides al 261 a.C., con il quale gli si concesse la pubblica sepoltura ed altri onori per meriti relativi alla sua attività filosofica. Entrambi i testi offrono problemi di autenticità, che in questo caso H. risolve positivamente, ritenendo però il vero motivo degli onori la considerazione goduta da Zenone presso Antigono Gonata, specialmente in occasione della guerra cremonidea.

Riguardo a Crisippo, successore di Cleante alla guida della Stoà e morto ad Atene nel 207/6 a.C., abbiamo notizia dalla tradizione letteraria di un paio di monumenti che pure lo ritraevano seduto. Sotto un suo ritratto in bronzo, fatto esporre dal nipote Aristokreon, era inciso un distico, che poeticamente lo definiva “forbice dei nodi accademici” (Plut. Mor. 1033 e). Lo stesso Aristokreon è menzionato in un decreto attico (IG II-III 786) emesso attorno al 215 a.C.6 mentre, in base alla datazione recentemente assodata dell’arconte Caricle (184/3 a.C.), è preferibile attribuire all’omonimo figlio di questi l’iscrizione IG II-III 785. Ancora viene trattata la cosiddetta ‘Iscrizione degli Stoici’ (IG II-III 1938), una lista di hieropoioi delle feste Rhomaia e Ptolemaia databile al 149/8 a.C., nella quale si può leggere con sufficiente certezza il nome di Panaitios (Panezio) di Rodi, mentre altre identificazioni con filosofi stoici o accademici avanzate in passato dal Crönert o dal Cichorius sono accolte con molto scetticismo da H., che dedica alla confutazione delle singole identificazioni anche la più lunga delle sue appendici (pp. 287-294). Il soggiorno di Panezio ad Atene fu probabilmente motivato dalla frequentazione della Stoà allora retta da Diogene di Babilonia, a cui lui stesso sarebbe succeduto.

Per quanto riguarda il rapporto con Atene dei filosofi della scuola epicurea si prende innanzitutto in considerazione il caso di Amynomachos, uno dei garanti del testamento di Epicuro, che figura come proponente di un decreto dei Mesogeioi (IG II-III 1245). Philonides di Laodicea, soggetto di una ‘vita’ probabilmente composta da Filodemo, rinvenuta fra i papiri di Ercolano, viene onorato, assieme ai figli Filonide e Dicearco, in un decreto dei Kerykes e degli Eumolpidai da Eleusi (IG II-III 1236). In questo come in altri casi emerge una sostanziale inosservanza delle norme epicuree relative all’astensione dal matrimonio e dalla vita politica. Anche in questa occasione lo H. si avvale della perizia grafica del Tracy per assegnare una datazione più precisa al documento (fra il 185 ed il 175 a.C.), nel quale viene menzionato l’aiuto fornito da Filonide ad ambasciatori ateniesi recatisi presso più di un monarca seleucide.

Infine vengono esaminate le testimonianze relative all’ateniese Phaidros, figlio di Lysiades, che in alcuni dialoghi di Cicerone funge da portavoce delle dottrine epicuree: appartenente ad una famiglia ateniese piuttosto in vista (suo padre era stato arconte eponimo nel 149/8 a.C. e suo figlio Lysiades pure lo sarà nel 51/0 a.C.) viene onorato in alcune dediche poste da cittadini romani, in particolare dai fratelli Saufeii (IG II-III 3897) e da Tito Pomponio Attico, l’amico e corrispondente di Cicerone. Morì nel 70 a.C. Tanto ad Attico che a Phaidros vengono resi onori dalla figlia di quest’ultimo, Chrysothemis (IG II-III 3513): dato il carattere sacro di queste dediche si riaffaccia la questione della imperfetta rispondenza alle dottrine professate da Epicuro.7

Nella seconda parte del libro vengono passate in rassegna le testimonianze epigrafiche di filosofi (relativamente al periodo ellenistico) che provengono da località al di fuori di Atene: un filosofo macedone, il cui nome non è presente nella parte a noi giunta dell’iscrizione, viene onorato in un decreto di Aliarto (IG VII 2489), dove aveva prestato la sua opera di insegnante. Alla luce di un altro documento della città beotica, in cui viene concessa la prossenia a quattro macedoni, si è supposto che il filosofo onorato avesse di fatto svolto, alla vigilia della III guerra macedonica, la funzione di agitatore politico. Sta di fatto che la città beotica, schieratasi dalla parte di Perseo, nel 172 a.C. venne completamente rasa al suolo dai Romani. Dalla città di Orcomeno proviene un epigramma funerario (IG VII 3226) per Filocrate di Sidone, un filosofo epicureo sconosciuto alla documentazione letteraria: egli viene sepolto accanto al figlio che lo aveva preceduto nella tomba.

