BMCR 2008.05.26

Between Venice and Istanbul. Colonial landscape in early modern Greece. Hesperia Supplement 40

, , Between Venice and Istanbul : colonial landscapes in early modern Greece. Hesperia supplements, 40. Princeton, NJ: American School of Classical Studies at Athens, 2007. xii, 260 pages : illustrations (some color), maps ; 28 cm.. ISBN 9780876615409. $75.00 (pb).

Table of Contents

Il volume curato da Siriol Davies e Jack L. Davis raccoglie gli atti di un Workshop promosso dal Department of Classics dell’Università di Cincinnati nell’aprile del 2003. L’incontro aveva l’obiettivo di favorire il dialogo tra storici e archeologi impegnati in ricerche aventi come oggetto lo studio delle modalità di insediamento e di sfruttamento del territorio in Grecia nella prima età moderna, dalla caduta di Bisanzio alla dominazione turca.

Dopo una introduzione e un primo capitolo di inquadramento generale, di mano dei curatori, il volume si divide in quattro sezioni, esemplificative dei differenti approcci disciplinari e delle possibilità offerte dalla correlazione tra le indagini archeologiche, gli studi storico-archivistici e quelli demografico-antropologici. Ogni sezione è costituita da tre capitoli o saggi, ognuno con un proprio specifico apparato bibliografico, ed è preceduta da una breve introduzione che ne riassume i contenuti. I saggi, pur radicalmente diversi nella loro specificità, forniscono non tanto degli approfondimenti quanto delle panoramiche, accessibili ad un ampio pubblico, dei diversi temi in esame e pongono l’accento soprattutto sugli aspetti metodologici delle ricerche e sulle opportunità offerte da una più attiva collaborazione tra le discipline in esse implicate.

L’introduzione generale costituisce il vero cuore del volume (pp. 1-24), illustrandone le motivazioni e gli scopi attraverso una disamina che evidenzia la scarsa attenzione prestata fino ad anni recenti alla cultura materiale del periodo preso in esame e suggerendo una più attiva cooperazione interdisciplinare che contribuisca a supplire a tale carenza. L’archeologia in Grecia è stata attratta, fin dalle sue origini, dal periodo classico, allargando lo sguardo a comprendere le epoche preclassica e bizantina, ma solo marginalmente interessandosi delle fasi franca e veneziana, e in misura ancora minore di quella ottomana. Gli studi nel settore possono effettivamente dirsi agli inizi.

I curatori offrono al lettore una panoramica di alcuni tra i più recenti contributi per quanto concerne l’archeologia del paesaggio, l’utilizzo dei materiali d’archivio, gli studi architettonici e urbanistici, e le indagini regionali nella Grecia di epoca veneziana e ottomana. La scelta cronologica e geografica che è alla base della realizzazione dell’incontro e del volume consente di avvalersi della complementarietà di fonti e documenti d’archivio veneti e ottomani. Il dettagliato riassunto dei differenti contributi raccolti nel volume costituisce parte integrante di questa ampia introduzione. Essa si conclude con un caso esemplare di studio, l’isola di Kea, nelle Cicladi, attraverso il quale i due curatori illustrano i vantaggi derivanti dall’utilizzo e dalla combinazione di differenti tipi di documentazione (indagini archeologiche; studio dei registri di censo catastale e fiscale ottomani; esame delle mappe moderne successive al 1821; analisi dei resoconti dei viaggiatori e dei primi studiosi occidentali) per la ricostruzione delle forme insediative.

Il primo capitolo (p. 25-31), scritto dagli stessi curatori, consiste in un inquadramento storico delle regioni dell’Egeo tra la fase della progressiva affermazione veneziana e la guerra per l’indipendenza della Grecia, ed appare strettamente funzionale alla lettura del volume.

