BMCR 2008.07.42

Culture and Sacrifice. Ritual Death in Literature and Opera

, Culture and sacrifice : ritual death in literature and opera. Cambridge: Cambridge University Press, 2007. xi, 313 pages : illustrations ; 26 cm. ISBN 9780521867337. £45.00.

Table of contents

Il libro è firmato da un docente di Inglese presso l’Università di Aberdeen, ed è dedicato ad un tema di grande e perenne fascino: il sacrificio umano. Questo tema viene esplorato nelle sue manifestazioni nella letteratura, comprendendo assai giustamente in questo termine anche i libretti d’opera, che costituiscono a tutti gli effetti opere letterarie troppo spesso trascurate, ma dalle quali si possono evincere preziosi elementi sulla cultura che li esprime. L’ambizioso lavoro di Hughes (H.) parte dall’antica Grecia e, attraverso una selettiva ed affascinante e carrellata, arriva fino ai giorni nostri, chiudendo con un importante romanzo della scrittrice Margaret Atwood, pubblicato nel 2000. L’obiettivo è quello di mostrare come il tema del sacrificio umano abbia suscitato interesse da parte degli autori occidentali nel corso dei secoli, ed in particolare come il tema possa essere assunto a cartina di tornasole per analizzare il modo in cui la cultura occidentale si è posta nei confronti dell’ “altro”, divisa tra condanna del diverso, del “barbaro”, ed inevitabile scoperta che in quel diverso essa finisce per specchiarsi. Un ulteriore tema seguito nel corso del libro sta nell’individuazione del sacrificio umano, ed in particolare del suo superamento attraverso l’abolizione, come indice di progresso sociale: da Eracle, il cui ruolo di eroe culturale che impone l’abbandono dei rituale barbarico è ben noto alle fonti antiche, attraverso l’azione “civilizzatrice” che i conquistadores spagnoli si autoattribuirono nei confronti del nuovo continente, fino alle drammatiche riflessioni del XX secolo, che ha crudamente imposto nuove prospettive sul valore della vita umana. Diamo di seguito una sintesi dei vari capitoli, anche se la natura del lavoro rende difficile fornire un panorama completo della quantità di romanzi, racconti ed opere letterarie in genere che sono stati esaminati.

Il primo capitolo (“Human sacrifice, ancient and modern”) è dedicato ad una necessaria premessa, che contiene alcune importanti considerazioni generali sul tema prescelto. Su queste considerazioni torneremo alla fine della recensione per sottolinearne alcuni aspetti importanti.

Il secondo capitolo è dedicato al contesto culturale in cui, per la prima volta in Occidente, il sacrificio umano assume una sua evidenza, almeno sul piano culturale: la Grecia. Si tratta di un tema assolutamente centrale nella cultura greca, come dimostra la sua frequenza sia nel mito che, di conseguenza, in grandi opere letterarie: già nell’ Iliade si ricordano le famose pagine dell’immolazione dei prigionieri troiani da parte di Achille. La rassegna prosegue poi con i tragici, e H. evidenzia le differenze nel trattamento del tema tra Eschilo, Sofocle ed Euripide. H. sottolinea che vi sono diverse notizie di sacrifici umani storici nel mondo greco, sulla cui veridicità esistono tra gli studiosi diversi dubbi (e in particolare, sarebbe stato opportuno ricordare anche l’importante lavoro di P. Bonnechère);1 ma è giustamente osservato che queste notizie, al di là della loro rispondenza alla realtà, testimoniano comunque di quanto il sacrificio umano fosse vicino all’immaginario greco. L’analisi di H. si colloca sulla linea dei più autorevoli studiosi della religione greca nel sottolineare che la cultura greca colloca il sacrificio umano “very close to the geographical, legal, and psychological boundaries of civilization. Its abolition was one of the hallmarks of human progress” (p. 14). Questo è senza dubbio il tema centrale, poiché porta alla considerazione dell’uso “politico” dell’accusa del sacrificio umano, di cui sono noti molteplici esempi nella storia.

Il terzo capitolo (“Virgil to Augustine”) affronta il tema nelle sue manifestazioni nella letteratura latina, soffermandosi ovviamente sull’ Eneide, per la quale H. osserva acutamente che “Sacrifice becomes an articulation of the dynamics of history” (p. 45). Il capitolo prosegue poi con i primi secoli del Cristianesimo, in particolare con il De Civitate Dei di Sant’Agostino, che viene visto come “a massive answer to the Aeneid” (p. 51) in quanto contiene una riflessione sullo schema provvidenziale che abbandona Roma.