Riguardo all’accademico Menedemo di Eretria, la cui vita è nota da Diogene Laerzio (II, 125-144), resta una documentazione epigrafica nutrita. Egli, nato attorno alla metà del IV secolo a.C., servì la sua città come ambasciatore presso diversi sovrani ellenistici, fra cui Lisimaco e Demetrio Poliorcete; si fece proponente di un decreto che celebrava la vittoria conseguita sui Galati da Antigono Gonata. Essendo stato accusato da un certo Aristodemo di voler consegnare la città nelle mani del macedone, terminò la vita in esilio presso la corte di Antigono (o con il suicidio). Non lasciò scritti di particolare rilevanza. Il suo nome figura in una lista di cittadini di Eretria dell’anno 280/79 a.C. (IG XII, 9, 246, lin. 66) e almeno tre iscrizioni delfiche attestano il ruolo di hieromnemon da lui svolto in seno all’anfizionia (274/3 a.C.). Da Calcide nell’Eubea proviene l’epigramma funerario (IG XII, 9, 954) per Apatourios figlio di Damarmenos, sconosciuto alla tradizione letteraria, che fu allievo della Accademia.

Due documenti provengono da Samo: un decreto per la concessione della cittadinanza al filosofo peripatetico Epicrate di Eraclea (IG XII, 6, 128), il quale si era dedicato alla formazione dei neoi, pur essendo le sue lezioni aperte anche ad altri partecipanti, ed una base onoraria per Gaio Giulio Aminia figlio di Sosigene, un filosofo epicureo che aveva ottenuto la cittadinanza romana ed al tempo stesso portava il soprannome di Isocrate (IG XII, 6, 293). Da un’altra iscrizione apprendiamo che Aminia ricoperse l’ufficio di demiurgo nell’anno 6/7 d.C. e da un terzo documento risulta infine che egli (a quanto risulta sacerdote di Augusto stesso, di Gaio Cesare e di Agrippa) abbia svolto almeno una ambasceria al cospetto di Augusto. Anche in questo caso H. rileva un problema di osservanza all’epicureismo, che imponeva il ripudio della retorica, anche perché Aminia non ricusò di assumere incarichi al servizio della patria e di rivestire un sacerdozio. In questo come in altri casi la spiegazione ragionevolmente trovata da H. fa prevalere le motivazioni di ordine sociale (l’appartenenza alla classe dei notabili) sulle esigenze meramente filosofiche.

Ugualmente da Rodi provengono un paio di attestazioni relative a filosofi: nel primo caso Arideikes viene pianto in un epigramma funerario (“BCH” 36, 1912, 229 ss.), in cui si dice che le Muse lo hanno istruito sulla via delle dottrine platoniche: il personaggio può essere identificato con un filosofo accademico allievo di Arcesilao, e con un notabile rodio che nel 220 a.C. partecipò alle trattative con Prusia I di Bitinia. Altre testimonianze riguardano Panezio, già parzialmente trattato da H. nella sezione relativa alla Stoà ateniese: si evidenzia anche per lui l’appartenenza ad una famiglia del ceto sociale più elevato e la partecipazione del padre Nicagora ad una ambasceria a Roma,8 così come furono ambasciatori presso il senato due dei suoi maestri, Diogene di Babilonia ed il grammatico Cratete di Mallo. La presenza di Panezio a Rodi è invece attestata da una lista, proveniente dall’acropoli di Lindos, in cui egli figura come hierothutas di Poseidone Hippios (I. Lindos, 223). Dopo avere partecipato alla celebre legazione di Scipione Emiliano in Oriente, Panezio assunse la guida della Stoà in Atene dopo la morte di Antipatro di Tarso, e la tenne dal 129 a.C. fino alla morte, sopravvenuta nel 109 a.C.