La prima sezione dell’opera (pp. 35-93), dedicata alle fonti per la storia del paesaggio della Grecia della prima età moderna, si apre con un capitolo di Machiel Kiel (pp. 35-54), figura di spicco nell’ambito degli studi sul mondo ottomano, che affronta temi di demografia e di economia delle isole greche (Sporadi, Citera, Cicladi occidentali), nei secoli XVI e XVII, attraverso l’analisi della documentazione amministrativa ottomana (soprattutto grazie ai differenti registri dei censimenti fiscali per la colletta delle tasse) e il confronto con altre fonti contemporanee. Il contributo è arricchito da numerose tabelle che, attraverso i dati dei registri, illustrano in particolare la distribuzione della popolazione e le tipologie di prodotti e beni oggetto di tassazione, ed infine da due appendici nelle quali vengono presentate le trascrizioni parziali di due registri riguardanti l’isola di Kea nel 1670-1671.

Il terzo capitolo consiste in un saggio di Aglaia Kasdagli (pp. 55-70), dedicato all’uso dei documenti notarili per la storia agraria (sfruttamento e proprietà delle terre) delle isole dell’Egeo, in particolare di Nasso, nei secoli XVI e XVII. Come già evidenziato in alcuni studi precedenti dell’autrice, questo tipo di fonti, ovviamente combinato con altri documenti e ricerche, consente allo studioso un approccio radicalmente diverso rispetto ai registi fiscali. Mentre questi ultimi restituiscono la visuale del potere centrale e dell’amministrazione ottomana, gli atti notarili, in greco, sembrano consentire una focalizzazione ravvicinata della vita degli abitanti delle isole, come individui e come gruppi sociali. Naturalmente, come avverte la studiosa, anche questi documenti non sono esenti da interferenze e manipolazioni, per cui nel loro utilizzo occorre tenere presente le pratiche giuridiche in uso localmente, i sotterfugi amministrativi, i formulari di rito e altri aspetti che solo il confronto con differenti tipi di documentazione contemporanea consente di determinare.

Nel quarto capitolo (pp. 71-93), dopo una panoramica degli studi sulla ceramica di epoca post-medioevale rinvenuta in contesto di scavo nel bacino dell’Egeo, Joanita Vroom affronta il tema dell’utilizzo dei dati ricavabili da questo tipo di documentazione come fonte di informazione storica. Attraverso alcuni esempi specifici, l’autrice mette in evidenza l’importanza che diverse classi ceramiche di produzione non solo turca, adeguatamente datate e catalogate, possono rivestire nell’ambito delle indagini socio-economiche. È il caso di alcuni recenti rinvenimenti ceramici che attestano per la città di Tebe, nel XVI secolo, una ricchezza materiale ed economica che non era stata riconosciuta dalle precedenti indagini archeologiche e che trova invece conferma nel registri di tassazione ottomani. Proprio questo e altri esempi dimostrano che attraverso il costante e pur difficile confronto del dato archeologico con la documentazione scritta si possono ottenere risultati innovativi e stimolanti.

La seconda sezione del volume è dedicata ad un tema di straordinaria importanza, ovvero quello della composizione etnica e della stabilità della popolazione nella Grecia meridionale e a Cipro (pp. 95-148). Nel quinto capitolo (pp. 97-109), Alexis Malliaris affronta il caso del mutamento della popolazione e dell’integrazione delle comunità di immigranti nella Morea durante il breve periodo di occupazione veneziana (1687-1715), allorché Venezia si trovò a gestire un territorio in gran parte abbandonato e soggetto a forme organizzative che non le erano proprie. Il tentativo di popolare la regione favorendo l’immigrazione da altre aree del bacino dell’Egeo e dell’Adriatico ebbe come conseguenza un massiccio movimento di popolazione i cui effetti possono essere analizzati attraverso la documentazione d’archivio. L’autore evidenzia alcuni aspetti caratteristici, tra cui il differente trattamento riservato ai diversi nuclei di immigranti e le difficoltà incontrate nel processo di integrazione dei nuovi venuti con gli abitanti preesistenti. In particolare, egli pone l’accento sul fenomeno della promozione economica e sociale che invest alcuni gruppi e famiglie di immigranti, che formarono le élite locali dei proprietari terrieri e dei vertici cittadini, e sulle più difficili condizione nelle quali vennero a trovarsi i nuclei insediati nelle campagne, col conseguente fenomeno della loro emigrazione o fuga verso i territori d’origine sotto controllo ottomano.

