BMCR 2008.04.37

Filius Publicus. Huios tês Poleos e titoli affini in iscrizioni greche di età imperiale. Studi sul vocabolario dell’evergesia 1

, Filius publicus : yios tēs poleōs e titoli affini in iscrizioni greche di età imperiale. Studi sul vocabolario dell'evergesia ; 1. Roma: Herder, 2007. vi, 272 pages : illustrations ; 24 cm.. ISBN 9788889670248. €40.00.

Il titolo di filius publicus insieme ad altri tratti dall’ambito familiare e diffusi soprattutto in ambito orientale costituisce la base dell’impegnativa ricerca di Filippo Canali De Rossi. Nata inizialmente come soggetto di una tesi di laurea discussa nel 1987 sotto la direzione di Luigi Moretti, il lavoro è stato ulteriormente approfondito negli anni pervenendo infine alla pubblicazione dei risultati.

Si tratta, giova chiarirlo in partenza, di un lavoro specialistico per esperti del settore. Lo si capisce a primo impatto dal carattere tecnico delle citazioni, dai dettagliatissimi indici dei nomi (divisi analiticamente in diverse sezioni), dei luoghi, dei formulari, dei termini di uso comune, delle fonti letterarie, delle concordanze epigrafiche, delle fonti numismatiche, dalla suddivisione delle bibliografia per temi generali (pp. 182-188), per corpora e repertori (pp. 247-253), per raccolte relative a singole città e regioni (pp. 254-260), per monografie e contributi per autore (pp. 261-270).

Tema della ricerca sono i titoli onorifici assegnati, soprattutto nel corso dell’età imperiale, a personaggi benemeriti: titoli che, per un verso, legavano l’onorato all’ambito familiare ( υἱóς, θυγάτηρ, πατήρ, μήτηρ), per un altro, a referenti politici precisi quali il demos, la polis, la provincia, ma anche la boulé, l’associazione dei giovani, la phyle.

Nella sua veste assai tecnica, il testo non è facile da riassumere. L’A. suddivide lo studio in due parti: nella prima raccoglie tutte le epigrafi (pp. 3-181), nella seconda dispone la bibliografia e i diversi indici (pp. 183-272).

La scarsità di dati non sempre consente di inquadrare perfettamente il personaggio onorato. Tuttavia dalle tante epigrafi collazionate, provenienti per lo più dalle province dell’Asia Minore, è possibile ricavare una casistica in merito ai motivi che determinavano l’assegnazione del titolo. Ad esempio, Adrasto figlio di Nicotimo di Artemidoro di Zenone di Ierace, venne onorato come “figlio dei giovani” perché, oltre ad essere stato fondatore della città, ne era stato anche benefattore. I suoi benefici alla comunità si erano tradotti, in particolare, in donazioni di olio in occasione delle competizioni agonistiche, nello svolgimento di numerosi incarichi da ambasciatore per conto della sua città, in continue offerte e donazioni alla comunità (epigrafe n. 45, pp. 75-76). Meriti assai simili ebbero altri personaggi: Marco Ulpio Carminio Claudiano si rese benemerito verso la sua città per avere offerto olio e condotto numerose ambascerie (epigrafe 57, pp. 84-87); Paolo Calidio Frontone fu onorato come “figlio della città” per avere compiuto ambascerie, offerto denaro alla sua comunità, averle venduto grano a prezzo scontato nel corso di periodi di carestia, avere esercitato a proprie spese la carica di ginnasiarca (epigrafe 62, p. 96); Tito Flavio Enea ottenne il titolo di “figlio della città” per avere offerto banchetti alla comunità, organizzato a sue spese un agone, condotto ambascerie (epigrafe 76 a, pp. 108-109), ma anche per avere fornito olio e finanziato tutti gli spettacoli (epigrafe 76b, pp. 110-111). Meriti analoghi ebbero personaggi come Tiberio Claudio Apollonio Elaibabe (epigrafe 97, pp. 126-127), Calpurnio Diodoro figlio di Quadrato (epigrafe 99, p. 129). Tra gli onorati figuravano non solo uomini ma anche donne resesi benemerite nei confronti delle loro comunità. Ammia figlia di Eucle, ad esempio, fu onorata come “figlia della città” per avere concesso molti prestiti e fornito denaro per l’acquisto di grano e derrate, ma anche per essersi distinta in saggezza e in amore verso il coniuge (epigrafe 131, p. 156).