Una breve considerazione, in relazione a Rodi, è dedicata infine da H. a Polemeo di Colofone, il quale trascorse un periodo di formazione sull’isola, ed alla fondazione di una scuola da parte di Posidonio di Apamea, già allievo di Panezio in Atene: Posidonio fu probabilmente insignito della cittadinanza rodia in seguito al successo della ambasceria presso Mario nell’87/6 a.C. Da Chytroi in Cipro proviene una iscrizione funeraria per il filosofo epicureo Python (“BCH” 82, 1968, p. 76 ss. nr. 5); la diffusione dell’epicureismo nell’isola è confermata dalla presenza di un busto di Epicuro presso il tempio di Afrodite a Paphos. In un decreto onorario di Ilion (I. Ilion 40) viene onorato un cittadino di Temno, Diaphenes figlio di Polles, per avere promosso gli interessi della città al cospetto del re (si intende con ogni verosimiglianza Attalo I di Pergamo). L’identificazione del personaggio onorato con un filosofo stoico allievo di Crisippo appare più che probabile. Da Sardi proviene un decreto inciso sulla base di una statua eretta in onore di Iollas, figlio di Iollas (Sardis VII, 27), probabilmente da identificare con l’allievo di Antioco di Ascalona, menzionato nello Index Academicorum di Filodemo.

Di Colofone vengono considerati i due decreti relativi a Menippo e Polemeo 9. La pertinenza dei due documenti al contesto dipende dal fatto che Menippo aveva trascorso un periodo di formazione ad Atene, frequentando ‘i migliori maestri’ (non sappiamo però se si trattasse di maestri di filosofia o di retorica) e che Polemeo aveva compiuto lo stesso tipo di tirocinio a Rodi: in questo caso H., generalmente assai ben informato, omette di ricordare l’analogo soggiorno rodio di Cicerone, che di Polemeo è grosso modo coetaneo.

Da Mileto proviene un epigramma funerario per Hestiaios figlio di Menandro (I. Milet 734), databile al I secolo a.C.: singolare è non tanto il riferimento alle dottrine socratiche e platoniche (cfr. ad es. il citato epigramma per Aridikes) quanto la decisa ricusazione di quelle epicuree. In un decreto di Iasos l’efebarco Melanion è onorato anche in relazione a generici meriti riguardanti la pratica della filosofia (I. Iasos I, 98). Il filosofo epicureo Eucratidas figlio di Pisidamo, rodio, ricevette sepoltura a pubbliche spese presso la città di Brindisi, che lo celebrò con una iscrizione bilingue (greco/ latina) oggi perduta (Syll. 3a ed. 1227).

Vengono quindi riconsiderati nella loro relazione con Delfi alcuni personaggi già passati in rassegna: Aristotele, che li fu onorato assieme al nipote Callistene per aver redatto una lista di pitionici al posto di quella divenuta obsoleta di un certo Menaichmos. Lo scolarca peripatetico Lykon di Alessandria in Troade riceve a Delfi numerosi privilegi per mezzo di un decreto anfizionico (Syll. 3a ed. 461); infine Menedemo, che a Delfi si recò come ieromnemone per conto di Eretria, viene onorato, a quanto sembra, per l’invenzione di un sistema brachigrafico (SEG XV 336).

Da Delo proviene poi un decreto in onore di Prassifane figlio di Dionisifane (IG XI, 3, 613): questi, benché non sia esplicitamente individuato come filosofo, sembra da identificare con il peripatetico Prassifane di Rodi (originario di Mitilene), allievo di Teofrasto: alla scuola di Prassifane, a Rodi, si sarebbero incontrati i poeti Callimaco ed Arato di Soli (Vita Arati latina 1). Viene invece esplicitamente connotato come filosofo un Anaxippos, che non risulta altrimenti noto (IG XI, 4, 624).

Una iscrizione metrica di Olimpia, cursoriamente pubblicata dal Kunze (“Arch. Delt.” 16, 1960, 627 ss.) ma trascurata dalla successiva ricerca rivela, all’attenta analisi di H., un interessante epilogo della vicenda dei tre scolarchi recatisi in ambasceria a Roma. Nell’epigramma, pur lacunoso, risulta infatti con evidenza il nome di Critolao, accompagnato dalla qualifica di ἵστορ Ἀριστοτέλους e si fa riferimento all’opera da lui svolta in difesa della terra Attica. H. sospetta che anche Carneade e Diogene fossero coinvolti nella celebrazione olimpica della ambasceria.

A Pergamo viene onorato il filosofo epicureo Apollophanes, che in circostanze critiche per la patria si era impegnato con successo in una ambasceria a Roma (ISE III, 194). Sul conto di un altro filosofo di origine pergamena, Cratippo, che dall’Accademia era passato alla scuola peripatetica, abbiamo numerose notizie di fonte letteraria: fu in contatto con eminenti romani attorno alla metà del I secolo a.C. ed in particolare con Cicerone, che gli affidò l’educazione del figlio Marco in Atene e che per lui ottenne da Cesare la concessione della cittadinanza romana. La discendenza di Cratippo, che da Cicerone prese il gentilizio Tullius, continuò a fiorire fino in avanzata età imperiale, come attestano varie iscrizioni ed in particolare quella posta dalla figlia Tullia per i suoi congiunti (CIL III, 1, 399).