Il sesto capitolo (pp. 111-135) è dedicato da Hamish Forbes allo studio demografico e onomastico di una realtà specifica quale quella della penisola di Methana, nel Golfo Saronico, nel corso del XIX secolo. La regione sembra interessata da un forte fenomeno di flusso e movimento della popolazione rurale, connesso evidentemente con le attività economiche svolte. In realtà, viene fatto osservare che le difficoltà derivanti dalle variazioni nell’uso dei cognomi e la tendenza a utilizzare residenze multiple da parte della popolazione sembrano indicare che tale fluidità sia in alcuni casi più apparente che reale. In generale, comunque, la mobilità sembra essere stata una costante per una parte rilevante della popolazione greca prima del 1800. Essa era però inserita in una organizzazione dello spazio pianificata a livello parentelare; a livello cioè di una struttura capace di rendere stabili al proprio interno e accettabili socialmente anche i fenomeni di instabilità.

Chiude la seconda sezione un capitolo di Michael Given dedicato ai territori montani a Cipro e agli aspetti del loro popolamento nella prima età moderna (pp. 137-148), che costituisce un contributo fondamentale, non solo nell’economia del volume. Egli infatti conduce la sua disamina della regione interna di Cipro facendo interagire abilmente le indagini topografiche e quelle archologiche, l’analisi dei registri catastali e dei censimenti veneziani, ottomani e inglesi, e la raccolta di informazioni orali presso la popolazione locale. Il risultato è un quadro chiaro e illuminante dei vantaggi offerti dal comune lavoro dello storico e dell’archeologo.

La terza sezione (pp. 149-217), dedicata all’analisi comparativa delle contrastanti strategie di sfruttamento del territorio attuate da Veneziani e Ottomani, si apre con un saggio di Allaire Stallsmith sull’agricoltura a Creta sotto il dominio veneziano e quello ottomano (pp. 151-171). Benché in apparenza i sistemi di gestione della terra e di tassazione messi in atto dalle due amministrazioni appaiano poco diversificati, le scelte fiscali operate, le esigenze economiche e commerciali delle élite dominanti e le necessità militari finiscono per avere un forte impatto sul paesaggio dell’isola, sulle componenti demografiche ed anche sulle forme dello sfruttamento agricolo, col passaggio da una agricoltura di sostentamento a base prevalentemente cerealicola, alla produzione di uva passa per l’esportazione ed infine, con la fuga della manodopera agricola verso le città, all’olivicoltura.

I casi del territorio corinzio orientale, sotto il controllo ottomano, e della regione settentrionale di Citera, in mano veneziana, sono affrontati da Timothy E. Gregory nel nono capitolo (pp. 173-198). Attraverso la comparazione dei dati archeologici e delle fonti scritte, documentarie e letterarie, e facendo ricorso ad un corposo apparato di illustrazioni e carte di distribuzione, l’autore mostra come, accanto alle ovvie differenze ambientali, gli interessi economici divergenti di Ottomani e Veneziani abbiano necessariamente comportato una forte variazione nelle forme insediative e nel tipo di produzione agricola delle due regioni. Nel territorio corinzio, che presenta un suolo più ricco e coltivabile, si assiste alla formazione di ampie proprietà terriere specializzate in produzioni commerciali e ad un processo di accentramento dei nuclei abitativi. A Citera, dove i Veneziani sembrano piuttosto indirizzare la produzione alle esigenze di rifornimento della flotta e di autosufficienza dell’isola, si conservano un maggiore frazionamento delle proprietà e una stretta contiguità tra i nuclei insediativi degli agricoltori e i terreni da essi coltivati.