Il quarto capitolo (“The discovery of America”) è dedicato alla scoperta da parte europea delle popolazioni del continente americano: un tema centrale è costituito ovviamente dagli impressionanti rituali posti in atto dagli Aztechi, che tanto colpirono l’immaginario del mondo culturale europeo. In questo capitolo risulta molto interessante l’analisi dei poemi rinascimentali, che tendono ad accogliere le novità portate dall’espansione geografica attraverso un doppio filtro, quello dei modelli classici (in particolare ancora dell’ Eneide) reinterpretati alla luce del Cristianesimo: in quest’ottica ad esempio Torquato Tasso nella sua Gerusalemme Liberata riflette sul cannibalismo. Altro tema di rilievo è proprio l’atteggiamento dei poeti e degli uomini di cultura europei del Rinascimento nei confronti del conflitto tra Cristianesimo e religioni pagane, atteggiamento che scaturisce dall’impatto con le popolazioni amerindie con i loro rituali “barbarici”, e che in realtà mostra diversi punti di ambivalenza, specie da parte di alcuni liberi pensatori che instaurano paralleli tra le pratiche rituali delle culture esotiche e quelle cristiane. I sacrifici umani di massa effettuati dagli Aztechi, secondo alcuni commentatori dell’epoca, non sono molto diversi dalla sanguinosa repressione con cui gli spagnoli di Cortés cancellano la cultura indigena. In questa prospettiva, il sacrificio umano diventa banco di prova dei primi tentativi di un approssimativo quanto interessante relativismo culturale: “both religions can provide accounting systems in which mass slaughter is a justifiable debit, but each declares the other to be monstruous and irrational” (p. 62).

Il capitolo quinto è dedicato a “Shakespeare and the economics of sacrifice”. Il lavoro shakespeariano più importante in quest’ottica è il Titus Andronicus, che contiene sacrifici umani e cannibalismo, ma anche The merchant of Venice, che già aveva offerto spunti a René Girard: H. sottolinea come Shakespeare proceda in quest’opera ad attribuire la violenza ad un personaggio di origine “altra” come Shylock, quasi a riscattare la propria società, ma nel contempo il mercante non è uno straniero assoluto (come il re Thoas in Euripide), perché è in base alle leggi dello stato che Shylock pretende il sacrificio. “The stranger is both needed and exorcized, created and rejected” (p. 77).

Nel sesto capitolo (Britain and America: Dryden, Behn, and Defoe) continua ad essere la letteratura angloamericana al centro dell’analisi, come è naturale visti gli interessi dell’A. Ma anche in questo caso il substrato classico che è contenuto nelle opere dei vari Dryden, Behn, Defoe viene messo in luce. Il settimo capitolo (“Lieto Fine: Baroque and Enlightenment sacrifice”) è molto complesso e pressochè impossibile da sintetizzare. Durante l’Illuminismo il dibattito tra cultura e non cultura, tra civiltà e barbarie, raggiunge livelli basilari per la storia dell’Occidente, specie nelle pagine di Voltaire e di Diderot, il quale in anticipo sui tempi discuteva del sacrificio umano e del cannibalismo come strategie di controllo della popolazione. L’intenso dibattito si manifesta al meglio nei libretti d’opera dell’età dei Lumi, che forse ancor piuù dei romanzi riescono a far comprendere la temperie culturale dell’epoca. Ed è importante sottolineare, come fa H., la quantità di testi dedicati al mito di Ifigenia, ma anche ai temi esotici legati alle sempre più ampie scoperte geografiche, che stimolano la curiosità intellettuale europea.

Il capitolo sull’Illuminismo è strettamente collegato col successivo (“The French Revolution to Napoleon”). Qui si innesta un altro livello, fondamentale: la corrispondenza tra l’analisi del tema del sacrificio umano, e quindi del rapporto tra barbarie e civiltà, e i grandi eventi storici contemporanei. Ovviamente, la Rivoluzione Francese è al centro di questo discorso. Ancora, accanto a de Sade, Goethe, Schiller e von Kleist (tra gli altri) vengono analizzati i libretti delle opere di Spontini, come in precedenza quelli di Mozart e Gluck.