Un capitolo conclusivo sintetizza i risultati della ricerca e la loro rilevanza, in particolare alla luce del lavoro di P. Scholz,10 aggiungendo alla discussione, in particolare, il ruolo avuto dai filosofi peripatetici Atenione ed Apellicone, nonché dall’epicureo Aristione nell’adesione di Atene alla rivolta mitridatica. Un’appendice contiene il materiale scartato da H., in genere molto prudente nell’accettare identificazioni non corroborate da sufficiente evidenza. Dopo una amplissima bibliografia, con la quale l’autore dimostra una sincera familiarità, figurano indici delle fonti, dei nomi e dei concetti.

Il volume è particolarmente curato anche sotto l’aspetto formale e gli errori rilevabili sono veramente minimi.11 Una libera scelta dell’autore (forse non del tutto condivisibile) è quella di riprodurre solo parzialmente le iscrizioni oggetto di analisi e di non fornire un vero apparato né alcuna immagine. Inoltre le raccolte epigrafiche sono generalmente citate solo per mezzo di sigle, che non vengono esplicitate nell’indice delle fonti, né in altro luogo del libro, rendendo difficile rintracciare la fonte originale per chi non sia abbastanza esperto della materia. L’autore è in grado di discutere con competenza da vero specialista anche gli aspetti squisitamente epigrafici della sua ricerca, i risultati della quale escono però da un contesto prettamente antiquario per condizionare la ricostruzione della storia del pensiero ed in particolare la democratizzazione dell’ideale filosofico compiutasi in età ellenistica.

Notes

1. A. Chaniotis, Historie und Historiker in den griechischen Inschriften. Epigraphischen Beiträge zur griechischen Historiographie, Stuttgart 1988.

2. Athen. XI, 504 d – 509 c.

3. S.V. Tracy, Attic Letter Cutters of 229 to 86 BC, Berkeley 1990; Idem, Athenian Democracy in Transition, Attic Letter Cutters of 340 to 290 BC, Berkeley 1995; Idem, Athens and Macedon, Attic Letter Cutters of 300 to 229 BC, Berkeley 2003.

4. Analogamente dobbiamo supporre che l’onore della cittadinanza venisse conferito al ritorno dalla ambasceria anche a Diogene e Critolao.

5. Cfr. supra il caso di Lykon.

6. Anche in questo caso H. si avvale delle argomentazioni paleografiche del Tracy.

7. Proprio da Phaidros Attico, nel dialogo ciceroniano de legibus, riferisce di aver sentito un divertente aneddoto (Cic. de legibus I, 20, 53): il proconsole L. Gellio Publicola, di passaggio ad Atene nel 93/2 a.C., avrebbe fatto convocare al suo cospetto gli scolarchi, con l’intenzione di appianarne le divergenze.

8. F. Canali De Rossi, Le ambascerie dal mondo greco a Roma in età repubblicana, Roma 1997, nr. 270.

9. J. e L. Robert, Claros I, Décrets hellénistiques, Parigi 1989, con datazione (accolta da H.) ai primi decenni della provincia Asia. Una cronologia ‘bassa’ di questi decreti (età di Silla per Menippo, età di Pompeo per Polemeo), da me già formulata nella recensione ai Robert, in “Athenaeum” 79, 1991, 646-648, è stata ribadita e precisata in Iscrizioni Storiche Ellenistiche III, 2a ed. 2006, nrr. 178 e 179.

10. P. Scholz, Der Philosoph und die Politik. Die Ausbildung der philosophischen Lebensform und die Entwicklung des Verhältnisses von Philosophie und Politik im 4. und 3. Jh. v. Chr., Stuttgart 1998.

11. P. 140, lin. 13: hervort[r]at. P. 205: alla fine del paragrafo c’è l’omissione di qualche parola che rende inintellegibile la frase. P. 214: la prima frase dell’ultimo paragrafo è stata imperfettamente rielaborata e il verbo ‘ehren’ viene inopinatamente ripetuto. P. 275, linea 13: la datazione di ISE I, 33 al 196/5 a.C. è divenuta obsoleta per le stesse motivazioni addotte da H. a pag. 139-140 (datazione dell’arconte Charikles al 184/3 a.C.). P. 296, penultima riga del testo: il nome di Hedeia viene erroneamente ripetuto in luogo di Boïdion.