Di Citera e del territorio di Pilo si occupa John Bennet nel decimo capitolo (pp. 199-217), mettendo a frutto gli esiti di due importanti progetti di ricerca ai quali ha partecipato. Egli affronta il tema dell’organizzazione spaziale del territorio e degli insediamenti, facendo ricorso non solo ai risultati delle prospezioni archeologiche e della documentazione catastale, ma anche alla cartografia moderna, con l’ausilio di numerose illustrazioni. Ne risulta un contesto dominato da un approccio attento alla percezione delle strutture sociali locali da parte degli amministratori veneziani e ottomani, cos che i rispettivi catastici e defters (registri fiscali) risultano fondati sullo stesso principio della raccolta delle informazioni orali derivanti da una conoscenza pratica della suddivisione dei campi. Si fonda su questo metodo empirico persino l’ampio progetto di mappatura cartografica della Morea messo in atto da Venezia nel corso della breve fase di dominio della regione, che rispondeva probabilmente alle esigenze specifiche della conquista e del controllo del territorio, e che rappresenta comunque, per la sua portata, una eccezione singolare.

Il volume si conclude con una quarta sezione che costituisce un bilancio delle ricerche archeologiche sulla Grecia ottomana e del volume stesso (pp. 219-248).

John L. Bintliff (pp. 221-236), da tempo impegnato in importanti progetti d’indagine sulla Beozia, offre nell’undicesimo capitolo un prospetto generale dei risultati delle ricerche per l’epoca ottomana in questa stessa regione, avvalendosi della preziosa collaborazione di Machiel Kiel per il confronto con la documentazione d’archivio turca. A conclusione di tale panoramica, egli propone una serie di indirizzi di ricerca che, già applicati con successo in contesti limitati, potrebbero rivelarsi assai promettenti anche in ambiti regionali più vasti: l’analisi dei sistemi di gestione delle acque; lo studio dei khan (caravanserragli); la realizzazione di progetti regionali per lo studio dell’architettura popolare; l’indagine sulle moschee e sul loro contesto socio-economico; lo studio dell’architettura militare.

Negli ultimi due capitoli Bjorn Forsén (pp. 237-244), Curtis Runnels e Priscilla Murray (pp. 245-248), formulano due bilanci conclusivi dell’incontro di Cincinnati, sottolineando rispettivamente gli aspetti demografici e socio-economici della ricerca, e l’apporto fornito al progresso della cooperazione interdisciplinare e pluridisciplinare in questo specifico campo d’indagine.

Elegante e corredato di un cospicuo apparato di illustrazioni, il volume curato da Jack L. Davis e Siriol Davies raggiunge lo scopo di offrire un saggio delle potenzialità offerte dallo studio combinato della documentazione archeologica e di quella storica attraverso un approccio interdisciplinare, e costituisce un serio invito all’approfondimento delle ricerche sulla Grecia in epoca post-bizantina. Per promuovere l’attenzione verso l’argomento e il periodo in esame, il volume è costruito in modo tale da risultare fruibile da parte di un pubblico assai più ampio di quello dei soli specialisti, grazie ad un apparato introduttivo ai singoli contributi che può forse apparire ripetitivo per lo studioso ma che invece si rivela essenziale per coloro che si avvicinano a questi temi per la prima volta e che in tal modo sono condotti alla loro scoperta per mano dagli stessi curatori.

Si può concludere riprendendo l’invito più volte ripetuto da questi ultimi e dai diversi autori. Occorre che gli studiosi attivi in questo particolare ambito non solo oltrepassino le barriere e i limiti delle singole discipline, ma estendano anche i propri orizzonti all’insieme assai diversificato – e pertanto ancora più problematico e di difficile approccio – delle realtà comprese all’interno del vasto Impero ottomano. Ciò richiede che vengano superate anche le difficoltà dovute al fatto che tali territori appartengono oggi a stati diversi, con forti differenze etniche, linguistiche e politiche.1

Notes

1. Un aspetto, questo, ben evidenziato recentemente da F. Yenisehirlioglu, “L’archéologie historique de l’Empire ottoman. Bilan et perspectives”, Turcica, 37, 2005, pp. 247-248.