Ai primi decenni del XIX secolo è dedicato il nono capitolo (“The secularization of sacrifice”), dominato dalla figura di Salammbo e poi dalle riflessioni filosofiche di Hegel e Kierkegaard. Questi anni sono considerati da H. come quelli in cui per la prima volta si affaccia l’idea che il sacrificio umano sia un mezzo per “understanding some of our most advanced institutions” (p. 151): questo rito viene collocato all’interno di una visione della cultura umana come progresso dalla barbarie alla civiltà, nel cui ambito esso avrebbe un posto primordiale.

Il capitolo 10 (“Gothic sacrifice”) porta ancora in primo piano il doppio livello di analisi, letterario e storico-sociale. L’A. dimostra che il celebre Frankenstein di Mary Shelley risente tra l’altro delle spedizioni inglesi verso le regioni polari, e che questo aspetto è traslato nel romanzo in una disperata regressione alle origini umane (p. 162).

Molto suggestivo il capitolo 11, dedicato ad una fine analisi del tema sacrificale nelle opere di Richard Wagner, condotta anche con l’aiuto degli scritti teorici del musicista tedesco. Uno dei punti più interessanti riguarda il parallelo tra il Ring e la saga tebana, “comparable in scale and violence to that of the Nibelungs” (p. 194).

Il capitolo 12 riparte da Wagner per affrontare il “ritorno di Dioniso” (“The second coming of Dionysus”): centrali in questo discorso sono ovviamente le figure di Nietzsche e Freud, ma anche Frazer. L’A. si sofferma anche sul capolavoro di Bram Stoker, Dracula, di cui sono sottolineati i rapporti con Parsifal ed in ultima analisi con le Baccanti euripidee.

Gli ultimi capitoli del libro sono dedicati al secolo XX. Il capitolo 13 (“Pentheus 1913”) si apre con una serata storica, quella del 1913 in cui avvenne la prima esecuzione del balletto di Stravinskij, Le Sacre du Printemps. Va notato en passant che forse Stravinskij non sarebbe stato contento di vedersi etichettato come “Modernist” (p. 216). Diverse pagine sono poi dedicate ad un’altra opera capitale del secolo, Der Zauberberg di Thomas Mann.

Il capitolo 14 (“Sparagmos”) affronta i decenni che precedono la Seconda guerra mondiale, prendendo in considerazione in particolare D. H. Lawrence e lo Schnberg di Moses und Aron.

L’ultimo, problematico capitolo (“Hitler and after”) si affaccia finalmente sull’abisso del XX secolo, affrontandone i temi più aspri, fino a rievocare l’11 settembre e la guerra in Iraq. I riferimenti sono numerosi, e comprendono anche il cinema ( The Wicker Man, del 1973, film che in qualche modo si ispira alle teorie dell’antropologa inglese Margaret Murray). Le pagine più interessanti sono dedicate ad una raffinata analisi di uno dei capolavori di T.S. Eliot, The Cocktail Party. Ma più che gli altri capitoli, queste ultime pagine sono di difficile sintesi: il filo conduttore è l’atrocità di cui si dimostra capace l’uomo, e come questa attitudine incida sulla produzione letteraria. Alla fine, H. può concludere la sua cavalcata dicendo che “any social organization, from the anthill upwards, makes decisions about the value of individual life, whether through evolutionary mechanisms or conscious reflection. The ever-changing balance between the two is reflected in the changing representation of human sacrifice” (p. 274).