Tra i motivi che potevano determinare l’assegnazione del titolo onorifico vi era anche la capacità di curare le malattie. È il caso di Gaio Stertinio Senofonte, annoverato a Cos come “figlio del popolo”, ma indicato anche come medico personale dell’imperatore Claudio. Nella prima delle epigrafi che lo ricordano (epigrafe 9A, pp.16-17), Gaio Stertinio Senofonte è ricordato come “devoto alla patria, pio, benefattore della patria”; nella seconda, invece, (epigrafe 9b, pp.18-19) ne è tramandato il cursus honorum. Gaio Stertinio Senofonte, infatti, archiatrós degli dei Cesari Augusti, fu onorato con una corona d’oro e la lancia dopo il trionfo romano sui Britanni, ottenendo il titolo di “figlio del popolo”. Fu devoto a Nerone, a Cesare, ad Augusto, a Roma, alla patria; fu benefattore della patria, sommo sacerdote degli dei e sacerdote a vita degli Augusti e di Asclepio, di Igea ed Epiona. Le diverse onorificenze, dunque, si legavano alle responsabilità rivestite dal personaggio nel corso della sua vita, prima fra tutte quella di prendersi cura della salute degli imperatori come medico insgne e capo dei medici di corte.

In questo caso Canali De Rossi ricostruisce le fasi della vita del personaggio onorato corredando il dato epigrafico con quello letterario. Ancora in relazione Gaio Stertinio Senofonte, infatti, l’A. riferisce, attingendo ad un passo di Plinio il Vecchio ( N. H. 29.5.7), che il medico rinfacciò all’imperatore di accontentarsi come compenso per le sue prestazioni professionali della cifra di 500.000 sesterzi, sebbene in passato, da privato al servizio di altre famiglie benestanti, ne avesse guadagnati ben 600.000. Una prova, questa, dei guadagni ingenti che i medici più insigni erano in grado di accumulare nel corso della loro carriera. Ancora basandosi sulla tradizione letteraria e, in particolare, su un passo di Tacito ( Ann. 12.67.2), Canali De Rossi ricostruisce ulteriori tappe della vita di Gaio Stertinio Senofonte. Il medico, inserendosi nelle trame di palazzo che avrebbero determinato l’ascesa al potere del giovane Nerone, avrebbe somministrato a Claudio un potente veleno facendolo passare per un farmaco emetico.

Lo studio di Canali De Rossi, dunque, non è solo di una raccolta di testimonianze epigrafiche. In molti casi, laddove il materiale a disposizione lo consenta, l’A., come nel caso del medico Gaio Stertinio Senofonte, affianca al dato epigrafico quello letterario riportandolo in esteso nelle note, ed apporta sostanziali correttivi a precedenti interpretazioni storiografiche: è il caso, ad esempio, dell’epigrafe 59 per la quale rigetta l’interpretazione del Tillyard (p. 89, nota 2); dell’iscrizione n. 70 per la quale propone una diversa identificazione di Ulpia Democrazia (p. 103); dell’iscrizione n. 112, nella quale rigetta con ottime argomentazioni la tesi di Burnett (p. 140 nota 18).

Se non era facile raccogliere le testimonianze epigrafiche, analogamente non era agevole presentarle sia in una edizione critica del testo originale, sia in traduzione, sia corredate, laddove possibile, di foto o disegni. È perciò ampiamente giustificabile sia qualche difetto nell’impaginazione o nella presentazione di foto o disegni1 sia qualche discrepanza relativa al corpo del carattere,2 sia qualche refuso.3 Essi non intaccano la qualità di un lavoro meritorio che promette di rappresentare un utile strumento per gli esperti del settore.

Notes

1. Ad esempio a pagina 44 (epigrafe 22) risulta non eccellente la risoluzione della foto; a pagina 68 (epigrafe 37d-38b), l’immagine che riproduce il testo originale non è perfettamente allineata, al pari di quella che riproduce il testo delle epigrafi n. 103 (pagina 133), 106 (pagina 135), 138 (pagina 162). Inoltre, a pagina 163 (epigrafe 138b), il testo dell’iscrizione risulta in parte tagliato.

2. Alle pagine 66-67 (epigrafe 37 a) il corpo del testo usato per la traduzione risulta più piccolo rispetto a quello impiegato per tutte le altre.

3. Ripetizione di “anche” nella traduzione dell’epigrafe 73 a pagina 106; “asai” per “assai” nella traduzione dell’epigrafe 139 a pagina 165.