Alla fine di questa panoramica, certamente incompleta e che non rende giustizia alla ricchezza del libro, possiamo soffermarci su alcuni punti importanti per una sua valutazione. Un aspetto centrale è costituito inevitabilmente dalla definizione di sacrificio umano. H. scrive (p. 2): “By human sacrifice I mean, primarily, the literal, ritual, religious sacrifice of a human victim”. E’ chiaro, da un lato, che non si tratta di un lavoro di impostazione storico-religiosa, e dunque all’A. non interessa una riflessione sul senso, il valore, il concetto di sacrificio umano; d’altro canto, va sottolineato che una definizione generica come quella data comporta alcuni equivoci di cui la coerenza del lavoro finisce per risentire. Tanto per fare un esempio, quando H. osserva (p. 146) che uno dei più sorprendenti sviluppi del XIX secolo nella rappresentazione del sacrificio umano è la sua separazione dalla religione, questo apre un problema ermeneutico non da poco, poiché è legittimo chiedersi se un sacrificio separato dalla dimensione religiosa possa ancora considerarsi tale. H. non prende poi in considerazione la differenza tra sacrificio umano ed uccisione rituale, sottolineata da diversi studiosi soprattutto di area italiana e francese; inoltre, sceglie consapevolmente di non distinguere tra sacrificio umano e pena capitale, sottolineando che “the point is not the thing itself but its representation” (p. 2). L’osservazione è senza dubbio pertinente ad un lavoro come questo, che non è storico-religioso ma si dedica ad analisi prima di tutto letterarie, e di conseguenza culturali; è però vero che in fin dei conti il tema scelto è per sua natura strettamente legato alla dimensione religiosa, al di fuori della quale non esiste: per cui non si tratta solo di mera definizione, ma di una distinzione che forse sarebbe stata opportuna per evitare il rischio di associare casi tra loro anche molto diversi. Nel Primo capitolo, in cui H. pone le basi metodologiche della sua ricerca, emerge che dal punto di vista storico-religioso i suoi riferimenti sono Walter Burkert, Marcel Detienne e René Girard. Si tratta senza dubbio di tre autori che rappresentano dei punti fermi nel dibattito sul sacrificio, e sono anche i più famosi al di fuori della cerchia di studiosi del settore; ma non si può non ricordare che il tema è stato oggetto di riflessioni molto importanti anche da parte di altri studiosi, ancora di recente: un nome su tutti è quello di Angelo Brelich,2 ma non solo.3 E con questo arriviamo al secondo motivo che desta qualche perplessità. Scorrendo la bibliografia dei lavori secondari, infatti, salta all’occhio che su 97 titoli solo 7 sono in lingue diverse dall’inglese (e nessuno di questi è in italiano). Come conseguenza, mancano opere che avrebbero potuto arricchire la discussione, come ad esempio il classico lavoro di Mario Praz, La carne, la morte e il diavolo nella letteratura romantica (Firenze 1948, con successive riedizioni, che peraltro è stato anche tradotto in inglese: The Romantic Agony, Oxford University Press, 1951), ed avrebbe fornito ulteriori spunti su diversi autori come Byron, Pater, Flaubert, lo stesso Wagner.

Di là da queste considerazioni, resta il fatto che si tratta di un libro molto affascinante, ricco e stimolante. L’analisi del modo in cui grandi autori hanno trattato il tema del sacrificio umano riesce a fornire interessanti spunti di riflessione anche a chi si occupa di questo argomento dal punto di vista più prettamente storico-religioso: la sua lettura permette dunque di aprire una finestra e far entrare aria nuova in ambienti come quelli dell’antichistica spesso troppo chiusi. Il libro è anche molto ben impaginato e impeccabilmente prodotto, in caratteri estremamente chiari, corredato da 19 bellissime tavole in b/n e, per quanto ho potuto vedere, esente da errori di stampa.4

Notes

1. P. Bonnechère, Le sacrifice humain en Grèce ancienne, ‘Kernos’ suppl. 3, Athénes-Liège 1994.

2. Il lavoro basilare di Brelich, Presupposti del sacrificio umano (1966), è stato finalmente riedito nel 2006. Ma importanti riflessioni metodologiche erano già nel suo contributo “Symbol of a Symbol”, in J.M. Kitagawa-Ch.H. Long (edd.), Myths and Symbols. Studies in Honor of Mircea Eliade, (Chicago, 1969), pp. 195-207.

3. Tra i lavori più interessanti sull’argomento usciti negli ultimi anni, mi limito a segnalare C. Grottanelli, Il sacrificio (Roma-Bari, 1999), ed i recentissimi volumi: J. N. Bremmer (ed.), The Strange World of Human Sacrifice (Leuven-Paris, 2007); K. Finsterbusch-A. Lange-K. F. Diethard Römheld (edd.), Human Sacrifice in Jewish and Christian Tradition (Leiden-Boston, 2007).

4. Posso solo segnalare che in alcuni casi (p. 87 ad esempio) il numero di pagina di una citazione è ripetuto sia alla fine della citazione che nella nota.